TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-09-18, n. 202313815

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-09-18, n. 202313815
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202313815
Data del deposito : 18 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/09/2023

N. 13815/2023 REG.PROV.COLL.

N. 11436/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11436 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato O M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via de' Rondinelli n. 2;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Firenze, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del decreto prot. n. -OMISSIS- della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Firenze con il quale il Prefetto ha dichiarato l'inammissibilità della domanda di concessione della cittadinanza italiana per mancanza del requisito del mantenimento della residenza legale in Italia;

- della nota prot. n. -OMISSIS- del 16 aprile 2021 di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda;

- di tutti gli atti ad essi presupposti, consequenziali e connessi, ancorché sconosciuti al ricorrente;

nonché, per quanto occorrer possa,

per l'annullamento e/o la disapplicazione

- dell'art. 1, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 572/1993.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2023 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- In data 9.4.2021 il ricorrente ha presentato istanza per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

La Prefettura di Firenze, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10- bis Legge n. 241/1990, con decreto n. -OMISSIS- del 30.04.2021 ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza dell’interessato per la ritenuta carenza del requisito della residenza legale continuativa alla stregua delle “ verifiche anagrafiche effettuate presso il Comune di Firenze ”, all’esito delle quali sarebbe emerso che il richiedente “ risultava cancellato per irreperibilità il 20.11.2018 e reiscritto nel medesimo Comune il 20.11.2019 ”.

L’odierno ricorrente ha, quindi, impugnato il predetto decreto di inammissibilità nonché, per quanto occorrer possa, il d.P.R. n. 572/1993 (recante il Regolamento di esecuzione della legge n. 91/1992), laddove all’art. 1, comma 2, lett. a), prevede che “ si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica ”, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di diritto:

I. “ Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91/1992 e 1, comma 2, lett. a) del D.P.R. n. 572/1993. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, e disparità di trattamento. Insufficienza di motivazione. Illogicità ed ingiustizia manifeste ”, lamentando un’errata applicazione della menzionata normativa di rango primario e secondario, in quanto ai fini della presentazione della domanda di cittadinanza sarebbe richiesto soltanto il possesso di un periodo almeno decennale di residenza nel nostro Paese, da dimostrare mediante la produzione di certificati anagrafici, mentre non assumerebbe alcuna rilevanza l’eventuale esistenza di periodi interruttivi della residenza. Deduce, peraltro, che la cancellazione anagrafica sia imputabile ad una mera dimenticanza, avendo egli omesso di comunicare all’ufficio dell’anagrafe la modifica del suo indirizzo di residenza, da via de’ Pepi n. 61 a via dell’Oriuolo n. 14, sempre nel Comune di Firenze;
in ogni caso, alla luce della ulteriore documentazione prodotta nel procedimento, quale il contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato in data 2.4.2019 e le relative buste paga nonché la documentazione bancaria, si potrebbe comunque desumere con certezza la continuità della sua residenza effettiva, avendo dimorato abitualmente nel territorio nazionale senza soluzione di continuità. A sostegno dei propri assunti difensivi richiama, altresì, la circolare ministeriale n. 22/2007, la quale stabilisce – seppure con riferimento ai minori stranieri nati in Italia – che la residenza effettiva, se dimostrata, debba prevalere sull’iscrizione anagrafica, nonché il conforme principio statuito dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I, 17 maggio 2017 n. 12380, parimenti in relazione alla cittadinanza concessa allo straniero minorenne a norma dell’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992. In subordine, laddove si dovesse ritenere la lettera dell’art. 1, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 572/1993 ostativa all’interpretazione sostanzialistica della nozione di residenza legale, e quindi all’accoglimento del ricorso, il ricorrente chiede che venga annullato e/o disapplicato in parte qua il predetto regolamento per violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992.

