TAR Lecce, sez. I, sentenza 2022-09-26, n. 202201446

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza 2022-09-26, n. 202201446
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 202201446
Data del deposito : 26 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/09/2022

N. 01446/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01503/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1503 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Comune di Diso (Le), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato T M, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via C.A. Mannarino 11/A;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce, domiciliataria ope legis ;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del Decreto della Direzione Generale per il Clima e l'Energia prot. n. 416 del 22.09.2017, a firma del Dirigente della Div. III, con il quale è stato definito l'importo complessivo dell'intervento realizzato dal Comune di Diso e finanziato nell'ambito del “ POI Energia 2007/2013 ” in €. 1.299.906,82, di cui €.

1.274.418.45 a titolo di finanziamento MATTM ed €. 25.488,37 a titolo di cofinanziamento, quale contributo finanziario rideterminato in via definitiva, con la relativa nota di trasmissione a mezzo pec prot. 11915 del 26.09.2017;

- della nota MATTM prot. 1563 del 13.02.2017, di avvio del procedimento ex art. amministrativo ai sensi dell'art. 7 L. 241/90 disposto dalla Direzione Generale per il Clima e l'Energia del MATTM in esito alla chiusura di gestione contabile amministrativa relativa all'intervento realizzato dal Comune di Diso;

- della nota della Direzione Generale per il Clima e l'Energia del MATTM prot. 2415 del 06.03.2017, di conclusione del procedimento amministrativo di restituzione di finanziamento, con riserva di rideterminazione finale con decreto dell'importo del contributo pubblico concesso;

- del Decreto MATTM DG CLE prot. 77 del 06/03/2017, di rideterminazione del contributo finanziario concesso al Comune di Diso in € 1.299.906,82 [mai ricevuto dal Comune di Diso e conosciuto solo in quanto e per come richiamato nelle premesse del Decreto 416 del 22.09.2017 oggetto della presente impugnativa];

- della nota MATTM prot. n. 8005 del 15.05.2017;

- di ogni atto altro connesso, presupposto e/o consequenziale.

nonché per l'accertamento del credito del Comune di Diso nei confronti del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nella misura di €. 39.991,58 con conseguente condanna del medesimo Ministero, in persona del Ministro p.t, al pagamento in favore dell'Ente ricorrente della predetta somma.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 24.5.2018, per l’annullamento

- in parte qua , della nota della Direzione Generale per il Clima e l'energia del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. 4451 del 28.03.2018, notificata a mezzo pec in pari data, con la quale, in pendenza di giudizio, è stato riconosciuto in favore del Comune di Diso l'importo di €. 25.488,37 ed è stata quindi rideterminata in €. 21.213,84 la somma chiesta a detto Ente in restituzione sulle maggiori somme erogate, con conferma per il resto dell'originaria pretesa già impugnata con il ricorso principale;

- di ogni atto altro connesso, presupposto e/o consequenziale,

nonché per l'accertamento del credito del Comune di Diso nei confronti del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nella misura di €. 39.991,58, con conseguente condanna del medesimo Ministero, in persona del Ministro p.t, al pagamento in favore dell'Ente ricorrente della predetta somma.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 22 settembre 2022 il dott. R M P e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Sono impugnati gli atti in epigrafe, tra cui il Decreto della Direzione Generale per il Clima e l’Energia prot. n. 416 del 22.09.2017, a firma del Dirigente della Div. III, con il quale è stato definito l’importo complessivo dell’intervento realizzato dal Comune di Diso e finanziato nell’ambito del “ POI Energia 2007/2013 ” in €. 1.299.906,82, di cui €.

1.274.418.45 a titolo di finanziamento MATTM, ed €. 25.488,37 a titolo di cofinanziamento, quale contributo finanziario rideterminato in via definitiva.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti depositato in data 24.5.2018 il ricorrente ha impugnato la nota della Direzione Generale per il Clima e l’energia del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. 4451 del 28.03.2018, con la quale è stato riconosciuto in favore del Comune di Diso l’importo di €. 25.488,37 ed è stata quindi rideterminata in €. 21.213,84 la somma chiesta a detto Ente in restituzione sulle maggiori somme erogate.

