TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2022-07-05, n. 202209130

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2022-07-05, n. 202209130
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202209130
Data del deposito : 5 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/07/2022

N. 09130/2022 REG.PROV.COLL.

N. 08445/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8445 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
M S, rappresentata e difesa dall’avvocato L M, domiciliato presso la Segreteria del TAR del Lazio in Roma, via Flaminia n. 189;

contro

Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Ministero della Difesa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti

G T, A A, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

- quanto al ricorso introduttivo:

del decreto n. 14/09 del Ministero della Difesa, con il quale veniva indetta la procedura speciale per la stabilizzazione di ufficiali in ferma prefissata, ausiliari del ruolo speciale e tecnico-logistico dell’Arma dei Carabinieri per gli anni 2007 e 2008, nella parte in cui non contempla il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in costanza di rapporto di lavoro a tempo determinato;

della graduatoria 15/2009;

della Partecipazione nomina comunicata con atto prot. n. MD GMIL del 3.9.2009, nella sola parte in cui prevede la decorrenza dell’anzianità assoluta a partire dal 1.7.2008;

per l’accertamento del diritto della ricorrente

- al riconoscimento dell'anzianità assoluta nel grado di Sottotenente a far data dall’1.12.2003;

- ad essere inquadrato nel grado di Capitano a decorrere dal 01.12.2010;

e per la condanna delle Amministrazioni intimate:

- ad inquadrare il Tenente Secconi nel grado di Capitano a decorrere dall’1.12.2010;

- al pagamento della somma spettante a titolo di differenze retributive, maggiorata di

interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione fino al soddisfo, secondo legge;

- quanto ai motivi aggiunti depositati in data 9 ottobre 2015:

delle comunicazioni M_D

GMIL

0349030 del 16 giugno 2015 e M_D

GMIL

0353703 del 18 giugno 2015, notificate in data successiva al 3 luglio 2015;

della determinazione dirigenziale 15 giugno 2015, con cui è stato approvato l’elenco relativo alle aliquote di avanzamento, citata nella comunicazione M_D

GMIL

0349030 del 16 giugno 2015;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 10 giugno 2022 la dott.ssa A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 11 giugno 2015 e depositato il successivo 7 luglio 2015, la ricorrente – inquadrata nel grado di Tenente a tempo indeterminato in data 1 luglio 2010, in esito alla procedura speciale di stabilizzazione indetta con il decreto in epigrafe, ma già Sottotenente “in ferma prefissata ausiliario del ruolo speciale” a fare data dal 29.12.2003 - ha impugnato i provvedimenti e degli atti meglio indicati in epigrafe nonché chiesto il riconoscimento dell’anzianità maturata in costanza di rapporto a tempo determinato, con relativa condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento della somma spettante a titolo di differenze retributive “maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione sino al soddisfo, secondo legge”, in ragione della violazione e falsa applicazione, tra l’altro, del principio di non discriminazione di cui alla direttiva comunitaria n. 1999/70/CE.

Il successivo 9 ottobre 2015 la ricorrente ha prodotto “motivi aggiunti”, volti: - all’annullamento delle comunicazioni M_D

GMIL

0349030 del 16 giugno 2015 e M_D

GMIL

0353703 del 18 giugno 2015, notificate in data successiva al 3 luglio 2015, nonché della determinazione dirigenziale 15 giugno 2015, di approvazione dell’elenco relativo alle aliquote di avanzamento, sulla base della deduzione dei medesimi motivi di diritto già formulati con il ricorso introduttivo;
- all’accertamento del suo diritto soggettivo al riconoscimento dell’anzianità di servizio “maturata nel periodo di esecuzione del contratto a tempo determinato” e, ancora, alla corresponsione delle relative spettanze economiche.

Con atto depositato in data 23 ottobre 2015 si sono costituiti il Ministero della Difesa e il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, per poi procedere – il successivo 3 maggio 2022 – alla produzione di una memoria, connotata – in sintesi – dal seguente contenuto: - il ricorso è tardivo, posto che l’oggetto dell’impugnativa è rappresentato da una previsione del bando pubblicato il 20 novembre 2009;
- la pretesa a una ricostruzione giuridica di carriera dell’istante è certamente inaccoglibile, atteso che – a fronte di provvedimenti autoritativi – la ricorrente ha preteso di esercitare una inammissibile azione di accertamento, mentre la sua posizione giuridica soggettiva è di interesse legittimo, come, tra l’altro, desumibile dalla decisione del Consiglio di Stato n. 4965 del 2021;
- in subordine, si eccepisce la prescrizione estintiva quinquennale delle differenze retributive ex adverso domandate;
- nel merito, la pretesa al riconoscimento anche del servizio prestato a tempo determinato è infondata, per inapplicabilità della normativa comunitaria (direttiva 1999/70/CE) al personale militare, tanto più ove si consideri che lo status ed il profilo degli ufficiali in ferma prefissata risultano del tutto diversi da quelli degli ufficiali in servizio permanente.

