TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-10-03, n. 201911546
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Pubblicato il 03/10/2019
N. 11546/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02143/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2143 del 2015, proposto da
Sisal Entertainment s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati L M e A L, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori in Roma, Via Panama, 58;
contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli, Ministero dell’economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Replay s.r.l., non costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum
:
Codacons, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale nazionale del Codacons, in Roma, Viale G. Mazzini, 73;
per l’annullamento
del provvedimento prot. n. 4076/RU, in data 15 gennaio 2015, pubblicato in pari data sul sito dell’Agenzia, a firma del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli con il quale, in dichiarata applicazione dell’articolo 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stato determinato il numero degli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lett. a) e b) , del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni, riferibili a ciascuno concessionario alla data del 31 dicembre 2014, nonché la quota parte del versamento dell’importo di cui all’articolo 1, comma 649, lett. b) , della legge n. 190 del 2014, dovuto dai singoli concessionari in maniera proporzionale al numero degli apparecchi a essi riferibili (per la ricorrente pari a euro 45.801.360,83), e di ogni altro atto presupposto, conseguente, ovvero coordinato e/o connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visto l’atto di intervento del Codacons;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2019 la dott.ssa F V D M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Sisal Entertainment s.p.a. è titolare di una concessione per la realizzazione e la conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante gli apparecchi da divertimento e intrattenimento previsti dall’articolo 110, comma 6, del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché delle attività e delle funzioni connesse, in forza della convenzione sottoscritta il 20 marzo 2013 con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
2. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la società ha impugnato il decreto della predetta Agenzia prot. n. 4076/RU del 15 gennaio 2015, con il quale è stata data attuazione all’articolo 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ed è stata quindi determinata in 45.801.360,83 euro la quota annuale del versamento dovuto dalla ricorrente, al fine di concorrere alla complessiva riduzione di 500 milioni di euro delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del TULPS.
3. La comprensione dei fatti di causa e delle censure articolate nel ricorso richiede il previo inquadramento della controversia nel contesto giuridico e fattuale di riferimento.
3.1. In questa prospettiva, occorre premettere anzitutto che il comparto nel quale opera la società è stato disciplinato in modo organico dall’articolo 22 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
In forza di un’apposita procedura a evidenza pubblica, sono state quindi assegnate le concessioni per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del TULPS.
Giunti a scadenza i primi affidamenti, è stata esperita una nuova procedura, all’esito della quale gli aggiudicatari, tra i quali la ricorrente, hanno sottoscritto nel 2013 il nuovo articolato convenzionale, per la durata di nove anni.
I concessionari sono, allo stato, tredici.
3.2. Come già illustrato da questa Sezione nell’ordinanza n. 14145 del 2015 – di cui si dirà più oltre – gli apparecchi da divertimento e intrattenimento sono di due tipi, convenzionalmente indicati, rispettivamente, come AWP ( Amusement With Prizes ) e VLT ( Video Lottery Terminal ).
Gli apparecchi AWP vengono installati principalmente presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio, i bar e le rivendite di tabacchi), denominati “esercenti”, ed operano con una posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima di 100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati da operatori terzi, i cc.dd. “gestori”, che si occupano anche dell’installazione e della manutenzione presso gli “esercenti”, titolari di esercizi commerciali dotati di specifica autorizzazione ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori o con i concessionari.
Nella filiera del comparto degli apparecchi VLT, invece, è di solito assente il gestore, perché gli apparecchi sono forniti direttamente dal concessionario, che si prende carico dell’intera gestione operativa degli stessi. La posta di gioco consentita in questo caso arriva fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino a 5.000 euro.
I rapporti tra lo Stato e i concessionari sono regolati da apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che non rispondono a modelli tipo redatti o approvati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Il compenso spettante ai concessionari è calcolato in via residuale, in quanto è pari all’importo delle giocate, dedotti:
- le vincite pagate ai giocatori;
- gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati;
- gli importi dovuti all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione;
- gli importi dovuti all’Erario, e principalmente il prelievo erariale unico (c.d. PREU), ai sensi dell’articolo 39, comma 13, del decreto legge n. 269 del 2003, e dell’articolo 1, comma 531, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
La remunerazione dei concessionari e dell’intera filiera di gestori ed esercenti che a essi fa capo proviene quindi dall’insieme delle giocate ed è carico dello Stato, in quanto il denaro, una volta inserito nell’apparecchio da gioco, diviene di proprietà dello Stato.
3.3. Dopo la stipula delle convenzioni con i concessionari del gioco tramite apparecchi – tra i quali la ricorrente – il legislatore è intervenuto nel settore con l’articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (“ Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita ”). Mediante la suddetta disposizione, il Governo è stato delegato ad attuare “ il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi ”.
Tra i principi e criteri direttivi cui improntare il riordino, la lett. g) del comma 2 prevede la “ revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate ”.
3.4. Successivamente, la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha dettato, all’articolo 1, comma 649, le previsioni sulle quali si incentra il nucleo fondamentale della presente controversia.
In particolare, il legislatore ha stabilito che:
“ A fini di concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica e in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23, è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015:
a) ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all’Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell’eventuale successiva denuncia all’autorità giudiziaria competente;
b) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresì annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonché le modalità di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall’anno 2016, previa periodica ricognizione, all’eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi;
c) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati. ”.