A sostegno del ricorso e dei motivi aggiunti, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) eccesso di potere per errore e difetto di istruttoria;
2) violazione dell’art. 125 co. 11 d. lgs. n. 163/06;
eccesso di potere;
3) violazione dell’art. 56 Reg. UE 1083/06 – Eccesso di potere.

Ha chiesto pertanto l’annullamento degli atti impugnati, con conseguente accertamento del proprio credito nei confronti del Ministero resistente dell’importo di €. 39.991,58, e relativa condanna del Ministero al pagamento della stessa in favore di esso ricorrente. Il tutto con vittoria delle spese di lite.

Costituitosi in giudizio, il Ministero resistente ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per essere la controversia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario. Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.

All’udienza pubblica del 22.9.2022 – tenutasi con modalità di collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 87 co.

4-bis c.p.a. – il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia in esame, per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del c.d. petitum sostanziale, ossia della natura della situazione giuridica dedotta in giudizio, conosciuta dal giudice alla luce dei fatti affermati e del rapporto di cui essi costituiscono espressione.

Da tale affermazione sono state tratte le seguenti conseguenze:

- sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150);

- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall'acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);

- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710).

2.2. Tale indirizzo è stato nuovamente ribadito dal giudice della nomofilachia, il quale ha bensì chiarito che anche nella fase c.d. esecutiva del rapporto di concessione del contributo sono predicabili situazioni di interesse e non di diritto, e ciò si verifica nei casi di "regressione" della posizione giuridica del soggetto privato, allorché la mancata erogazione (o il ritiro/revoca di essa) consegua all'esercizio di poteri di carattere autoritativo, espressione di autotutela della pubblica amministrazione, sia per vizi di legittimità, sia per contrasto, originario o sopravvenuto, con l'interesse pubblico. In tali casi, ripropositivi di un aspetto di ponderazione degli interessi pubblici sottesi, la cognizione della controversia azionata dal privato trova sede naturale nella giurisdizione amministrativa.

2.3. Se ciò è vero, deve essere tuttavia il giudice ordinario l’organo competente a conoscere delle controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti o per contrastare l'amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, agli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo (Cass. civ, SS.UU, 11.7.2014, n. 15941).

Tale indirizzo interpretativo, al quale inizialmente il giudice amministrativo non aveva prestato unanime adesione, è stato successivamente convalidato dal Supremo consesso di giustizia amministrativa nelle AA.PP. n. 13/2013 e 6/2014.

2.4. Successivamente, il Consiglio di Stato ha ribadito che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di sovvenzioni pubbliche va attuato nel senso che: “ la controversia appartiene al giudice ordinario quando attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un asserito inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall'acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, non rilevando che gli atti siano formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione atteso che in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione;
appartiene, invece, al giudice amministrativo la controversia che riguardi una fase precedente al provvedimento attributivo del beneficio o quello adottato successivamente alla erogazione del beneficio per vizi che attengono al momento genetico, per la presenza di vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario
” (C.d.S, V, 28.10.2015, n. 4931).

Di recente, tale orientamento è stato ribadito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7136/19, nonché, da ultimo, con sentenza 9.6.2022, n. 4716.

3. Non c’è dubbio, pertanto, che nel momento in cui l’Amministrazione decida di revocare il finanziamento adducendo un asserito inadempimento del beneficiario alle condizioni cui il finanziamento era subordinato, ovvero di rideterminarne l’importo alla luce dell’esame della rendicontazione delle relative spese (come appunto nel caso in esame), vengono in rilievo pretese aventi consistenza di diritti soggettivi perfetti, con la conseguenza che la posizione della p.a. è in tutto assimilabile a quella di un qualsivoglia litigante privato, il quale si determini a por fine al rapporto negoziale in conseguenza o dell’inadempimento della controparte alle obbligazioni discendenti dal sinallagma negoziale, o dell’accertamento del minore importo spettante al soggetto finanziato,rispetto a quello originariamente previsto.