I successivi 10 maggio 2022 e 20 maggio 2022 la ricorrente ha prodotto scritti difensivi, in cui ha affermato che “oggetto del presente giudizio è il riconoscimento del diritto dell’Ufficiale ricorrente alla retrodatazione dell’anzianità assoluta nel grado di Sottotenente, a far data dall’1.12.2003, e, a quella nel grado di Capitano, a decorrere dall’1.12.2010, oltre che a percepire le differenze retributive maturate in costanza di rapporto di lavoro a tempo determinato”, richiamando – a supporto della propria pretesa – “il più recente orientamento della giurisprudenza amministrativa”. All’udienza di smaltimento del 10 giugno 2022 – nel corso della quale il difensore di parte ricorrente ha espressamente affermato che l’azione proposta ha per oggetto esclusivamente la domanda di accertamento del riconoscimento dell’anzianità, con connesso riconoscimento delle relative spettanze “economiche”, così come riportato a verbale – il ricorso è stato trattenuto in decisione;

2. In ragione di quanto dichiarato dal difensore della ricorrente anche nel corso dell’udienza di smaltimento, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse nella parte in cui, mediante di esso, risulta proposta “azione di annullamento” degli atti e dei provvedimenti gravati.

3. Ciò detto, permangono da valutare la domanda di riconoscimento dell’anzianità pregressa, maturata nel corso del periodo di servizio prestato a tempo determinato, e, ancora, la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive dovute.

Tali domande sono meritevoli di positivo riscontro ai sensi e nei limiti di seguito indicati.

Il Collegio non ravvisa, infatti, validi motivi per discostarsi da precedenti pronunce emesse in materia e, pertanto, ribadisce – in stretta aderenza, in particolare, alla decisione del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, n. 4965 del 30 giugno 2021 e alla sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. I bis, 8 febbraio 2022, n. 1462 – quanto segue:

- la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, intitolata “Principio di non discriminazione”, chiarisce che “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”;

- come affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la direttiva - e, conseguentemente, la normativa interna di recepimento - trova applicazione anche con riguardo ai datori di lavoro che siano pubbliche amministrazioni (cfr., in relazione ad una questione sollevata dal Tribunale di Genova, Corte giust., Sez. II, 7 settembre 2006, nella causa C-53/04, § 39 ss.). La stessa Corte di Giustizia, Sez. VI, nella sentenza del 18 ottobre 2012 (nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11), ha precisato che, al fine di verificare se in una determinata ipotesi sussista una discriminazione del lavoratore a tempo determinato rispetto al lavoratore a tempo indeterminato, occorre “anzitutto, esaminare la comparabilità delle situazioni in esame e poi, in un secondo momento, verificare l’esistenza di un’eventuale giustificazione oggettiva” (§ 41 della sentenza);

- la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), all’articolo 3, comma 93, ha disposto che “il personale dell’Arma dei carabinieri, stabilizzato ai sensi dell’articolo 1, commi 519 e 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è collocato in soprannumero rispetto all’organico dei ruoli”;

- con il decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 2007 è stata autorizzata la stabilizzazione del personale, individuando le unità di personale per ogni Amministrazione interessata, tra cui 70 posti per l’Arma dei carabinieri;

- da tale disciplina normativa risulta evidente che la procedura di stabilizzazione, che è stata in generale prevista dalla legge, al fine di risolvere il problema dell’utilizzazione di lavoro temporaneo “per esigenze permanenti dell’Amministrazione” (cfr. in tal senso il § 2 della direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni delle pubbliche amministrazioni n. 7 del 30 aprile 2007), è stata disciplinata senza distinguere gli effetti della stabilizzazione per le varie Amministrazioni interessate da dette procedure;

