TAR Catania, sez. III, sentenza 2022-09-13, n. 202202389

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. III, sentenza 2022-09-13, n. 202202389
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202202389
Data del deposito : 13 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2022

N. 02389/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00112/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 112 del 2016, proposto dalla Mofeta dei Palici S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Nicolò D'Alessandro, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, p.zza Lanza 18/A;

contro

l’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, in persona dell’Assessore pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

- del D.A. n. 638 del 12 ottobre 2015 con il quale vengono determinati i canoni e le royalties dovuti per gli anni di produzione dal 1997 al 2014, oltre rivalutazione ed interessi;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ivi compresa la nota di trasmissione, le relazioni istruttorie formulate dal tavolo tecnico appositamente costituito.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2022 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Mofeta dei Palici srl è intestataria di una concessione di coltivazione di sostanze minerali rilasciatale nel 1962, e poi rinnovata per altri trent’anni nel 1997, che consente l’estrazione dai suoi terreni delle esalazioni gassose di anidride carbonica, da destinare poi in formato liquefatto o solido all’industria alimentare.

Al momento del rinnovo trentennale della concessione disposto con D.A. n. 954/1997 era sorta controversia sull’incremento dell’aliquota di partecipazione della parte pubblica ai profitti aziendali disposto con apposito decreto assessoriale. La specifica questione fu poi definita con sentenze del Tar (n. 1138/2000) e del CGARS (n. 70/2015);
ma – precisa la società – tali decisioni non incidono sul caso ora in esame, atteso che i rapporti economici relativi alla concessione mineraria in esame sono stati regolati “ ab ovo ” con la Legge regionale 10/1999 che ha determinato i canoni dovuti dal concessionario all’erario, in sostituzione della partecipazione ai profitti d’impresa in passato riconosciuta all’amministrazione.

In applicazione della nuova normativa la società ha chiesto all’amministrazione regionale, con istanze del maggio 2007 e dell’ottobre 2014, l’applicazione dei benefici previsti dagli artt. 30 e 32 della legge, e specificamente: a) il riconoscimento delle spese sostenute dall’operatore economico per rendere commerciabile la CO2 prodotta;
b) l’accertamento della cd. “marginalità del campo minerario”, ossia dell’esistenza di condizioni tali da non consentire una remunerazione adeguata degli investimenti affrontati.

Dopo apposita istruttoria, svolta anche per mezzo delle relazioni tecniche fornite dalla società interessata, l’Assessorato Regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, con il decreto n. 638 del 12 ottobre 2015 ha: a) riconosciuto la detraibilità di soli alcuni dei costi aziendali sostenuti per garantire le specifiche di commerciabilità della CO2 (quelli affrontati a partire dal 7.07.2000);
b) respinto, allo stato, la richiesta di riconoscimento del beneficio di cui all’art. 32, stante la carenza di dati tecnico-minerari adeguati a comprovare l’asserito regime di “marginalità”;
c) previsto il pagamento della somma di euro 1.067.425,65 dovuta a conguaglio dei canoni royalty non versati nel periodo 1997/2014, calcolata tenendo conto sia dei costi di cui è stata ammessa la detraibilità (come indicati sub a), sia di interessi e rivalutazione monetaria.

La società Mofeta dei Palici srl ha impugnato col ricorso in epigrafe l’illustrato D.A. n. 638 del 12 ottobre 2015 deducendo quanto segue:

1.- in ossequio al principio della separazione fra funzioni amministrative e di indirizzo politico, rinvenibile nella L.R. 10/2000, la determinazione dei canoni, effettuata in applicazione di norme di legge avrebbe dovuto essere effettuata dal dirigente e non dall’Assessore (organo politico);

2.- la normativa di settore (art. 30 L.R. 14/2000, art. 20 L.R. 10/1999 e art. 12 L.R. 11/2010) prevede l’obbligo di pagamento dei canoni ivi determinati a partire dall’1.01.1997, ma introduce una esenzione per i primi 20 milioni di Smc di gas estratti, valevole fino al 2013, che l’amministrazione regionale ha illegittimamente riconosciuto limitatamente al solo periodo 2010/2013. Infatti, la decorrenza dell’esenzione già a partire dal 1997 avrebbe dovuto discendere dall’applicazione dell’art. 20 della L.R. 10/1999, nella parte in cui prevede la retroattività del regime di applicazione dei canoni. L’interpretazione fornita dalla Regione, invece, determinerebbe una diversificazione di trattamento del territorio isolano rispetto alla restante parte del Paese, che risulta in contrasto con il principio di parità di condizioni fra i produttori concorrenti;

