TAR Brescia, sez. II, sentenza 2014-02-26, n. 201400216
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 00216/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00709/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 709 del 2013, proposto da:
C Ottavio S.p.a., in proprio e quale mandataria del raggruppamento con Milesi Geom. Sergio S.r.l., C.I.C. S.p.a., Assolari &C. S.p.a., Sirti S.p.a., Milesi Geom. Sergio S.r.l., in proprio e quale mandante del suddetto raggruppamento, C.I.C. S.p.a., in proprio e quale mandante del suddetto raggruppamento, Assolari &C. S.p.a., in proprio e quale mandante del suddetto raggruppamento, Sirti S.p.a., in proprio e quale mandante del suddetto raggruppamento, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti S V, S M e C B, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio di quest’ultimo, via Tosio, 11;
contro
Società per l'Aeroporto Civile di Bergamo - Orio al Serio - S.A.C.B.O. S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Aristide Police, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dell’avv. Francesca Bazoli, C.da S. Rotto, 6;
nei confronti di
V S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Mauro Ballerini, Franco Gaetano Scoca e Carlo Cerami, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio del primo, v.le Stazione, 37;
Vallan Infrastrutture S.p.a., Impresa Edile Stradale Artifoni S.p.a., Carlo Gavazzi Impianti S.p.a., non costituite in giudizio;
per l'annullamento
- del provvedimento di esclusione del raggruppamento ricorrente dalla gara d’appalto indetta dalla SACBO s.p.a. per l’esecuzione dei lavori relativi agli interventi di manutenzione straordinaria delle Infrastrutture di volo dell’area di manovra, realizzazione del nuovo raccordo “F” e ampliamento del piazzale nord e del raccordo “G” prot. n. 13.3767/DG/APS del 26 giungo 2013, comunicato in pari data;
- del provvedimento di aggiudicazione della suddetta gara all’ATI V s.p.a., comunicato in data 27 giugno 2013;
- dell’art. 92, comma 2, del DPR 207/2010 laddove dovesse essere interpretato nel senso conforme all’interpretazione fornita dalla stazione appaltante;
- di tutti gli atti della procedura di gara in questione e di ogni altro atto antecedente, preordinato, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società per L'Aeroporto Civile di Bergamo - Orio al Serio - S.A.C.B.O. S.p.a. e della V S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2014 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’ATI ricorrente, già risultata aggiudicataria per aver presentato la migliore offerta, è stata esclusa, dopo che erano stati assunti i necessari chiarimenti sulla composizione dell’associazione, per violazione di quanto disposto dall’art. 92, comma 2, del DPR n. 207/2010, con riferimento alla sub ATI orizzontale da costituire per l’esecuzione della categoria OG6.
L’esclusione della ricorrente dalla gara sarebbe affetta da violazione di legge, in quanto l’art. 92 del DPR 207/2010 sarebbe stato recentemente interpretato in senso nettamente contrario nel parere del Consiglio di Stato 26 giugno 2013, n. 3014, secondo cui la norma imporrebbe alla mandataria di possedere una qualificazione superiore al 40 % dell’importo dei lavori, ma non di eseguire una quota minima del 40 % dei lavori stessi. Ferma restando, dunque, la prescrizione dell’art. 37, comma 13, secondo cui le quote di esecuzione dei lavori debbono coincidere con le quote di partecipazione al raggruppamento, non sarebbe, invece, prevista la necessità della corrispondenza anche con la percentuale di qualificazione dichiarata (necessariamente superiore al minimo richiesto dalla legge).
