TAR Roma, sez. 2T, sentenza breve 2018-11-28, n. 201811516

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza breve 2018-11-28, n. 201811516
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201811516
Data del deposito : 28 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/11/2018

N. 11516/2018 REG.PROV.COLL.

N. 10902/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 10902 del 2018, proposto da:
Daruma Centro S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati A I, P G, con domicilio eletto presso lo studio P G in Giustizia, Pec Registri;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato S S, dell’Avvocatura Capitolina, con domicilio eletto presso la sede di quest’ultima in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

-della Determinazione Dirigenziale CA/2798/2018 del 18/09/2018 notificata in data 19/09/18 recante "Ordine di Cessazione attività di somministrazione abusivamente intrapresa....in Via dei Serpenti n.1" entro 15 giorni dalla notificazione del provvedimento”;

-ove occorrer possa, del rapporto amministrativo prot. VA/18/79171 del 31/05/2018, menzionato e non comunicato;

-ove occorrer possa, della nota prot. CA/128409 del 05/07/18, recante comunicazione di avvio del procedimento;

-ove occorrer possa, per la disapplicazione e/o l'annullamento delle cdd. "Risoluzioni del Ministero dello Sviluppo Economico n. 146342/14, 86321/15, 174884/15, 372321 del 28/11/2016";

-nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente ai provvedimenti impugnati che possa interpretarsi ostativo all'esercizio dell'attività commerciale della ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 ottobre 2018 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 e 74 cod. proc. amm. in ordine alla regolarità ed alla completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ai fini della decisione sul ricorso nel merito, previa conversione del rito in pubblica udienza con rinuncia delle parti ai relativi termini a difesa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente, titolare di esercizio di gastronomia calda e vicinato in Roma, via dei Serpenti 1, espone che, a fronte di un unico isolato accertamento, l’Amministrazione contestava che nel locale sarebbe stata esercitata attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in ragione, in particolare, dell'asserita presenza di punti di appoggio – tavolinetti - con sedute abbinabili. Evidenzia la difesa di parte ricorrente che nel caso di specie, i tavolini e gli sgabelli che compongono gli arredi del locale sono alti e privi di braccioli e schienale;
i tavolinetti hanno un diametro di cm 60 e 110 cm di altezza;
non avrebbero, pertanto, nulla in comune con gli arredi tipici della somministrazione. Precisa, ancora, che l’organizzazione dell’attività di gastronomia in esame, è tale per cui ai consumatori sul posto non è offerto alcun servizio ai tavoli neanche con una sia pur minima preparazione preventiva da parte dell’esercente.

Sulla base di tali premesse, lamenta la violazione del DL 223/2006 che non impone agli esercizi di gastronomia divieti di uso di tavoli e sedute abbinabili;
la violazione dei principi di liberalizzazione (viene richiamata sul punto la sentenza TAR Lazio 2147/2018);
il difetto di competenza del Ministero in ordine alla materia del Commercio, che spetta alle Regioni;
la violazione del legittimo affidamento, conseguente alla circostanza che in occasione di precedenti controlli nessun rilievo era mai stato sollevato sulla medesima condizione dell’offerta;
la circolare interpretativa di Roma Capitale prot. 58010 del 3 agosto 2011 non ha mai imposto alcun divieto d'uso di tavoli e sedute abbinabili;
nel locale non vi sarebbe alcuna apparecchiatura sui tavoli con stoviglie e sottopiatti, né risulta che l'avventore usufruisca di un seppur minimo servizio di somministrazione (gli agenti accertatori rinvenivano, infatti, solo arredi minimali, piani di appoggio e sedute).

In ogni caso la ricorrente dichiara di non avere ragioni ostative per rinunciare agli altri elementi ritenuti asseritamente sintomatici della somministrazione, o ad adeguarsi alle relative prescrizioni, intendendo però nell'uso di piani di appoggio e sedute abbinabili.

Richiama la decisione cautelare del Consiglio di Stato, resa in fattispecie identica a quella odierna, di cui all’ ordinanza n.2572/18 del 07/06/18.