3.5. Con l’impugnato decreto del 15 gennaio 2015, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in esecuzione delle disposizioni sopra riportate, ha determinato il numero degli apparecchi riferibili a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014 (articolo 1) e ha poi stabilito l’entità del versamento annuale, ripartito in misura proporzionale al numero degli apparecchi (articolo 2).
4. Introducendo il presente giudizio, la ricorrente ha censurato le determinazioni assunte dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli con il provvedimento ora richiamato, lamentandone l’illegittimità sia per la ritenuta incostituzionalità e incompatibilità europea della disciplina primaria, sia anche per vizi propri.
Più in dettaglio, il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
I) illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, per violazione degli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione;ciò in quanto: la previsione normativa inciderebbe su rapporti di durata consolidati e su scelte imprenditoriali già compiute in conformità a previsioni economiche effettuate alla luce della disciplina previgente e delle convenzioni stipulate;in questa prospettiva, rileverebbe la circostanza che il numero degli apparecchi in base al quale viene ripartito l’onere tra i concessionari è stato accertato al 31 dicembre 2014, per cui i pagamenti da effettuare a partire dal 30 aprile 2015 sarebbero riferibili a compensi per attività già svolte, così facendo emergere il carattere retroattivo della norma;l’intervento, riducendo retroattivamente i compensi riconosciuti ai concessionari del solo comparto degli apparecchi di gioco, inciderebbe irrazionalmente e in modo fortemente discriminatorio su situazioni sostanziali consolidate e si porrebbe perciò in contrasto con i principi costituzionali, tenuto conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo la quale disposizioni che modifichino rapporti di durata sono costituzionalmente ammissibili solo a patto che rispettino il principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondante dello Stato di diritto e non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in una regolamentazione irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori;in particolare, l’affidamento godrebbe di tutela costituzionale, riconducibile non solo all’articolo 3 della Costituzione, ma anche all’articolo 41, quando il privato intraprenda un’attività economica che comporta, tra l’altro, oneri per investimenti;e ciò tanto più ove si consideri che, in base all’articolo 11, comma 1, della convenzione in essere, la responsabilità del concessionario è correlata “ alla completa conoscenza dell’attuale situazione e delle potenzialità del segmento di mercato degli apparecchi di gioco AWP e dei sistemi VLT ”;la nuova legge inciderebbe, poi, anche sui rapporti, squisitamente privatistici, esistenti tra concessionari e operatori della filiera, prevedendo la rinegoziazione delle condizioni pattuite;il sacrificio imposto dalla novella in esame a una sola categoria di operatori del gioco non potrebbe essere giustificato dalle addotte ragioni di “ concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica ”;inoltre, la misura introdotta costituisce dichiaratamente un’anticipazione del previsto riordino organico della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, e tuttavia sarebbe irragionevole anticipare in una sede da reputare inadeguata, quale la legge di stabilità, una disposizione specifica destinata a incidere in modo concreto e immediato su un’unica categoria di operatori di gioco, pur nell’imminenza dell’approvazione dei decreti legislativi delegati attuativi dell’articolo 14, comma 2, lettera g) , della legge n. 23 del 2014;parimenti irragionevole sarebbe la previsione di una riduzione dei compensi non commisurata ai volumi di raccolta, ma stabilita in misura fissa, in rapporto al numero degli apparecchi ascrivibili a ciascun concessionario;
II) illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, per violazione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU);ciò in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche i diritti di credito costituiscono “beni” protetti dalle norme convenzionali, per cui la sottrazione ex lege dei crediti spettanti ai concessionari costituirebbe un’indebita ingerenza dello Stato in diritti fondamentali protetti dalla Convenzione, che non troverebbe giustificazione in una finalità legittima;
III) illegittimità derivata dalla violazione delle norme di diritto europeo vigenti in tema di massimo accesso al mercato e abbattimento degli ostacoli al libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi, nonché in tema di ingiustificata limitazione alla concorrenza e all’attività d’impresa, e violazione delle regole e dei principi sanciti dalla direttiva 2014/23/UE;in particolare, sarebbero violati i principi basilari del diritto europeo in materia di concorrenza, di libera iniziativa economica e di tutela della proprietà di cui agli articoli 101-107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE);sarebbero violati, inoltre, i principi sanciti in materia di concessioni dalla direttiva 2014/23/UE , in base alla quale il rischio insito nella concessione è solo quello derivante dalla domanda o dall’offerta, ferme restando per tutta la durata dell’affidamento le condizioni contrattuali indicate in sede di gara;conseguentemente, le norme nazionali dovrebbero essere disapplicate o, comunque, si renderebbe necessario formulare un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea;
IV) illegittimità autonoma: violazione dell’articolo 3 della convenzione di concessione sottoscritta il 20 marzo 2013 e dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, nonché eccesso di potere per violazione della corretta sequenza procedimentale, illogicità e contraddittorietà manifesta;ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della convenzione di concessione, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli avrebbe dovuto promuovere la sottoscrizione di un atto aggiuntivo al fine di integrare le condizioni pattuite, e tale atto avrebbe dovuto essere trasmesso previamente al Consiglio di Stato, per l’espressione del necessario parere preventivo, ai sensi dell’articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127;in mancanza di un apposito atto aggiuntivo, sarebbe stata violata la regola della necessaria forma pattizia, che sarebbe alla base del modello di regolamentazione della tipologia di concessione in esame;sarebbe stata, inoltre, completamente omessa l’attuazione delle lettere a) e c) del comma 649 dell’articolo 1 della legge n. 190 del 2014, atteso che i concessionari sono tenuti a versare il contributo previsto indipendentemente dal comportamento tenuto dagli altri operatori di filiera e che, inoltre, non sono state attribuite agli stessi concessionari nuove e ulteriori “funzioni pubbliche”, tali da consentire loro di esigere dagli altri operatori la quota parte di versamento dovuta.
