TAR Torino, sez. I, sentenza 2019-01-04, n. 201900023
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Pubblicato il 04/01/2019
N. 00023/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00792/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 792 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
C P, rappresentato e difeso dagli avvocati G G, G R, M C, con domicilio eletto in Torino, in Corso De Gasperi n. 21, presso l’Av. A F;
contro
Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato P C M, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, c.so Regina Margherita, 174;
nei confronti
R.M. Ricerche Minerarie S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Av. Alina Nano, con domicilio eletto presso il suo studio in Vercelli, C.so Garibaldi 90;
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- della determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale il 25 maggio 2017, con cui è stata rinnovata per altri 5 anni la concessione mineraria denominata “Fornaccio” alla società R.M. – Ricerche Minerarie s.r.l.;
- di tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con i provvedimenti impugnati.
Con il favore di spese ed onorari di causa.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 27/9/2017 :
annullamento
- della determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale il 25 maggio 2017, con cui è stata rinnovata per altri 5 anni la concessione mineraria denominata “Fornaccio” alla società R.M. – Ricerche Minerarie s.r.l.;
- di tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con i provvedimenti impugnati.
Con il favore di spese ed onorari di causa ai sensi del D.M. 55/2014;
per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 18/5/2018 :
- della determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale il 25 maggio 2017, con cui è stata rinnovata per altri 5 anni la concessione mineraria denominata “Fornaccio” alla società R.M. – Ricerche Minerarie s.r.l.;
- di tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con i provvedimenti impugnati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Piemonte e di R.M. Ricerche Minerarie S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018 il dott. P N e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso depositato in data 9.8.2017, P C impugnava la determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale il 25 maggio 2017, con cui era stata rinnovata per altri 5 anni la concessione mineraria denominata “Fornaccio” alla società R.M. – Ricerche Minerarie s.r.l. (d’ora in poi RM), nonché tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con i provvedimenti impugnati.
A fondamento del ricorso il P deduceva i seguenti motivi:
1) violazione degli artt. 10 e 16 d.p.r. 18.4.1994, n. 382;violazione dell’art. 34, r.d. 29.7.1927, n. 1443;eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto dei presupposti per il rilascio del rinnovo: secondo parte ricorrente, la Regione in sede di rinnovo della concessione mineraria aveva omesso di verificare l’esistenza e la coltivabilità del giacimento onde stabilirne la rilevanza per l’interesse pubblico;
2) violazione degli artt. 10 e 16, d.p.r. 18.4.1994, n. 382;violazione dell’art. 34, r.d. 29.7.1927, n. 1443;eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto dei presupposti per il rilascio del rinnovo: secondo parte ricorrente, la Regione non aveva accertato che la società concessionaria avesse adempiuto alle prescrizioni impartitegli con la concessione;
3) violazione dell’art. 10, l. 7.8.1990, n. 241;violazione dell’art. 19, l.r. 14.10.2014, n. 14;eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;eccesso di potere per travisamento dei fatti: secondo parte ricorrente, infatti, il provvedimento impugnato aveva solo parzialmente dato conto delle osservazioni e argomentazioni opposte dai controinteressati nell’ambito del procedimento di rinnovo;
4) violazione delle prescrizioni della d.g.r.. 26.9.2011, n. 21-2637;eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti: secondo parte ricorrente, sussisterebbe una parziale difformità tra il progetto di recupero ambientale presentato in sede di istanza di revoca e il progetto che era stato autorizzato con la VIA;
5) violazione dell’obbligo di stipulare una convenzione con il Comune di Lozzolo previsto con d.g.r. 26.9.2011, n. 21-2637;eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti: secondo parte ricorrente, la d.g.r.. 26.9.2011, n. 21-2637, imponeva che prima del rilascio della concessione, al fine di garantire il mantenimento della pulizia della viabilità pubblica e dello smaltimento delle acque meteoriche, fosse stipulata apposita convenzione con tale Ente territoriale.
