TAR Venezia, sez. II, sentenza 2022-10-25, n. 202201613
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 25/10/2022
N. 01613/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00484/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 484 del 2005, proposto da
Immobiliare Miranese s.a.s., rappresentata e difesa dall'avvocato P V G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, S. Croce, 466/G;
contro
Regione del Veneto, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G Q, T M e F Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Venezia, Fondamenta S. Lucia, Cannaregio 23;
Comune di Venezia, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Iannotta, Nicoletta Ongaro e Federico Trento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede municipale in Venezia, S. Marco 4091;
per l'annullamento
- della deliberazione della Giunta Regionale 3 dicembre 2004 n. 3905, avente per oggetto l'approvazione di variante al Piano Regolatore Generale per la terraferma del Comune di Venezia;
- de1 parere della Commissione Tecnica Regionale - argomento n. 297- Allegato A alla predetta deliberazione (B.U.R. 21 dicembre 2004 n° 131);
- della de1iberazione del Consiglio Comunale di Venezia 25 gennaio 1999 n. 16 di adozione della predetta variante di P.R.G.;delle deliberazioni 24 settembre 2001 n° 105 e 14 gennaio 2002 no 7 del Consiglio Comunale di controdeduzioni alle osservazioni dei cittadini;
- della deliberazione 11 febbraio 2002 n. 18 del Consiglio Comunale di riadozione della predetta Variante di P.R.G.;
- della deliberazione 9 settembre 2002 n. 158 di controdeduzioni alle osservazioni;
- di ogni altro atto del procedimento di adozione e di approvazione della predetta variante di P.R.G., antecedente, presupposto o consequenziale;
- della variante al Piano Regolatore Generale per la terraferma del Comune di Venezia adottata ed approvata con gli atti sopraindicati sub A), B), C).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione del Veneto e del Comune di Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 11 ottobre 2022 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Società ricorrente espone di essere proprietaria di un compendio immobiliare sito nel Comune di Venezia, in via della Montagnola, che la variante denominata “ alla terraferma ” adottata con deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 25 gennaio 1999, ed approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 3905 del 3 dicembre 2004, confermando le precedenti previsioni, ha destinato a “ zona per attrezzature, spazi pubblici e di uso di pubblico quartiere – parcheggio di progetto ” (zona F).
Con il ricorso in epigrafe la Società impugna la deliberazione della Giunta regionale con cui è stata approvata la variante, con quattro motivi.
Con il primo motivo lamenta la violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 17 agosto 1942, n. 1150, degli articoli 42 e seguenti della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, il travisamento e la carenza di presupposti, l’illogicità e la contraddittorietà, perché dall’adozione della variante da parte del Comune (il 25 gennaio 1999), alla data della sua approvazione da parte della Regione (il 3 dicembre 2004), è trascorso molto tempo e le previsioni dello strumento urbanistico adottato non sono più attuali. In particolare il ricorrente lamenta la risalenza degli studi preliminari, atteso che, come emerge dalla lettura della relazione di accompagnamento, le verifiche relative ai presupposti di fatto per il suo dimensionamento risalgono addirittura agli anni 1996 – 1997. Tenuto conto che la programmazione urbanistica viene di regole svolta su un arco temporale decennale, secondo la ricorrente è evidente che le previsioni, al momento in cui la variante è stata approvata, hanno ormai già esaurito i propri effetti programmatori (ha una valenza residua di circa tre anni).