E che di diritti soggettivi si tratti nel caso in ispecie, e non di interessi correlati alla sussistenza di potere autoritativo, è fatto ulteriormente palese dal fatto che nel momento in cui la p.a. si accinge a revocare e/o ridurre il concesso finanziamento sulla base di pretesi inadempimenti del concessionario – ovvero sulla base dell’acclarato sviamento dei fondi dalla finalità per cui essi erano stati erogati – essa non effettua alcun tipo di comparazione di interessi pubblici con quello privato, e men che meno una comparazione finalizzata al raggiungimento del fine pubblico previsto dalla norma attributiva del potere. Comparazione che è invece il “sale” della discrezionalità amministrativa, nonché il (solo) presupposto in presenza del quale può parlarsi di dominio del diritto pubblico e di spendita di poteri autoritativi, e a fronte del quale si stagliano in capo al privato interessi legittimi, giustiziabili innanzi al g.a, quale giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica.

4. L’accertata la sussistenza, in capo al privato, di diritti soggettivi perfetti, costituisce pertanto condizione necessaria ad escludere la devolvibilità delle relative controversie al g.a, ai sensi dell’art. 7 c.p.a, presupponendo tale previsione normativa – che costituisce la risultante normativa del dictum consacrato dalle pronunce della Corte costituzionale nn. 204/04 e 191/06 – la sussistenza di una pubblica amministrazione/autorità, e di un privato posto in posizione di soggezione rispetto a quest’ultima.

5. Esclusa la sussunzione della fattispecie in esame all’interno della previsione di cui all’art. 7 c.p.a, la devoluzione delle relative controversie al g.a. è stata nondimeno predicata sotto altra via, e segnatamente, alla luce dell’art. 133 lett. b) c.p.a, che devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. “ le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ”.

Gli argomenti a sostegno di tale assunto possono così sintetizzarsi:

- l’art. 12 l. n. 241/90 si occupa de: “ la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati … ”;

- detta norma attribuisce il nomen iuris di concessione a qualsiasi provvedimento che disponga erogazione di denaro pubblico;

- essendo la species di danaro pubblico riconducibile nel più ampio genus di bene pubblico, le relative controversie ben possono ( rectius : devono) essere attratte alla giurisdizione esclusiva del g.a, ai sensi del cennato art. 133 lett. b) c.p.a.

L’assunto non persuade.

6. Anzitutto, è sufficiente scorrere l’esame dei lavori parlamentari tenutisi in relazione a quello che sarebbe poi divenuto l’art. 12 l. n. 241/90, per comprendere che tale previsione normativa non è stata in alcun modo intesa dal legislatore come norma sulla giurisdizione, ma come norma sulla trasparenza dell’azione amministrativa. Si voleva, cioè, evitare che la p.a. potesse giungere al riconoscimento, in capo a soggetti pubblici o privati, di provvidenze economiche pubbliche, in assenza di qualsivoglia principio e/o criterio direttivo da essa determinato ex ante.

In sostanza, il fine della norma in commento è quello di impedire alla p.a. – in un settore, quello del denaro pubblico, di cruciale rilievo nella vita economica dello Stato – di disporre dei fondi in dotazione a proprio piacimento, in assenza cioè di un preventivo autovincolo che consentisse di stabilire a chi e perché fosse stata riconosciuta una certa provvidenza economica. Per tali ragioni, si convenne di subordinare la concessione di ausilii pecuniari pubblici “ … alla predeterminazione … da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi ” (art. 12, ultima parte, l. n. 241/90).

7. In tal modo, il legislatore ha inteso garantire la trasparenza dell’azione amministrativa nel settore in oggetto, rendendo contestualmente possibile l’effettiva giustiziabilità delle pretese azionabili dai soggetti illegittimamente pretermessi, attraverso un controllo che non fosse soltanto estrinseco-formale (es. la competenza dell’autorità emanante, la correttezza dell’iter procedimentale culminato con il riconoscimento del contributo, ecc.), ma anche, e soprattutto, intrinseco-sostanziale (la sussistenza dei presupposti per la concessione del contributo;
le ragioni della preferenza accordata ad un soggetto piuttosto che ad un altro, ecc.), e ciò in piena aderenza al principio di effettività della tutela giurisdizionale scolpito dagli artt. 111 Cost. e 6-13 CEDU.