Si costituivano in giudizio la Regione Piemonte ed RM contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Con memoria datata 27.9.2018, il ricorrente presentava un motivo aggiunto recante <<1) violazione degli artt. 10 e 16, d.p.r. 18.4.1994, n. 382;violazione dell’art. 34, r.d. 29.7.1927, n. 1443;eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto dei presupposti per il rilascio del rinnovo>>: secondo parte ricorrente, in violazione dell’art. 4, lett. b) della precedente concessione in rinnovo n. 614/11, RM non aveva corrisposto ai Comuni territorialmente interessati e alla regione Piemonte la tariffa prevista per i diritti di escavazione dall’art. 14, L.R. 22/07.
Con atto depositato in data 18.5.2018 il ricorrente proponeva un ulteriore motivo aggiunto recante <<violazione dell’art. 34, r.d. 29.7.1927, n. 1443;eccesso di potere per difetto di motivazione in relazione al mancato sfruttamento della concessione>>: secondo parte ricorrente, dalle difese della Regione Piemonte contenute nella memoria del 20 aprile scorso, e., in particolare, dalla relazione tecnica allegata alla richiesta di rinnovo e dal verbale di sopralluogo del 14 febbraio 2017, emergeva il fatto che la R.M. Ricerche Minerarie non aveva sfruttato la precedente concessione in rinnovo del 2011, con conseguente difetto di motivazione del provvedimento impugnato mancando qualsiasi valutazione circa l’interesse pubblico ad affidare la coltivazione del giacimento ad un soggetto che si era dimostrato incapace di sfruttarlo pienamente e non essendo stata offerta alcuna indicazione circa la fine della crisi produttiva di RM.
Le parti depositavano memorie difensive.
All’udienza del 5.12.2018 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Premessa.
Il ricorrente è proprietario di terreni compresi all’interno di un’area che è stata concessa da diverso tempo ad RM per la coltivazione dei minerali di caolino e argille per terraglia forte e porcellana.
La concessione mineraria è stata recentemente rinnovata per ulteriori 5 anni con determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, in questa sede impugnata.
2. Sui motivi di impugnazione.
2.1. Come accennato, con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente ha lamentato il mancato autonomo accertamento da parte della P.A., in sede di rinnovo, della sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 10, d.p.r. 382/94 in ordine alla esistenza e coltivabilità del giacimento.
Al riguardo, ai sensi dell’art. 10, d.p.r. n. 382/1994, “possono formare oggetto di concessione i giacimenti minerari dei quali l’amministrazione abbia riconosciuto la esistenza e la coltivabilità”.
Sul punto, occorre rammentare, in primo luogo, che il provvedimento in contestazione non riguardava una concessione ex novo , ma il mero rinnovo di quella precedente.
Come sottolineato in giurisprudenza, <<…il rinnovo della concessione mineraria di coltivazione non è assimilabile alla fattispecie del rilascio di una nuova concessione, in quanto, in virtù dell'art. 34 r.d. 29 luglio 1927 n. 1443, non v'è soluzione di continuità tra l'originario provvedimento permissivo e la protrazione dei suoi effetti..>>(Cons. Stato, sez. V, 27/02/2001, n.1063).
Pertanto, deve ritenersi che l’art. 10 richiamato si riferisca all’atto di concessione originario e non ai successivi rinnovi sicchè in ogni caso non vi era obbligo per la Regione di esaminare la sussistenza dei requisiti previsti dalla norma.
Peraltro, nel provvedimento impugnato la Regione ha comunque reso una valutazione sul punto sottolineando che <<la coltivazione del giacimento minerario….riveste carattere di pubblica utilità in quanto fondamentale come materia prima indispensabile per l’industria…>>in tal modo implicitamente giudicando esistente e coltivabile il giacimento in questione.
Pertanto, tale motivo di ricorso è infondato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la Regione, nell’accordare il rinnovo, non ha adeguatamente motivato, né, ancor prima, svolto adeguata istruttoria, per verificare il corretto adempimento, da parte di RM, delle prescrizioni a questa impartite dal precedente provvedimento di rinnovo della concessione n. 614/11.