Lamenta inoltre la violazione e falsa applicazione della D.A.C. 47/18, approvata il 03/05/18, con la quale è stato pubblicato il Regolamento per l'esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio della Città Storica, entrato definitivamente in vigore il 18/05/18. Tale regolamento prevede espressamente, all'art. 5 (rubricato " Disposizioni per il consumo sul posto nelle attività di vendita del settore alimentare e di artigianato alimentare "), che: " ...i titolari....dovranno destinare per il consumo sul posto una superficie interna calpestabile non superiore al 25% della superficie totale dell'esercizio e comunque nel limite massimo di cinquanta metri quadrati. Ai fini di cui al precedente comma 1 i titolari sono tenuti ad osservare le prescrizioni di seguito elencate: -utilizzo di arredi minimali;
gli arredi non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e devono garantire condizioni minime di fruibilità;
-messa a disposizione della clientela di tovaglioli, stoviglierie e posate monouso biodegradabili e compostabili per un loro uso autonomo e diretto senza alcun tipo di assistenza da parte di personale
; -organizzazione dell'area destinata all'eventuale consumo sul posto, secondo la percentuale di cui al comma 1, in modo da non creare intralcio all'affluenza della clientela -consegna dei prodotti al banco, ritirati direttamente dal consumatore, senza svolgimento di alcun servizio assistito di somministrazione. La superficie destinata al consumo sul posto come definita nel precedente comma 1 deve essere distinta e mantenuta separata da quella destinata allo svolgimento dell'attività di vendita o di produzione e deve coincidere con quella occupata dagli arredi di cui al comma 2 ".

Il Regolamento sarebbe stato violato e falsamente applicato. Infatti, gli attuali arredi presenti nel locale rispetterebbero, secondo la ricorrente, i requisiti delle nuove disposizioni regolamentari (essendo dissimili dagli arredi tipici della somministrazione);
laddove, in subordine, dovesse ritenersene la difformità, il nuovo Regolamento precisa all'art. 14 che gli esercizi hanno 1 anno (6 mesi nel Sito UNESCO) per adeguarsi alle prescrizioni indicate e dunque al locale dovrebbe comunque essere consentito di avvalersi del termine regolamentare di adeguamento.

Si è costituita Roma Capitale che resiste al ricorso, producendo documenti di causa ed insistendo nelle argomentazioni a sostegno della legittimità del provvedimento impugnato.

Si è costituito anche il MISE che, mediante una relazione sui presupposti normativi che sono afferenti alla fattispecie, difende la legittimità del provvedimento impugnato e chiede il rigetto del ricorso.

Più precisamente, il Ministero dopo un breve richiamo alle disposizioni normative di riferimento (art. 3, comma 1, lett. f) bis ed art. 4 bis del DL n. 223/2006, conv. in l. 248/2006), si sofferma sulle indicazioni contenute nelle circolari che ha emesso al riguardo, nelle quali sono state individuate specifiche modalità applicative delle disposizioni . Più precisamente, al punto 8.1 della circolare esplicativa 3603/C del 28.9.2006, nella premessa che “ il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia da parte degli esercizi di vicinato, ovviamente solo nel caso in cui siano legittimati alla vendita dei prodotti alimentari, non può essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamente previste dalla nuova disposizione ”, tra queste ultime, quanto alla presenza di “ arredi nei locali dell’azienda e l’esclusione del servizio assistito di somministrazione”, si precisa che “ devono essere correlati all’attività consentita” e che “ la norma che consente negli esercizi di vicinato il consumo sul posto non prevede una modalità analoga a quella consentita negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287 ”. Su questa linea, successive circolari hanno poi meglio precisato ulteriori modalità, ovvero che tra le attrezzature consentire vadano escluse “ apparecchiature per le bevande alla spina e le macchine industriali per il caffè, tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione, nonché sulle operazioni di preparazione/trasformazione/cottura e trattamento dei prodotti destinati al consumo sul posto, consentendo in tal senso solamente il riscaldamento/ sporzionamento dei medesimi ”;
e che possono essere utilizzati piani di appoggio di dimensioni congrue all’ampiezza e alla capacità ricettiva del locale, nonché sedute non abbinabili, non nel senso che la loro collocazione all’interno dell’ambito spaziale debba essere non abbinata (solo in tal senso i clienti potrebbero abbinarli spostandoli), ma nel senso che l’utilizzo congiunto della seduta e del piano d’appoggio non deve risultare normalmente possibile (ad esempio, per le diverse altezze dei medesimi), in modo che sia consentito ai fruitori il consumo degli alimenti e delle bevande da seduti (ma non al tavolo), ovvero appoggiando i prodotti su un piano (ma senza poterlo utilizzare da seduti;
parere nr. 86321 del 9.6.2015);
possono essere apprestate posate di metalli o bicchieri di vetro, ma devono essere messi a disposizione della clientela senza apparecchiature al tavolo (nota 37231 del 28.11.2016).