5. L’Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e per il Ministero dell’economia e delle finanze, ha chiesto preliminarmente l’estromissione dal giudizio del predetto Ministero e ha, inoltre, insistito per il rigetto del ricorso.
In particolare, la difesa erariale ha illustrato le modalità di svolgimento dell’attività degli operatori del gioco lecito, evidenziando che, sia per gli apparecchi AWP che per quelli VLT, i concessionari, i gestori e gli esercenti vengono compensati per le quote di attività che a ciascuno competono nell’organizzazione e funzionamento della rete mediante denaro proveniente dallo stesso gioco e quindi appartenente, in origine, allo Stato. Le risorse pubbliche cui quest’ultimo rinuncia per remunerare le filiere di raccolta del gioco ammontano a circa 4 miliardi di euro.
Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della filiera sono regolati dal diritto privato, ha poi descritto il sistema di remunerazione della filiera. In questa prospettiva, l’Avvocatura dello Stato ha rimarcato che è il concessionario il soggetto che, per contratto, deve corrispondere una remunerazione al gestore e all’esercente, ma che nella pratica è in realtà il gestore ad avere la disponibilità della “cassa”, ossia dell’ammontare di denaro destinato a essere ripartito a titolo di compensi.
Secondo quanto sostenuto ancora dalla difesa erariale, la norma della legge di stabilità oggetto di contestazione non avrebbe istituto un nuovo tributo, ma avrebbe operato una riduzione dei compensi dei soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato mediante apparecchi. In altri termini, sarebbe come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a 3,5 miliardi di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione, stabilendo poi un’apposita procedura perché questo contenimento forzoso della remunerazione si “spalmasse” tra i diversi soggetti interessati. Emergerebbe, pertanto, la circostanza che il sacrificio del “taglio” è subito solo per una parte dai concessionari, e ricadrebbe invece per il resto sui gestori e sugli esercenti.
È stato poi affermato che la rinegoziazione dei contratti della filiera potrebbe semplicemente avvenire per fatti concludenti. D’altro canto, poiché il quantum della remunerazione, nei predetti contratti, non è stabilito in misura fissa, bensì percentuale rispetto alla raccolta, non vi sarebbe nulla di più semplice di una rinegoziazione di un contratto la cui componente patrimoniale è in percentuale, purché si accetti la minore somma complessiva da ripartire.
A un settore che da anni percepisce cumulativamente una remunerazione di circa 4 miliardi di euro, sarebbe stato chiesto, in sostanza, di rinunciare soltanto a un 1/8 di tale remunerazione. Inoltre, i concessionari, salvo iniziare direttamente azioni recuperatorie nei confronti dei gestori che non provvedano a corrispondere quanto dovuto, potrebbero limitarsi a fornire all’Amministrazione l’elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti.
Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato della nuova misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. D’altra parte, la volontà di intervenire legislativamente sugli aggi sarebbe stata già nota ai concessionari e agli operatori della filiera, stante il criterio di delega legislativa di cui all’articolo 14, comma 2, lett. g) , della legge n. 23 del 2014.
Sotto diverso profilo, la decisione di operare in prima battuta nel settore degli apparecchi da intrattenimento dipenderebbe dal fatto che tale segmento di gioco esprimerebbe circa la metà delle entrate erariali di tutti i giochi praticati nel territorio dello Stato. La norma individuerebbe poi un criterio proporzionale, legato a un elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che è potenzialmente correlato agli introiti.
Parte ricorrente non potrebbe invece invocare il principio dell’affidamento, in quanto non vi sarebbe stato uno stravolgimento degli elementi essenziali del rapporto. Ad ogni buon conto, la convenzione impegnerebbe il concessionario ad agire nel rispetto della normativa dettata in materia di gioco. Non saremmo, comunque, di fronte a una legge-provvedimento, in quanto la norma della legge di stabilità inciderebbe sull’intero comparto del gioco in esame. In questo contesto, la riduzione delle somme a disposizione per la remunerazione della filiera avrebbe una portata equivalente all’1,06% della raccolta di gioco e all’8,3% dei compensi della filiera.
Quanto alle censure relative al criterio prescelto per commisurare la riduzione dei compensi, vi sarebbe una tendenziale coerenza tra il dato della raccolta e il numero degli apparecchi riferibili al concessionario.
Neppure vi sarebbe lesione della libertà d’impresa, ove si consideri che i concessionari sono agenti contabili, tenuti al conto giudiziale degli introiti derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito.
D’altro canto, l’articolo 3 della convenzione (in tema di “ Integrazioni della convenzione ”) non sarebbe utilmente invocabile al fine di sostenere la necessità di sottoscrivere un apposito atto integrativo, trattandosi di norma riferita alle ipotesi in cui si rendano necessarie variazioni delle attività tecniche indicate nell’atto di convenzione e nel capitolato tecnico.
In sostanza, le prescrizioni contenute nella legge di stabilità 2015, per potere essere applicate ai concessionari, non necessiterebbero di essere recepite e formalizzate in un atto integrativo, trovando applicazione le previsioni dell’articolo 12 della convenzione, secondo cui il concessionario è obbligato a versare le somme a qualsiasi titolo dovute non solo in base all’atto di convenzione, ma anche in esecuzione di ogni altra norma o provvedimento che disciplini gli apparecchi in questione.