In particolare risulterebbe non adempiuto:
a) l’obbligo di procedere al c.d. recupero ambientale che avrebbe dovuto essere eseguito non alla fine della coltivazione, ma già mano a mano che questa veniva effettuata.
b) in secondo luogo, all’obbligo di realizzazione dell’asfaltatura del tratto di strada precedente l’impianto di lavaggio gomme dei mezzi e del successivo tratto fino al bivio con lo stabilimento Minerali Industriali S.p.A..
Ai sensi dell’art. 43, r.d. n. 1443/1927, “la concessione scaduta può essere rinnovata, qualora il concessionario abbia ottemperato agli obblighi impostigli”.
Quindi, la possibilità che il titolare di una concessione mineraria ottenga, alla scadenza della concessione, il rinnovo è subordinata alla verificata ottemperanza agli obblighi impostigli con la precedente concessione (Cons. Stato sez. VI, 15/06/1998, n.952).
Sotto il profilo sub a) che precede, secondo la Regione e la controinteressata RM, l’obbligo di provvedere al recupero ambientale avrebbe dovuto essere adempiuto solo al termine della coltivazione, come anche sottolineato dalla Soprintendenza Archeologica e Belle Arti nel parere del 6.2.2017.
Al riguardo, premesso che le valutazioni della Soprintendenza non escludono che l’intestato TAR possa valutare diversamente la fattispecie anche in mancanza di specifica impugnazione del parere predetto, è dirimente sottolineare come la d.g.r. 26.9.2011 n. 21-2637, il rispetto delle cui prescrizioni era obbligatorio, atteso il rinvio alle stesse contenuto nella delibera di rinnovo della concessione n. 614 del 2 dicembre 2011, ha specificamente previsto:
- che contestualmente alla coltivazione mineraria sia eseguito il recupero ambientale con l’obiettivo di ricostituire continuità tra l’intervento in progetto e il territorio circostante per mezzo di tecniche di rinverdimento che permetteranno la riqualificazione dell’area;
- che per l’attuazione dell’attività estrattiva vengano utilizzate tecniche di coltivazione e di recupero ambientale che garantiscono le capacità riproduttive delle risorse naturali coinvolte, consentendo nel contempo il raggiungimento di risultati positivi in termini produttivi e di ricaduta occupazionale;
- che il cronoprogramma dei lavori relativo alla progettazione consente la realizzazione degli interventi di recupero ambientale in stretta successione temporale con i lavori di coltivazione e realizza nel contempo la riqualificazione ambientale dell’area;
- che gli interventi di recupero ambientale consentono di restituire al sito minerario le originarie caratteristiche vegetazionali e il suo miglioramento morfologico;
- tuttavia, per mitigare ulteriormente gli impatti sulle componenti ambientali, rispetto alle misure già previste dal proponente in corso d’opera, e per ottimizzare la sistemazione dell’area, emerge l’esigenza di definire le seguenti specifiche prescrizioni: la coltivazione e gli interventi di recupero ambientale siano eseguiti secondo il progetto presentato con le modifiche e integrazioni presentate in data 12 maggio 2011 e secondo le prescrizioni previste nell’ allegato tecnico (allegato A) relativo alla coltivazione ed al recupero ambientale alla presente delibera;
Secondo l’allegato A) alla predetta d.g.r. 26.9.2011, n. 21-2637, <<ai fini della coltivazione della miniera, del recupero ambientale il proponente è tenuto a far sì che gli interventi di recupero ambientale devono essere realizzati durante le stagioni idonee (primavera ed autunno) utilizzando specie idonee alle condizioni territoriali nonché ad inviare ai sensi degli artt. 37, 41, 42 e 43 del D.P.R. 128/1959 entro il mese di settembre di ogni anno il consuntivo dei lavori di coltivazione e di recupero ambientale eseguiti e il preventivo per l’anno successivo>>.
Da quanto sopra è evidente la cadenza periodica in corso di rapporto delle attività di recupero.