II. “ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e sproporzionalità. Travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Disparità di trattamento ed insufficienza di motivazione. Ingiustizia manifesta ”, in quanto sarebbe manifestamente illogico e ingiusto che l’interruzione del periodo di residenza, anche solo per un breve periodo, determini l’azzeramento di tutto il periodo pregresso, di modo che il richiedente sarebbe costretto a maturare un nuovo periodo decennale di residenza ininterrotta ai fini della dimostrazione del requisito. Si sostiene, in altri termini, l’irragionevolezza dell’interpretazione della norma regolamentare nella parte in cui non consente che la continuità anagrafica subisca anche solo una breve interruzione, o comunque un’interruzione scarsamente significativa rispetto alla durata complessiva della residenza legale, la quale potrebbe, ad esempio, risultare ben maggiore anche dei già lunghi dieci anni richiesti dalla norma. Lamenta, sotto altro profilo, una disparità di trattamento rispetto alla fattispecie dell’art. 4, comma 2, che ha riguardo allo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, laddove in tal caso il Ministero dell’Interno, con la menzionata circolare n. 22/2007, fa ricorso ad una nozione di residenza effettiva e non già anagrafica, consentendo pertanto anche assenze temporanee dal territorio nazionale.

III. “ Incostituzionalità dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91/1992, per violazione degli artt. 3 (dal punto di vista della ragionevolezza) e 97 (sotto il profilo della parità di trattamento) Cost. Irragionevolezza e irrazionalità. Sproporzionalità ”, in quanto l’Amministrazione dovrebbe consentire allo straniero, la cui residenza è stata interrotta, di provare – anche mediante la produzione documentale di provenienza e data certa – l’effettiva permanenza sul territorio nazionale, superando in tal modo l’assolutismo dell’iscrizione anagrafica. Lamenta, inoltre, l’incostituzionalità della norma primaria per manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto alla fattispecie dello straniero nato in Italia di cui all’art. 4, comma 2, legge n. 91/1992, rispetto al quale è recentemente intervenuto il legislatore che, con l’art. 33 del D.L. n. 69 del 2013, conv. con modif. dalla L. n. 98 del 2013, ha previsto che “ ai fini di cui all'articolo 4, comma 2, della L. 5 febbraio 1992, n. 91, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione ”, di modo che, in tal caso, l’Amministrazione è obbligata a tener conto di qualsiasi documentazione che dimostri univocamente – anche in alternativa ai certificati anagrafici – la permanenza continuativa in Italia del richiedente la cittadinanza.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata per resistere al ricorso, depositando altresì, in ottemperanza all’ordinanza collegiale istruttoria n. 5625 del 3.4.2023, la relazione della Prefettura di Firenze, nella quale si solleva, tra l’altro, eccezione di difetto di competenza territoriale del Tribunale amministrativo adito.

In vista della trattazione del merito il ricorrente ha depositato, in data 27.04.2023, una memoria difensiva corredata di ulteriori documenti. Ha contestato, in particolare, la fondatezza dell’eccezione di incompetenza, rilevando che oggetto di impugnazione è anche un atto avente efficacia ultraregionale quale il d.P.R. n. 572/1993. Nel merito, ha ribadito le censure già articolate nel ricorso introduttivo, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate.

Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2023 la causa, pertanto, è stata trattenuta per la decisione.

2.- Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall’Amministrazione resistente.

Invero, il Collegio osserva che l’oggetto del ricorso impugnatorio in scrutinio è costituito, oltre che dal decreto di inammissibilità dell’istanza di cittadinanza, anche da un atto normativo quale il d.P.R. n. 572/1993, con conseguente applicazione del disposto dell’art. 13, comma 4- bis, c.p.a., secondo cui “ La competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae a sé anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento tranne che si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza ”.

Al riguardo, anche alla luce di quanto chiarito dalla recente giurisprudenza amministrativa, si ritiene che “ in ipotesi di impugnazione di atti generali o normativi, insieme agli atti applicativi o conseguenziali, la competenza territoriale per l'intera controversia va attribuita al giudice cui spetta la cognizione dell'atto generale o normativo ” (Consiglio di Stato sez. III, 25/10/2017, n.4930).

Ne deriva, allora, che, essendo stato impugnato anche un atto normativo, ad efficacia ultraregionale, estesa all'intero territorio nazionale, la competenza territoriale appartenga all’adito TAR per il Lazio, in applicazione della previsione dell'art. 13, comma 3, c.p.a.