Riferisce poi in ordine a rilievi sollevati da parte dell’Autorità della concorrenza, meglio approfonditi nelle circolari e nei pareri allegati, secondo cui l’unico criterio discretivo tra le due tipologie di attività andrebbe ricercato solo nella presenza o assenza di servizio assistito, senza che si possa riconoscere rilievo alla questione degli arredi;
il Ministero chiarisce che le modalità indicate sono tese a non rendere fonte di disparità ingiustificate i vantaggi di semplificazione relativi all’acquisizione dei titoli abilitativi per gli esercizi in questione, rispetto alle più rigorose norme della somministrazione, in presenza di un’offerta e caratteristiche del servizio sostanzialmente assimilabili e di pari impatto. Secondo il Ministero, va considerato il fatto che sussistono aree del territorio soggette a maggior tutela (come peraltro è evidente anche dalla lettura del combinato disposto dell’articolo 1, comma 4, e dell’articolo 2, con la relativa allegata tabella, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante l’individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività - SCIA, silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124), in cui l’attività dei pubblici esercizi viene assoggettata ad autorizzazione e può essere contingentata o le nuove attività del tutto vietate anche in relazione a rilevanti esigenze attinenti la valenza artistica, storica ed ambientale o anche per ragioni di sicurezza, sostenibilità sociale o di viabilità. In dette aree sarebbe discriminante consentire lo svolgimento di attività analoghe a quelle degli esercizi abilitati al consumo sul posto, senza differenziarne le modalità di svolgimento così da limitarne l’impatto e mantenere ragionevolezza alla disposizione di favore rispetto ai pubblici esercizi in senso stretto (esigenza che verrebbe logicamente meno se entrambe le tipologie di attività fossero soggette al medesimo regime di autorizzazione ed ai medesimi presupposti di tutela).

Circa i rilievi sollevati nel terzo motivo di censura, in ordine al riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di commercio, il MISE sostiene che i propri interventi si inquadrano nell’ambito della tutela della concorrenza che rimane in capo allo Stato, (art. 117, comma 2, lettera e) Cost.) la cui competenza, come chiarito ormai definitivamente dalla Corte Costituzionale, assume carattere di tipo trasversale. Inoltre, il Ministero è titolare secondo la legge delle competenze in materia di commercio e di tutela della concorrenza, anche, ovviamente, con riguardo alle interrelazioni fra i due ambiti di regolazione (nella declaratoria delle competenze ministeriali, da ultimo individuata con DM 233 del 19 aprile 2017, è incluso il “supporto all’iniziativa normativa del Ministero in materia di liberalizzazioni e di semplificazione per le imprese e di requisiti per l’esercizio di attività economiche nei settori del commercio”).

Nella camera di consiglio del 31 ottobre 2018, la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione, previa conversione del rito in pubblica udienza con rinuncia delle parti ai relativi termini a difesa, per essere risolta nel merito ai sensi dell’art. 74 del c.p.a..

DIRITTO

Nell’odierno giudizio, viene in decisione una fattispecie relativa alla esatta individuazione dei presupposti e dei limiti che consentono, agli esercenti un’attività di vendita di prodotti alimentari da asporto, il consumo sul posto di detti alimenti. Più puntualmente il corrente contenzioso riapre una problematica il cui punto nodale si incentra sulla difficoltà di definire le attrezzature correttamente utilizzabili per consentire il consumo del posto, senza che ciò avvenga con modalità tali da configurare l’esercizio abusivo dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande: problematica scaturente da nuove tendenze ed abitudini alimentari dei consumatori, che i Comuni si sono trovati a fronteggiare pur senza avere a disposizione – come di seguito verrà meglio chiarito - strumenti giuridici chiari ed incontrovertibili, con conseguente proliferare di un contenzioso che ha impegnato le energie degli Enti locali e dei Tribunali.