Inoltre, prosegue la ricorrente, medio tempore è anche accaduto che una parte del territorio comunale sia venuta meno per effetto dell’istituzione, per scorporo, del Comune di Cavallino Treporti nel 1999.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 9 e seguenti della legge n. 1150 del 1942, e degli articoli 92 e seguenti della legge regionale n. 61 del 1985, il travisamento, la carenza di presupposti, l’illogicità e la contraddittorietà, nonché il difetto di motivazione, in quanto, per valutare l’andamento demografico, sono stati considerati i dati del censimento del 1991, con la conseguenza che risultano errate e non più attuali le previsioni relative al fabbisogno di residenza e alle aree da destinare a servizi, dato che nei tempi più recenti si è registrato un calo della popolazione. La variante, ritiene la ricorrente, è pertanto illegittima perché si fonda su dati risalenti nel tempo non corrispondenti all’attuale realtà dei fatti.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 22 e seguenti della legge regionale n. 61 del 1985 e del DM 2 aprile 1968, n. 1444, nonché il difetto di istruttoria e di motivazione, perché non sono indicate le ragioni per le quali la variante preveda una quantità di aree destinate a standard , e in particolare a verde e a parco, superiore a quella minima di legge.
Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli articoli 9 e seguenti e 39 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il travisamento, la carenza di presupposti, l’illogicità, la contraddittorietà, nonché il difetto di istruttoria e di motivazione, perché, rispetto all’area della ricorrente, si assiste ad una immotivata reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio senza neppure la previsione di un indennizzo (tale previsione era presente nella variante approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 531 del 23 febbraio 1998).
Infine la ricorrente propone una domanda di risarcimento dei danni subiti perché l’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio ha comportato una sostanziale incommerciabilità del bene o quantomeno una diminuzione del suo valore. Al fine di quantificare il danno la ricorrente chiede lo svolgimento di una consulenza tecnica d’ufficio.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto ed il Comune di Venezia replicando alle censure proposte e chiedendo la reiezione del ricorso.
Il Comune di Venezia ha altresì eccepito che il ricorso è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto, successivamente alla proposizione del ricorso, sono intervenuti nuovi strumenti urbanistici con ad oggetto una diversa disciplina dell’area, non impugnati.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha chiesto un rinvio della trattazione, perché è stato recentemente avviato un dialogo con il Comune per valutare la possibilità di conferire all’area una diversa destinazione nell’ambito di un accordo di pianificazione.
All’udienza dell’11 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il Collegio ritiene che non ricorrano i presupposti per disporre un rinvio della trattazione della controversia.
Ai sensi dell’art. 73 comma 1- bis cod. proc. amm. “ il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza ”.
Pertanto nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa un’aspettativa qualificata al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto ad ottenere un rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge.
Al di fuori di tali ipotesi, le parti, che hanno la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, sono titolari della facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza.
La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta tuttavia al giudice, che deve valutare la ricorrenza delle “ situazioni eccezionali. Nel processo amministrativo non vengono infatti in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti.
Nel caso all’esame, la motivazione indicata nell’istanza di rinvio, consistente nel recente avvio di una trattativa con il Comune per attribuire una diversa destinazione all’area mediante un accordo di pianificazione, non rientra tra quelle che potrebbero giustificare, neppure sul piano della mera opportunità, un eventuale differimento, in ragione della sua genericità e dell’obiettiva circostanza che la decisione della controversia in esame non può compromettere la possibilità di modificare la destinazione dell’area ove sia raggiunto un incontro della volontà delle parti. In questo contesto un eventuale rinvio, non ancorato ad effettive esigenze, comporterebbe un allungamento potenzialmente all’infinito dei tempi processuali, tenuto conto che il ricorso all’esame è stato proposto nel 2005.
In rito l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse sollevata dal Comune è fondata.
Successivamente alla proposizione del ricorso, in attuazione della nuova legge urbanistica regionale, il Comune ha approvato il Piano di assetto del territorio e successivamente, con deliberazione consiliare n. 62 del 22 luglio 2020, ha approvato la variante n. 52 al Piano degli interventi che ha innovato la destinazione urbanistica dell’area, prevedendo che sia interessata da una “ viabilità di progetto ” (cfr. i documenti 20 e 21 depositati in giudizio dal Comune), oltre che destinata a zona F – parcheggio di progetto.
Come è noto l’approvazione di un nuovo strumento pianificatorio, che - all'esito di una rinnovata istruttoria - abbia introdotto una disciplina specifica alle aree, pur nei contenuti per lo più riproduttiva della precedente, determina comunque l’improcedibilità del ricorso impugnatorio, posto che il suo eventuale accoglimento non determinerebbe la caducazione della successiva variante e quindi sarebbe privo di utilità per la parte ricorrente.