- pertanto, i principi affermati dalla richiamata sentenza della Corte di giustizia del 18 ottobre 2012 e ribaditi dalla medesima Corte nelle successive ordinanze del 7 marzo 2013 (nella causa C-393/11) e del 4 settembre 2014 (nella causa C-152/14), concernenti il personale delle Autorità amministrative indipendenti, e ormai seguiti dalla giurisprudenza della Cassazione e anche del Consiglio di Stato con riferimento al personale di altre amministrazioni, debbono essere applicati anche alla presente fattispecie. Infatti, ritiene il Collegio che, una volta prevista dalla legge la procedura – di carattere eccezionale – di stabilizzazione (anche) per alcune categorie di lavoratori pubblici in regime di diritto pubblico, e nella specie, per l’Arma dei carabinieri, in mancanza di una specifica differente disciplina legislativa, non possano non valere, anche in tal caso, i medesimi principi consolidati affermati dalla giurisprudenza eurounitaria in materia di stabilizzazioni;

- sotto tale profilo, sono infondate le varie argomentazioni opposte dal Ministero della Difesa per cui la direttiva europea 1999/70 non si applicherebbe ai militari e dovrebbe essere applicata solo al settore pubblico “privatizzato”, in relazione alla specificità del rapporto di lavoro dei militari. Infatti, la specificità di tale rapporto di lavoro è stata già esaminata dal legislatore nonché, in sede governativa, con il d.P.R. del 29 dicembre 2007, nel momento in cui è stata ammessa la stabilizzazione anche per alcune categorie di personale militare (in particolare dell’Arma dei carabinieri) o assimilate, come i vigili del fuoco, e sono state individuate numericamente le unità di personale da stabilizzare, evidentemente in relazione alle esigenze “assunzionali” delle relative amministrazioni;

- del resto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha escluso l’applicazione generalizzata delle procedure di stabilizzazione alle Forze armate, non ha fatto riferimento allo status dei militari o alla particolare natura del rapporto in regime di diritto pubblico, ma semplicemente alla lettera dell’articolo 1, comma 519, della legge 296 del 2006, che ha consentito la stabilizzazione in deroga al blocco delle assunzioni, escludendola, quindi, per le Amministrazioni sottratte al blocco delle stesse e alla accessibilità al fondo di cui al comma 95 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sulla base quindi della volontà espressa dal legislatore di escludere alcune Amministrazioni dalla stabilizzazione, non applicabile estensivamente (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sezione II, 11 novembre 2020, n. 6934). Le sentenze del Consiglio di Stato, Sezione IV, 31 marzo 2012, n. 1902, n. 1904, n. 1908 hanno escluso l’applicazione della stabilizzazione a tutte le Forze armate affermando che “la stabilizzazione del personale precario della pubblica amministrazione può essere operata soltanto se abilitata da leggi emanate ad hoc, come tali di stretta interpretazione”. Tuttavia la procedura di stabilizzazione in oggetto è stata prevista, in via eccezionale, dal legislatore in relazione alle esigenze organizzative delle Amministrazioni, secondo le modalità da questo fissate per tutte le Amministrazioni interessate e pertanto, una volta ammessa tale procedura anche per l’Arma dei carabinieri, in mancanza di diverse indicazioni normative nella legge n. 296 del 2006 e nella legge n. 244 del 2007, non è percepibile alcuna differenza sostanziale rispetto alle analoghe procedure gestite in altri ambiti del lavoro pubblico;

- per tutto il personale era, infatti, previsto dalla legge n. 296 del 2006 anche il mantenimento del rapporto in corso fino alla conclusione della procedura di stabilizzazione, con evidenti ulteriori profili di: omogeneità di tutto il personale stabilizzato nei differenti settori;
sostanziale continuità del rapporto di lavoro;

- la sentenza della Corte di giustizia del 18 ottobre 2012 e le ordinanze del 7 settembre 2013 e del 4 settembre 2014 riguardano, peraltro, personale di Autorità amministrative indipendenti, anch’esso contemplato dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001 tra le categorie disciplinate “dai rispettivi ordinamenti”, con rapporti devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 63, comma 4, del predetto decreto legislativo;
ciò apporta un ulteriore argomento a favore dell’infondatezza delle argomentazioni dell’Amministrazione, che fa riferimento alla differenza con il personale in regime privatizzato;

- tutto ciò premesso, devono essere richiamate la disciplina dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, e l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia rispetto alla compatibilità eurounitaria della disciplina nazionale sulle stabilizzazioni;

- ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro “1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.

3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.