Attese tali premesse, è necessario anteporre all’esame delle censure dedotte dalla parte ricorrente e delle contrapposte argomentazioni difensive di Roma Capitale e del MISE una – sia pur sintetica - ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento, anche avvalendosi di precedenti decisioni della Sezione (in particolare, vedasi la sentenza nr. 100/2016 oltre richiamata) e considerando altresì le indicazioni offerte dalla prassi amministrativa, incluse in particolare le circolari del MISE che, differentemente da quanto sostenuto da parte ricorrente con il terzo motivo di ricorso (che è quindi infondato e come tale va respinto), possiede specifiche competenze di coordinamento inerenti la tutela della concorrenza (così come più ampiamente illustrato nelle stesse difese del Ministero cui è sufficiente rinviare) alle quali risulta essersi attenuto nell’enucleare criteri applicativi della disciplina che si esaminerà.

I) La possibilità di consumare sul posto i prodotti alimentari in vendita in un esercizio commerciale è stata introdotta nell’Ordinamento dall’art. 7, comma 3, del d.lgs n.114 del 1998, in base al quale " Fermi restando i requisiti igienicosanitari, negli esercizi di vicinato autorizzati alla vendita dei prodotti di cui all'art.4 l.n.77 del 1997, è consentito il consumo immediato dei medesimi a condizione che siano esclusi il servizio di somministrazione e le attrezzature ad esso direttamente finalizzati ";
tale disposizione innovava il quadro giuridico preesistente, nell’ambito del quale la legge n. 426 del 1971 (ed il relativo regolamento di esecuzione di cui al D.M. 4 agosto 1988, n. 375), si limitava (art. 32 c.9) ad ammettere per l'esercente privo dell'autorizzazione a somministrare, la sola possibilità di assaggi gratuiti dei prodotti, al fine di promuoverne la vendita o per favorire la scelta (nell’ordinamento regionale del Lazio, la disposizione di cui all’art. 7, comma 3, cit. corrisponde all’art. 25 c.4 della L.R. n.33 del 1999).

Il riferimento all’art.4 della L.n.77 del 1997 (disciplinante i “servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni pasto” costituiti dalle “ somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali, rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della l.n.426/1971 , per la vendita dei generi compresi nella tabella I dell'allegato 5 al decreto 4 agosto 1988, n. 375 , del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato nonché dell'autorizzazione di cui all'articolo 2 della l.n.283/1962 , per la produzione, preparazione e vendita al pubblico di generi alimentari, anche su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono servizi sostitutivi di mensa aziendale ”), restringeva la facoltà del consumo sul posto a precisi ambiti di operatività sia sotto il profilo della tipologia di esercizi abilitati sia con riguardo al fine dell’attività medesima (che era, per l’appunto, il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto). Tale riferimento veniva poi superato dall’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n.223 del 2006, convertito con modificazioni dalla L.n. 248 del 2006, con cui veniva (di fatto) abrogato prevedendosi che “ le attività commerciali, come individuate dal d.lgs n.114 dl 1998…… sono svolte senza: f-bis: il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ”.

II) In base al descritto quadro normativo, si osserva che la norma dell’art.7 c.3 (già) prevedeva che per il consumo sul posto non fosse consentito l’allestimento nonché l’utilizzo di arredi ed attrezzature finalizzati alla somministrazione;
come correttamente osservato dal MISE nell’odierno giudizio (e nei propri pareri richiamati nella memoria) la norma, pur non richiamandolo esplicitamente, presupponeva il riferimento all’art.1 della legge n.287 del 1991 che, al c.1, definisce la somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande come “ la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati ” considerandolo idoneo a definire i limiti della fattispecie in negativo (posto che la ricerca di un criterio identificativo della specifica modalità di offerta costituita dal “consumo sul posto” di alimenti destinati alla vendita da asporto debba necessariamente tenere conto delle caratteristiche organizzative e tipologiche della somministrazione per differenziarsene e dunque senza poterne replicare le modalità).

Ne deriva che gli arredi e le attrezzature (ordinariamente) impiegati per i locali in cui si svolge attività di somministrazione soggetta a titolo non potranno coincidere con quelli utilizzati dagli esercenti di vicinato (non abilitati alla somministrazione e) cui è consentito solo il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia.