3.- Nel merito, i tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente poiché intimamente connessi, sono infondati per le ragioni che seguono.

3.1- Si rende necessario premettere che il requisito della residenza almeno decennale nel territorio della Repubblica italiana costituisce un presupposto indefettibile per la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, non solo sulla base della chiara formulazione letterale delle disposizioni che lo prevedono, ma anche alla luce della ratio delle relative prescrizioni.

Invero, dal tenore testuale del menzionato art. 9 lett. f) della legge n. 91/1992, laddove prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa allo straniero che risieda legalmente (non per dieci anni, bensì) “ da almeno ” dieci anni nel territorio della Repubblica, va inteso nel senso che « la parola "almeno" evidenzia che la disposizione primaria qualifica il decennio della residenza in Italia non come requisito per la proposizione della domanda, con irrilevanza di ciò che avviene dopo di essa, ma come necessario requisito di fatto che deve perdurare pur dopo la maturazione del decennio, sino al momento del giuramento » (Consiglio di Stato, sez. III, 19/04/2022, n. 2902). Del resto, l’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 572/1993 (“ Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”) stabilisce espressamente che le condizioni previste per la proposizione dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana per residenza di cui all'art. 9 della legge n. 91/1992 devono permanere sino alla prestazione del giuramento” .

In questo quadro, la Sezione ha di recente ricordato (T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2914/2022) come tale requisito sia necessario in quanto rilevante “criterio di collegamento” che costituisce la “causa” dell’attribuzione del particolare status allo straniero che si trovi in un Paese diverso dallo Stato di appartenenza, evidenziando come la “durata” della permanenza sul suolo nazionale assuma una particolare rilevanza, nel procedimento del riconoscimento dello status di lungosoggiornante, ai sensi dell’art. 9 TUI, che è finalizzato a “stabilizzare” la presenza in Italia dello straniero, sottraendolo a quello stato di incertezza di dover ripetutamente chiedere e ottenere ogni volta il rinnovo del titolo autorizzatorio cui è soggetto lo straniero in possesso di mero permesso di soggiorno.

La “durata” della permanenza sul suolo nazionale assume, a maggior ragione, rilevanza anche nel procedimento di concessione della cittadinanza italiana in quanto è indicativo di quel “legame con il territorio del Paese ospitante”, divenuto “centro delle proprie relazioni”, che costituisce “il presupposto e la ragione della naturalizzazione” (cfr. Cons. St., n. 6143/2011).

In tale prospettiva e tenendo conto della ratio della normativa in materia, va distinta la posizione di chi può vantare una posizione di soggiornante di “mero fatto” (straniero privo di permesso di soggiorno), in cui la durata della permanenza in Italia resta nell’ambito del giuridicamente irrilevante, da chi, pur partendo da un’analoga situazione di fatto, abbia poi conseguito il “riconoscimento”, da parte dell’ordinamento giuridico, della medesima circostanza (del soggiorno “di fatto” protratto per una determinata durata), quale condizione legittimante per chiedere ed ottenere un “titolo”.

Tale ratio va tenuta in considerazione nell’interpretazione ed applicazione della normativa in materia, incluse quelle disposizioni dettate dal regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 572/93) che prescrive i requisiti della “continuità” (Consiglio di Stato, sez. I, parere 22.2.1995 n. 2800 e 1.3.1995 n. 363, nonchè TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 08/05/2020, n. 4843, secondo cui « le disposizioni succitate non esigono la mera presenza in Italia dello straniero, ma la “residenza legale ultradecennale”, ossia il mantenimento di un’ininterrotta situazione fattuale di residenza accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe ») e – per quel che qui maggiormente rileva - della “legalità”, atteso che l’art. 1, comma 2, lett. a) del menzionato d.P.R. n. 572/93 dispone che “ si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica ”.

Dalle coordinate che precedono emerge che, ai fini della concessione della cittadinanza, non assume rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul nostro territorio in posizione di mera “residenza abituale”, ma solo quello in “posizione di legalità” nel senso sopra delineato, in quanto “ indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino ” (Consiglio di Stato, sez. I, parere 30.11.92 n. 2482).