4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”;

- un orientamento ormai uniforme del Giudice eurounitario ritiene che la predetta clausola debba essere interpretata nel senso che essa osti a una normativa nazionale che “escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da «ragioni oggettive» ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere” (Corte giustizia, Sez. VI, 18 ottobre 2012, nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11);

- l’ordinanza del 7 marzo 2013 nella causa C-393/11 e, successivamente, l’ordinanza del 4 settembre 2014 nella causa C-152/14, hanno espressamente affermato che la nozione di “ragioni oggettive” ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso che la disparità di trattamento “(...) sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui si inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (...)” (§ 40 dell’ordinanza del 7 marzo 2013), mentre “il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme ai suddetti criteri e non può dunque configurare una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato” (§ 41 dell’ordinanza del 7 marzo 2013). Inoltre, “l’obiettivo consistente nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico (...) pur potendo costituire una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro, non può comunque giustificare una normativa nazionale sproporzionata quale quella in questione nel procedimento principale, la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da determinati lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a termine ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione” (§ 47 dell’ordinanza del 7 marzo 2013);

- in particolare, ha poi anche affermato che “il principio di non discriminazione, enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro, sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversità di trattamento, riguardante la presa in considerazione – al momento dell’assunzione a tempo indeterminato, da parte di un’autorità pubblica, di lavoratori a tempo determinato – dell’anzianità acquisita da questi ultimi presso tale autorità nell’ambito dei loro contratti di lavoro a termine” (§ 50 dell’ordinanza del 7 marzo 2013), indicando quindi quale criterio da prendere in considerazione al fine di verificare la sussistenza delle ragioni oggettive, che giustifichino la mancata applicazione della clausola dell’accordo quadro, “la natura particolare delle mansioni svolte” (§ 51 dell’ordinanza del 7 marzo 2013), spettando, pertanto, al giudice nazionale verificare se la situazione dei periodi di servizio compiuti nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato sia comparabile a quella di altri dipendenti della medesima autorità, che abbia svolto i propri periodi di servizio in qualità di dipendente di ruolo nelle pertinenti categorie di funzioni, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (§ 52 dell’ordinanza del 7 marzo 2013);
elementi che possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (cfr. Corte giust., Grande Sezione, 5 giugno 2018, nella causa C-677/16, § 57);

- il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e non può dunque configurare una ragione oggettiva, ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro;

- si può quindi concludere, soprattutto alla luce dei principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, che la verifica circa la comparabilità delle situazioni postula l’accertamento che il lavoratore a tempo determinato esercitasse, al tempo dell’asserita discriminazione, le medesime mansioni dei colleghi lavoratori a tempo indeterminato;

Tutto ciò detto, nel caso di specie non è adeguatamente comprovato che la ricorrente non abbia svolto – nel periodo di ferma a termine – mansioni analoghe a quelle dei colleghi in servizio permanente effettivo e, pertanto, la domanda dalla stessa avanzata per accertare il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in costanza di rapporto a tempo determinato è da ritenersi fondata.

Da quanto sopra esposto deriva come conseguenza anche il riconoscimento del relativo livello retributivo: deve, pertanto, ritenersi fondata anche la domanda di accertamento e condanna dell’Amministrazione alla somma richiesta a titolo di differenze retributive tra quanto percepito quale ufficiale durante il servizio prestato a tempo determinato e quanto dovuto quale ufficiale in servizio permanente, oltre rivalutazione monetaria e interessi medio tempore maturati, ma - comunque - nei limiti in cui non è da ritenersi maturata la prescrizione quinquennale, formalmente eccepita dall’Amministrazione nella memoria depositata in giudizio.

In sintesi, è meritevole di accoglimento la domanda proposta dalla ricorrente di riconoscimento dell’anzianità maturata in virtù del servizio prestato a tempo determinato (ossia, “in ferma prefissata”) e, come conseguenza, la domanda afferente il riconoscimento del relativo livello retributivo, con connessa condanna dell’Amministrazione alla corresponsione delle somme dovute a titolo di differenze retributive tra quanto da essa percepito come ufficiale “a tempo determinato” e quanto percepito dai suoi colleghi assunti a tempo indeterminato, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, nei limiti in cui non è maturata la prescrizione estintiva quinquennale, mentre non può riconoscersi il diritto al grado di capitano con decorrenza dal 1 dicembre 2010, in quanto sul punto trova specifica applicazione la disciplina, applicabile ratione temporis, che consentiva, come verificatosi nella specie, il prolungamento della ferma nel medesimo grado di tenente, ma non la promozione automatica al grado superiore per anzianità.

3. In conclusione, il ricorso - per le ragioni in precedenza riportate - in parte va dichiarato improcedibile e in parte va accolto ai sensi e nei limiti sopra esposti.

Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della complessità della vicenda.

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