III) Giova poi osservare che la possibilità di consumo sul posto dei prodotti alimentari-gastronomici è oggetto di specifiche ed analitiche disposizioni “ampliative” delle ordinarie facoltà proprie di alcune tipologie di attività, in gran parte escluse dal novero applicativo del dlgs 114/98, confermando per ognuna di esse la necessità del rispetto dei requisiti igienico sanitari e l’esclusione di servizi di somministrazione e delle attrezzature ad essi finalizzate. Si vedano, ad esempio, per i titolari di licenza di vendita di carburanti, art. 2 bis della l. 496/1999;
oppure le ipotesi di consumo previste per gli imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 4, comma 8 bis, del dlgs. 18 maggio 2001, n. 228 richiamata dalla difesa del Ministero. Per gli artigiani alimentari come rosticcerie, pizzerie al taglio, pasticcieri, gelatai e così via – categoria esclusa dal d.lgs n.114/1998 ex art.4 c.2 lett. f) - la legge n.443/ 1985 (art. 5, comma 7), abilitava le relative imprese, ove iscritte all’albo di cui al comma 1, alla “ …vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio

L’art.4 c.2 bis della legge n.248 del 2006 (di conversione del d.l. n.223/06) ha poi consentito anche ai panifici “ l'attività di vendita dei prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ”;
pertanto, in base alla norma così introdotta, i panificatori (cui in precedenza non era consentito il consumo sul posto che era permesso solo agli esercizi di vicinato autorizzati alla vendita dei prodotti di cui all'art.4 l.n.77 del 1997) possono esercitare il consumo sul posto dei soli prodotti di propria produzione (e dunque non della gastronomia come tipologia merceologica più ampia), avvalendosi dei locali e degli arredi dell’azienda (secondo la indicazione normativa che lascia impregiudicato, come si vedrà, il tema della natura degli arredi).

Si tratta di fattispecie per le quali – anteriormente - nessuna norma abilitava il consumo sul posto;
e difatti l’art.7 cit. lo consentiva solo ai titolari di esercizi di vicinato alimentare, mentre il successivo art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n.223 del 2006 lo ha introdotto ai titolari di esercizi di vicinato alimentare per i soli prodotti di gastronomia e non anche per i prodotti di propria produzione (concetto innovativo introdotto per la prima volta, come ricordato, solo per i panifici e non anche per altri esercenti).

E’ stato quindi in via interpretativa, che il Ministero dello Sviluppo Economico chiariva - in una circolare del 2011 - che i gestori attività artigianali come rosticcerie, gastronomie, pizze al trancio e così via, sono facoltizzate al consumo sul posto di tali prodotti non ai sensi dell’art.3, comma 1, lett. f) bis del DL 223/2006, ma ai sensi dell’art.4 c.2 bis della legge n.248 del 2006, ovvero la disposizione relativa ai panifici (con la conseguenza che i produttori di pizza al taglio devono dotarsi di una Scia di panificatore). Il limite rimaneva efficace per le attività artigianali che non richiedono l’uso del forno (kebab, yogurterie, friggitorie e simili) che possono solo vendere i prodotti di loro produzione ma cui non è consentito, in alcun modo, (né la somministrazione né) il consumo sul posto.

IV) Intanto, una volta intervenuta la novella di cui all’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n.223 del 2006, convertito con modificazioni dalla L.n. 248 del 2006, sono sorte, nella prassi amministrativa due distinte linee ermeneutiche, da parte, rispettivamente, del MISE e dell’Autorità garante della concorrenza, in ordine alle quali si riferisce nelle circolari depositate in giudizio dal MISE stesso.

La nuova norma sancisce che “ le attività commerciali, come individuate dal dlgs. 114/98 e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni….f)bis il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ” ) così introducendo, da un lato, il richiamo espresso “all'utilizzo dei locali e degli arredi dell'azienda” ed eliminando, dall’altro il riferimento alle attrezzature finalizzate alla somministrazione (che compariva nel decreto n.114/1998).

Rimaneva così invariato il solo riferimento all'esclusione del servizio assistito di somministrazione.

IV.1) Il MISE forniva una prima indicazione applicativa, conservando di fatto il riferimento agli arredi che, precisava, non dovrebbero coincidere con quelli in uso presso i locali della somministrazione, nella specie, tavoli e sedie.

