TAR Milano, sez. III, sentenza 2013-07-11, n. 201301804
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N. 01804/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02870/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2870 del 2012, proposto da:
Comune di Baranzate, Comune di Bollate, Comune di Cesate, Comune di Novate Milanese, Comune di Paderno Dugnano, Comune di Senago, Comune di Solaro, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avv. F C, presso lo studio del quale ha eletto domicilio, in Milano piazza Sant’Angelo n. 1;
contro
Provincia di Milano, rappresentata e difesa dagli avv. N M G, A B, M F, A Z, elettivamente domiciliata in Milano, via Vivaio, 1;
per l'accertamento
della competenza in capo alla Provincia di Milano rispetto all’erogazione dei servizi di assistenza alla persona e trasporto scolastico in favore di studenti con disabilità frequentanti una scuola secondaria di secondo grado, con conseguente condanna all’erogazione dei suddetti servizi;
per la condanna
della Provincia di Milano alla restituzione di quanto indebitamente pagato allo scopo dalla amministrazioni comunali ricorrenti, in vece della provincia medesima, dagli anni 2001 – 2002 sino all’effettivo rimborso, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
per l’annullamento
delle note della Provincia di Milano del 17.07.2012 e del 07.09.2012, indirizzate ai comuni e del silenzio formatosi sulle domande avanzate dalle altre amministrazioni comunali appartenenti all’ambito distrettuale di Garbagnate Milanese;
di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I Comuni ricorrenti propongono le domande indicate in epigrafe, deducendo l’illiceità delle condotte serbate dall’amministrazione resistente.
La Provincia di Milano, costituitasi in giudizio, eccepisce l’infondatezza delle pretese avanzate.
Le parti hanno prodotto memorie e documenti.
All’udienza del 21 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) I Comuni ricorrenti propongono, con un unico ricorso collettivo e cumulativo, una pluralità di domande, dirette ad ottenere, in primo luogo, la condanna dell’amministrazione provinciale a restituire i costi sostenuti dalle amministrazioni comunali, a partire dall’anno scolastico 2001 – 2002 e sino all’anno scolastico 2011 – 2012, al fine di assicurare agli studenti con disabilità frequentanti delle scuole secondarie di secondo grado i servizi di assistenza alla persona in ambito scolastico e di trasporto scolastico, previo accertamento dell’obbligo della Provincia di Milano di provvedere all’erogazione dei servizi indicati.
L’azione restitutoria esperita viene a volte qualificata come pretesa al rimborso, a volte – in particolare con il quarto motivo di ricorso - come azione generale di arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c..
Inoltre, si chiede la condanna dell’amministrazione resistente a prestare i servizi appena indicati.
Sotto altro profilo, i Comuni esperiscono delle azioni di annullamento degli atti indicati in epigrafe e di accertamento dell’obbligo di provvedere sulle richieste di rimborso presentate alla Provincia di Milano, contestando l’inerzia serbata sul punto da quest’ultima amministrazione.
2) Va esaminata con priorità la questione di giurisdizione, che il Tribunale ha d’ufficio sottoposto alle parti nel corso dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 73, terzo comma, del d.l.vo 2010 n. 104.
Non è dubitabile, né contestato dalle parti, che le prestazioni di assistenza alla persona in ambito scolastico e di trasporto scolastico, in favore di studenti disabili frequentanti delle scuole secondarie superiori, abbiano natura di servizio pubblico.
Solo per completezza espositiva, vale evidenziare che, in mancanza di un quadro normativo che definisca in modo puntuale la nozione di servizio pubblico, la giurisprudenza prevalente non aderisce alla tesi meramente soggettiva, derivante dalla tradizione dottrinale francese, che individuava il tratto tipico del servizio pubblico nell’assunzione come propria da parte dell’amministrazione di una certa attività che resterebbe quindi ad essa imputabile anche se esercitata da terzi secondo vari moduli organizzativi, perché questa ricostruzione non tiene conto dei caratteri intrinseci del servizio pubblico, che, ai sensi dell’art. 43 Cost., può direttamente essere attribuito a soggetti privati.
Ne è derivata l’adesione, per lo più, ad una nozione oggettiva di servizio pubblico, pur nel quadro di una valorizzazione del momento soggettivo, inteso come individuazione ed assunzione del servizio da parte dell’Autorità tra i propri compiti, perché intrinsecamente connesso all’interesse pubblico di cui è portatrice la particolare amministrazione.
