TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2024-02-05, n. 202402148

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2024-02-05, n. 202402148
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202402148
Data del deposito : 5 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/02/2024

N. 02148/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01145/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1145 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Consiglio Superiore della Magistratura, non costituito in giudizio;
Ministero della Giustizia, Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, adottata in data -OMISSIS-, conosciuta dalla ricorrente solo in data -OMISSIS-, recante “giudizio di non idoneità ai fini della conferma nell'incarico di vice procuratore onorario”;
e del successivo decreto del Ministro della Giustizia del -OMISSIS-, conosciuto dalla ricorrente in data -OMISSIS-, recante “non conferma nell'incarico di vice procuratore onorario” nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Csm - Consiglio Superiore della Magistratura;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 dicembre 2023 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La ricorrente è stata nominata ed ha svolto le funzioni di magistrato onorario (g.o.t. presso la terza sezione civile del Tribunale di -OMISSIS-) dal 2002 al 25.9.2012.

In data -OMISSIS-, la predetta ha rassegnato le dimissioni dalla magistratura onoraria giudicante, accolte dal CSM in data -OMISSIS-.

La ricorrente, infatti, in precedenza, era stata nominata Vice Procuratore Onorario con delibera del CSM del -OMISSIS- e Decreto ministeriale del 27 giugno 2012.

La stessa ha iniziato a svolgere le funzioni di VPO, dopo il previsto tirocinio, in data -OMISSIS-.

In data -OMISSIS- l’attuale ricorrente ha ottenuto la conferma per le funzioni di VPO sino al -OMISSIS-.

Quindi, è entrato in vigore il D.lgs. n. 92 del 31 maggio 2016.

Conseguentemente, la stessa, in data -OMISSIS-, ha presentato domanda per la conferma nelle funzioni, il cui negativo esito è oggetto del presente scrutinio.

E’ necessario rappresentare che il Consiglio Giudiziario presso la Corte di Appello di -OMISSIS-, dopo aver svolto un’attività istruttoria ed audito la ricorrente in data 8 giugno 2017, nella seduta del -OMISSIS-, ha espresso il giudizio di non idoneità ai fini della conferma nelle funzioni di Vice Procuratore Onorario.

Il provvedimento veniva comunicato alla stessa in data -OMISSIS-.

In conseguenza di tale negativa determinazione la dott.ssa -OMISSIS- ha chiesto al CSM di essere audita in merito al negativo parere riportato.

L’istanza veniva accolta e l’attuale ricorrente è stata invitata innanzi al CSM per l’udienza del-OMISSIS-.

All’esito dell’udienza il CSM, con il provvedimento impugnato, aderendo al parere espresso dal Consiglio Giudiziario presso la Corte di Appello di -OMISSIS-, non ha confermato l’attuale ricorrente nell’incarico di vice procuratore onorario presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di -OMISSIS-.

Tale determinazione veniva comunicata alla stessa in data -OMISSIS-.

L’attuale ricorrente chiedeva, allora, una proroga delle funzioni sino al termine della intervenuta conferma (-OMISSIS-).

In data -OMISSIS- veniva partecipato alla ricorrente il diniego, espresso dal CSM, per la proroga delle funzioni, sino alla originaria scadenza (-OMISSIS-). come richiesto dalla stessa,

Avverso entrambi i provvedimenti, meglio in epigrafe indicati, ha reagito la predetta con ricorso giurisdizionale, affidato a quattro motivi di gravame e contestuale istanza cautelare.

La difesa erariale si è costituita in giudizio depositando, agli atti di causa, una memoria con allegati documenti, cui replicava la ricorrente.

Con ordinanza n. 1550/2018 il Collegio ha respinto la chiesta misura interinale.

L’ordinanza non è stata impugnata.

All’udienza straordinaria del giorno 6 ottobre 2023 il Collegio ha disposto incombenti istruttori in capo alla ricorrente, assolti dalla stessa nel termine assegnato.

Alla udienza straordinaria del giorno 15 dicembre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Osserva il Collegio.