Ne consegue che, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, proprio perché il presupposto della residenza legale va accertato in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe, l'interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica, atteso che la legge demanda ai registri anagrafici l'accertamento della popolazione residente e coerentemente l'art. 1, d.P.R. n. 362 del 1994 e l'art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 impongono che la prova della residenza sia fornita solo con riferimento alle risultanze dei registri dell'anagrafe dei residenti, non essendo consentito che, in presenza di una precisa definizione della nozione di residenza legale ai sensi della disposizione regolamentare innanzi richiamata, tale elemento possa essere surrogato con indizi di carattere presuntivo od elementi sintomatici indiretti (Consiglio di Stato sez. III, 22/11/2011, n.6143;
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 30/04/2019, n.186;
T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 14/01/2022, n.3).

Né può giovare, a sostegno degli assunti difensivi del ricorrente, il richiamo da questi operato alla circolare ministeriale del 05.01.2007, la quale, sebbene disponga, da un lato, che in ragione delle mutate condizioni di vita dell'era contemporanea non dovranno essere ritenute pregiudizievoli ai fini della concessione dello status civitatis eventuali assenze temporanee dello straniero dal territorio nazionale, dall’altro lato ribadisce espressamente che l'aspirante cittadino deve aver " comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale (iscrizione anagrafica presso il Comune e titolo di soggiorno valido per l’intero arco temporale )”, il che conferma, in armonia con il dato normativo sopra indicato, che “ l'iscrizione anagrafica ininterrotta rappresenta un requisito ineludibile ai fini della richiesta di concessione della cittadinanza ” (cfr. Consiglio di Stato n. 6143/2011 cit.).

3.2- Nel contesto normativo – di rango primario e secondario - innanzi descritto si ritiene che il gravato decreto di inammissibilità sia immune anche dall’asserito vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto alla diversa fattispecie prevista dall’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992, riguardante la cittadinanza richiesta dai minori stranieri nati in Italia, che così dispone testualmente: “ Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data ”.

Il ricorrente lamenta, in particolare, che in tal caso è stata prevista la possibilità di fare riferimento alla nozione di “residenza effettiva”, atteso che, dapprima con la menzionata circolare ministeriale del 05.01.2007 e, successivamente, con l’entrata in vigore dell’art. 33 del D.L. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 98 del 2013, si è stabilito – recependo l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto – che “ ai fini di cui all'articolo 4, comma 2, della L. 5 febbraio 1992, n. 91, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione ”, di modo che, nella fattispecie, l’Amministrazione procedente sarebbe obbligata a tener conto di qualsiasi documentazione che dimostri univocamente – anche in alternativa ai certificati anagrafici – la permanenza continuativa in Italia del minore straniero nato in Italia che dichiari di voler acquistare la cittadinanza italiana.

Ebbene, ritiene il Collegio che il menzionato art. 33 del DL n. 69/2013 abbia evidentemente natura di norma speciale ed eccezionale, come tale di stretta interpretazione ed insuscettibile di applicazione analogica, anche tenuto conto della particolare ratio sottesa a tale previsione, volta a semplificare l’onere probatorio nei confronti del “ minore straniero nato in Italia ”, dunque di una speciale categoria di stranieri che, per un verso, si appalesa “più debole” – in quanto minore d’età - e dunque meritevole di una maggior tutela e che, per altro verso, presenta un “legame genetico” con il Paese cui aspira a divenire cittadino, a differenza dello straniero giunto in Italia dopo la nascita, come nel caso in esame.

Del resto, mentre la descritta disciplina speciale è stata introdotta al dichiarato fine di evitare che “ eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione” possano ridondare in danno del minore straniero nato in Italia, nella vicenda in scrutinio è pacifico che la mancata iscrizione anagrafica sia il frutto solo ed esclusivamente di una negligenza del richiedente la cittadinanza, come ammesso dallo stesso ricorrente nel proprio ricorso introduttivo, nel quale si afferma che “ per una mera dimenticanza, non ha comunicato all’ufficio anagrafe la modifica del suo nuovo indirizzo di residenza ”.