Infine, poiché la norma non avrebbe introdotto un tributo, sarebbe possibile sottrarsi alla sua applicazione, ad esempio, sciogliendo i contratti che legano i singoli operatori (ossia i contratti tra i concessionari e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ovvero quelli tra i concessionari e gli altri operatori della filiera).
6. Tenutasi la camera di consiglio del 1° aprile 2015, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 1472 del 2015, con la quale ha respinto l’istanza cautelare, evidenziando che “ l’importo del versamento da effettuare, da parte dell’intera filiera del gioco legale, alla data del 30 aprile 2015, ammonta a 200 mln di euro ” e rimarcando, inoltre, che “ non appare compiutamente dimostrato che, ottemperando tutti i soggetti della filiera a quanto disposto dal provvedimento impugnato e dall’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, sussista un pregiudizio irreparabile nelle more della decisione del merito del ricorso (...) ”.
7. È successivamente intervenuto ad opponendum il Codacons.
8. La causa è stata quindi trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 1° luglio 2015, in esito alla quale la Sezione ha disposto incombenti istruttori.
In particolare, con l’ordinanza n. 9772 del 2015, è stato richiesto al concessionario “ di depositare in giudizio: A) copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2013 e copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2014, ove approvato dall’Assemblea ordinaria, accompagnato da una tabella riassuntiva, per ciascuno dei due anni, del valore aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione al netto del costo delle materie prime consumate e del costo dei servizi esterni e di altri eventuali costi di gestione), del margine operativo lordo (intendendosi per tale il valore aggiunto al netto del costo del lavoro) e del risultato operativo (intendendosi per tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti della gestione tipica);B) una tabella riassuntiva dei compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013 e 2014 agli altri operatori della propria filiera, con espressa indicazione circa l’appostazione degli stessi nel conto economico tra i costi della produzione e, in particolare, tra i costi per servizi o in altra voce ”. È stato, inoltre, ordinato il deposito da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di “ una dettagliata relazione, per quanto di propria conoscenza, in ordine all’aggregazione dei suddetti dati richiesti al concessionario ricorrente per l’intero settore dei giochi in discorso, nonché comprensiva di ogni ulteriore eventuale chiarimento sull’incidenza dell’intervento legislativo sui margini di redditività delle imprese del settore ”.
9. La ricorrente e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, per quanto di rispettiva competenza, hanno adempiuto l’incombente istruttorio.
Le parti hanno inoltre prodotto ulteriori memorie a sostegno e illustrazione delle rispettive ragioni.
10. La ricorrente ha pure depositato una nuova istanza cautelare, che è stata rigettata con l’ordinanza n. 4529 del 2015, successivamente confermata dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 5376 del 2015.
11. In esito all’udienza pubblica del 21 ottobre 2015, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 14145 del 2015, con la quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 e 41, primo comma, della Costituzione, e ha quindi disposto la sospensione del giudizio.
In particolare, si è sostenuto che la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza per contraddittorietà intrinseca, in quanto l’intervento legislativo ‒ avvenuto in dichiarata anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera, nell’ambito della rete di raccolta del gioco per conto dello Stato, e in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lett. g) , della legge n. 23 del 2014 − ha stabilito la riduzione delle risorse statali a titolo di compenso al numero di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del 31 dicembre 2014, ancorando così il criterio di ripartizione dei compensi a un dato fisso, e non piuttosto a un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate.
Inoltre, la disposizione censurata violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, e in particolare il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto l’intervento del legislatore presumerebbe, irragionevolmente, che ciascun apparecchio abbia la stessa potenzialità di reddito, mentre quest’ultima dipenderebbe da una molteplicità di fattori. La irragionevole ripartizione del versamento imposto ai concessionari potrebbe produrre conseguentemente un’alterazione del libero gioco della concorrenza tra i concessionari, favorendo quelli che, in presenza di una redditività maggiore per singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione al volume di giocate raccolte, un importo minore, per cui possono destinare maggiori risorse agli investimenti.
La violazione dei medesimi principi si ravviserebbe anche con riferimento al fatto che, mentre la legge delega n. 23 del 2014 ha previsto il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici e, quindi, del loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi praticati mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del TULPS ed è quindi destinata soltanto nei confronti di un segmento del settore del gioco, sia pure di enorme rilievo.
La disposizione censurata è stata ritenuta inoltre potenzialmente confliggente con l’articolo 41 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di libertà dell’iniziativa economica privata, in quanto i soggetti privati che, nell’intraprendere l’attività di impresa, sostengono consistenti investimenti, devono vedere tutelata la legittima aspettativa a una certa stabilità nel tempo del rapporto concessorio. Al riguardo, si è evidenziato che “ la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi. ”.
L’ordinanza si è quindi soffermata sul meccanismo di pagamento dell’aggio configurato dalla disposizione censurata;meccanismo che, attraverso l’inversione del flusso dei pagamenti, aumenterebbe il rischio, cui sono esposti i concessionari, del mancato adempimento delle obbligazioni gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che da tale mancato adempimento derivi il venir meno dell’obbligo dei concessionari di versare allo Stato l’importo di 500 milioni di euro, concernente l’intera filiera.
