TAR Roma, sez. II, sentenza 2024-11-04, n. 202419386

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2024-11-04, n. 202419386
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202419386
Data del deposito : 4 novembre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/11/2024

N. 19386/2024 REG.PROV.COLL.

N. 11378/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11378 del 2022, proposto da
Aipe, Associazione di Imprese di Pubblicità Esterna I.P.L.R.P.T. e Presidente Dr.Ssa D A R, A.P.A. Agenzia Pubblicità Affissioni S.r.l. I.P.L.R.P.T. ed A.U. P P, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'avvocato M L D, con domicilio digitale come in atti;



contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato D R, con domicilio digitale come in atti e domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove 21;



per l'annullamento

- della Determinazione Dirigenziale Rep. QH/195/2022 Prot. QH/31422/2022 del 17 maggio 2022, del Dipartimento Sviluppo Economico e Attività Produttive Direzione S.U.A.P. comunicata a mezzo PEC ad APA Srl il 20 giugno 2022 a parziale rettifica della Determinazione Dirigenziale rep. QH/150/2022 Prot. QH/23263/2022 del 14 aprile 2022 avente ad oggetto la disapplicazione dei diritti di istruttoria nonché delle tariffe del Canone Unico Patrimoniale riferito alle esposizioni pubblicitarie (canone di esposizione pubblicitaria) così come previsti e disciplinati dalla Deliberazione di G.C. n. 52 del 16 marzo 2021 di modifica alla precedente Deliberazione di G.C. n.330/2020, nonché della Deliberazione di 2 A.C. n. 8/2021 come modificata dalla Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 25 del 7 aprile 2021, in conseguenza delle intervenute sentenze del TAR nn. 3247 e 3248 del 21/03/2022;

- e per la declaratoria della inesistenza del diritto di Roma Capitale a pretendere somme a titolo di Canone Unico Patrimoniale per le annualità 2021 e 2022 in applicazione dei provvedimenti impugnati e di quelli pregressi e sottesi come sopra dettagliatamente descritti, con riferimento alle autorizzazioni per le affissioni pubblicitarie esterne in generale e quindi per le esposizioni pubblicitarie esterne in senso ampio anche diverse da quella su ponteggi/recinzioni di cantiere e conseguente accertamento del diritto di APA Srl e delle altre Associate AIPE alla restituzione delle somme versate (e non dovute) a titolo di Canone Unico Patrimoniale in applicazione dei provvedimenti impugnati e conseguente condanna di Roma Capitale alla restituzione/rimborso in favore delle predette delle somme versate (e non dovute) a titolo di Canone Unico Patrimoniale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2024 la dott.ssa Giovanna Vigliotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso introduttivo del giudizio, le ricorrenti attraverso l’impugnazione di una serie di determine adottate da Roma Capitale hanno contestato la rideterminazione delle tariffe CUP per gli anni 2021e 2022 anche in ragione dell’asserita violazione dei vincoli conformativi derivanti dalle sentenze di questo Tribunale e del Consiglio di Stato che si erano pronunciate sulla legittimità delle precedenti deliberazioni in materia dell’amministrazione capitolina.

2. Si è costituita in giudizio Roma Capitale contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo il rigetto del ricorso.

3. All’udienza del 17 luglio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato nei limiti che di seguito si illustreranno.

5. In primo luogo, si deve rilevare che con la sentenza n.3248/2022 di questo Tribunale (non resa inter partes ) ha sì annullato le precedenti delibere di Roma Capitale, avendo riscontrato l’assenza di un adeguato iter istruttorio e dell’esternazione del percorso logico motivazionale seguito. Tuttavia, proprio il rilevato deficit istruttorio e motivazionale ha condotto questo Tribunale, in tale circostanza, a stabilire che l’Amministrazione riesercitasse il potere, sia pure nel rispetto del vincolo conformativo nascente dalla decisione. In altri e più chiari termini, la decisione non imponeva un epilogo predefinito e vincolato stante la presenza di ampi margini di discrezionalità per il riesercizio della funzione.

6. In secondo luogo, quanto alla posizione della ricorrente, si osserva che, a fronte del giudicato di annullamento di atti amministrativi a contenuto generale, solo l’effetto caducatorio opera erga omnes , mentre quello conformativo resta inter partes , in applicazione del generale principio sancito dall’art.2909 c.c. (cfr., sul tema, quam multis, Cons. Stato, 18/01/1996 n. 49; Cons. Stato, V, 29/03/2008 n. 1320; Cons Stato, V, 12/07/2007 n. 3922; Tar Milano, 4.2.2009, n.1131).

7. Pertanto, le censure volte a far valere la violazione dell’effetto conformativo asseritamente discendente dalla sentenza n. 3248/2022 di questo Tribunale si appalesano del tutto infondate.