In definitiva, deve ritenersi che l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina eccezionale di cui all’art. 33 del DL n. 69/2013 sia circoscritto ai soli minori stranieri nati in Italia, e ciò alla stregua di una precisa scelta del legislatore che appare ragionevole e legittima in virtù delle argomentazioni sopra esposte.

4.- Infine, acclarato che anche l’impugnata disposizione regolamentare di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) del d.P.R. n. 572/93 – laddove dispone che si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo anche soddisfatto le condizioni e gli adempimenti “ in materia d’iscrizione anagrafica ” – sia conforme al dettato normativo di cui all’art. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91/1992, occorre esaminare la censura di incostituzionalità di tale norma primaria per asserito contrasto, innanzitutto, con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e della sproporzionalità.

4.1- In particolare, il ricorrente assume, sotto questo profilo, che l’Amministrazione dovrebbe comunque consentire allo straniero, la cui residenza è stata interrotta, di provare – anche mediante produzioni documentali alternative di provenienza e data certa – l’effettiva permanenza sul territorio nazionale, “ superando in tal modo l’assolutismo dell’iscrizione anagrafica ”.

La questione sollevata appare manifestamente infondata.

Invero, quanto alla legittimità della scelta di far coincidere la nozione di residenza legale con quella di residenza anagrafica ai fini della concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione di che trattasi, occorre in primo luogo rammentare, per un verso, che il d.P.R. 223/89 – recante il regolamento anagrafico della popolazione residente – statuisce all’art. 7 comma 3 che “Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo (…)” e, per altro verso, che l’art. 6, comma 7, del d. lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), dispone che “ le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione ”.

Ed ancora, il regolamento di attuazione del testo unico sull'immigrazione (d.P.R. n. 394 del 1999) prevede, all'art. 15, comma 1, che le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate nei casi e secondo i criteri previsti dalla L. n. 1228 del 1954 e dal già menzionato regolamento anagrafico della popolazione residente.

Dalle disposizioni normative che precedono deriva che l'iscrizione all'anagrafe – e la necessaria comunicazione delle relative variazioni - non è una semplice facoltà attribuita dalla legge alle persone, ma è la conseguenza obbligatoria dell'aver stabilito la propria dimora abituale nel territorio del Comune.

Si tratta di un obbligo presidiato da una sanzione amministrativa – salvo che il fatto non costituisca reato – a norma dell’art. 11 della L. 24/12/1954, n. 1228 (come successivamente modificato), sanzione prevista in forma più elevata, al successivo comma 2, laddove la violazione venga commessa da un soggetto migrante dall’estero.

Ebbene, si rende necessario sottolineare come la previsione di tali obblighi anagrafici persegua lo scopo, tra l’altro, di rendere le persone, legalmente dimoranti nel territorio, note ai pubblici poteri e reperibili nel luogo in cui hanno fissato la loro dimora. In quest’ottica appare significativo che anche le persone senza fissa dimora debbano comunque essere registrate nell'anagrafe della popolazione residente e abbiano una residenza nel Comune dove hanno stabilito il proprio domicilio o in quello di nascita (cfr., in senso conforme, anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 04/12/2012, n. 10123).

Del resto, lo straniero naturalizzato non acquista soltanto diritti (essenzialmente i diritti politici, per cui la residenza risulta determinante al fine dell’esercizio dell’elettorato, perché determina la circoscrizione in cui deve votare), ma assume anche doveri connessi al nuovo status , innanzitutto quello di contribuire al progresso socio-economico della Nazione, anche mediante il pagamento delle tasse, nonché di difendere la Patria in caso di mobilitazione generale, sicché deve in ogni momento rendersi reperibile alla PA che intenda esigerne le prestazioni finanziarie o personali.