3.- la normativa regionale (art. 13 della L. 9/2013) ha eliminato a partire dal 2013 ogni forma di esenzione dal pagamento dell’aliquota, ed ha determinato nella misura del 20% le royalties, disponendone la ripartizione fra Stato (2/3) e Regione (1/3). In tal modo, sarebbero stati violati secondo la ricorrente i principi sanciti dalla L.R. 14/2000 (a sua volta attuativa della Direttiva CE 94/22) di: a) garanzia di maggiore concorrenza nel settore;
b) garanzia della coltivazione con modalità non discriminatorie;
c) previsione del pagamento di corrispettivi in misura tale da non incidere sulla gestione delle imprese e di non discriminarle o di privarle di indipendenza. In definitiva, il provvedimento impugnato e la sottostante normativa regionale sarebbero illegittimi per contrasto con la direttiva comunitaria 94/22;

4.- l’Assessorato ha illegittimamente riconosciuto la detraibilità dei soli costi connessi alla produzione della risorsa minerale, ma non anche di quelli di commercializzazione, di trasporto ed amministrativi, nonostante si tratti di costi necessari per rendere commerciabile il bene. In particolare, viene posto l’accento sulle spese necessarie a trasformare l’anidride in ghiaccio secco, o a stoccarla in serbatoi o bombole, ed a trasportarla presso gli utilizzatori con appositi mezzi di trasporto;

5.- l’amministrazione avrebbe anche errato nelle modalità di calcolo della (pur parziale) detrazione ammessa;

6.- il decreto impugnato è illegittimo per difetto di motivazione laddove afferma, senza alcuna specifica spiegazione, che il beneficio della “marginalità” del campo minerario, non è riconoscibile per carenza di dati tecnico-minerari. Infatti, sono definiti come marginali i giacimenti che “non consentono una remunerazione adeguata degli investimenti”;
ossia, secondo la circolare ministeriale, quelli che non raggiungono il livello del 10,28%;
limite che non viene raggiunto dalla ricorrente alla luce di quanto rappresentato nella documentazione prodotta a corredo dell’istanza;

7.- il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 32 della L.R. 14/2000 avrebbe dovuto essere valutato alla stregua delle indicazioni fornite nella Circolare Ministeriale 10.12.2004;

8.- erronea applicazione della rivalutazione monetaria al debito di valuta per canoni, che ha fatto lievitare l’importo dovuto di oltre il 60%;

9.- illegittimità costituzionale della L.R. 14/2000 per violazione degli artt. 3, 41 e 117 della Cost.;

10.- illegittimità costituzionale dell’art. 13 della L.R. 9/2013 per disparità di trattamento ed alterazione delle regole della concorrenza.

Con ordinanza n. 108/2016 è stata accolta la domanda cautelare formulata in ricorso, con la seguente statuizione: “ Ritenuto che il ricorso in epigrafe, in relazione alle censure dedotte in ricorso appare, allo stato, assistito da adeguati profili di fumus bonis iuris;

- che la società ricorrente ha allegato, in relazione alla propria situazione patrimoniale, un concreto pregiudizio grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione del D.A. impugnato, sicché ricorre il presupposto del periculum in mora, necessario a sorreggere l’adozione dell’invocata misura cautelare;

- che pertanto va accolta la domanda cautelare all’esame, con differimento al definitivo di ogni statuizione in ordine alle spese del giudizio. ”.

All’udienza pubblica del 24.05.2017 la causa è stata cancellata dal ruolo su richiesta della parte ricorrente.

Successivamente, la stessa parte ha presentato in data 9.10.2017 nuova istanza di fissazione udienza.

In vista dell’udienza di trattazione, l’amministrazione regionale intimata ha depositato memoria difensiva, nella quale ha sostanzialmente ricostruito la “storia” della concessione di cui è titolare la ricorrente, senza prendere posizione sui molteplici motivi di ricorso.

La ricorrente ha replicato con altra memoria, nella quale ha rappresentato di aver presentato di recente una denuncia per infrazione comunitaria per violazione della direttiva 94/22 con riferimento alla L.R. 14/2000, nella parte in cui (art. 30) equipara la coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi a quella dei gas diversi.

Di conseguenza, ha chiesto a questo giudice di disporre la sospensione del processo ex art. 79 cpa per ragioni di pregiudizialità.

All’udienza del 13 aprile 2022, con ordinanza n. 1270/2022, la Sezione ha rilevato quanto segue:

Considerato che, secondo il Collegio, la causa sembra non rientrare nella giurisdizione amministrativa, tenuto conto del fatto che si controverte sul pagamento del canone concessorio, ed in particolare sull’applicazione di alcune esenzioni di pagamento, nonchè sulla loro decorrenza temporale;

Ritenuto di dover riservare la decisione e di assegnare alle parti – ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a. – il termine di venti giorni, decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente ordinanza, per presentare memorie vertenti sulla questione rilevata d’ufficio;
”.