Infine, l’ordinanza ha rimarcato che “ sebbene non rilevi nella fattispecie in esame, anche la stessa imposizione autoritativa della rinegoziazione, riguardata dal lato dei gestori, si appalesa lesiva della loro libertà di iniziativa economica nonché dell’affidamento nella percezione del compenso quale in precedenza negoziato ”.
12. È successivamente intervenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), la quale ha disposto, all’articolo 1, comma 920, l’abrogazione dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014. Conseguentemente il prelievo forzoso, destinato a operare anche per gli anni successivi, è stato ridotto unicamente all’anno 2015.
Il comma 921 dello stesso articolo 1 ha inoltre stabilito che: “ Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015 ”.
13. Alla luce del richiamato jus superveniens , la Corte costituzionale, con la sentenza n. 125 dell’8 maggio 2018, depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018, ha restituito gli atti a questo Tribunale amministrativo, affinché valutasse il permanere o meno delle ragioni per una nuova rimessione, in ogni caso evidenziando che la situazione risultava “ profondamente modificata in melius − sia per i concessionari, inizialmente obbligati (dalla disposizione censurata) essi soli per l’intero ed ora (in forza della disposizione sopravvenuta) obbligati unitamente a tutti gli altri operatori della filiera, tenuti anch’essi in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015;sia per gestori ed esercenti, inizialmente tenuti a riversare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, ed ora obbligati anch’essi, ma solo in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 ”.
14. La ricorrente ha quindi tempestivamente domandato la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso, ai sensi dell’articolo 80, comma 1, cod. proc. amm.
15. Le parti hanno depositato memorie difensive, dalle quali sono emerse due posizioni contrapposte.
15.1. Da un lato, la ricorrente ha sostenuto che alcune questioni di legittimità costituzionale non sarebbero state superate dalle norme sopravvenute e ha comunque rappresentato la necessità di disapplicare le previsioni di legge censurate per contrasto con la disciplina europea, previa eventuale sottoposizione della questione interpretativa alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
15.2. Dall’altro lato, la difesa erariale ha depositato una memoria nell’interesse, oltre che dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e del Ministero dell’economia e delle finanze, anche della Presidenza del Consiglio dei Ministri;memoria nella quale ha nuovamente allegato il difetto di legittimazione passiva del predetto Ministero, estendendo l’eccezione anche alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e ha poi affermato che i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero stati definitivamente fugati dallo jus superveniens , chiedendo conclusivamente il rigetto del ricorso.
15.3. Il Codacons, interveniente ad opponendum , ha condiviso la posizione delle Amministrazioni resistenti.
16. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2019 il ricorso è passato in decisione.
17. Deve rilevarsi anzitutto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, precedentemente non costituitasi in giudizio, è da intendersi costituita per effetto del deposito della memoria della difesa erariale del 18 aprile 2019, espressamente riferita anche alla predetta Amministrazione.
18. Ciò posto, il Collegio osserva che l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dal Codacons, è stata già implicitamente respinta dalla Sezione con la rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale sopra illustrate.
Va qui ribadita l’infondatezza della predetta eccezione, atteso che l’oggetto del giudizio è l’impugnazione del decreto dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli specificato in epigrafe e che la controversia non è riconducibile nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario in materia di indennità, canoni e altri corrispettivi dovuti in relazione alle concessioni di pubblici servizi (ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lett. c) , cod. proc. amm.).
La cognizione della giurisdizione ordinaria in tale ambito è, infatti, limitata alle sole controversie aventi un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere d’intervento dell’amministrazione a tutela di interessi generali (Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2019, n. 2199), ossia senza che venga in considerazione l’esistenza o il contenuto della concessione o l’esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio o sulla determinazione delle controprestazioni (Cons. Stato, Sez. III, 20 marzo 2019, n. 1839). Nel caso oggetto del presente giudizio, la previsione legislativa contestata e il provvedimento applicativo dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli investono invece proprio la configurazione del rapporto concessorio e la sua remuneratività per il concessionario. Non può perciò dubitarsi che la cognizione della causa rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo.
19. Sempre in via preliminare, è fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che le suddette Amministrazioni non sono autrici dell’unico provvedimento impugnato nel presente giudizio, ossia il decreto dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli prot. n. 4076/RU del 15 gennaio 2015, attuativo dell’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014.
19.1. Non rileva in contrario l’incidenza del provvedimento censurato sull’Erario, perché altrimenti tutti i ricorsi avverso gli atti con riflessi sui conti dello Stato dovrebbero essere notificati al Ministero dell’economia e delle finanze.
19.2. Priva di ragion d’essere è anche la notifica eseguita nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che – peraltro – la disposizione legislativa non è neppure propriamente qualificabile come una legge-provvedimento. E ciò non solo in quanto l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 demanda la propria attuazione a un apposito decreto, che è il provvedimento impugnato nel presente giudizio, ma soprattutto perché la previsione di fonte primaria era destinata a trovare applicazione – anteriormente alla sua abrogazione – a tempo indeterminato, ed era diretta nei confronti sia dei concessionari che degli altri soggetti che compongono la mutevole platea della filiera del gioco mediante apparecchi. Anche sotto l’angolazione in ultimo esaminata, non può perciò ritenersi sussistente la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
19.3. Da ciò l’accoglimento dell’eccezione.
20. Venendo al merito, va rimarcato che il decreto impugnato si limita ad applicare l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, indicando esattamente gli apparecchi ascrivibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 e determinando di conseguenza le quote da versare. Come detto, la disposizione normativa è stata poi abrogata dall’articolo 1, comma 920, della legge n. 208 del 2015. Conseguentemente, il prelievo forzoso, destinato in origine a operare anche per gli anni successivi, è stato ridotto unicamente all’anno 2015, e si è quindi trasformato da misura strutturale in un intervento una tantum posto a carico della filiera.