In questa prospettiva, pertanto, appare evidente che soltanto il regolare assolvimento degli obblighi anagrafici possa consentire una registrazione della situazione effettiva dei residenti nel territorio comunale che, come puntualmente rilevato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, 31.07.2020, n. 186, “costituisce il presupposto necessario per l'adeguato esercizio di tutte le funzioni affidate alla pubblica amministrazione, da quelle di sicurezza e ordine pubblico, appunto, a quelle sanitarie, da quelle di regolazione e controllo degli insediamenti abitativi all'erogazione di servizi pubblici, e via dicendo (…) Da ultimo, non è inutile osservare che la necessità di un controllo e di un monitoraggio della residenza sul territorio (…) presenta anzi particolare importanza, anche a fini sanitari, poiché è sulla base dell'anagrafe dei residenti che il comune può avere contezza delle effettive presenze sul suo territorio ed essere in condizione di esercitare in maniera adeguata le funzioni attribuite al sindaco dall'art. 32 della L. 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), soprattutto in caso di emergenze sanitarie circoscritte al territorio comunale ”.

Dai rilievi innanzi esposti consegue, pertanto, che non appare irragionevole la scelta del legislatore laddove, ai fini in esame, abbia inteso far coincidere la nozione di residenza legale con quella di residenza anagrafica, atteso che il livello di integrazione e di adesione dello straniero ai valori e ai principi dello Stato cui aspira a divenire cittadino ben può essere apprezzato anche alla stregua della puntuale osservanza degli adempimenti prescritti “ in materia d’iscrizione anagrafica” ( l’art. 1, comma 2, lett. a d.P.R. n. 572/1993), i quali, lungi dal poter essere considerati meri “ cavilli burocratici ” come eccepito dal ricorrente, costituiscono il presupposto per consentire, per quanto qui rileva, anche un efficace monitoraggio degli stranieri che soggiornano nel territorio statale al fine di garantire preminente tutela ai principi fondamentali della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Il comportamento dello straniero residente in Italia che, dunque, si renda irreperibile per un apprezzabile periodo di tempo (pari ad un anno nella vicenda in scrutinio) anche solo a causa di una mera dimenticanza nell’osservanza dei suddetti adempimenti, comunque incide negativamente sulle capacità di controllo e monitoraggio dell'autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, di modo che quel periodo di “irreperibilità” determina una soluzione di continuità con il periodo di residenza “legale” nel territorio della Repubblica sulla scorta della richiamata normativa regolamentare che appare immune dai vizi prospettati in ragione delle considerazioni sinora descritte.

4.2- La censura di irragionevolezza della norma primaria – e della conforme disposizione regolamentare – deve ritenersi infondata anche sotto altro profilo.

Infatti, ritiene il Collegio che, tenuto anche conto dell’elevatissimo numero delle richieste di cittadinanza, non sia manifestamente illogica o irragionevole una previsione che disponga di ancorare la nozione di residenza legale, a tali fini, ad un dato formale di immediato accertamento quale, appunto, le risultanze delle certificazioni anagrafiche, e ciò anche al fine di salvaguardare la speditezza e, più in generale, il buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 Cost.

In quest’ottica, va osservato che onerare, in via generale, l’Amministrazione procedente dell’accertamento del requisito della residenza “legale” anche sulla base di altri documenti dai quali desumere un’asserita residenza “effettiva”, significherebbe aggravare notevolmente il procedimento amministrativo, con conseguente dilatazione dei tempi per la sua conclusione, già notoriamente lunghi.

Non sembra, in definitiva, che, a fronte della riscontrata discontinuità delle iscrizioni anagrafiche, si debba esigere dalla Prefettura (ovvero dal Ministero dell’Interno) di disattendere ovvero di rettificare d’ufficio tale documentazione.

D’altronde, tale conclusione non appare neanche irrazionale o sproporzionata considerato che, sul punto, l’interessato non è affatto sprovvisto di strumenti di tutela, avendo egli l’onere di attivare - come ribadito a più riprese anche da questa Sezione (cfr., di recente, T.A.R. Roma, sez. V-bis, 03/02/2023, n.1939) - gli appositi rimedi per correggere gli asseriti errori nelle cancellazioni anagrafiche (ed in caso di esito positivo presentare un'eventuale istanza di riesame) presso i competenti uffici anagrafici comunali ovvero gli ulteriori rimedi a disposizione di tutela giustiziali o giurisdizionali presso le autorità competenti.

