TAR Ancona, sez. I, sentenza 2016-04-15, n. 201600245

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Ancona, sez. I, sentenza 2016-04-15, n. 201600245
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Ancona
Numero : 201600245
Data del deposito : 15 aprile 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00754/2015 REG.RIC.

N. 00245/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00754/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 754 del 2015, proposto da:
D R, P C, rappresentati e difesi dall'avv. R G, con domicilio eletto presso Luigi Orlandi in Ancona, Via Villa Franca, 4;

contro

Regione Marche, rappresentata e difesa dall'avv. P C, con domicilio eletto presso P C in Ancona, piazza Cavour, 23;

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distr. Dello Stato, domiciliata in Ancona, piazza Cavour, 29;

per l'annullamento

- del Decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali della Regione Marche n. 186/TRA del 14.9.2015 riguardante sanatoria e recupero degli indennizzi di cui alla L.r. 17/1995 azienda Razzetti Domenico;

- del Decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali della Regione Marche n. 216/TRA del 21.9.2015 riguardante sanatoria e recupero degli indennizzi di cui alla L.r. 17/1995 azienda Certelli Pia;

- della D.G.R. Marche n. 160 del 09.03.2015 avente ad oggetto “Reg. Ce 1860/2004 e 1535/2007, Reg. UE 1408/2013, L.R. 17/1995. Indennizzi per danni al patrimonio zootecnico causati da lupi e cani randagi: approvazione criteri e procedure per il trascorso decennio”;

- del Decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali n. 9/TRA del 18.03.2015 avente ad oggetto “D.G.R. 160 del 09.03.2015: dichiarazione degli aiuti in de minimis ottenuti dal 2005 (o dal 2003), per sanatoria degli indennizzi ex L.R. 17/1995 concessi dal 2005 al 2013”;

- degli atti connessi del procedimento.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Marche e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2016 il dott. G M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. I ricorrenti propongono ricorso avverso i provvedimenti in epigrafe con cui la Regione Marche ha stabilito di procedere al parziale recupero degli indennizzi concessi nel periodo 2005-2013 ai sensi della L.R. 20.2.1995, n. 17 (recante Interventi e indennizzi per danni causati al patrimonio zootecnico da specie animali di notevole interesse scientifico e da cani randagi).



2. In punto di fatto espongono quanto segue:

- svolgevano l'attività di allevamento e di produzione primaria di prodotti agricoli. Avendo subito nel corso degli anni danni al patrimonio zootecnico cagionati da specie protette e da cani randagi, hanno ricevuto dalla Regione Marche gli indennizzi previsti dalla L.R. n. 17/1995;

- con le comunicazioni prot. 0284533 del 23.4.2013 e prot. 0279046 del 21.4.2015 la Regione ha avviato il procedimento per la eventuale sanatoria e/o recupero degli indennizzi in questione percepiti dai ricorrenti a decorrere dall'anno 2005. Nella medesima comunicazione i ricorrenti venivano avvisati che nel caso di mancata adesione alla procedura di sanatoria ivi descritta, allo scadere del termine di 90 giorni dalla ricezione dell'atto suddetto la Regione Marche avrebbe avviato la procedura di recupero forzoso di tutte le somme in parola;

- a sostegno di tale richiesta la Regione Marche adduce la circostanza che i predetti indennizzi sono da considerarsi aiuti di Stato (e non risarcimenti) e che in nessuno degli atti amministrativi attuativi della legge in parola (deliberazioni della Giunta Regionale e decreti dirigenziali) in cui si sono stabiliti i tempi, le procedure e l'entità degli indennizzi, era stato affrontato il problema della possibile qualificazione degli indennizzi in parola come aiuti di Stato. Ciò ha implicato che gli aiuti in questione non sono stati mai preliminarmente notificati alla Commissione Europea, né sono stati erogati nella (consentita) forma degli aiuti de minimis . Pertanto gli indennizzi finora concessi sono aiuti di Stato illegali ai sensi dell'art. 1 paragrafo 1 lett. F) del Reg. CE n. 659/1999;