E che quella di cui all’art. 12 l. n. 241/90 sia una norma sulla trasparenza, e non anche sulla giurisdizione, emerge altresì dalla collocazione sistematica della norma, collocata non a caso nel Capo III della legge sul procedimento amministrativo, rubricato “ Partecipazione al procedimento amministrativo ”. Trattasi, in particolare, del Capo dedicato agli obblighi di interlocuzione procedimentale gravanti sull’Amministrazione (art. 7 ss.), obblighi che realizzano appieno le finalità di trasparenza e democraticità dell’azione amministrativa predicate dalla legge sul procedimento amministrativo.

8. Ulteriore elemento che non consente in alcun modo di annettere all’art. 12 finalità attributive di giurisdizione, o comunque ad essa collegate, è la circostanza che il legislatore del procedimento amministrativo (sia nella stesura iniziale di tale testo normativo, sia nel corso dei numerosissimi interventi di modifica succedutisi nel tempo), tutte le volte in cui ha inteso devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie sorte in relazione alle concrete modalità di svolgimento di una determinata attività procedimentale, lo ha fatto espressamente. È il caso delle controversie in tema di: a) ritardo nell’adozione del provvedimento (art. 2 e 2-bis);
b) accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento finale (art. 11);
c) silenzio-assenso (art. 20);
d) indennizzo da revoca del provvedimento amministrativo (art. 21-quinquies);
e) nullità del provvedimento amministrativo (art. 21-septies);
f) accesso agli atti amministrativi (art. 25).

Pertanto, se in tutti i suddetti settori il legislatore ha avvertito la necessità di prevedere espressamente – in considerazione dell’inestricabile intreccio di posizioni soggettive rilevanti nei casi di specie – la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non si comprende perché non avrebbe dovuto farlo nel momento in cui si accingeva a disciplinare in maniera generale il modus operandi dell’Amministrazione nel settore dei finanziamenti pubblici. È evidente pertanto come – in ossequio al brocardo: Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit – tale omissione sia il frutto non già di una mera svista, ma di una consapevole presa di posizione.

9. Né può dirsi che non vi era necessità di prevedere espressamente un’ipotesi di giurisdizione esclusiva siffatta, stante la previgente sussistenza dell’art. 5 l. n. 1031/71 (l. TAR), attributiva di giurisdizione esclusiva al g.a. in relazione alle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici.

Sul punto, a parte l’evidente ed eccentrica distonia derivante dal fatto che si tratterebbe dell’unico settore del procedimento amministrativo disciplinato – quanto al suo terminale giudiziario – da previsioni estranee alla l. n. 241/90, e da questa neppure richiamate per relationem (la qual cosa non rende ragione dello sforzo del legislatore, ogniqualvolta questi è intervenuto a implementare e/o modificare parti della l. n. 241/90, ad operare il necessario raccordo tra i postulati di diritto sostanziale e le conseguenti ricadute in punto di riparto di giurisdizione), è decisivo il rilievo per il quale la Suprema Corte ha sempre interpretato la cennata previsione dell’art. 5 l. TAR (oggi confluita nell’art. 133 lett. b) c.p.a.) come norma che non consente in alcun modo l’assimilazione – quoad jurisdictionis – del denaro ai beni pubblici.

In tal senso, Cass. civ, SS.UU, 19.5.2008, n. 12641, ha affermato il seguente principio: “ Che anche il denaro possa essere annoverato nella categoria dei beni è vero;
ma questo non autorizza a confondere la figura della concessione a privati di beni pubblici, che presuppone l'uso temporaneo da parte del concessionario di detti beni per le indicate finalità di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso: in forza del quale il finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume l'obbligo di restituirlo in tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben altrimenti, nell'uno e nell'altro caso, le finalità pubbliche s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e d'interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di concessione di beni o servizi pubblici (con l'eccezione di quelle indicate nel secondo comma del citato art. 5), non necessariamente ricorrono nei rapporti di finanziamento. Né, d'altronde, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva ne consente l'applicazione al di là dei casi indicati dalla legge
”.