Per una puntuale intelligenza della presente vicenda processuale, è necessario riportare, testualmente, il provvedimento contestato,

“Questo Consiglio condivide la valutazione compiuta dal Consiglio giudiziario di -OMISSIS-. Risulta infatti che la dott.s.sa -OMISSIS-, in pendenza dell’incarico di vice procuratore onorario, che svolge sin dal -OMISSIS-, ha esercitato le funzioni forensi all’interno del circondario di -OMISSIS-.

Tale comportamento costituisce una violazione della normativa allora vigente, ed in particolare dagli artt. 42-quater e 71 del regio decreto n. 12/1941 (legge sull’ordinamento giudiziario) nonché dalla circolare consiliare n. P-792/2016. Tale normativa vietava infatti ai vice procuratori onorari di esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale presso il quale svolgevano le funzioni e di rappresentare o difendere le parti, nelle fasi successive, in

procedimenti svoltisi dinanzi ai medesimi uffici. Si tratta di una normativa confermata, ed anzi resa più rigorosa, dall’art. 5 del d.lgs. n. 116/2017 oggi in vigore. Più in dettaglio, emerge dagli atti che la dott.ssa -OMISSIS- era costituita come domiciliataria nel procedimento di lavoro n. 5785/2015 e come procuratrice di se stessa ex art. 86 c.p.c. nel procedimento 2227/2017. In proposito è bene precisare che anche tali attività sono forme di esercizio della professione forense, potendo essere compiute soltanto da avvocati iscritti all’Ordine. Risulta poi, sulla base della carta intestata prodotta nel giudizio civile n. -OMISSIS-, che la dott.ssa -OMISSIS- aveva ancora, almeno alla data del 12.5.2017, lo studio professionale in -OMISSIS- alla via-OMISSIS-. Tale comunicazione resa alla Cancelleria aveva ad oggetto una rinuncia al mandato. Senonché, in data 22.12.2016 ed in data 11.1.2016, il sistema informatico registra la spedizione, da parte dell’interessata, della comparsa conclusionale e della memoria di replica in quello stesso giudizio, con successivo ritiro del fascicolo in data 14.3.2016;
del resto, è noto che, fino alla nomina di successivo procuratore alle liti, il procuratore che rinunzia al mandato è ancora abilitato allo svolgimento della professione forense in

quel giudizio (cfr. art. 85 c.p.c.). Emerge altresì il patrocinio svolto, da parte dell’interessata, nel giudizio civile n.-OMISSIS-, con il deposito in data 22.6.2013 della memoria ex art. 183.6 c.p.c.;
in data 6.7.2015 ed in data 23.7.2015 risultano poi depositate comparsa conclusionale e memoria di replica nel giudizio civile n. -OMISSIS-;
in data 28.2.2014 risulta il deposito della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio civile n. -OMISSIS-. In proposito la dott.ssa -OMISSIS- assume che i due apparenti depositi telematici di atti difensivi sono stati già disconosciuti e in relazione ad essi si è dato incarico ad un legale di agire, nelle sedi competenti. A ciò deve replicarsi che: non risulta dimostrato in alcun modo che altri soggetti, all'insaputa della dott.ssa -OMISSIS-, abbiano depositato in via telematica atti processuali all’interno di più giudizi civili;
gli atti in questione non sono due ma sei;
appare oltremodo improbabile che terzi soggetti si siano inseriti nel dominio informatico dell’avv. -OMISSIS- ed abbiano svolto al suo posto attività processuale, non si sa da chi ricompensata: nel giudizio n. -OMISSIS- risulta che l’avv. -OMISSIS- abbia fisicamente ritirato il proprio fascicolo di parte dopo la chiusura del giudizio, come normalmente fa il procuratore alle liti. Infine va precisato, per mera completezza, che risultano numerosi atti di esercizio della professione forense anche nel periodo dal 2002 al 25.9.2012, quando l’interessata era g.o.t. presso la terza sezione civile del Tribunale di -OMISSIS-, ossia la stessa sezione dove pendevano i giudizi-OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, da lei patrocinati. In conclusione, deve affermarsi che, in violazione della normativa, la dott.ssa -OMISSIS- abbia esercitato in maniera non isolata la professione forense nello stesso circondario di -OMISSIS- dove lavorava come V.P.O.. Ha colto nel segno il Consiglio giudiziario nell’affermare che la dott.ssa -OMISSIS- risulta esercitare costantemente la professione forense, sin dall’anno 2002, presso gli Uffici Giudiziari compresi nel circondario del Tribunale di -OMISSIS-... Il comportamento tenuto dall’interessata è senza dubbio inadeguato sul piano professionale ed è idoneo a determinare un vulnus in ordine all’imparzialità ed indipendenza del magistrato, quanto meno nella percezione sociale”.