L’adesione ad una nozione c.d. oggettiva non implica che sia definibile come servizio pubblico ogni attività privata soggetta a controllo, a vigilanza o a mera autorizzazione di un'amministrazione pubblica, altrimenti il servizio pubblico coinciderebbe con ogni attività privata rilevante per il diritto amministrativo.
Viceversa, il servizio si qualifica come "pubblico" perché l'attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività, in coerenza con i compiti dell'amministrazione, che possono essere realizzati direttamente o indirettamente, attraverso l'attività di privati.
Ecco, allora, che il servizio pubblico è caratterizzato da un elemento funzionale, ossia il soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale, che non si rinviene nell'attività privata imprenditoriale, anche se indirizzata e coordinata a fini sociali (cfr. sul punto Cassazione civile, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71;Cassazione civile, sez. un., 19 aprile 2004, n. 7461).
Insomma, la nozione di servizio pubblico va riferita ad attività che di per sé sono di interesse pubblico, perché intrinsecamente dotate di rilevanza pubblicistica, attesa la generalità degli interessi che sono dirette a soddisfare, a prescindere dalla qualificazione del soggetto cui va imputata tale attività (cfr. sulla necessità di ravvisare nell'interesse pubblico in quanto tale l'elemento caratterizzante la nozione di servizio pubblico si veda, tra le altre, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 giugno 2006, n. 4845).
Proprio la correlazione tra siffatte attività e l’interesse pubblico ne impone la sottoposizione ad un regime particolare di tipo garantistico, che riflette l’esigenza di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., anche se il servizio viene gestito da privati.
Si tratta di un regime peculiare, derogatorio rispetto alle ordinarie regole che sovrintendono all’attività delle imprese in regime di concorrenza, connotandosi per la presenza di elementi di doverosità, che si traducono nei principi di sussidiarietà, di uguaglianza, di continuità, di parità di trattamento, di imparzialità e di trasparenza, cui si correlano obblighi tariffari e di esercizio, di regolarità e di qualità, non riscontrabili in una normale attività economica.
In tal senso, la giurisprudenza ha precisato che il servizio pubblico si caratterizza per essere assoggettato ad una disciplina settoriale, che assicura costantemente il conseguimento di fini sociali, i quali non si limitano a connotare sul versante teleologico tale genere di attività, ma costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico del tutto particolare, sicché, in definitiva, i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, dall'altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6574, Consiglio di stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325;T.A.R. Lombardia Brescia, 27 giugno 2005, n. 673).
La tesi prevalente specifica, inoltre, che il servizio pubblico attiene ad un’attività direttamente erogata nei confronti degli utenti (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 maggio 2006, n. 10994;Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032;Cass. civile, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71;T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11 dicembre 2006, n. 10455;T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 giugno 2006, n. 4845).
La valorizzazione della dimensione oggettiva del servizio pubblico è coerente con la disciplina comunitaria, nell’ambito della quale è il concetto di servizio di interesse generale quello che più si avvicina alla nozione di servizio pubblico.
Invero, l’art. 16 del Trattato C.E. stabilisce che "fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti".
In tale contesto assume particolare rilevanza l’art. 86 del Trattato, che, al primo comma, precisa che "1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi”, ma al secondo comma aggiunge che “2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità ...."
In argomento, la Commissione europea ha precisato che sono servizi di interesse generale quelle attività di servizio, commerciale o non, considerate d'interesse generale dalle pubbliche autorità e per tale ragione sottoposte ad obblighi specifici di servizio pubblico, specificando che i compiti assegnati a tali servizi e i diritti speciali che possono esservi connessi “derivano da considerazioni d'interesse generale, quali, soprattutto, la sicurezza di approvvigionamento, la protezione dell'ambiente, la solidarietà economica e sociale, la gestione del territorio, la promozione degli interessi dei consumatori”, fermo restando che possono essere affidati anche a soggetti privati (cfr. sul punto: comunicazione della Commissione C.E. n. 96-C, in G.U.C.E., 26 settembre 1996, C - 281, nonché Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032;T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 aprile 2006, n. 1318;in argomento si veda anche Corte costituzionale, 27 luglio 2004, n. 272).
Nel caso di specie sussistono i presupposti per ricondurre le prestazioni di cui si tratta ad un servizio pubblico.
In primo luogo, è evidente che l’attività in questione è di interesse generale, perché è strumentale alla piena attuazione del diritto all’istruzione, costituzionalmente garantito ai sensi dell’art. 34 Cost..
