TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-11-13, n. 202316884

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-11-13, n. 202316884
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202316884
Data del deposito : 13 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/11/2023

N. 16884/2023 REG.PROV.COLL.

N. 15051/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15051 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S A T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la segreteria dell’intestato tribunale in Roma, via Flaminia n. 189;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento K10/-OMISSIS- emesso dal Ministero dell’Interno in data 21 settembre 2018, notificato il 23 ottobre 2018, con cui è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91, presentata dall’odierno ricorrente in data 20 gennaio 2015;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 27 ottobre 2023 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento K10/-OMISSIS- del 21 settembre 2018, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91, presentata dall’odierno ricorrente in data 20 gennaio 2015, risultando a suo carico i seguenti carichi penali:

a) decreto penale di condanna emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Verona in data 5 maggio 2020, divenuto esecutivo il 29 luglio 2000 per il reato per i reati di cui agli artt. 469, 62bis, 175 e 163 c.p. (contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione);

b) notizia di reato del 3 settembre 2015 per violazione dell’art. 625 c.p. (furto aggravato);

c) notizia di reato del 16 gennaio 2015 per violazione degli artt. 340 e 651 c.p. (interruzione di pubblico servizio, rifiuto di indicazioni sulla propria identità).

Avverso il provvedimento gravato si eccepiscono i vizi di violazione di legge, eccesso di potere, carenza d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione e dei presupposti per il rigetto della cittadinanza, nonché violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, dovendo ritenersi irragionevole un giudizio di “ mancato idoneo inserimento nella comunità nazionale” sulla sola base della risultanza di una singola condanna nel casellario penale, risultando le notizie di reato per furto aggravato ed interruzione di pubblico servizio e rifiuto di indicazioni sulla propria identità, rispettivamente archiviate con ordinanza del 16 maggio 2016 (per mancanza di dolo) e con ordinanza del 29 marzo 2018 (per tenuità della condotta).

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego gravato.

Con ordinanza cautelare n. 268 del 16 gennaio 2019, il Collegio ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, non ravvisandosi, nell’immediato, un pregiudizio grave e irreparabile agli interessi della parte ricorrente, ben potendo comunque la stessa, nelle more della decisione di merito sul presente ricorso, continuare a permanere sul territorio nazionale.

Con memoria in data 27 giugno 2019, il ricorrente ha depositato l’ordinanza di riabilitazione concessagli dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia in data 21 marzo 2019, per il reato di cui al decreto penale del 5 maggio 2020 (contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione).

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 27 ottobre 2023 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova in via preliminare osservare, alla luce della giurisprudenza in materia di cittadinanza, come di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., sez. IV n. 6473/2021;
sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
T.A.R. Lazio, sez. I ter, n. 3226/2021;
sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierno ricorrente, alla luce dei precedenti penali per contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione (cfr. decreto penale del 5 maggio 2020), interruzione di pubblico servizio e rifiuto di indicazioni sull’identità personale (cfr. notizia di reato del 16 gennaio 2015), che manifestano particolare disvalore rispetto ai principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato.

Tali condotte criminose non possono dunque non assumere rilevanza ai fini dell’espressione di un giudizio complessivo sotto il profilo della significatività della personalità dell’autore, anche perché ricadenti nel c.d. “periodo di osservazione”, ovvero il decennio antecedente la domanda (che nel caso in esame è stata presentata nel 2015) in cui devono essere maturati i requisiti per la concessione dello status , compreso quello dell’irreprensibilità della condotta.

Tra l’altro i comportamenti contestati costituiscono anche reati c.d. d’indole” da valutarsi non atomisticamente, bensì nel loro rapporto specifico a fini dell’espressione di un giudizio globale (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez V bis, n. 3527 e 8127/2022) ed in tale prospettiva, appaiono rilevanti, sotto il profilo della significatività della personalità dell’autore, in quanto “indici” di tendenze del carattere dell’aspirante cittadino (Cons. St., sez III, nn. 1726/19, 5271/19, 7122/19, 4122/2021).

Deve inoltre evidenziarsi, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis , di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” ( ex multis , T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Alla luce di siffatta osservazione – che si fonda sul noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] – non potrebbe neppure valere l’osservazione del ricorrente in ordine all’intervenuta estinzione del reato per il quale è stato condannato, disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia con ordinanza del 21 marzo 2019, rimanendo il comportamento dell’istante comunque valutabile quale fatto storico indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana (da ultimo, cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis , 13910/2022).

Vale inoltre osservare che nel caso di specie la riabilitazione concessa è successiva all’emanazione del diniego impugnato, sicché l’Amministrazione non avrebbe potuto comunque valutarla in favore del ricorrente.

In ultima analisi, considerato che il provvedimento di concessione della cittadinanza rappresenta un atto eminentemente discrezionale di “alta amministrazione” suscettibile di essere sindacato solo nei ristretti ambiti del controllo di legittimità – escluso ogni sindacato sostitutivo - ritiene il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione sia esente da vizi di illogicità, irragionevolezza e difetto di motivazione.

Conferma del resto le suesposte conclusioni, anche la dichiarazione non veritiera fatta dal ricorrente in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana in ordine alla sussistenza del succitato precedente, la quale è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo indicativa di una non compiuta integrazione e conoscenza dei principi che informano anche il procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 31/08/2020 n. 9289;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475 3621 del 2022 e seguenti).

Ciò che rileva, infatti, non è l’astratta riconducibilità del rilevato mendacio dichiarativo alla conseguente fattispecie penale quanto, ancora una volta, la condotta considerata nella sua effettiva consistenza storico-fattuale, ai fini della complessiva valutazione demandata all’amministrazione procedente.

In proposito, il Collegio rammenta che quello disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000 n. 445 è uno dei sistemi cardine del funzionamento della macchina amministrativa italiana i cui principi, e le sottostanti sanzioni, ben devono essere compresi, conosciuti ed accettati dal soggetto che richiede di far parte della comunità nazionale, con l’ovvia conseguenza che la relativa violazione da parte del richiedente ben può concorrere, in senso ostativo, alla formazione del complessivo giudizio demandato al ministero dell’autorità procedente.

Sotto altro profilo, occorre evidenziare come neanche l’integrazione della ricorrente nel tessuto sociale italiano, testimoniata dall’attività lavorativa, assurge a elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno il constatato motivo ostativo alla concessione dello status di cittadino, visto che lo stabile inserimento è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda infatti su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

D’altronde, la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza, già a distanza di un anno dall’emanazione del provvedimento di diniego, che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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