La limitazione dell’applicazione della norma al solo anno 2015 assume rilievo ai fini della decisione della presente controversia, come sarà meglio illustrato di seguito.
21. Al riguardo, occorre tenere presente che già in precedenza, quando la previsione normativa era destinata a esplicare i suoi effetti anche negli anni successivi, la Sezione aveva ritenuto che l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativa del principio di proporzionalità, vale a dire del “ limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico ”, fissato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 56 del 2015, nella quale è stato affrontato il tema del legittimo affidamento e della sua possibile lesione, ad opera dell’articolo 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010, nonché dei precedenti commi 77 e 78 richiamati dal comma 79, che prevedeva l’aggiornamento dello schema-tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici.
Nella pronuncia citata la Corte costituzionale ha concluso nel senso dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, affermando che “ (...) il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l’unico limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti. Con la conseguenza che «non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», unica condizione essendo «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (sentenze n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009)» (ex plurimis, ordinanza n. 31 del 2011) ” (Corte cost. n. 56 del 2015).
Nella stessa pronuncia la Corte costituzionale ha, inoltre, evidenziato che i rilievi sopra svolti valgono a maggior ragione “ (...) per rapporti di concessione di servizio pubblico, come quelli investiti dalle norme censurate, nei quali, alle menzionate condizioni, la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie è da considerare in qualche modo connaturata al rapporto fin dal suo instaurarsi. ”.
22. Con riferimento al caso oggetto del presente giudizio, deve tenersi presente che la raccolta del gioco mediante apparecchi è un’attività propria dello Stato, il quale – all’esito di una gara – la dà in concessione a soggetti terzi. Questi ultimi, unitamente a tutta la filiera, vengono remunerati con risorse pubbliche.
Gli interessi pubblici tutelati con la misura oggetto di contestazione sono individuabili nella necessità di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del TULPS, a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano.
D’altro canto, all’esito dell’acquisizione di una serie di dati, volti a individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell’intera filiera incidesse sui margini di redditività della singola impresa, per poter infine valutare il superamento o meno del limite della proporzionalità rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione ha constatato che generalmente, rispetto all’intera filiera, l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativa del principio di proporzionalità, con la conseguenza che non risultava violato neppure il legittimo affidamento.
Questa conclusione va tenuta ferma in questa sede, stante la limitazione dell’efficacia della misura proprio ed esclusivamente all’annualità 2015, cui si riferiscono le predette valutazioni.
Deve, inoltre, aggiungersi che non può essere condivisa la tesi della ricorrente in ordine alla ritenuta natura retroattiva del prelievo, atteso che il versamento è dovuto per il 2015, mentre il riferimento al numero degli apparecchi ascrivibili a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014 serve unicamente a stabilire la modalità di riparto dell’onere tra coloro che sono chiamati a concorrervi.
23. Proprio in considerazione del riscontrato rispetto del principio di proporzionalità e della sussistenza di rilevanti interessi generali sottesi, la disposizione in esame, anche nell’originaria formulazione, non può ritenersi confliggente con l’articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU), che tutela i diritti di aspettativa economica.
Per le stesse ragioni, non risulta plausibile il dubbio relativo alla violazione dell’articolo 42 della Costituzione, atteso che la tutela della proprietà privata trova un limite nella funzione sociale, che la legge è chiamata ad assicurare.
24. Non sussiste neppure la lamentata violazione della libertà di iniziativa economica in relazione alla circostanza che al concessionario (e, a valle, agli altri operatori della filiera) viene imposto il versamento della predetta somma.
24.1. In proposito va ancora una volta considerato che l’attività in questione viene data in concessione dallo Stato a soggetti privati: circostanza, questa, da cui discende l’esistenza di un potere del primo di incidere sui rapporti con i secondi.
In ogni caso, tenuto conto dell’accertata limitata incidenza del prelievo e del rispetto del principio di proporzionalità, per le ragioni sopra esposte, non è dato rilevare alcuna violazione della libertà di iniziativa economica.
24.2. Del resto, anche nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, la Sezione aveva affermato che “ (...) la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.
In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo “taglio” alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il “principio di proporzionalità” in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera. ”.
Come detto, tuttavia, a seguito della sopravvenuta previsione dell’articolo 1, comma 920, della legge n. 128 del 2015, l’arco temporale di applicazione della disposizione in esame è stato circoscritto alla sola annualità 2015, per cui le considerazioni appena richiamate non hanno più ragion d’essere, essendo venuto meno il paventato pericolo di “ un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera ”, riconducibile alla determinazione in misura fissa, e non variabile, del prelievo nel corso degli anni a venire.
25. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la previsione normativa, soprattutto a seguito della limitazione dell’ambito temporale di applicazione, non risulta, pertanto, in contrasto neppure con il diritto dell’Unione europea, in particolare con riguardo alla tutela dell’affidamento.
26. Non può inoltre invocarsi utilmente la direttiva 2014/23/UE, la quale – in disparte ogni altra considerazione – è stata adottata dopo la stipulazione della convenzione di concessione.