- la Regione Marche, avendo deciso che si tratta di aiuti illegali e avendo valutato l'inopportunità di notificare ora per allora alla Commissione UE i regimi di aiuto in parola in forza delle considerazioni espresse nell’atto di indirizzo adottato dalla Giunta Regionale, ha ritenuto di dover provvedere autonomamente al recupero degli indennizzi erogati a partire dall’anno 2005 a carico di tutte le aziende che li hanno percepiti, previa applicazione della procedura di sanatoria descritta nell’impugnata deliberazione di G.R. n. 160/2015. La Regione ha infatti previsto l'applicazione, ora per allora, dei regolamenti de minimis succedutisi nel tempo, ossia del Reg. CE n. 1860/2004 (applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2005 e che per il triennio 2005/2007 stabiliva un tetto di aiuti nel settore dell'agricoltura di € 3.000,00), del Reg. CE n. 1535/2007 (che prevedeva il limite di € 7.500,00 per triennio) e del Reg. UE n. 1408/2013 (che prevede un limite di aiuti per i tre esercizi di € 15.000,00);

- essi ricorrenti, previa dichiarazione di non acquiescenza all'azione di recupero degli indennizzi, hanno dunque aderito alla predetta sanatoria secondo i termini prescritti ed hanno ricevuto i decreti 186/TRA del 14.9.2015 e n. 216/TRA del 21.9.2015, con i quali si richiede e si intima di restituire, rispettivamente, gli importi di € 7.880,33 ed € 27.009.32, concedendo all’uopo un termine perentorio di 120 giorni dal ricevimento del medesimo provvedimento, con l'avvertimento che in mancanza la Regione Marche avrebbe proceduto al recupero forzoso delle somme dovute.



3. I provvedimenti regionali indicati in epigrafe sono censurati per i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 107, 108 TFUE e ss., degli arti. 13 e 14 Reg. CE n. 659/1999 e dell'art. 3 Cost.

Premettendo una sintetica ricostruzione della normativa sugli aiuti di Stato richiamata nei medesimi provvedimenti impugnati, i ricorrenti evidenzia che, ai sensi dell'art. 107 TFUE, le misure di sostegno finanziario concesso attraverso risorse pubbliche che siano idonee ad attribuire un vantaggio economico a talune imprese e ad incidere sulla concorrenza sono in via di principio incompatibili con il diritto dell'Unione. La norma medesima contempla però alcune deroghe, in base alle quali, in sostanza, una misura che integri le caratteristiche di un aiuto può essere compatibile con il diritto dell'Unione allorché persegua obiettivi di interesse generale chiaramente definiti (art. 107, paragrafi 2 e 3, TFUE).

Ai sensi dell'art. 1 lett. F del Regolamento CE n. 659/1999, si definisce "aiuto illegale" ogni nuovo aiuto concesso in violazione dell'art. 108, terzo paragrafo, TFUE. La nozione di aiuto illegale ricomprende quindi ogni nuovo aiuto concesso in violazione sia dell'obbligo di notifica, sia dell'obbligo di sospensione.

Va peraltro osservato come all'illegalità della misura, ovvero al suo essere concessa in violazione di obblighi procedurali, non consegua automaticamente la sua incompatibilità con il mercato interno. Quest'ultima potrà eventualmente essere affermata dalla Commissione UE a conclusione di un procedimento di indagine formale, avviato e condotto ai sensi dell’art. 108 TFUE e del Reg. CE n. 659/1999. A tal fine, l'art. 13 del Reg. CE n. 659/1999 stabilisce che nel caso di aiuti illegali trovi applicazione la medesima disciplina concernente l'esame delle misure regolarmente notificate. All'esito di tale indagine, la Commissione potrebbe o ritenere la misura compatibile con il mercato interno, oppure dichiararla incompatibile, ma in questo secondo caso non è comunque possibile disporre il recupero dei finanziamenti erogati quando questo sia in contrasto con uno o più principi generali del diritto comunitario.