8. Quanto, invece, alle contestazioni relative alla violazione della regola dell’invarianza di gettito, come prevista dall’art.1, co.817 L.n.160/2019 e, in termini più generali, alla luce della rappresentata necessità di rispettare la riserva di legge imposta dall’art.23 della Costituzione (“Nessuna prestazione …patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”), si rileva quanto segue.

9. La censura ripropone la questione dell’invarianza di gettito, in relazione alla sua funzione e conformazione nell’ambito della previsione recata dall’art.1, co.817, L.n.160/2019 per quanto concerne il canone unico patrimoniale applicabile dal 2021 previa attuazione regolamentare a cura degli enti locali.

10. La disposizione sopra citata stabilisce che “ Il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe ”.

11. Negli atti impugnati, come anche nelle relazioni degli uffici e nelle memorie difensive, Roma Capitale, sulla base (essenzialmente) di un passaggio motivazionale della sentenza del Consiglio di Stato n.8846/2023 (che ha riformato la sentenza di questo Tar n.3248/2022), secondo cui “ … il citato comma 817 dell’art. 1 della legge 160/2019 stabilisce che il principio di invarianza del gettito costituisce una clausola di salvaguardia per le entrate del Comune, che può modificare in aumento le tariffe, così come prevede lo stesso comma 817 dell’art. 1 della legge 160/2019. Il principio di invarianza del gettito non costituisce invece clausola di salvaguardia a favore del privato obbligato a pagare il canone ”, ha ritenuto che l’invarianza del gettito, non rappresenti un vincolo massimale al prelievo, ma, piuttosto, un limite complessivo minimo al prelievo, che i Comuni devono rispettare per evitare di perdere gettito rispetto al regime previgente (in un’ottica di cautela, essenzialmente, per le finanze pubbliche). In tale ottica interpretativa, allora, l’invarianza finanziaria- quanto meno per i soggetti incisi- “scolorisce” di importanza, nel senso che essa non rappresenta in alcun modo un limite atto a realizzare il rispetto della riserva di legge sancita dall’art.23 Costituzione.

12. In effetti, in talune pronunce dei Tribunali di prime cure (ad es., Tar Brescia, sentenza n.576/2023), la giustificazione di tale impostazione viene rinvenuta, da un lato, nell’idea che il prelievo in questione abbia natura di entrata corrispettiva e non tributaria, per definizione sganciata dalla riserva frapposta dall’art.23 Cost., da un altro nella espressa possibilità che gli enti locali decidano di aumentare il gettito attraverso l’aumento delle tariffe, ritenendo in definitiva che sia inconferente il richiamo alla riserva di legge imposta dall’art.23 della Costituzione.

13. Ad avviso del Collegio, l’impostazione sopra prospettata non convince e si impone, al contrario, di ritenere (in continuità con l’orientamento seguito nelle precedenti pronunce della Sezione) che l’emolumento di cui all’art.1, co.819, lett. b L.n.160/2019, oggetto della presente controversia, abbia natura tributaria (o comunque di prestazione patrimoniale imposta), con la conseguenza ineluttabile che, anche con riguardo al tema dell’invarianza di gettito, si impone il rispetto dell’art.23 della Costituzione e, quanto alla previsione recata dall’art.1, co.817, (ove possibile), un’interpretazione costituzionalmente orientata.

14. La supposta natura “corrispettiva” dell’emolumento in questione viene sostenuta, nell’impostazione qui denegata, sulla base dell’assunto per cui, a fronte del pagamento del canone, come tale da intendersi in senso privatistico (e non solo per il nomen iuris, evidentemente), l’ente pubblico accetta in tal modo di consentire una sinallagmatica limitazione del bene “paesaggio urbano”, sottoposto al suo governo.

15. Tuttavia, in argomento occorre recepire l’insegnamento della Corte Costituzionale, a più riprese palesato con riguardo al cd. Cimp (canone per l’installazione degli impianti e dei mezzi pubblicitari), di cui all’art. 62 del D.Lgs. n. 446/1997, che aveva una disciplina assimilabile a quella di cui si discute. La Corte Costituzionale, nelle sentenze 8 maggio 2009 n. 141 e 21 gennaio 2010, n. 18, sposò la tesi della natura tributaria di tale prelievo, ritenendo decisiva, fra l’altro, la circostanza per cui il prelievo era dovuto (come anche l’attuale Cup ex art.1, co.819, lett. b) anche per le installazioni su beni appartenenti a soggetti privati.

16 Osservò al riguardo il Giudice delle Leggi, nella sentenza n.141/2009, che “la stessa natura privata del bene sul quale avviene l’installazione esclude in radice la possibilità di configurare un

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