Inoltre, si tratta di un’attività direttamente erogata nei confronti degli utenti, poiché i diretti destinatari sono gli studenti disabili che frequentano la scuola.
Del resto, tale attività è sottoposta ad un regime ad hoc caratterizzato dalla doverosità della prestazione, secondo quanto emerge dall’art. 139 del d.l.vo 1998 n. 112, ove si precisa che “sono attribuiti alle province, in relazione all'istruzione secondaria superiore e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti: … c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”.
La norma ha un ambito di riferimento delimitato, in quanto non attiene alle ordinarie e generiche prestazioni socio assistenziali erogabili dagli enti locali, ma afferisce esclusivamente agli interventi, diversi dall’insegnamento di sostegno, necessari sul piano organizzativo per garantire l’effettività del diritto fondamentale all’istruzione delle persone diversamente abili o che, comunque, versano in situazioni svantaggiate.
Si tratta di interventi non tassativamente definiti, ma individuati attraverso un’ampia formula descrittiva, che richiama tutti i servizi che si sostanziano in un supporto organizzativo rispetto al servizio di istruzione per gli alunni portatori di handicap o in situazione di svantaggio.
Sul punto il Tribunale ha più volte evidenziato che il legislatore ha ripartito le competenze relative alla predisposizione di questi servizi ausiliari tra Province e Comuni secondo il criterio del grado di scuola frequentata;in particolare, l’attivazione dei servizi spetta alle Province solo in relazione alle scuole secondarie di secondo grado, mentre grava sui Comuni per ogni altro grado scolastico.
Ne deriva che, in base alla norma ora richiamata, gravano sulla provincia i servizi di supporto organizzativo al servizio di istruzione nella scuola secondaria di secondo grado a favore di persone diversamente abili (cfr. tra le tante, Tar Lombardia Milano, sez. III, 12 luglio 2012, n. 1994, nonché in argomento T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 22 febbraio 2006, n. 167;Consiglio di Stato, sez. V, 20 maggio 2008, n. 2361).
La circostanza che le prestazioni di assistenza alla persona nelle scuole e di trasporto scolastico in favore di studenti con disabilità rientrino tra i servizi pubblici non vale a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alle azioni generali di arricchimento, proposte con il ricorso in esame, anche se qualificate come domande di restituzione o di rimborso.
L’art. 133 del codice del processo amministrativo comprende nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, “escluse quelle concernenti indennità canoni ed altri corrispettivi”, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità.
La norma riflette i contenuti della sentenza n. 204 del 2004 con la quale la Corte Costituzionale ha sostanzialmente “riscritto” l’art. 33 del d.l.vo 1998 n. 80, delimitando, nei sensi sopra indicati, l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel settore dei pubblici servizi.
Il senso della novella è quello di correlare la giurisdizione esclusiva nella materia de qua a situazioni in cui l’amministrazione sia intervenuta in veste di Autorità, ossia mediante l’esercizio di poteri autoritativi.
Ciò determina la sottrazione alla cognizione del giudice amministrativo di tutte le controversie meramente patrimoniali, ossia comprese nella formula normativa “escluse quelle concernenti indennità canoni ed altri corrispettivi” e pertanto non riconducibili a situazioni di potere pubblico esercitato.
La situazione ora considerata è proprio quella che si verifica nel caso in esame, perché la controversia non attiene all’esercizio di poteri autoritativi, correlati alla gestione del pubblico servizio in senso stretto, ma alla pretesa dei Comuni di essere tenuti indenni dall’amministrazione provinciale rispetto ai costi sostenuti in conseguenza della spontanea assunzione degli oneri relativi ai servizi di assistenza alla persona e trasporto in favore di studenti disabili frequentanti scuole secondarie di secondo grado.
In particolare, la controversia non ha ad oggetto la contestazione dell’esercizio o del mancato esercizio di un potere autoritativo provinciale in materia di servizi pubblici inerenti alla persona.
Sul punto non rileva la circostanza che i Comuni abbiano chiesto anche l’accertamento della competenza a prestare i servizi di cui si tratta in base alla legge, atteso che questa particolare domanda si traduce nella generica richiesta di dichiarazione dell’astratta volontà di legge in una data materia, senza essere ancorata ad un caso concreto.
E, infatti, il rapporto sostanziale dedotto in giudizio non afferisce a scelte gestionali relative all’erogazione dei servizi pubblici di assistenza e trasporto scolastici, perché tali servizi non rilevano rispetto ai rapporti tra Provincia e Comuni dedotti in giudizio, ma sostanziano il rapporto tra l’ente pubblico locale, di volta in volta competente all’erogazione, e ciascuno studente disabile utente del servizio.