Come detto, avverso tale determinazione è insorta la ricorrente con il ricorso giurisdizionale oggetto del presente scrutinio.

Nell’atto di gravame la stessa ha, in primo luogo, contestato il provvedimento per cui è causa per eccesso di potere, erroneità dei presupposti, illogicità e/o contraddittorietà, difetto e incongruità della motivazione, difetto di istruttoria, contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti, difetto del nesso logico di consequenzialità tra presupposti e conclusioni.

Ritiene il Collegio di dover esaminare i comportamenti imputati alla ricorrente e ritenuti tali da compromettere la sua attività di magistrato onorario, determinando così il giudizio di non conferma nell’incarico di vice procuratore onorario.

procedimento di lavoro n. 5785/2015 (domiciliataria);

procedimento 2227/2017(come procuratrice di se stessa ex art. 86 c.p.c);

Procedimento n. -OMISSIS-;

in data 22.12.2016 ed in data 11.1.2016, il sistema informatico ha registrato la spedizione, da parte dell’interessata, della comparsa conclusionale e della memoria di replica in quello stesso giudizio, con successivo ritiro del fascicolo in data 14.3.2016;

procedimento n.-OMISSIS-, con il deposito in data 22.6.2013 della memoria ex art. 183.6 c.p.c.;

in data 6.7.2015 ed in data 23.7.2015 risultano poi depositate comparsa conclusionale e memoria di replica nel giudizio civile n. -OMISSIS-;

in data 28.2.2014 risulta il deposito della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio civile n. -OMISSIS-;

procedimento n. -OMISSIS-.

Osserva il Collegio.

Le contestazioni, nei termini sopra riportati, invero, risultano, ad eccezione del procedimento con il quale la predetta ha svolto attività giudiziaria per se stessa e quello del dicembre 2016, tutti successivi al periodo di osservazione per la verifica della professionalità della ricorrente.

Ritiene il Collegio che solo i due procedimento sopra indicati, potevano, per le ragioni di seguito rappresentate, essere utilizzati per la conferma nell’Ufficio della ricorrente, atteso che la stessa, in data -OMISSIS-, aveva ottenuto la conferma a VPO sino al -OMISSIS-.

Risulta che la ricorrente, in data -OMISSIS-, in ossequio alla intervenuta normativa, ha presentato una nuova istanza per la conferma delle funzioni.

Il negativo giudizio espresso dalla p.a. -OMISSIS- ha, in buona sostanza, travolto la precedente positiva valutazione nei confronti della stessa assunta un anno e mezzo prima.

Ora, ritiene il Collegio che tale nuova determinazione non ha costituito, né poteva costituire un contrarius actus del precedente giudizio.

L’azione attivabile dalla p.a. in autotutela presuppone la necessità di rimuovere il provvedimento originario per motivi di opportunità, ovvero di legittimità.

In tal caso, il procedimento di secondo grado deve principiare dalla determinazione dell’amministrazione con la quale la stessa deve specificare le ragioni e la volontà di rivedere l’originario provvedimento.

Nel caso di specie l’amministrazione non ha contestato la precedente conferma dalle funzioni della ricorrente, ma ha inteso valutare il percorso professionale della ricorrente negli otto anni precedenti al periodo successivo alla presentazione dell’istanza ed al provvedimento di conferma delle funzioni.

