TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-03-10, n. 202304103
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Pubblicato il 10/03/2023
N. 04103/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01403/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1403 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da D D P, rappresentato e difeso dagli Avvocati G C e A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bracciano, in persona del suo Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO
- del provvedimento di diniego di sanatoria di opere abusive edilizie n. D2/2010 prot. 37927 emesso in data 28 settembre 2010 notificato in data 22 novembre 2010;
PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI
- dell’ordinanza n. 07 (prot. n. 542) del 10 gennaio 2011, notificata in data 14 gennaio 2011, con cui è stato intimato al ricorrente di provvedere a propria cura e spese nel termine di 90 giorni alla demolizione delle opere abusive oggetto di diniego di sanatoria;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bracciano;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 febbraio 2023 il dott. M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo in epigrafe, il ricorrente – premesso di essersi visto notificare dal Comune di Bracciano in data 22 novembre 2010 un provvedimento di diniego di sanatoria di opere abusive (n. D2/2010 prot. 37927) in relazione ad un intervento edilizio consistente nel mutamento di destinazione d’uso (da ricovero per cavalli ad abitazione residenziale) e nel connesso ampliamento volumetrico di un edificio già in passato condonato – insorge avverso detto provvedimento reiettivo domandandone l’annullamento.
L’azione annullatoria è affidata a plurimi motivi di gravame meglio illustrati nel ricorso.
Nelle more dell’odierno giudizio, il Comune di Bracciano ha poi notificato al ricorrente, in data 14 gennaio 2011, l’ordinanza di demolizione delle opere abusive per le quali aveva già negato la sanatoria edilizia.
Con successivi motivi aggiunti, quindi, il ricorrente è insorto anche avverso la summenzionata ordinanza di demolizione, domandandone l’annullamento sia per vizi di illegittimità derivata (traenti origine dai vizi dell’atto presupposto del diniego di sanatoria) sia per vizi di illegittimità propria (in tesi consistenti in una presunta violazione delle garanzie partecipative del procedimento amministrativo).
Il Comune di Bracciano si è ritualmente costituito in giudizio, instando per la reiezione dei gravami sollevati con ricorso introduttivo e motivi aggiunti.
All’udienza straordinaria del 3 febbraio 2023, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.
DIRITTO
I gravami sollevati con il ricorso introduttivo e i successivi motivi aggiunti sono infondati e vanno quindi respinti.
Non senza prima osservare, in apice, che il diniego di sanatoria impugnato con il ricorso introduttivo è un atto pluri-motivato, e cioè un atto sorretto da molteplici motivazioni reiettive, ciascuna delle quali astrattamente sufficiente a giustificare la declinatoria di condono edilizio.
Tra le summenzionate motivazioni spicca – per quanto qui rileva – quella secondo cui l’opera abusiva insiste su un’area “ sottoposta a vincolo paesaggistico imposto con Decreto Ministeriale del 23/10/1960 ”.
Il ricorrente non contesta affatto tale circostanza, e cioè l’insistenza dell’opera abusiva su un’area vincolata.
Il ricorrente si duole, piuttosto, del fatto che al lume della disciplina di legge regionale applicabile al caso de quo (segnatamente l’art. 3 della Legge Regione Lazio n. 12 del 2004) le opere abusive insistenti su area vincolata sarebbero comunque suscettibili di condono se esse risultano conformi – come in tesi nel caso di specie – “ alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ” (cfr. pag. 9 del ricorso introduttivo).
Sennonchè, la doglianza non coglie nel segno.
In proposito è essenziale ricostruire – seppur brevemente – il quadro normativo in cui la vicenda de qua si inserisce.
Orbene, l’istanza di condono in relazione alla quale è stata adottata la determinazione negativa impugnata è stata presentata in base al regime del c.d. “terzo” condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, il quale ha fissato limiti più stringenti rispetto ai precedenti primo e secondo condono, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724.
In particolare, alla luce delle coordinate applicative del c.d. “terzo condono”, come introdotto dal decreto legge n. 269 del 2003, convertito in legge con legge n. 326 del 2003, ed attuato, in sede regionale, con la legge della Regione Lazio n. 12 del 2004, solo determinate tipologie di interventi – c.d. abusi formali – risultano condonabili se realizzati in aree sottoposte a vincolo.