Infatti anche se il primo atto venisse annullato, nessun vantaggio ne deriverebbe alla parte ricorrente, la quale risulterebbe impedita nel raggiungimento dello scopo dal nuovo strumento urbanistico vigente medio tempore sopravvenuto (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 1 ottobre 2020, n. 681;T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 27 luglio 2020, n. 584;T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 12 settembre 2019, n. 1967;T.A.R. Veneto, Sez. I, 17 maggio 2018, n. 537;Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2004, n. 731;T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 15 dicembre 2015, n. 2640;id., 29 ottobre 2015, n. 2276). Inoltre solamente l’ipotetica caducazione del nuovo strumento urbanistico vigente realizzerebbe l’interesse sostanziale della parte ricorrente, in quanto la variante consegue ad una nuova istruttoria e ad una rivalutazione della destinazione dell’area, con la conseguenza che la riproposizione di precedenti scelte, anche se in parte coincidenti con le destinazioni previste originariamente, non può dar luogo ad un atto meramente confermativo suscettibile di essere automaticamente caducato per effetto dell’annullamento della prima variante.
Pertanto il ricorso nella sua parte impugnatoria deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Nondimeno deve essere accertata nel merito la fondatezza o meno delle censure proposte ai fini dell’interesse risarcitorio ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., perché nel ricorso è formulata la domanda di risarcimento dei danni subiti.
Le censure proposte sono infondate.
Con il primo, il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente sostiene che le previsioni su cui si fonda la variante impugnata sarebbero inattuali ed immotivate e, in particolare, che sarebbe del tutto immotivata la previsione di aree a standard in misura superiore ai minimi di legge.
Alla luce delle puntuali repliche svolte dal Comune di Venezia, tali censure si rivelano prive di fondamento.
Con una prima censura la ricorrente sostiene che la variante è illegittima per il lungo tempo decorso tra l’adozione e l’approvazione della medesima, che ha determinato l’inattualità delle analisi su cui si basano le scelte compiute.
La doglianza è infondata.
Innanzitutto va precisato che le previsioni dello strumento urbanistico sono destinate ad avere un’efficacia a tempo indeterminato, senza che siano ravvisabili delle forme di decadenza (salvo che in singoli casi, come accade ad esempio per i vincoli preordinati all’esproprio) ed il riferimento ad un arco temporale di carattere decennale è previsto dal legislatore regionale solo a fini programmatici.
Infatti l’art. 4, comma 5, della legge reginale n. 61 del 1985, prevede che “ gli strumenti territoriali e urbanistici sono redatti sulla base di previsioni decennali, hanno validità a tempo indeterminato, sono soggetti a revisione almeno decennale e comunque entro sei mesi dal variare delle previsioni del programma regionale o provinciale di sviluppo e/o del piano territoriale di livello superiore ”.
Ne discende che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, dal mero decorso del tempo trascorso tra l’adozione e l’approvazione della variante, non può derivare alcuna illegittimità.
Relativamente alle altre censure, va osservato che, per costante giurisprudenza, le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale e censurabili unicamente per profili di abnormità, illogicità e travisamento dei fatti.
Tale regola vale in particolar modo in presenza dell'adozione di determinazioni relative alle destinazioni e al dimensionamento del piano e alla determinazione degli standard , scelte per le quali non può certamente essere negato all'ente locale un incisivo potere politico - discrezionale che si rivela suscettibile di essere censurato solo entro ristretti ambiti di profili di illegittimità ( ex pluribus cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 3 agosto 2018, n. 272;Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 novembre 2013, n. 5589).
Nel caso in esame sia le scelte sul dimensionamento, che sugli standard , risultano sufficientemente motivate.