Nel provvedimento impugnato la Regione non dà conto né dell’avvenuto o meno corretto adempimento degli obblighi da parte di RM, né di aver svolto specifica istruttoria sul punto.
Sotto il profilo sub b), le parti resistente e controinteressata hanno eccepito l’avvenuta esecuzione, in data 14.3.2014, dell’asfaltatura da parte di RM del tratto di strada precedente l’impianto di lavaggio gomme dei mezzi e del successivo tratto fino al bivio con lo stabilimento Minerali Industriali spa, come prescritto alla Commissione tecnica di controllo con verbale del 20.1.2014 ed entro il termine da questa stabilito (30.4.2014).
Al riguardo, la d.g.r. 212637/11 prevedeva quanto segue: <<il tratto di strada precedente l’impianto di lavaggio gomme dei mezzi e il successivo tratto fino al bivio con lo stabilimento Minerali Industriali SpA dovrà essere asfaltato entro sei mesi dal rilascio della concessione mineraria>>.
La Commissione di controllo ha rilevato la necessità, in occasione del citato sopralluogo del 2014, di
<<ripristinare l’asfaltatura nel tratto di strada precedente l’impianto di lavaggio gomme dei mezzi ed il successivo tratto fino al bivio con lo stabilimento Minerali Industriali s.p.a., stendendo uno strato di fondo adeguato al carico dei mezzi d’opera in transito. Si stabilisce che tale lavoro sia eseguito entro il 30 aprile 2014. La società a fine lavori invierà una documentazione fotografica comprovante l’esecuzione dei lavori>>.
Nel provvedimento impugnato, d’altronde, la Regione non dà conto né dell’avvenuto o meno corretto adempimento dell’obbligo da parte di RM, né di aver svolto specifica istruttoria sul punto.
Nel presente giudizio, se, da un lato, non è emersa una prova chiara ed idonea a dimostrare la compiuta realizzazione da parte di RM dei lavori richiesti dalla d.g.r. del 2011 e dalla Commissione di controllo nel 2014, dall’altro lato, per contro, parte ricorrente ha prodotto il documento datato 22.11.2018 contenente attestazione da parte del Comune di Lozzolo che RM ha proceduto nel 2015 a dei “rappezzi” eseguiti su via Virada, ma non interessanti il tratto stradale in questione, mentre non ha dato conto dell’avvenuta esecuzione di altri lavori sulla strada in esame in conformità alle suindicate prescrizioni.
In ordine al documento da ultimo citato, la relativa produzione in giudizio deve ritenersi ammissibile essendo lo stesso di formazione successiva alla scadenza dei termini di legge per la produzione di documenti.
Ne consegue, quindi, che, con riferimento ad entrambe le prescrizioni sopra esaminate, il provvedimento impugnato si appalesa illegittimo per difetto di istruttoria e motivazione.
2.3. In ordine al terzo motivo di impugnazione, secondo parte ricorrente sarebbe stato violato l’art. 10, l. 241/90 e l’art. 19, l.r. 14/14 per non avere il provvedimento impugnato argomentato e precisato in ordine alle osservazioni e ai rilievi formulati da parte ricorrente in sede di procedimento.
Sul punto, occorre rilevare che parte ricorrente non ha specificato in modo puntuale ed analitico quali osservazioni, diverse da quelle fondanti i motivi di ricorso per i quali è causa, non sono state analizzate e la rilevanza delle stesse.
In questo senso, il motivo si appalesa in parte generico e come tale inammissibile e, in parte, con riferimento alle ragioni di doglianza fatte valere specificamente nel presente giudizio (in merito, in particolare, alla mancata valutazione della sufficiente consistenza del residuo giacimento minerario e sua coltivabilità e all’omesso accertamento degli inadempimenti da parte di RM alla delibera di rinnovo della concessione n. 614/11), la decisione sullo stesso deve ritenersi conseguentemente assorbita in quella relativa agli ulteriori motivi dedotti in giudizio.