La normativa comunitaria richiamata nel presente motivo di ricorso prevede dunque che la valutazione circa l'esistenza di un aiuto di Stato illegale non è condizione sufficiente per procedere al recupero del medesimo, occorrendo una ulteriore valutazione di incompatibilità del medesimo rispetto al mercato interno, nonché una valutazione della compatibilità di una decisione di recupero con i principi fondamentali del diritto dell’Unione. Dette valutazioni sono demandate alla Commissione Europea, unico organo legittimato ad imporre una decisione di recupero che lo Stato membro è poi obbligato a rispettare, intimando la restituzione dell'aiuto illegale ritenuto incompatibile a tutti i soggetti che lo hanno percepito.

Le decisioni di recupero adottate dalla Commissione sono indirizzate esclusivamente agli Stati membri, le cui amministrazioni interne sono poi competenti ad adottare gli atti concretamente incidenti sulle situazioni giuridiche soggettive delle imprese beneficiarie.

Con riguardo al caso di specie, dagli atti impugnati emerge l’inesistenza di qualsivoglia decisione della Commissione UE che abbia dichiarato illegittimi gli indennizzi in parola e/o che ne abbia imposto il recupero.

I ricorrenti ritengono peraltro che non sia possibile ipotizzare un potere di immediata rilevabilità dell'illegittimità dell'aiuto da parte dell'amministrazione (e del giudice eventualmente investito della relativa questione), a prescindere da un'apposita decisione della Commissione Europea. Questo sia per l’assenza di qualsivoglia previsione normativa in tal senso, sia alla luce della disciplina introdotta dal Reg. CE n. 659/1999 circa le modalità di applicazione dell'art. 108 TFUE (in tema di competenza esclusiva della Commissione UE a stabilire la compatibilità con il mercato interno degli aiuti di Stato viene richiamata la sentenza n. 2401/2015 del Consiglio di Stato).

Questa vera e propria “riserva di amministrazione” prevista in favore della Commissione Europea obbedisce peraltro ad esigenze di certezza del diritto, di tutela dell'affidamento dei singoli e di parità di trattamento dei soggetti che dovessero essere destinatari di una decisione di recupero e va affermata anche alla luce dell’ampio potere discrezionale di valutazione che le pertinenti norme del Trattato e del Reg. n. 659/1999 attribuiscono alla stessa Commissione.

Con i provvedimenti impugnati la Regione Marche ha dunque palesemente violato le disposizioni degli artt. 107 e 108 TFUE e ss, degli artt. 13 e 14 Reg. CE n. 659/1999, nonché l'art. 3 Cost.;

b) incompetenza assoluta per difetto di attribuzione dell'organo che ha adottato la decisione di recupero degli indennizzi.

Da quanto detto nel precedente motivo di ricorso, discende anche il vizio di incompetenza assoluta della Regione Marche a giudicare la compatibilità degli indennizzi in parola con i principi fondamentali del Trattato UE in materia di aiuti di Stato;

c) eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, contraddittorietà e perplessità dell'azione amministrativa, illogicità e carenza di motivazione in ordine ai presupposti e ai requisiti di legittimità del provvedimenti adottati.

Nel merito, comunque, gli atti impugnati risultano viziati per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, del difetto di istruttoria, e dell'illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione.

In primo luogo, l'amministrazione regionale è incorsa in uno sviamento di potere avendo adottato gli atti impugnati al solo fine di eludere la procedura prevista dal diritto comunitario per i casi di omessa notifica preventiva degli aiuti alle imprese.

La deliberazione n. 160/2015 è poi illegittima per contraddittorietà della motivazione, in quanto, dopo aver richiamato tutte le norme del TFUE e del Reg. CE n. 659/1999 che disciplinano il recupero degli aiuti di Stato, affidando le relative decisioni alla competenza esclusiva della Commissione UE, la Giunta Regionale finisce del tutto ingiustificatamente ed erroneamente per affermare la sua legittimazione ad agire autonomamente per il recupero.

