TAR Salerno, sez. II, sentenza 2019-04-04, n. 201900545

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2019-04-04, n. 201900545
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201900545
Data del deposito : 4 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/04/2019

N. 00545/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00032/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 32 del 2019, proposto da
E C, rappresentato e difeso dall'avvocato V N C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Aquilonia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, via Velia n. 96;

per l'annullamento

del diniego di accesso agli atti del Comune di Aquilonia di cui alla nota protocollo n. 6193 del 30.11.2018.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Aquilonia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa M A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, consigliere comunale del Comune di Aquilonia (AV), lamenta, con il ricorso all’esame, che il Comune gli avrebbe indebitamente negato l’ottenimento delle credenziali (password) di accesso al protocollo informatico dell’Ente, così ledendo il suo diritto, qualificato, all’accesso.

In particolare, con istanza in data 2.11.2018 (prot. n. 5727), il ricorrente aveva chiesto “le credenziali per l’accesso da remoto al protocollo informatico dell’Ente” e tale istanza era stata esitata con il diniego in data 30.11.2018 (prot. n. 6193) che, ribadendo un precedente atto (prot. n. 4148/2018, rivolto a soggetto diverso, capogruppo dello schieramento di appartenenza del consigliere comunale ricorrente), rappresentava che il diritto di accesso avrebbe potuto essere esercitato previa richiesta agli uffici competenti nelle forme ordinarie.

Si è costituito il Comune ribadendo le ragioni del diniego e spiegando preliminari eccezioni in rito.

Vanno anzitutto scrutinate le sollevate eccezioni in rito.

È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso non notificato ad alcun controinteressato.

Il Comune ha qualificato come tale il quivis cittadino del Comune di Aquilonia la cui posizione di controinteresse non è tuttavia affatto evincibile ed è, peraltro, insussistente, giacché il diritto di accesso del consigliere comunale non sconta il limite della tutela della riservatezza del terzo, salvo il dovere di segretezza che comunque sul detto consigliere comunale grava in relazione alle informazioni di cui sia venuto in possesso in ragione del suo mandato.

È altresì infondata l’eccezione di irricevibilità/improcedibilità del ricorso per omessa impugnativa della nota prot. n. 4148 dell’18.2018 cui fa riferimento il sindaco nel suo diniego.

Si tratta, invero, di atto in risposta ad istanza rivolta da soggetto diverso (il capogruppo del gruppo consiliare di riferimento del ricorrente), mentre la nota odiernamente impugnata è in risposta ad istanza del ricorrente che fa valere un suo diritto individuale.

Infondata è altresì l’eccezione di inammissibilità del ricorso sul rilievo che il Comune di Aquilonia avrebbe adeguatamente garantito il diritto di accesso con le modalità descritte nelle dette note (richiesta ed evasione della stessa nel termine indicato), mentre la richiesta di accesso al protocollo non terrebbe conto che il protocollo informatico può contenere documenti rilevanti e dati sensibili dei cittadini.

Rinviando al prosieguo della trattazione la disamina nel merito, osserva il Collegio che la questione all’esame riguarda appunto, nella sostanza, le modalità di esercizio del diritto di accesso, così come del resto già rilevato all’odierna camera di consiglio, piuttosto che l’accesso a singoli documenti. Può dunque passarsi al merito della questione.

Giova anzitutto evidenziare che le istanze di accesso avanzate dai componenti dei consigli comunali presentano una loro specificità rispetto a quella della generalità dei cittadini, essendo ai primi riconosciuti ampi poteri ai sensi dell’art. 43 del testo unico sugli enti locali (“I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”).

Si è in particolare affermato che il diritto di accesso dei consiglieri comunali, nella sua tendenziale onnicomprensività, è strettamente funzionale all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell’ente locali, consentendo loro di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione e di promuovere le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale (cfr. Cons. di Stato, n. 4525 del 2014), e quindi si configura come significativa espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza responsabile della collettività.

Ne consegue che, quando il consigliere comunale dichiara di esercitare il diritto di accesso in rapporto alle sue funzioni, e quindi per la tutela degli interessi pubblici (e non di interessi privati e personali), non è soggetto a limiti particolari, nel rispetto, comunque, di quelli imposti dal principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione, sicché non è tenuto a particolari oneri motivazionali nelle proprie richieste, che possono, dunque, limitarsi ad evidenziare la strumentalità dell’accesso allo svolgimento della funzione, né l’Amministrazione può esercitare un controllo estrinseco di congruità tra la richiesta di accesso e l’espletamento del mandato, salvo casi di richieste di accesso manifestamente inconferenti con l’esercizio delle funzioni dell’Ente locale.

Gli unici limiti previsti sono dunque correlati ad un eventuale abuso del diritto all’informazione riconosciuto, al consigliere, dall’ordinamento, che si concretizzerebbe in caso di richieste assolutamente generiche, meramente emulative o non ragionevoli.

Tale limite, peraltro intrinseco all’esercizio di ogni diritto, impone che le richieste devono essere formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora tali elementi non siano noti al richiedente, almeno di quelli che consentano l’individuazione degli atti medesimi (cfr. TAR Basilicata, n. 1136/2016), in modo da comportare il minore aggravio agli uffici che dovranno esitare la richiesta, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente, e quindi senza pregiudizio per la corretta funzionalità amministrativa.