2.4 Sul quarto motivo di ricorso, il P lamenta che, secondo il parere del Settore Territorio e Paesaggio della Regione allegato al rinnovo di concessione, il progetto presentato da RM prevede, ai fini del recupero ambientale, “la costituzione di un sistema misto con arbusti e vegetazione palustre nelle porzioni morfologicamente più depresse e umide della miniera” e che la suddetta previsione non è presente nel progetto autorizzato in esito alla VIA, di cui alla d.g.r. 26.9.2011, n. 21-2637.
Di conseguenza, secondo parte ricorrente, il progetto di recupero ambientale è parzialmente in contrasto con quello che era stato autorizzato con la VIA e il parere, pur favorevole, rilasciato dall’Ufficio competente, non varrebbe a superare o sopperire alla difformità predetta, l’unico modo per consentire il diverso recupero essendo una nuova valutazione di impatto ambientale, non effettuata però nel caso di specie.
Al riguardo, seppure è vero che nel parere sopra citato è stata rilevata la predetta difformità rispetto al progetto autorizzato nel 2011 con la VIA, è anche vero che la determina in questa sede impugnata non ha recepito detto progetto, ma ha mantenuto fermo e “invariato” quello di coltivazione e recupero ambientale approvato con d.g.r. n. 21 – 2637 del 26 settembre 2011.
Pertanto, il motivo in esame deve ritenersi infondato.
2.5. Con riferimento al quinto motivo di ricorso principale, secondo il P il giudizio di compatibilità ambientale di cui alla d.g.r.. 26.9.2011, n. 21-2637, imponeva che prima del rilascio della concessione, al fine di garantire il mantenimento della pulizia della viabilità pubblica e dello smaltimento delle acque meteoriche, fosse stipulata da RM apposita convenzione con il Comune di Lozzolo.
Il motivo non è fondato.
Infatti, la convenzione stipulata da RM con il Comune di Lozzolo nel 2011, di durata quinquennale, prevedeva il tacito rinnovo della stessa per ulteriori 5 anni, sicchè allo stato detta convenzione risulta ancora in vigore tra le parti.
2.6. Con riguardo al primo motivo aggiunto, di cui alla memoria del 27.9.2017, parte ricorrente lamenta che, in violazione dell’art. 4, lett. b), della concessione n. 614/11, RM non aveva corrisposto ai Comuni territorialmente interessati e alla regione Piemonte la tariffa prevista per i diritti di escavazione ai sensi dell’art. 14, L.R. 22/07.
In particolare, all’esito del sopralluogo del 1.8.2017, sarebbe emerso il mancato pagamento da parte di RM in favore del Comune di Lozzolo, degli importi dovuti per gli anni 2015 e 2016.
Al riguardo, dai documenti prodotti emerge la prova del mancato tempestivo pagamento della tariffa da parte di RM al Comune di Lozzolo, tanto che quest’ultimo risulta aver concesso all’odierna controinteressata, ma solo in data 5.10.2017, una rateizzazione dei diritti di escavazione relativi agli anni 2015 e 2016;altresì risulta che l’integrale adempimento dell’obbligo nei confronti del Comune di Lozzolo risulta essere avvenuto in data 21.3.2018, ovvero quasi un anno dopo rispetto all’assunzione della delibera oggetto di causa.
Conseguentemente, al momento dell’adozione del provvedimento di rinnovo della concessione, l’obbligazione non era stata adempiuta, e di tale situazione non è stato dato conto nel provvedimento impugnato, né la Regione ha fatto riferimento allo svolgimento di attività istruttoria al riguardo.
Pertanto, il provvedimento impugnato risulta illegittimo e va annullato anche sotto il profilo sopra descritto.
2.7. Con riguardo, infine, al secondo motivo aggiunto, di cui alla memoria del 18.5.2018, parte ricorrente lamenta che dalle difese della Regione Piemonte contenute nella memoria del 20 aprile 2018, e, in particolare, dalla relazione tecnica allegata alla richiesta di rinnovo e dal verbale di sopralluogo del 14 febbraio 2017, emerge la prova che RM non ha sfruttato la precedente concessione in rinnovo del 2011.