Si è trattato, in buona sostanza di un nuovo esame della idoneità per le funzioni di VPO della controinteressata che non poteva, senza una espressa contestazione, mettere in discussione il periodo anteriore alla originaria conferma.

Tale accertata evenienza comporta che il giudizio espresso in ragione della nuova domanda presentata dalla stessa in data -OMISSIS- non ha, né può avere natura novativa del precedente giudizio.

Ebbene, ritiene il Collegio che la valutazione professionale della ricorrente deve principiare dalla data di presentazione della domanda del giugno 2016, proprio per evitare che episodi datati nel tempo, che dovevano, eventualmente, essere valutati nel precedente giudizio di professionalità, possano costituire motivo per una nuova valutazione, senza che alcuna contestazione del precedente giudizio risulti dagli atti.

In altre parole, nel caso la p.a. volesse scrutinare il comportamento del magistrato con riferimento ad episodi non conferenti con il periodo di valutazione, è necessario che la stessa provveda con una specifica contestazione del precedente giudizio, rappresentando le ragioni ed i motivi di una tale scelta, da adottare nei termini di cui al citato art. 21 novies, ovvero nelle ipotesi di cui all’art. 21 quinquies, proprio per il rispetto del principio del legittimo affidamento.

E’ evidente che i comportamenti pregressi potranno e dovranno trovare accoglimento solo in caso di dolo dell’esaminato nel corso del precedente procedimento, che la p.a. non ha contestato e che il Collegio non ravvisa.

Conforta tale assunto, proprio la disciplina, utilizzabile in via analogica, per le valutazioni espresse nei confronti dei magistrati ordinari.

La giurisprudenza ha statuito che i pregressi comportamenti, connotati disciplinarmente, ovvero penalmente, potranno essere valutati successivamente e con efficacia retroattiva unicamente “quando un episodio non è stato valutato dal C.S.M. in sede di progressione di carriera, perché ancora oggetto di esame in sede disciplinare, il medesimo episodio - una volta accertato nella sede disciplinare - ben può essere preso in considerazione in occasione della successiva valutazione dell'interessato” (Cons. Stato, 26 febbraio 2019, n. 1339).

Diversamente opinando, le valutazioni comportamentali dei magistrati onorari ed anche ordinari sarebbero oggetto di esame sine die, superando sinanche le previste scansioni temporali, pur in assenza di specifiche contestazioni.

In conclusione, nel caso di specie, mancando i requisiti previsti per la revoca, ovvero per l’annullamento dell’originario provvedimento di conferma della funzione, nei termini di cui agli artt. 21 quinques e octies e novies della L. 241/1990 e successivamente integrazioni, la questione si riduce alla verifica dei requisiti per la conferma della funzione nel periodo successivo al marzo 2016.

La p.a., di contro ha esaminato evenienze risalenti all’anno 2009 ed ha adottato il provvedimento, in questa sede censurato, contestando la violazione dell’art. 42-quater del regio decreto n. 12/1941, dell’art. 71 del medesimo RD e della circolare del CSM (Circolare n. P. 792/2016 del 19 gennaio 2016 – Delibera del 13 gennaio 2016).

La prima norma recita: “ e) coloro che svolgono o abbiano svolto nei tre anni precedenti attività professionale non occasionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria.

Gli avvocati ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale presso il quale svolgono le funzioni di giudice onorario e non possono rappresentare o difendere le parti, nelle fasi successive, in procedimenti svoltisi dinanzi ai medesimi uffici”.

L’art.71 RD citato, anch’esso riportato nel provvedimento contestato, statuisce : “I vice procuratori onorari sono nominati con le modalità previste per la nomina dei giudici onorari di tribunale. Ad essi si applicano le disposizioni di cui agli articoli 42-ter, 42-quater, 42-quinquies e 42-sexies”.

La circolare sopra riportata, al punto 2) dell’art. 7), statuisce : “ 2. Gli avvocati ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del Tribunale presso il quale svolgono le funzioni di vice procuratore onorario e non possono rappresentare o difendere le parti, nelle fasi successive, in procedimenti svoltisi dinanzi ai medesimi uffici”.