10. Peraltro, l’art. 133 z- sexies c.p.a. (introdotto dall’art. 49 co. 2 l. n. 234/12), devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. “ le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 16 del regolamento (UE) n. 659/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l'ha concesso ”.

Ancora una volta, il sopra riportato brocardo “ Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit ”, impone di riconoscere che, se il legislatore del 2012 ha avvertito l’esigenza di specificare che, nel peculiare settore degli aiuti di Stato, le relative controversie – aventi pacificamente ad oggetto danaro pubblico – sono attratte alla giurisdizione esclusiva del g.a, ciò vuol dire che le stesse non possono in alcun modo essere sussunte nella previsione di cui all’art. 133 lett. b) c.p.a. La qual cosa è stata ulteriormente ribadita, da ultimo, da Corte cost. ord. 2.2.2016, n. 19, la quale, nel dichiarare l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 133 lett. b) c.p.a, nella parte in cui non devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie in tema di revoca di ausilii pecuniari pubblici, ha affermato che spetta alla discrezionalità del legislatore, ai sensi dell’art. 103 Cost, individuare materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a, nel rispetto dei principi stabiliti dalle citate pronunce della Corte costituzionale nn. 204/04 e 191/06.

11. Ciò premesso, all’esclusione di un’esegesi dell’art. 133 lett b) c.p.a. volta a ricomprendervi anche le controversie in materia di denaro pubblico può peraltro pervenirsi anche per altra via.

Come è noto, ai sensi dell’art. 44 l. n. 69/09, il Governo è stato delegato ad adottare “ … uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele ”.

Dunque, la finalità avuta di mira dal legislatore delegante è stata quella di rendere possibile la redazione di un corpus normativo unitario cui far riferimento per la disciplina del processo innanzi ai TT.AA.RR. e al Consiglio di Stato (nonché al fine di individuazione delle azioni concretamente esperibili), tenendo presente le finalità di adeguamento delle disposizioni normative alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori (Corte di Cassazione e Consiglio di Stato), ed avuto riguardo altresì alla necessità di assicurare la concentrazione delle tutele.

Tale essendo il cuore della delega, occorre ora indagarne la portata.

12. Sul punto, la Corte costituzionale ha sempre rimarcato che, a proposito di deleghe che abbiano ad oggetto la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, “ l'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è (...) ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato ”, giacché quest'ultimo non può innovare “ al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega ” (Corte cost, n. 293/2010).

In maniera ancora più incisiva, l’ Arbiter Constitutionis , con riferimento alle controversie relative alle sanzioni inflitte dalla Consob, ha affermato (sent. n. 162/12) che: “ In base alla delega conferitagli, il legislatore delegato, nel momento in cui interveniva in modo innovativo sul riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici amministrativi, doveva tenere conto della «giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori» nell'assicurare la concentrazione delle tutele, secondo quanto prescritto dalla legge di delega ”.

E poiché il legislatore delegato non aveva in quella sede tenuto conto del diritto vivente promanante dalla Corte di Cassazione, univoco nel senso dell’attribuzione della giurisdizione al g.o. (cfr. Cass. civ, SS.UU. n. 9383/01;
n. 1992/03;
n. 13703/04), devolvendo invece le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del g.a, la relativa disposizione (art. 133 lett. l) c.p.a.) è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (Corte cost, sent. n. 162/12 cit.), per eccesso di delega, e conseguente violazione dell’art. 76 Cost.

13. Orbene, applicando le suddette coordinate giurisprudenziali alla fattispecie in esame, è evidente che, qualora si accedesse ad una interpretazione dell’art. 133 lett. b) c.p.a. che ricomprendesse anche le controversie relative a concessioni di danaro pubblico, ciò avverrebbe in violazione del diritto vivente promanante dalla Corte di Cassazione, la quale – come sopra evidenziato (cfr. supra, punti 2 e 9) – ha da tempo predicato – quoad iurisdictionis – una nozione riduttiva di “ beni pubblici ”, non inclusiva anche del denaro pubblico.