27. Deve poi considerarsi che, secondo quanto disposto dall’articolo 5, comma 2, lett. b) , della medesima convenzione, ciascun concessionario è tenuto a “ osservare le disposizioni del vigente Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, tutte le norme di legge nonché tutte le disposizioni vigenti in materia, presenti o future, dell’autorità pubblica ”. In base al successivo articolo 12, comma 1, inoltre, “ Il concessionario si impegna espressamente ed incondizionatamente a versare le somme a qualsiasi titolo dovute in esecuzione dell’atto di convenzione nonché di ogni altra norma o provvedimento che disciplina gli apparecchi di gioco AWP e i sistemi di gioco VLT, secondo le modalità ed i tempi dagli stessi previsti. ”.
27.1. Da quanto appena riportato si ricava che, in capo all’odierna concessionaria, è stato previsto in modo espresso l’obbligo di rispettare le norme, anche future, senza bisogno di alcun atto integrativo della convenzione già in essere con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
27.2. Del resto, la conclusione ora esposta è in linea anche con la previsione dell’articolo 1374 cod. civ., in base al quale “ Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge (...) ”. Sotto questo profilo, rileva perciò la circostanza che la disposizione normativa oggetto della presente controversia è autoapplicativa, fatta salva la precisa quantificazione del versamento a carico di ciascun concessionario, determinata con il decreto impugnato in questa sede.
28. Sotto altro profilo, non può condividersi la prospettazione della parte ricorrente, laddove la società allega la violazione, tra l’altro, dell’articolo 107 del TFUE, così sostanzialmente deducendo che la previsione del prelievo riferito solo alla filiera del gioco lecito mediante apparecchi rappresenterebbe un aiuto di Stato nei confronti di altre tipologie di giochi, che non ne sono state colpite.
28.1. Al riguardo, va rilevato che effettivamente l’articolo 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare “ il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi (...) ”, ed è pure vero che, tra i principi e criteri direttivi cui improntare il riordino, la lett. g) del comma 2 del medesimo articolo 14 ha previsto la “ revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate ”.
Può convenirsi, perciò, nel constatare che, secondo la volontà iniziale del legislatore, la revisione degli aggi avrebbe dovuto riguardare per intero il settore del gioco pubblico lecito, mentre l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 ha previsto la misura in esame unicamente con riferimento al settore del gioco mediante apparecchi.
28.2. Quanto ora evidenziato non conduce, tuttavia, alla conclusione che in tal modo lo Stato abbia dato un aiuto indiretto ai rimanenti settori del gioco.
Un primo elemento, dirimente, è che non si è in presenza di intervento dello Stato in favore dei vari soggetti che operano in tali diversi settori.
Va poi detto che, per poter sostenere che si sia introdotto un aiuto di Stato, dovrebbe rappresentarsi il quadro completo di ciascuno dei settori in questione e considerare il volume di affari generato in ognuno e le trattenute già praticate.
28.3. Sotto altro profilo, deve rilevarsi che, come è stato opportunamente evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato, negli anni 2013 e 2014, presi evidentemente a riferimento, più della metà del volume di affari del gioco lecito è imputabile alla tipologia di gioco ora richiamata. Segnatamente, nel 2013, a fronte di una raccolta complessiva di circa 84,7 miliardi di euro, ben 47,8 miliardi di euro sono derivati dal gioco mediante apparecchi, mentre nel 2014, a fronte di una raccolta di 84,5 miliardi di euro, il volume imputabile al gioco mediante apparecchi è stato superiore a 47 miliardi di euro. Si tratta, perciò, di un settore particolarmente remunerativo, molto più degli altri, e per questo si è ritenuto di colpirlo in prima battuta.
Si è già evidenziato che l’incidenza pro quota su ciascun concessionario (e di conseguenza a valle sugli altri operatori della filiera) del prelievo è tale da non risultare irragionevole e sproporzionata;dato, questo, che parimenti induce a ritenere che la modesta incisione sul settore del gioco mediante apparecchi non possa tradursi indirettamente in un aiuto in favore degli altri settori del gioco.
28.4. Deve poi rimarcarsi ancora una volta che la misura di cui si sta discutendo – già di per sé non idonea, come detto, a determinare un vantaggio indiretto in favore di altri settori del gioco – è stata ormai circoscritta a un’applicazione una tantum , stante la sopravvenuta previsione di cui all’articolo 1, comma 920, della legge n. 208 del 2015, che ha abrogato l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014.
29. La rilevata intervenuta abrogazione assume rilevanza anche rispetto a ulteriori doglianze mosse dalla ricorrente.
29.1. In particolare, il circoscritto ambito temporale, unitamente alla più volte evidenziata scarsa incidenza del prelievo sui concessionari e su tutti gli altri operatori della filiera, conducono alla conclusione che, oltre a non potersi riscontrare la violazione del divieto di aiuti di Stato, non vi è stata neppure, più in generale, la violazione del principio di concorrenza. Anche sotto quest’ultimo profilo, non si ravvisa quindi alcuna – neppure eventuale – lesione dei principi e delle norme di matrice europea, né un contrasto con i parametri costituzionali di cui agli articoli 41 e 117 della Costituzione.
29.2. Inoltre, soprattutto alla luce dello jus superveniens , non può ritenersi sussistente neppure la dedotta violazione del principio di uguaglianza, e quindi la violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Le situazioni dei diversi segmenti del mercato del gioco lecito non sono infatti equiparabili e, in ogni caso, non vi è alcuna prova che, a fronte della misura contestata operante per il solo anno 2015, non ne siano state adottate altre, dirette nei confronti degli altri settori, eventualmente in anni differenti.