In conclusione, la ricorrente ha violato, a dire della resistente, le previsioni normative che inibiscono ai magistrati onorari l’esercizio della professione forense nel circondario dove esercitano la funzione pubblica.

Ora, in disparte il fatto che la lettura del riportato combinato normativo consente di affermare che l’attività professionale defensionale comporta l’adozione della sanzione espulsiva solo quando l’indicata attività sia svolta in maniera professionale con continuità e sistematicità, nel caso di specie, per le ragioni che seguono, il Collegio ritiene che quanto contestato non configuri le ipotesi di cui alla normativa di settore.

I rilievi imputati alla ricorrente, si riducono, per le ragioni sopra dette, ai due episodi sopra riportati collocati temporalmente dopo il giugno 2016.

Nei casi di evenienze professionali estemporanee e residuali, la reazione dell’amministrazione, pertanto, dovrà essere proporzionata ed adeguata alle violazioni accertate.

L’indicato principio, espresso dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/90, come modificata nel 2005, costituisce un’applicazione dei principi comunitari espressi dalla Corte di Giustizia nella sua giurisprudenza (v. C. giust., 17.12.1970, in C-11/70, Internationale Handelsgesellschaft, in Racc., 1970, 1125 ss.;
C. giust., 24.10.1973, in C-5/73, Balkan-Import-Export, inRacc., 1973, 1091 ss.).

In definitiva, il principio di proporzionalità deve essere inteso dalla pubblica amministrazione “nella sua accezione etimologica e, dunque, da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284).

Ad esso deve giustapporsi anche il principio di ragionevolezza quale criterio al cui interno convergono altri principi generali dell’azione amministrativa (imparzialità, uguaglianza, buon andamento): l’amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali.

Ciò comporta, a giudizio del Collegio, che il provvedimento adottato ed in questa sede contestato difetti della necessaria proporzionalità, né la p.a. ha adeguatamente motivato tale scelta, proprio con riferimento agli episodi contestati prima del giugno 2016.

In buona sostanza, il sistema esclude l’applicazione meccanica delle norme per favorire una superiore coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità ed adeguatezza.

Ricostruito il quadro normativo di riferimento, in uno con il provvedimento impugnato, i comportamenti contestati e riferiti ad una data successiva alla domanda di conferma nell’Ufficio, riguardano, come detto, evenienze saltuarie e limitate.

La ratio sottesa alle previsioni normative è quella di evitare che innanzi al medesimo ufficio giudiziario il professionista presti la propria attività, sia come avvocato, che come magistrato onorario.

E’ evidente come una siffatta duplicità di ruoli e di funzioni comporti una compromissione, sia dell’immagine, che della sostanza stessa dell'imparzialità del giudice, legittimando la sanzione espulsiva.

E’ però necessario che tale duplicità di ruoli sia effettivamente accertata attraverso aspetti documentali obiettivi e non contraddittori, quale attività dotata di una certa continuità e persistenza.

Dai documenti versati in atti, di contro, risulta che il CSM non ha adeguatamente ponderato e conseguentemente motivato il provvedimento negativo, avendo scrutinato evenienze afferenti anche a periodi già positivamente scrutinati per la conferma delle funzioni.

E’ noto e non merita particolare approfondimento che il sindacato esercitabile dal giudice amministrativo sul provvedimento di diniego di conferma del magistrato onorario è limitato al riscontro della sussistenza dei presupposti di legge ed alla verifica di congruità e ragionevolezza della motivazione ed alla consequenzialità logica tra presupposti e conclusioni.

Nel caso in esame ritiene il Collegio che il provvedimento contestato risulti viziato per travisamento dei fatti, difetto di proporzionalità e difetto di motivazione.

Il Collegio, alla luce delle suesposte considerazioni, accoglie il ricorso principale, cui consegue la improcedibilità dell’impugnativa proposta avverso il diniego alla permanenza nelle funzioni sino al -OMISSIS-, per sopravvenuta carenza di interesse.

La peculiarità della vicenda convince il Collegio a compensare le spese di lite.

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