Invero, dapprima con la Circ. 28.9.2006 n.3603/C (seguita da altri interventi analoghi, come il Parere 17 maggio 2012, n. 116136;
Parere 8 novembre 2012, n. 230696), escludeva la possibilità di ricorrere a modalità analoghe a quelle consentite negli esercizi di somministrazione;
con la Ris. 08.5.2013 n.75893 il Ministero si orientava a ritenere che negli esercizi in questione sia esclusa "la possibilità di contemporanea presenza di tavoli e sedie associati o associabili, fatta salva solo la necessità di un'interpretazione ragionevole di tale vincolo, che non consente di escludere, ad esempio, la presenza di un limitato numero di panchine o altre sedute non abbinabili ad eventuali piani di appoggio". Successivamente, al fine di escludere una possibile coincidenza tra arredi funzionali alla somministrazione e arredi per la vendita, la Risoluzione MISE n. 146342 del 19 agosto 2014 sottolineava che l'elemento di distinzione tra l'attività di somministrazione e quella di vendita va ricercata nella presenza di un'attrezzatura in grado di consentire che gli alimenti e bevande acquistati possano essere consumati dagli acquirenti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico "all'uopo attrezzati", richiamando così – ancora una volta - la definizione contenuta nella L.n. 287 del 1991. Con Ris. N.86321 del 9 giugno 2015 (avente ad oggetto un quesito in materia di consumo sul posto per le imprese artigiane), il MISE sottolineava che sulla base dell'interpretazione fornita nel 2013 la consumazione seduti al tavolo, anche con modalità self service , è tipica di bar e ristoranti;
i piani e le sedute richiamati nella citata Risoluzione del 2013 "devono intendersi non abbinabili (…) nel senso che l'utilizzo congiunto della seduta e del piano d'appoggio non deve risultare normalmente possibile (ad esempio, per le diverse altezze dei medesimi) in modo che sia consentito ai fruitori il consumo degli alimenti e delle bevande da seduti (ma non al tavolo) ovvero appoggiando i prodotti su un piano (ma senza poterlo utilizzare da seduti)".

IV.2) L'Autorità per la concorrenza (che già con la Segnalazione AS900 del 4 gennaio 2012, riteneva anticoncorrenziale la regolamentazione adottata da un Comune che vietava l'uso di sedie e tavoli per il consumo sul posto nei negozi) con la Segnalazione AS1316 del 27 ottobre 2016, ponendosi in senso critico rispetto alla posizione del MISE (in quanto la distinzione tra somministrazione di alimenti e bevande e vendita in base alle modalità di consumo dell'offerta, e cioè in termini di attrezzatura utilizzabile per consentire il consumo sul posto, non sarebbe sorretta da ragioni oggettive, e si porrebbe in un contesto di discriminazione anticoncorrenziale tra operatori, peraltro in contrasto con il quadro normativo in tema di liberalizzazioni delle attività economiche essendo in grado di limitare ingiustificatamente le possibilità di scelta del consumatore, anche alla luce delle più recenti evoluzioni delle abitudini di acquisto), individuava come punto centrale della questione, ai fini dell'individuazione del criterio-guida per distinguere la somministrazione di alimenti e bevande dalla vendita con consumo sul posto, solamente a presenza o meno del servizio assistito.

IV.3) Nel descritto quadro normativo e di prassi, si inquadra il particolare contesto ordinamentale di Roma Capitale, nel quale la disciplina del commercio si arricchisce di previsioni specifiche dettate dalla peculiarità del centro urbano (che comprendono specifiche limitazioni per gli esercizi di somministrazione e che quindi rendono di particolare rilievo la necessità di tenere ben distinte le fattispecie della diversa tipologia di esercizi di gastronomia con facoltà di consumo sul posto, a pena di intuibili elusioni della più rigorosa disciplina della somministrazione) in relazione al quale Roma Capitale ha adottato specifici criteri-guida (vedasi la circolare di Roma Capitale nr. 5810 del 3 agosto 2011, che elenca una serie di prescrizioni volte a discriminare il servizio di vendita dei prodotti di gastronomia con facoltà di consumo sul posto dagli esercizi veri e propri di ristorazione, precisando, ad esempio, che la vendita dei prodotti di gastronomia deve avvenire a peso o per unità di misura senza introduzione di costi aggiuntivi, anche nel caso in cui i prodotti vengano consumati sul posto o che gli esercizi in questione non attendano ad operazioni anche elementari di cottura e preparazione dei pasti cfr. TAR Roma, II ter, sent. nr.2147/2018)

V) La giurisprudenza della Sezione si è orientata ad una valutazione caso per caso delle singole fattispecie.