Nel caso di specie, pertanto, ove l'interessato avesse voluto efficacemente sostenere la propria effettiva residenza ininterrotta nel Comune di Firenze e la conseguente erroneità della cancellazione anagrafica operata da quest'ultimo, avrebbe potuto chiedere al medesimo Comune l'annullamento in autotutela del provvedimento di cancellazione oppure avrebbe potuto proporre ricorso gerarchico improprio al Prefetto (ai sensi dell'art. 5, comma 2, legge n. 1228/1954 e art. 36 D.P.R. 223/1989) o, ancora, avrebbe potuto adire l'autorità giudiziaria competente, i.e. il giudice ordinario, non essendo l’adito giudice amministrativo munito di giurisdizione su tale questione.

A quest’ultimo riguardo, infatti, si rende opportuno richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “ le controversie aventi ad oggetto l'iscrizione e la cancellazione dai registri anagrafici della popolazione appartengono alla cognizione del giudice ordinario, concernendo posizioni di diritto soggettivo (cfr., quam multis, Tar Milano, 4.9.2017, n.1779;
Tar L'Aquila, 9.4.2015, n.253;
Tar Roma, 19.5.2009, n.5172;
Tribunale Ferrara, ordinanza 24.9.2019;
Tribunale Padova, 19.6.2020), posto che le norme disciplinanti l'attività dell'ufficiale d'anagrafe sono stabilite senza attribuire alcuna discrezionalità alla p.a. procedente, predefinendo in modo rigido, attraverso norme di relazione, i presupposti per le iscrizioni e le cancellazioni
” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 22 marzo 2022, n. 3276).

Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, le risultanze anagrafiche non possono essere rimesse in discussione in questa sede, difettando il giudice amministrativo della relativa giurisdizione (cfr. anche TAR Lazio, sez. I bis, n. 3204/2021).

In ultima analisi, ritiene il Collegio di ribadire il principio secondo cui “ il rispetto delle regole formali in materia di iscrizione e cancellazione anagrafica attesta il pieno inserimento dello straniero nel tessuto sociale e l’assimilazione delle norme fondamentali che regolano il soggiorno e la mobilità dei cittadini del nostro Paese ” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 08/05/2020, n. 4843).

4.3- Infine, la censura di incostituzionalità della norma primaria de qua , sotto il profilo dell’asserita disparità di trattamento rispetto alla semplificazione probatoria prevista per i minori stranieri nati in Italia ai sensi del citato art. 33 del DL n. 69/2013, deve ritenersi destituita di fondamento stante la specialità ed eccezionalità di siffatta disposizione legislativa per le ragioni già enunciate al precedente punto 3.2) da intendersi qui integralmente richiamate.

5.- In conclusione, nella vicenda concreta il decreto di inammissibilità è stato emesso in ragione dell’irregolarità della posizione del ricorrente essendo emerso – alla stregua delle risultanze anagrafiche – che egli era stato cancellato per irreperibilità dai registri del Comune di Firenze in data 20.11.2018 e reiscritto, nel medesimo Comune, il 20.11.2019.

Tale circostanza di fatto, pertanto, anche suffragata dal compendio documentale prodotto in giudizio, vale ex se ad escludere i requisiti della “continuità” e della “legalità” che devono indefettibilmente connotare, in virtù di quanto sinora chiarito, il presupposto della residenza ultradecennale nel territorio della Repubblica – che deve perdurare sino al momento del giuramento - ai fini della concessione della cittadinanza italiana ai sensi del ridetto art. 9, lett. f) legge n. 91/1992.

Ne consegue, pertanto, che il decreto di inammissibilità e l’atto regolamentare qui impugnato devono ritenersi immuni dai vizi denunciati alla luce delle considerazioni innanzi descritte e, per l’effetto, il ricorso proposto va respinto.

6.- Quanto alle spese di lite, si ritiene che la parziale novità delle questioni trattate ne giustifichi la compensazione integrale tra le parti.

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