E l’interpretazione restrittiva di “ beni pubblici ” offerta dal giudice della nomofilachia in punto di individuazione del giudice munito di giurisdizione nelle “ controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessioni ”, è così pacifica e consolidata nel tempo (cfr, ex multis , Cass. civ, SS.UU, n. 12641/08;
nn. 15867, 21062 e 24409 del 2011;
nn. 17241 e 6494 del 2012;
n. 1776/13;
n. 15941/14), da non lasciare adito a dubbi di sorta in ordine al fatto che tale interpretazione – ed essa sola – costituisce il diritto vivente promanante dalle giurisdizioni superiori, cui il Governo è tenuto a conformarsi nell’esercizio della delega conferitagli dal Parlamento ai sensi dell’art. 44 l. n. 69/09.

14. Ciò chiarito, non può peraltro sottacersi, ad abundantiam , che gli arresti del Consiglio di Stato favorevoli ad una nozione allargata – quanto alla giurisdizione – di bene pubblico, devono ritenersi del tutto isolati, come riconosciuto dallo stesso giudice amministrativo di appello nelle ordinanze di rimessione all’Adunanza Plenaria nn. 517/13 e 3789/13, in cui si richiama la consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato – predicativa dell’opposto principio secondo il quale sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle controversie instaurate per contrastare l'Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo in esame – e se ne suggerisce un ripensamento. Ripensamento che non vi è tuttavia stato, avendo le AA.PP. nn. 13/2013 e 6/2014 confermato l’orientamento assolutamente prevalente dei supremi giudici ordinario e amministrativo in punto di riparto di giurisdizione nelle controversie conseguenti all’adozione, da parte della p.a, di atti di ritiro di disposte sovvenzioni pubbliche.

15. Avuto riguardo al diritto vivente promanante dalle superiori giurisdizioni della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, è pertanto evidente che l’interpretazione estensiva dell’art. 133 lett. b) c.p.a. finirebbe con l’attribuire a tale disposizione normativa valenza innovativa e non meramente ricognitiva. La qual cosa – tenuto conto delle pronunce della Corte costituzionale nn. 293/10 e 162/12 – si risolverebbe nell’illegittimità costituzionale dell’art. 133 lett. b) c.p.a, per eccesso di delega.

16. In definitiva – e concludendo sul punto – l’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione di cui all’art. 133 lett. b) c.p.a. impone senz’altro di escludere che al suo interno possano essere ricomprese anche le controversie in materia di ausilii pecuniari pubblici.

17. Ultimo cenno merita infine l’affermazione, che pure è stata fatta, secondo cui le esigenze di “ concentrazione delle tutele ” – pure affermate dall’art. 44 l. n. 69/09 in punto di perimetrazione della delega legislativa – potrebbero essere interpretate nel senso di devolvere alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutte le controversie in materia di revoca di provvidenze pubbliche.

L’assunto non può essere condiviso.

18. Sotto un primo punto di vista, non si comprende in base a quale criterio le esigenze di concentrazione delle tutele poste a base della delega legislativa – funzionali, a loro volta, al principio di effettività della tutela giurisdizionale scolpito dagli art. 111 Cost. e 6-13 CEDU – possano esser soddisfatte soltanto attraverso la devoluzione delle controversie in esame alla giurisdizione del giudice amministrativo, e non anche a quella del giudice ordinario.

Già soltanto per tale ragione, il suddetto orientamento non può essere condiviso.

19. A ciò aggiungasi poi che non è in alcun modo predicabile un monopolio del giudice amministrativo nella tutela degli interessi legittimi, stante il chiaro tenore dell’art. 113 co. 3 Cost, che rimette alla legge l’individuazione degli organi di giurisdizione competenti ad annullare gli atti della pubblica amministrazione (nel senso che non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici, cfr, ex multis , Corte cost, ordinanze nn. 165 e 414 del 2001;
sentt. nn. 275/01 e 240/06).