Nella memoria depositata in giudizio dal Comune, sono riportati ampi stralci della deliberazione regionale di approvazione della variante oggetto di impugnazione (cfr. doc. 5 depositato in giudizio dall’Amministrazione), che dedica un intero paragrafo al “ dimensionamento della variante ”, che a sua volta riporta la Parte 2 della relazione di accompagnamento della stessa.
Dalla lettura di questi stralci emerge che vi è piena consapevolezza dell’andamento demografico della popolazione da parte del Comune, e della tendenza alla stabilizzazione del numero di abitanti, e che vi è la puntuale indicazione dell’esistenza di un’eccedenza degli standard rispetto ai minimi di legge (726 ha, a fronte del fabbisogno di circa 604 ha), con la precisazione che molti sono “ a scala territoriale ”, ovvero destinati a soddisfare le esigenze di un bacino di utenza più ampio di quello comunale, come nel caso delle attrezzature sanitarie, per lo sport e lo spettacolo, per il verde territoriale a bosco e per il verde dei forti.
La relazione alla variante (cfr. doc. 8 depositato in giudizio dal Comune) precisa dunque che il dimensionamento del piano non è effettuato solamente sulla base di un presunto fabbisogno, ma tenendo conto anche della domanda effettivamente prevedibile in quanto “ nella realtà il rapporto tra abitanti e vani abitabili è sempre meno rigido;non è certo raro il caso di città in cui la popolazione diminuisce, ma esiste un’effettiva domanda per nuove abitazioni. Inoltre prevedere il numero di abitanti di una città non è semplice, perché il mercato delle abitazioni non è isolato da quello dei comuni circostanti. Dunque basare l’offerta di aree residenziali sulla domanda prevedibile, per quanto teoricamente utile, comporta in realtà margini di errore tali per cui non sembra opportuno assumere come riferimento un calcolo univoco. E’ meglio ipotizzare più scenari. Il piano non ne sceglierà uno in particolare, ma si limiterà ad utilizzarli come criterio di verifica insieme a criteri di altra natura ”.
Rispetto alle scelte effettuate in relazione agli standard, la relazione precisa che “ non è necessario e nemmeno opportuno che la proporzione tra le singole destinazioni delle aree sia rigorosamente quella prevista da disposizioni ormai datate e che non tengono conto della specificità dei luoghi (…) si è avuto cura di rispettare le quantità totali di aree pubbliche prescritte ( … ) la tabella 4 mostra un dimensionamento complessivo delle aree per sevizi superiore a quello di legge con una distribuzione che predilige il verde a scapito delle scuole dell’obbligo (visto che la popolazione in età scolare diminuisce) (…) ne emerge dunque il progetto per una città in cui l’offerta di sevizi è almeno quantitativamente tale da garantire un’elevata qualità dell’ambiente urbano ”. In sostanza le scelte sono espressamente motivate con riferimento all’opportunità di assecondare la domanda di nuove abitazioni nel tempo (il 56% di nuovi abitanti insediabili sono previsti su aree di espansione, la cui urbanizzazione è eventuale e richiede tempi lunghi, in ragione della necessità della previa approvazione di un piano attuativo) e di assicurare una maggiore vivibilità che tenga conto dell’effettiva disponibilità e trasformabilità delle aree.
Sulla base di tali premesse si rivelano pertanto infondate le censure di difetto o insufficienza della motivazione, né la parte ricorrente ha dimostrato che le scelte effettuate siano affette da macroscopici vizi di irragionevolezza o manifesta illogicità.
I primi tre motivi sono pertanto infondati.
Parimenti infondato è anche il quarto motivo, con il quale la ricorrente lamenta l’illegittimità della reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio.
Infatti nel caso in esame è da escludersi la configurabilità di un vincolo espropriativo, in quanto vi è la mera apposizione di una destinazione a zona territoriale omogenea F (attrezzature, spazi pubblici e di uso pubblico di quartiere – parcheggio di progetto), che determina un vincolo meramente conformativo, in un’area rispetto alla quale è ammessa la realizzabilità dell’intervento anche per iniziativa privata. Infatti trova applicazione l’art.