Prive di pregio sono invece le restanti considerazioni svolte nella deliberazione n. 160/2015 al fine di spiegare perché il recupero da parte della Regione deve ritenersi preferibile rispetto alla possibilità della notifica alla Commissione Europea del regime di aiuti per chiederne la sanatoria ex post . In sintesi, la Regione rileva che:

- se la Commissione approvasse in sanatoria tali regimi, gli indennizzi concessi sarebbero tutti sanati e i beneficiari dovrebbero restituire solo gli interessi;

- se la Commissione “…approvasse i Regimi del passato, per uniformità, come sembra probabile secondo lo stesso criterio che ha adottato per la Sassonia nel 2010, per il Brandeburgo nel 2011 e per la Baviera nel 2012…”, ammettendo quindi un indennizzo non superiore all'80% dei costi ammissibili, sarebbero oggetto di recupero a carico delle imprese beneficiarie solo il 20% degli indennizzi (eccetto che per quelli dell’anno 2012, perché in quell'anno la Regione Marche ha coperto solo il 50% dei costi ammissibili);

- se la Commissione dichiarasse invece interamente incompatibili gli indennizzi in parola, occorrerebbe recuperare da tutti i beneficiari l'intero importo degli indennizzi oltre gli interessi, senza possibilità per le imprese di opporsi al recupero. In particolare, non sarebbero quasi certamente approvati gli indennizzi per le predazioni causate da cani randagi e ferali, che nell'anno 2014 hanno rappresentato circa il 40% degli indennizzi erogati dalla Regione Marche.

Quindi, secondo la Regione, la soluzione migliore è applicare, ora per allora, i regolamenti de minimis succedutisi nel tempo, la qual cosa è del tutto legittima, come conferma la vicenda di cui alla decisione della Commissione 2009/944/CE (in materia di recupero delle accise sul gasolio usato per il riscaldamento delle serre). Questa soluzione, fra l’altro, sarebbe preferibile anche in ragione del fatto che in questo modo la vicenda rimarrebbe confinata in ambito regionale e non presenterebbe alcun margine di incertezza per gli interessati (essendo note a ciascuno di essi le somme percepite e quelle da restituire).

Secondo i ricorrenti, tutte queste considerazioni sono mere supposizioni e ipotesi teoriche, le quali confermano lo sviamento di potere in cui è incorsa la Regione Marche per riparare alle sue omissioni;

d) eccesso di potere per disparità di trattamento e carenza di motivazione per non avere indicato gli interessi pubblici e/o privati la cui tutela possa in qualche misura giustificare un trattamento disuguale.

La Regione Marche ha intimato il recupero totale degli indennizzi erogati alle imprese agricole marchigiane, salva la possibilità di ottenere una riduzione dell'importo da restituire mediate adesione alla procedura di sanatoria deliberata dalla giunta, consistente nell'applicazione ora per allora dei regolamenti de minimis succedutisi nel tempo. Poiché non esiste allo stato alcuna decisione di analogo tenore valida per tutto il territorio nazionale, ne consegue anche il denunciato vizio di disparità di trattamento, a fronte di situazioni del tutto identiche.

Del resto, la necessità di affidare le decisioni di recupero di aiuti di Stato alla Commissione Europea, risponde anche all’esigenza di garantire l'uguaglianza e la parità di trattamento tra gli operatori del mercato, specie quando agli stessi viene imposto un sacrificio economico.

Gli atti impugnati non contengono alcuna motivazione sul punto, né vengono indicati quali sono gli interessi pubblici e/o privati la cui tutela possa in qualche misura giustificare il sacrificio imposto agli imprenditori interessati, ovvero che possa legittimare un trattamento diverso della loro posizione rispetto a quella degli altri operatori economici che hanno avuto analoghi indennizzi (definiti aiuti illegali) di cui però non si prevede la restituzione;

e) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21- nonies della L. 241/1990 e 6, comma 1 lett. d), della L. n. 124/2015.

L’impugnato decreto è illegittimo in via autonoma anche per violazione del limite temporale di 18 mesi previsto per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dall’attuale disposto dell’art. 21- nonies L. n. 241/1990, come modificato dall’art. 6 della L. n. 124/2015;

f) violazione dell'art. 97 Cost e del principio del legittimo affidamento.