Di seguito, l’amministrazione resistente ha condiviso il prospettato difetto di giurisdizione, richiedendo una pronuncia di inammissibilità del ricorso.

La società ricorrente, con apposita memoria, ha invece insistito per il riconoscimento della giurisdizione amministrativa nella controversia de qua , sostanzialmente basandosi su due argomenti. Per un verso, ha evidenziato che nell’anno 1997 – allorquando la concessione mineraria era stata rinnovata per ulteriori trent’anni, ad un canone di lire 81.360.000 – era sorta controversia tra la società e l’Assessorato resistente in ordine all’incremento del canone di partecipazione dell’amministrazione ai profitti dell’attività d’impresa (aumentato dal 6% al 7%), questione che fu risolta dal Tar (sentenza n. 1138/2000) e dal CGA (sentenza n. 70/2015) con pronunce che investivano il merito, e che implicitamente riconoscevano sussistente la giurisdizione amministrativa. Da qui, la ricorrente ritiene di poter far derivare l’esistenza di un giudicato esterno che vincoli ad adìre la giurisdizione amministrativa in tutte le ipotesi in cui sorgano analoghe controversie. Per altro verso, la ricorrente ritiene – richiamando sul punto alcune pronunce della g.a. – che l’eccezione alla giurisdizione esclusiva in tema di concessione di beni pubblici di cui all’art. 133, co. 1, lett. b) del c.p.a., riguardante le controversie che investono “ canoni, indennità ed altri corrispettivi ”, non trovi applicazione nell’ipotesi in cui venga in rilievo la qualificazione e gli equilibri dell’intero rapporto concessorio, toccato dall’esercizio di poteri discrezionali ad opera dell'Amministrazione;
dovendosi riconoscere in tal caso la cognizione del giudice amministrativo.

All’udienza dell’8 giugno 2022 è stata sciolta la riserva, e la causa è stata decisa.

DIRITTO

1.- Preliminarmente, va respinta la domanda di sospensione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 79 c.p.a. per attendere la definizione della “questione comunitaria”.

Infatti, stante la mancanza di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame, dell’eventuale esito favorevole della questione comunitaria sollevata dalla parte ricorrente dovrebbe prendere atto solo ed esclusivamente il giudice munito di giurisdizione, ossia il giudice ordinario.

2.- Sempre sul piano del rito va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

Come è noto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. b), del c.p.a. il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva sulle “ controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi …”.

Nel caso in esame ricorre l’ipotesi derogatoria indicata nella seconda parte della riportata disposizione, giacché la controversia riguarda la quantificazione dei canoni dovuti dall’impresa ricorrente in forza del rapporto di concessione. Più in dettaglio, la ricorrente intende godere di alcuni regimi agevolativi previsti dalla normativa di settore, che incidono sulla determinazione finale del canone attraverso il riconoscimento di alcune “poste negative” (i costi sostenuti per rendere commercializzabile la CO2, ed i vantaggi connessi all’asserito regime di “marginalità” del giacimento).

Si tratta, a ben vedere, di modalità di calcolo del canone che sono state previste e predeterminate dalla legge, e che non vengono intaccate da alcuna scelta discrezionale dell’amministrazione. Quest’ultima infatti è chiamata unicamente ad applicare/disapplicare, in maniera vincolata, i benefici economici invocati dalla società, all’esito di una valutazione (eminentemente tecnica) che investe solo l’esistenza o meno delle condizioni stabilite dalla legge.

Né può assegnarsi rilievo determinante – ai fini della individuazione del plesso munito di giurisdizione – alla circostanza evidenziata dalla ricorrente in memoria, secondo la quale in un passato contenzioso insorto tra le medesime parti sia il Tar che il CGA non hanno sollevato rilievi sulla giurisdizione, decidendo la causa direttamente nel merito.

In disparte ogni considerazione sulla autonomia dei due giudizi, vale evidenziare il fatto che il precedente contenzioso riguardava l’aumento dell’aliquota di partecipazione agli utili d’impresa discrezionalmente deciso dall’amministrazione regionale con apposito decreto, mentre nel caso di specie viene in esame l’applicazione di rigide disposizioni normative che incidono sulla quantificazione del canone di concessione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale la causa potrà essere proseguita nel rispetto dell’art. 11 c.p.a.

Le spese processuali possono essere compensate tenuto conto della sostanziale assenza di difese da parte dell’amministrazione resistente.

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