20. Inoltre, l’attribuzione in blocco alla giurisdizione esclusiva del g.a. delle controversie in tema di ausilii pecuniari pubblici, a prescindere dall’individuazione della natura del potere esercitato dalla pubblica amministrazione, presterebbe il fianco a fondati sospetti di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 103 Cost, avendo la Corte costituzionale ampiamente chiarito (cfr. sentt. n. 204/04 e 191/06 cit.) che il principio di unicità della giurisdizione di cui all’art. 102 Cost. esclude che la pubblica amministrazione possa, in quanto tale, essere assoggettata ad una particolare giurisdizione, ovvero sottratta alla giurisdizione alla quale sarebbe invece sottoposto un qualsivoglia litigante privato, dovendo le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. essere “ particolari ”, e cioè “ … partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo ” (Corte cost. n. 204/04).

21. In particolare, proprio muovendo dal chiarimento offerto dalla citata pronuncia della Corte costituzionale – nella parte in cui essa, chiamata a stabilire se il risarcimento del danno costituisca una nuova materia, ebbe a fornire risposta negativa, sottolineando la natura rimediale della tutela risarcitoria, intesa quale strumento di complemento della tutela classica demolitoria (e/o conformativa), utilizzato per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione – deve ritenersi che il principio di concentrazione delle tutele vada interpretato nel senso che, sul presupposto dell’accertata sussistenza della giurisdizione del g.a, tale tutela non possa essere dimidiata, ma prestarsi a comprendere, in linea generale, il ristoro di ogni forma di pregiudizio sofferto dal privato.

22. Per tali ragioni, in linea con l’orientamento fatto proprio dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6/14 (punto 12), il principio di concentrazione delle tutele “ … non consente di attrarre, in via meramente interpretativa e senza base normativa, nell'ambito della giurisdizione amministrativa, controversie relative a diritti soggettivi, pure a prescindere dall'individuazione di una disposizione legislativa fondante un'ipotesi di giurisdizione esclusiva ”.

23. Pertanto, concludendo, può senz’altro affermarsi che l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario in tutte le controversie conseguenti all’adozione di atti – comunque denominati – di ritiro da parte della p.a. di provvidenze pubbliche sul presupposto dell’inadempimento del concessionario, non risulta in alcun modo scalfita dalle esigenze di concentrazione delle tutele predicato dall’art. 44 l. n. 69/09.

24. Ciò chiarito, e venendo ora al caso di specie, rileva il Collegio che il ricorrente ha impugnato con ricorso originario la nota prot. n. 416/17, con la quale l’Amministrazione resistente ha provveduto alla definitiva quantificazione del contributo finanziato nell’ambito del “ POI Energia 2007/2013 ” in €. 1.299.906,82, nonché (con i successivi motivi aggiunti) la nota prot. n. 4451/18, con la quale è stato riconosciuto in favore del Comune di Diso l’importo di €. 25.488,37, ed è stata quindi rideterminata in €. 21.213,84 la somma chiesta a detto Ente in restituzione sulle maggiori somme erogate.

All’evidenza, gli atti in esame contengono valutazioni che non involgono in alcun modo l’esercizio di poteri autoritativi rilevanti ex art. 7 c.p.a, essendo invece collegati all’esercizio, da parte della Regione, di poteri di autotutela di stampo privatistico, cui è estraneo ogni profilo di cura dell’interesse pubblico, e/o di comparazione di quest’ultimo con quello privato.

25. Ne consegue che, venendo in rilievo una controversia involgente diritti soggettivi perfetti non devoluti – in assenza di specifica e puntuale previsione normativa – alla giurisdizione esclusiva del g.a. (tale non potendo essere, per le ragioni sopra esposte, la previsione di cui all’art. 133 lett. b) c.p.a.), la relativa cognizione non può che essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

26. Conclusivamente, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per essere l’odierna controversia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale l’odierno giudizio dovrà essere riassunto nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.

27. Sussistono giusti motivi, rappresentati dalla natura delle questioni oggetto di giudizio, per la compensazione delle spese di lite.

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