In particolare, con la sentenza nr. 100 del 5 gennaio 2016, la Sezione ha tracciato una ricostruzione approfondita degli elementi e dei criteri di distinzione tra la somministrazione e la vendita di alimenti con possibilità di consumo sul posto, soffermandosi analiticamente sui presupposti normativi che si sono dapprima richiamati, sulla base dei quali è stata condivisa, in sostanza, la metodologia che si rinviene nelle indicazioni del MISE.

In questa direzione, ad esempio, è stato ritenuto sintomatico di una somministrazione assistita un contesto nel quale la disposizione delle sedute e dei tavoli (che occupavano l’intera superficie del locale) si presentava munita di apparecchiature per il consumo dei pasti con stoviglie e sottopiatti (TAR Roma, II ter, 27 febbraio 2018, nr. 2147/2018);
la presenza di un rilevante numero di tavoli e sedie apparecchiati con stoviglie lavabili e menù che pubblicizzavano prodotti al piatto con carta dei vini per la somministrazione (TAR Roma, II ter, 19 aprile 2017, nr. 4694);
la presenza di una macchina per il caffè, un erogatore di birra alla spina, tavoli e sedie (TAR Roma, II ter, 5 gennaio 2016, nr. 100);
un contesto connotato da un banco-bar attrezzato con relativo addetto, arredi funzionali alla somministrazione distribuiti sull’intera superficie utile del locale;
modalità di offerta/esposizione delle bottiglie di alcolici, analcolici, superalcolici;
uso di bottiglie con appositi dosatori a beccuccio per il tipo di mescita a banco;
esposizione prezzi cocktails e prodotti da bar in genere;
modalità di consumo delle bevande da parte degli avventori mediante banco lungo con sgabelli (TAR Roma, II ter, 30 luglio 2014, nr. 8389).

VI) Ad avviso del Collegio, salvo quanto sarà oltre indicato in ordine alla nuova disciplina regolamentare introdotta con il regolamento del 3.5.2018, tale impostazione deve essere confermata.

Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. fbis) del DL 223/2006, il consumo immediato di prodotti da asporto all’interno di esercizi abilitati, si distingue dalla ristorazione (e dunque non è soggetto ai relativi presupposti e requisiti abilitanti) secondo un criterio sostanziale di accessorietà rispetto alla vendita da asporto, che deve mantenere un carattere prevalente e funzionale;
in questo senso, l’assenza di servizio assistito, che la norma prefigura quale parametro di riferimento per la identificazione della fattispecie, va intesa come criterio “funzionale”, che rinvia ad un concreto assetto dell’organizzazione dell’offerta – quindi da accertarsi caso per caso – rivolto a mantenere il consumo sul posto come una semplice facoltà della clientela;
ben lungi da potersi esaurire nella semplice presenza o assenza di camerieri, è nozione rivolta a consentire la più ampia qualificazione della organizzazione dell’impresa, includendovi tutto quello che è necessario al consumo tipico della somministrazione ordinaria, quindi sia il personale sia le attrezzature, sia soprattutto, le concrete dinamiche ed interrelazioni tra le componenti oggettive del locale (inclusi quindi gli arredi, nonché le modalità di presentazione ed offerta dei prodotti).

Si tratta dunque di una indagine che attiene al piano sostanziale dell’assetto di interessi, caratterizzato da una indubbia adattabilità, innovatività e duttilità delle scelte organizzative dell’imprenditore, che seguono logiche di mercato in rapida evoluzione e fortemente mutevoli;
con la conseguenza di ritenere che la norma tiene conto che i connotati tipici della somministrazione devono poter essere rilevabili e riscontrabili sulla base di una tipologia “aperta” che compari contestualmente tutte le caratteristiche tipologiche dell’organizzazione del locale.