In particolare:
- nella relazione allegata alla richiesta di rinnovo è stato dichiarato “che gli scavi autorizzati non sono stati portati a compimento” e che “detto elaborato (ovvero la Tav. 5 sezioni di raffronto) evidenzia ampiamente come i lavori di coltivazione mineraria non abbiano raggiunto lo stato finale del primo quinquennio autorizzato.”
- nel verbale di sopralluogo è stato constatato che “la configurazione attuale degli scavi è molto lontana cronologicamente dalla configurazione finale prevista dal progetto autorizzato con D.G.R. 21-2637 del 26/9/2011”.
Il motivo è inammissibile in considerazione del fatto che entrambi i documenti sulla scorta dei quali è stato sollevato il motivo aggiunto erano già esistenti, conoscibili e, quindi, esaminabili, anche mediante tempestiva istanza di accesso agli atti, nel momento medesimo nel quale parte ricorrente ha avuto notizia della delibera oggetto del presente giudizio, poiché richiamati o comunque concernenti atti richiamati in tale ultimo provvedimento.
3. Alla luce di quanto sopra, pertanto, deve ritenersi la delibera impugnata illegittima per difetto di adeguata istruttoria e motivazione non avendo la Regione provveduto ad esaminare e valutare sufficientemente se la società RM abbia o meno adempiuto correttamente gli obblighi sopra esaminati previsti dalla convenzione n. 614/11 e, quindi, la rilevanza o meno degli eventuali inadempimenti con riferimento alla domanda di rinnovo della concessione.
Va rammentato, al riguardo, che gli atti di concessione mineraria importano un immanente controllo da parte dell'Amministrazione concedente, relativamente al permanere delle condizioni necessarie al suo mantenimento;condizioni che, se implicano l'accertamento in ordine al venir meno dei requisiti di capacità e di idoneità, determinano la declaratoria di decadenza, che assume natura e valenza di atto ricognitivo, mentre, se implicano l'accertamento in ordine ad inadempimenti da parte del concessionario a specifici obblighi a lui particolarmente imposti, determinano una comminatoria di decadenza, che assume natura e valenza di atto sanzionatorio. Invero, in entrambe le ipotesi considerate, viene involta esplicazione di discrezionalità amministrativa circa la verifica delle condizioni anzidette e, particolarmente, nel caso di comminatoria di decadenza di una concessione per inadempimento di obblighi, avente natura e funzione sanzionatrice, che va, di norma, preceduta dalla contestazione degli addebiti e dalla diffida a porre fine all'inadempienza riscontrata (Tar. Calabria, sez. I, 14/04/2011, n.519).
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in conformità al d.m. 55/14 ss.mm.ii.
5. In ordine alla natura ampliativa o meno dei motivi aggiunti presentati da parte ricorrente, ai fini della debenza o meno del maggior contributo unificato, il relativo giudizio deve ritenersi estraneo alla giurisdizione amministrativa.
Si concorda, infatti, con l’insegnamento giurisprudenziale, diverso da quello richiamato da parte ricorrente, secondo il quale <<l'istanza per il rimborso del contributo unificato deve essere rivolta alla Segreteria Generale del Tribunale, essendo questa competente a determinare l'obbligo di pagamento di tale contributo e la sua quantificazione. La Segreteria dovrà valutare, anche alla luce della decisione della Corte di Giustizia UE, sez. V, 6 ottobre 2015 C — 61/14, la sussistenza del presupposto impositivo, consistente nell'ampliamento della domanda proposta con i ricorsi per motivi aggiunti rispetto alla domanda proposta con il ricorso introduttivo regolarmente assoggettato a contributo unificato;in sostanza, deve valutare l'assoggettabilità dei ricorsi per motivi aggiunti ad ulteriore contributo. Ne discende che le eventuali contestazioni in ordine all'operato impositivo del predetto organo amministrativo vanno considerate di natura tributaria e, quindi, esulano dalla cognizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice tributario>>(T.A.R. Napoli, (Campania) sez. I, 04/05/2016, n.2212).