A ben vedere, il rapporto controverso neppure coinvolge poteri autoritativi, perché attiene a profili strettamente patrimoniali, espressivi della pretesa dei Comuni ad ottenere la restituzione delle spese sostenute per la spontanea assunzione del servizio astrattamente riconducibile, come già evidenziato, alla competenza provinciale, secondo la previsione dell’art. 139 del d.l.vo 1998 n. 112.
Ecco, allora, che l’inerenza della controversia ad una pretesa puramente patrimoniale, non riconducibile all’esercizio di poteri autoritativi, conduce ad escludere, ai sensi dell’art. 133 c.p.a., la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che deve essere declinata in favore del giudice ordinario (nello stesso senso si è espresso il giudice ordinario: Tribunale Bergamo, sez. III civ., 9 agosto 2011, n. 1935).
Né la giurisdizione del giudice amministrativo è configurabile rispetto agli atti con i quali la Provincia di Milano ha respinto le domande di rimborso, o rispetto al silenzio a volte serbato dalla Provincia a fronte di tali domande, perché la presenza di un atto di diniego, o di un silenzio non muta la natura della pretesa dedotta in giudizio, che è meramente patrimoniale e tesa ad ottenere la rifusione delle spese sopportate, al di fuori di qualunque meccanismo pubblicistico di gestione del servizio pubblico.
Del resto, gli atti di diniego di cui si tratta non hanno natura provvedimentale, ma solo paritetica, trattandosi di determinazioni negoziali unilaterali con le quali l’amministrazione provinciale ha escluso l’esistenza della pretesa creditoria vantata dalle amministrazioni comunali.
Allo stesso modo il silenzio a volte serbato dalla Provincia sulle richieste di rimborso, non è qualificabile come omesso esercizio di un potere amministrativo, ma solo come mancata risposta ad una domanda diretta a far valere una pretesa patrimoniale.
Ne deriva che, non solo le domande di condanna al rimborso dei costi sostenuti, ma anche quelle tese alla contestazione dei dinieghi di rimborso e dei silenzi serbati sul punto dall’amministrazione sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché sottendono diritti soggettivi patrimoniali, la cui cognizione è compresa nella giurisdizione del giudice ordinario.
Le considerazioni svolte rilevano, in particolare, rispetto all’impugnazione delle note della Provincia di Milano datate 17.07.2012 e 07.09.2012.
Invero, gli atti ora indicati si correlano a richieste di rimborso avanzate da amministrazioni comunali, sicché esprimono la posizione della Provincia di Milano rispetto ad una pretesa patrimoniale avanzata nei suoi confronti;in tal senso essi non si collegano all’esercizio di poteri imperativi, ma alla posizione paritetica rivestita dalla Provincia nei rapporti in questione.
Insomma, si tratta di atti unilaterali di gestione di rapporti patrimoniali, la cui cognizione resta riservata al giudice ordinario.
Vale precisare che, nel caso concreto, la relazione tra i Comuni ricorrenti e la Provincia di Milano non è neppure riconducibile ad accordi o moduli convenzionali tra amministrazioni, tali da permettere la configurazione della giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell’art. 133 lett. a) n. 2 c.p.a., atteso che nessuna delle parti ha dedotto l’esistenza di simili accordi;anzi, i ricorrenti (in particolare pag. 20 del ricorso) riconoscono di non avere stipulato nessun “protocollo” con la Provincia, al fine di disciplinare la gestione dei servizi di cui si tratta (cfr. in argomento Tar Lombardia Milano, sez. III, 17 maggio 2012, n. 1373)
Ne deriva che rispetto alle domande di rimborso, anche se formulate come azione generale di arricchimento, nonché in ordine alle domande di annullamento dei dinieghi di rimborso e a quelle formulate sui silenzi serbati dalla Provincia sulle richieste di rimborso, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, cui compete anche la cognizione della richiesta di accertamento della competenza a svolgere i servizi di cui si tratta, trattandosi di una questione di diritto presupposta rispetto alle domande di rimborso suindicate.
3) In definitiva, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto le domande con esso proposte non appartengono alla cognizione del giudice amministrativo, ma a quella del giudice ordinario, sicché deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 11 c.p.a..
La complessità della situazione di fatto e di diritto sottesa all’impugnazione, con particolare riferimento alla questione di giurisdizione, conduce a ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.