L'inosservanza della norma di cui all'art. 21- nonies L. n. 241/1990 rileva anche sotto il profilo della violazione del generale principio del legittimo affidamento, che sottende proprio la ratio della suddetta riforma legislativa introdotta dall'art. 6, comma 1, della L. n. 124/2015, con cui si è voluto porre un limite definito all'esercizio del potere di autotutela da parte dell'amministrazione a vantaggio di quelle situazioni nelle quali una condizione giuridica favorevole al soggetto viene a creare un determinato grado di stabilità nella sfera giuridica del destinatario. L'affidamento legittimo costituisce un limite alla retroattività della legge e un ulteriore corollario e conseguenza del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Di tale principio la giurisprudenza fa sistematica applicazione, anche sulla spinta del diritto comunitario, di cui è parte integrante. In particolare, nella specifica materia degli aiuti comunitari, l'art. 14 comma 1 del Reg. CE n. 659/1999 prevede che la Commissione, anche laddove li ritenga incompatibili, non dispone il loro recupero qualora ravvisi che sia in contrasto con i principi fondamentali del diritto comunitario (nel cui ambito va ricompreso anche il principio del legittimo affidamento);

g) eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, omessa comparazione degli interessi pubblici e privati, per non avere la Regione Marche indicato e motivato circa la ricorrenza di tutti i presupposti indicati dall’art. 21- nonies L. n. 241/1990.

Ai sensi dell'art. 21- nonies L. n. 241/1990, il provvedimento di autotutela deve essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento (interesse che non può consistere nella mera esigenza di ripristinare la legalità violata) nonché alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in capo a questi ultimi.

Negli impugnati decreti n. 186 e 216/TRA si fa generico riferimento all'esigenza “…di ripristinare la legalità violata, a tutela della concorrenza…”, senza peraltro indicare in che misura e in che termini gli aiuti di cui si richiede la restituzione abbiano inciso negativamente sulla concorrenza nazionale e/o comunitaria e senza operare inoltre una specifica comparazione degli interessi pubblici e privati che giustifichi, considerato il lungo lasso temporale trascorso, il sacrificio economico imposto al privato;

h) eccesso di potere per irragionevolezza della motivazione e violazione del principio di proporzionalità nella determinazione dei criteri di individuazione degli indennizzi di cui si chiede la restituzione.

Gli atti impugnati sono infine illegittimi anche per quanto riguarda i criteri di applicazione della sanatoria in base ai quali si ottiene il calcolo dell'importo da restituire. In presenza delle diverse opzioni prospettate dalla stessa amministrazione nella determinazione dei siffatti criteri, sono state adottate le scelte maggiormente pregiudizievoli in danno dei piccoli imprenditori a cui viene imposta la restituzione delle somme. Viene al riguardo richiamata la Comunicazione della Commissione (2009/C 16/01) denominata “Quadro di riferimento temporaneo per gli aiuti di stato destinati a favorire l'accesso al finanziamento nel contesto della crisi economica e finanziaria attuale”, che ha consentito agli Stati membri di adottare misure di aiuti temporanei anticrisi. La Commissione UE ha infatti previsto alcune deroghe temporanee alla normativa sugli aiuti di Stato, applicabili dal dicembre 2008 e fino al 31 dicembre 2010, anche a favore delle imprese che dimostrino uno stato di difficoltà conseguente alla crisi. Successivamente con la Comunicazione 2009/C 261/02 la Commissione ha modificato il predetto quadro di riferimento temporaneo, autorizzando un importo compatibile di aiuti in base al regime de minimis limitato a € 15.000,00 per il settore agricolo. Per cui, applicando il suddetto quadro temporaneo, andrebbe considerato un tetto massimo di aiuti concedibili di € 15.000,00 (per le domande relative al periodo 2008-2011), invece del tetto di € 7.500,00 di cui al Regolamento de minimis n. 1535/2007.

La Regione ha deciso invece di non applicare il suddetto limite ed ha giustificato tale decisione con il fatto che il c.d. quadro temporaneo richiedeva il rispetto di alcuni obblighi di comunicazione preventiva a carico delle amministrazioni interessate (trasmissione di una relazione sulle misure adottate al Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha poi provveduto a trasmettere alla Commissione UE una relazione complessiva delle misure adottate). Quindi anche in questo caso la Regione intende porre rimedio a proprie colpevoli omissioni a scapito dei beneficiari degli indennizzi per cui è causa.

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