30. Passando al vaglio del criterio stabilito per ripartire tra i concessionari la misura di contribuzione rispetto alla quota da versare (500 milioni di euro), deve tenersi presente che il comma 649 dell’articolo 1 della legge n. 190 del 2014 ha stabilito che il concorso di tali operatori debba avvenire “ (...) in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014 ”.
30.1. Come è stato osservato dalla Sezione nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale, il predetto criterio si discosta da quello previsto dall’articolo 14, comma 2, lett. g) , della legge n. 23 del 2014, ove si demanda al Governo la revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori “ (...) secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate ”. Nella medesima ordinanza, si è ritenuto “ (...) illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure soggetto ad aggiornamento), cioè il numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario ad una certa data, anziché ad un dato dinamico, il volume di raccolta delle giocate ”, e si è inoltre ravvisata la violazione del principio di uguaglianza, “ (...) in quanto, essendo il riferimento al numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario non compitamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. ”.
30.2. Al riguardo, per quanto concerne lo scostamento del criterio adottato dall’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 rispetto a quello previsto dall’articolo 14, comma 2, lett. g) , della legge n. 23 del 2014, deve qui rimarcarsi il pari rango delle due disposizioni. Il legislatore, nel ritenere di circoscrivere la riduzione dell’aggio al segmento del gioco lecito con apparecchi, nella sua discrezionalità, ha stabilito un criterio più oggettivo e di più agevole applicazione. Peraltro, certamente il criterio della norma antecedente è riferibile alle più disparate tipologie di gioco, mentre quello introdotto dalla norma successiva, e nella specie applicato, ha un ambito operativo limitato al settore che si avvale di apparecchi.
30.3. Quanto alla dedotta irragionevolezza del criterio impiegato e alla prospettata violazione del principio di uguaglianza, deve evidenziarsi che, stante la limitata applicazione del prelievo in esame al solo anno 2015, la ricorrente, su cui incombeva l’onere probatorio, non ha dimostrato che la misura abbia comportato effettivamente l’esborso da parte sua di una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe invece versato ove fosse stato utilizzato il criterio del volume di raccolta delle giocate.
Deve infatti tenersi presente che, per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale, oltre alla non manifesta infondatezza, occorre altresì la rilevanza della questione prospettata, ossia l’esistenza di un interesse concreto al suo accoglimento, che comporterebbe la dichiarazione di incostituzionalità della norma ritenuta violativa di un parametro costituzionale e la conseguente non applicazione della stessa norma al caso concreto oggetto del giudizio dinanzi al giudice a quo .
In questo caso la Società ricorrente, data la circoscritta applicazione della norma unicamente all’anno 2015, rispetto al quale emerge il dato storico riferito alla data del 31 dicembre 2014, non ha fornito prova del beneficio che trarrebbe dalla dichiarazione di incostituzionalità della previsione normativa in esame, nella parte in cui prevede il criterio di riparto dell’onere in misura corrispondente agli apparecchi disponibili alla data del 31 dicembre 2014, e non invece in rapporto al volume di giocate, in via del tutto generica ritenuto più appropriato.
Ne deriva che, in assenza di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale riferita al profilo appena esaminato non può essere riproposta.
31. Restano da vagliare le censure (articolate principalmente nel quarto motivo) con le quali la ricorrente lamenta che l’obbligo del pagamento della somma in questione sarebbe stato previsto solo a carico del concessionario, mentre nulla sarebbe stato stabilito, neppure con il decreto dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in ordine alle modalità di raccolta tra concessionari e operatori della filiera, sebbene questi ultimi siano stati onerati di versare ai concessionari l’intero ammontare della raccolta del gioco.
La parte evidenzia anche che niente sarebbe stato stabilito neppure in ordine alle conseguenze del mancato versamento del dovuto da parte di gestori ed esercenti, nei confronti dei quali il concessionario non sarebbe stato munito di nuove “funzioni pubbliche”, tali da consentirgli di esigere la quota parte di versamento imputabile agli altri operatori.
Sotto altro profilo, la società lamenta (nel primo motivo di ricorso) che non si potrebbe imporre per legge ai concessionari di rinegoziare unilateralmente i contratti già stipulati e vigenti con i propri gestori.
31.1. Al riguardo, va rilevato che il meccanismo ideato per consentire il versamento del prelievo oggetto di causa è stato totalmente rimodulato, con effetto ex tunc , dalla norma interpretativa di cui all’articolo 1, comma 921, della legge n. 208 del 2015, in forza della quale, come detto, “ Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015. ”.
La previsione sopravvenuta chiarisce, quindi, che la somma definita in capo a ciascuno dei tredici concessionari in proporzione al numero di apparecchi a essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014 deve essere ripartita tra gli operatori della filiera in misura proporzionale alla rispettiva partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali.
Ciò significa anche che i gestori e gli esercenti, inizialmente obbligati a versare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, attualmente sono tenuti in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 e non devono più rinegoziare i loro rapporti con i concessionari.
31.2. Le doglianze ora esaminate risultano, perciò, superate.
32. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, previa estromissione del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il ricorso è in parte da dichiarare improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, relativamente a tutte le censure superate dal successivo intervento del legislatore, e per la restante parte deve essere respinto.
33. In ragione della complessità e della peculiarità della controversia, nonché del suo iter articolato che ha ricompreso anche un pronunciamento della Corte costituzionale, sussistono i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.