VI) Tenendo presenti i principi sin qui indicati, si osserva adesso che dal provvedimento impugnato risulta che con Rapporto Amministrativo prot. VA/18/79171 del 31/05/2018, acquisito da questo Municipio con prot. CA/103383/18, la U.O. I Gruppo Centro di Polizia Locale di Roma Capitale, a seguito di sopralluogo effettuato in data 11/04/2018 presso il locale di Via dei Serpenti 1, ha accertato che il sig. Tesciuba Alessio p.c. della società Daruma Centro Srl “…. titolare di esercizio di laboratorio di gastronomia e vicinato alimentare, di fatto ha attivato un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande privo di prescritta autorizzazione amministrativa e/o SCIA. All’atto del sopralluogo si nota che oltre la metà del locale è ingombra di piani di appoggio con sedute abbinabili, sono comunque presenti arredi e relative modalità di utilizzo che consentono la consumazione come seduti al tavolo con caratteristiche di richiamo quantitativo della clientela e permanenza nel luogo di consumo. Si nota altresì l’assenza di bilancia e l’indicazione dei prezzi di vendita non per unità di misura …..”

Caratteristica dell’odierna fattispecie è dunque la compresenza, oltre che di arredi idonei di per sé a consentire la somministrazione assistita (non ostando in contrario la caratteristica dell’altezza maggiore dei tavoli e delle sedie, essendo questa una caratteristica meramente di stile) anche della indicazione dell’offerta in modalità non compatibile con la vendita da asporto (che presuppone la pesatura delle porzioni e quindi la bilancia e la indicazione dei prezzi per peso).

Non irragionevolmente, dunque, l’Amministrazione ha tratto il convincimento che l’offerta del servizio è orientata ad un consumo sul posto con modalità similari o coincidenti con la somministrazione assistita.

Le censure procedimentali, attesa la natura vincolata del provvedimento, una volta accertata senza incongruenze la dimensione organizzativa del locale nei termini che si sono descritti, sono insufficienti a fondare l’accoglimento del gravame.

Ritiene solo di dover precisare il Collegio, ancora una volta in coerenza con i precedenti della Sezione (TAR Roma, IIter 4695/2017 cit.), che dal momento che il provvedimento impugnato ordina la cessazione dell’attività abusivamente intrapresa (di somministrazione senza titolo), esso lascia inalterata la possibilità per la ricorrente di continuare ad esercitare quella regolarmente assentita, ovvero l’attività di gastronomia, che dunque, previa rimozione degli arredi utilizzati e rinvenuti dalla polizia locale ed adeguamento delle modalità di vendita (nonché salva l’applicazione del nuovo regolamento di Roma Capitale oltre esaminato).

VII) Deve adesso esaminarsi l’ulteriore argomento di censura, secondo il quale il regolamento di Roma Capitale del 3 maggio 2018 introduce, a sua volta, un criterio di nuova concezione (ovvero la destinazione di una quota definita della superficie del locale) che comprende una fase transitoria rivolta agli esercizi commerciali per il relativo adeguamento.

Secondo parte ricorrente (prendendo così in esame la terza censura di gravame) entro tale termine non sarebbe possibile sanzionare l’impresa per l’inosservanza del divieto di somministrazione, in quanto la possibilità di adeguamento recherebbe in sé la necessaria tolleranza dell’attività in difformità, a pena di un contrasto logico. Contrasto che, invece, il Collegio esclude perché la fase di adeguamento di cui si tratta postula una facoltà di modificazione dell’esercizio legittimamente condotto nelle modalità previste dal regolamento;
ma non comporta in alcun modo una sanatoria di attività irregolari o non corrispondenti al quadro normativo antevigente.

Ne deriva che possono usufruire della normativa di adeguamento solo quegli esercizi che, o non consentono il consumo sul posto ed intendono dotarsi di tale utilità aggiuntiva, oppure lo consentono nei limiti normativi previgenti (e quindi senza prevalenza rispetto all’attività economicamente principale) e intendono proseguire, adeguando il locale ai nuovi criteri.

Conclusivamente, nessuna delle censure dedotte con l’odierno ricorso può trovare accoglimento, con la conseguenza che il gravame è infondato e va respinto.

Attesa la sussistenza di difformi criteri interpretativi provenienti da Autorità centrali, sussistono giuste ragioni per disporre la piena compensazione delle spese di lite tra le parti.

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