E’ del tutto evidente che, ove il consigliere comunale fosse posto in condizione di individuare previamente gli atti il suo esame fosse utile all’esercizio delle sue prerogative, mediante la preventiva consultazione del protocollo informatico dell’Ente, tale modalità consentirebbe un accesso (ai singoli documenti) più efficace e meno dispendioso per l’ordinaria attività degli uffici;
per converso, impedire o ostacolare il consigliere nell’individuazione di detti atti, ad esempio aggravando le modalità di consultazione delle fonti e di accesso alle stesse (protocollo dell’Ente), significherebbe impedire o frapporre ostacoli all’esercizio di un diritto.

Passando al caso in esame, il ricorrente postula che, presupposto il suo diritto all’accesso, nella più ampia estensione sopra indicata, lo stesso possa essere esercitato con la consultazione, da remoto, del protocollo informatico dell’Ente, cui accedere mediante apposita password messa a disposizione dell’Amministrazione, così individuando specifiche modalità di esercizio del diritto di accesso.

Al riguardo, deve anzitutto evidenziarsi che, nonostante l’invito a suo tempo rivolto al Comune dalla Prefettura di Avellino (di cui alla nota prodotta in atti), non è stato dedotto in giudizio che l’Amministrazione comunale abbia adeguato le proprie norme regolamentari per l’esercizio del diritto di accesso alle specifiche tecniche imposte dal Codice dell’Amministrazione digitale, né consta una qualsiasi disciplina adottata dal Comune per adeguarsi a tali fondamentali innovazioni normative.

Tale testo impone, per quanto rileva, allo stato, alle regioni e alle autonomie locali di assicurare “la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale”, “utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (ex art. 2, comma 1).

In particolare, “i dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dei privati” (ex art. 50, comma 1, CAD).

In tale ottica, l’Amministrazione può dotarsi di una piattaforma integrata di gestione documentale, nell’ambito della quale è inserito anche il protocollo informatico dell’Ente.

Tale piattaforma consente la consultazione diretta da un video terminale del registro del protocollo, con l’adozione di opportuni accorgimenti intesi a limitare l’accesso, appunto, esclusivamente al protocollo e non, attraverso questo, direttamente al contenuto degli atti in entrata o in uscita, soggetti alle ordinarie regole in materia di accesso (tra le quali la necessità di richiesta specifica).

Tanto premesso, è anzitutto evidente, come sopra cennato, che la pretesa azionata in giudizio non riguarda l’an della stessa (che non è contestata dal Comune) ma il quomodo dell’ostensione, valorizzando la direttiva emergente dalla complessiva digitalizzazione dei dati amministrativi (ex d.lgs. 82/2005) e la correlativa logica della massima semplificazione ed adozione delle modalità del relativo accesso, alla luce della miglior tecnologia disponibile.

La richiesta di password, denegata dal Comune, deve poi essere intesa (e qualificata) come richiesta di accesso generalizzato alle risultanze (esse stesse qualificabili “documento”, a termini dell’art. 25 L. 241/1990) del protocollo informatico e, in quanto tale, è ammissibile l’impugnazione dell’opposto diniego nelle forme del ricorso per l’accesso ex art. 116 c.p.a.

Peraltro, trattandosi di pretesa relativa a diritti, l’attribuzione della giurisdizione esclusiva in materia consente il sindacato anche sulle concrete modalità di esercizio dello stesso.

Al riguardo, non risulta in atti se l’Amministrazione comunale sia in effetti dotata, allo stato, di un sistema in grado di garantire l’accesso informatico da parte di terzi ovvero, come richiesto, da remoto.

Nondimeno, la complessiva disciplina risultante dal richiamato CAD impone che la fruibilità dei dati e delle informazioni in modalità digitale debba essere garantita con modalità adeguate (in finalità informativa) ed appropriate (alla tecnologia disponibile), sicché grava sull’amministrazione l’approntamento e la valorizzazione di idonee risorse tecnologiche che, senza aggravio eccessivo sulle risorse pubbliche, appaiano in grado di soddisfare, in una logica di bilanciamento, le esigenze rappresentate della trasparenza amministrativa.

Orbene, l’impedimento all’accesso mediante modalità informatiche (messa a disposizione di una password) e, per converso, l’imposizione di esclusive modalità ordinarie (richiesta cartacea) si appalesano difformi dalla direttiva del doveroso approntamento e del costante adattamento delle tecnologie disponibile, e finiscono per qualificarsi come limitazione di fatto della pretesa ostensiva del ricorrente, che ne risulta indebitamente compressa (cfr., in termini, Cons. di Stato, n. 3486/2018).

Conformemente alle richiesta (limitata all’accesso al protocollo informatico dell’Ente), l’accesso al protocollo non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione (il che significherebbe accesso indiscriminato), ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, con l’ovvio corollario di separare l’accesso di questi dati dal contenuto dei documenti, avendo cura di adottare tutte le misure minime di sicurezza sul trattamento dei dati per evitare una illecita diffusione, originata, anche involontariamente, dallo stesso consigliere comunale, in ragione dell’accesso abusivo e indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati.

La richiesta all’esame odierno, invero, come sopra detto, attiene non all’accesso a singoli e determinati documenti (per i quali vigono le regole ordinarie) bensì a dati identificativi di tali documenti (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto).

Il ricorso va dunque accolto nel senso che incombe all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della presente statuizione, le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente.

La novità della questione impone la compensazione delle spese di giudizio,

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