Ed infatti, la realizzazione di nuovi volumi e superfici in aree vincolate, indipendentemente dalla data di imposizione del vincolo e dalla natura di vincolo assoluto o relativo alla edificabilità, è estranea all’ambito di applicazione della disciplina dettata sul terzo condono, come recata, congiuntamente, dalla legge n. 326 del 2003 e dalla legge Regione Lazio n. 12 del 2004 e come costantemente applicata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché secondo le coordinate interpretative individuate dalla Corte Costituzionale, investita della verifica di tenuta costituzionale delle relative disposizioni.
Premessa la portata più restrittiva della disciplina del terzo condono rispetto a quella dettata dalla legge n. 47 del 1985 e a quella inerente il condono di cui alla legge n. 724 del 1994, va rilevato che, sulla base delle previsioni dettate dall’art. 32, commi 26 e 27, del decreto legge n. 269 del 2003 e dagli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria ( ex plurimis , in termini: Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705;4 aprile 2017 n. 4225;13 ottobre 2017, n. 10336;11 luglio 2018, n. 7752;24 gennaio 2019, n. 931;9 luglio 2019, n. 9131;13 marzo 2019, n. 4572;2 dicembre 2019 n. 13758;7 gennaio 2020, n. 90;2 marzo 2020, n. 2743;26 marzo 2020 n. 2660;7 maggio 2020, n. 7487;18 agosto 2020, n. 9252;Sez. Stralcio, 7 giugno 2022 n. 7384;15 luglio 2022, n. 10072;Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive.
Più nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che “ il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425).
In sintesi, quindi, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;
b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
c) si tratti di opere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);
d) vi sia il previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Detto in altri termini, in caso di abuso edilizio realizzato su area vincolata, detto abuso è sanabile soltanto se esso è meramente formale (e cioè pienamente rispondente a tutti i requisiti elencati sotto alle lettere da a) a d) sopra elencate) mentre non lo è affatto se ha natura sostanziale (e cioè se esso comporta un incremento di volume o superficie).
Va da sé che l’abuso sostanziale insistente su area vincolata non è mai condonabile, neppure nell’ipotesi in cui esso rispetti le prescrizioni urbanistiche.
Orbene, nel caso di specie non è revocabile in dubbio che le opere abusive de quibus – consistenti in un ampliamento volumetrico e in un connesso mutamento di destinazione d’uso (da ricovero per cavalli ad abitazione residenziale) – integrano certamente un abuso sostanziale , non rientrando chiaramente nel novero delle opere di mero restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria.
Il che quindi priva di fondamento, fino alla sua radice, la censura secondo cui l’abuso de quo avrebbe potuto essere condonato perché conforme alle prescrizioni urbanistiche.
Le considerazioni sopra esposte confermano, dunque, la piena legittimità di una delle motivazioni reiettive su cui poggia il diniego di condono impugnato con il ricorso introduttivo, e cioè l’insistenza dell’abuso edilizio su un’area vincolata, insistenza che da sola basta a respingere l’istanza di sanatoria edilizia.
Ne discende, quindi, l’assorbimento di tutte le altre censure sollevate con il ricorso introduttivo avverso le ulteriori motivazioni reiettive del diniego di condono, in ossequio al consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui “ in caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento, è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento (...) nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato o meglio inammissibile per carenza di interesse alla coltivazione dell’impugnativa avverso l’ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa ” (così Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532;nello stesso senso, ex multis , anche Id. Sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1921).
Quanto sin qui esposto conduce il Collegio, pertanto, a dover respingere il ricorso introduttivo.
Per quel che concerne, poi, i motivi aggiunti proposti avverso l’ordinanza demolitoria che è stata notificata a valle del diniego di condono, va compiuta una distinzione tra i motivi diretti a far valere i vizi di illegittimità derivata di detta ordinanza, e i motivi volti a far valere invece i vizi di illegittimità propria (consistenti, in tesi, in una supposta violazione delle garanzie del procedimento amministrativo ex artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990).
I primi motivi vanno respinti in quanto infondati per le stesse ragioni testè esposte in relazione al diniego di condono.
I secondi sono ugualmente infondati, tenuto conto che per pacifica giurisprudenza i provvedimenti aventi natura vincolata - tra i quali per l’appunto l’ordinanza di demolizione - non necessitano di previa comunicazione di avvio del procedimento;ciò in quanto non è consentito all’Amministrazione compiere valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene ( ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 13/5/2020, n. 3036;25/2/2019, n. 1281;Sez. V, 12/10/2018, n. 5887;Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432;Sez. II , 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2021, n. 187).
Conclusivamente, quindi, tanto il ricorso introduttivo quanto i successivi motivi aggiunti vanno respinti in quanto infondati.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano, in favore di parte resistente, nella misura indicata in dispositivo.