La diversa interpretazione sposata dalla stazione appaltante finirebbe per limitare irragionevolmente la libertà di associazione (data l’irrilevanza, nei rapporti con l’Amministrazione, delle quote di esecuzione da parte delle singole capogruppo di ogni sub ATI orizzontale) e per frustrare il principio secondo cui la stazione appaltante dovrebbe avere un unico interlocutore. Nel caso di specie, inoltre, l’impresa del sub raggruppamento orizzontale che ha speso i propri requisiti in misura maggioritaria sarebbe qualificata per svolgere da sola l’intero importo della lavorazione (mentre ha dichiarato di svolgere una quota di partecipazione pari al 37,78 % della categoria scorporabile, corrispondente a 1.209.219,84 euro, contro i 1.142.108,14 corrispondenti al 40 %, con una differenza di soli 67.111 Euro su un appalto di complessivi 41.447.875,96 Euro).
In ogni caso, il provvedimento di esclusione non sarebbe stato debitamente motivato, poiché farebbe riferimento ad una giurisprudenza ritenuta, dalla stazione appaltante, impropriamente richiamata dalla odierna ricorrente nei chiarimenti forniti. In realtà, la giurisprudenza ricordata si riferiva ad una diversa contestazione, poi superata in sede di adozione del provvedimento finale di esclusione, per cui il suo richiamo sarebbe totalmente privo di significato. La stazione appaltante avrebbe, invece, illegittimamente omesso di considerare i calzanti precedenti richiamati con specifico riferimento all’interpretazione del secondo comma dell’art. 92. Interpretazione che, se dovesse ritenersi corrispondere alla tesi sposata dalla SACBO, sarebbe illegittima per violazione dei principi della concorrenza e della libertà della forma per gli operatori economici.
In subordine, sarebbe illegittimo lo stesso art. 92 del regolamento, di cui parte ricorrente ha chiesto, dunque, l’annullamento o la disapplicazione per contrarietà alle norme nazionali sovraordinate ed alle norme comunitarie, attesa l’irragionevolezza di una norma che, al di là del possesso dei requisiti di qualificazione, imponesse a ciascuna impresa l’esecuzione di una percentuale minima di lavori.
L’aggiudicazione alla controinteressata, inoltre, sarebbe, a sua volta, affetta, da una pluralità di vizi che il giudice dovrebbe comunque esaminare in applicazione del principio recentemente affermato dalla Corte di Giustizia, secondo cui il ricorso deve accertare anche se sia fondata la censura che potrebbe condurre all’annullamento dell’aggiudicazione dell’unico altro contraente rimasto in gara oltre il ricorrente.
In particolare, l’aggiudicazione:
1. violerebbe l’art. 106, comma 2 e l’art. 118, comma 2, del DPR 207/2010, in quanto la mandataria e una delle mandanti non avrebbero reso alcune delle dichiarazioni richieste, a pena di esclusione, dalla lex specialis ed in particolare, la V spa e la Vallan Infrastrutture non avrebbero reso la dichiarazione di accettare senza condizione o riserva alcuna tutte le norme contenute nella documentazione progettuale. Nello specifico, entrambe non avrebbero reso la dichiarazione di: “ accettare senza condizione o riserva alcuna tutte le norme contenute nella documentazione progettuale;di aver giudicato i lavori stessi immediatamente realizzabili senza necessità di integrazioni o varianti, gli elaborati progettuali e gli oneri di sicurezza determinati in progetto adeguati e i prezzi nel loro complesso remunerativi e tali da consentire il ribasso offerto;in particolare di ben conoscere ed impegnarsi a rispettare siccome congrua la durata delle fasi 1.a, 1.b, 1.c, 1.d, di cui al capitolato speciale d’appalto, salvo eventuale proposta di riduzione dei tempi;di prendere atto che il computo metrico estimativo, posto a base di gara ai soli fini di agevolare lo studio dell’intervento, non ha valore negoziale;di essere a conoscenza dell’obbligo, prima della formulazione dell’offerta, di controllarne le voci e le quantità attraverso l’esame degli elaborati progettuali e pertanto di aver formulato l’offerta medesima tenendo conto di quanto previsto dall’art. 118 comma 2, DPR 207/2010. Dichiara inoltre, a pena di inammissibilità dell’offerta, di aver tenuto conto delle eventuali discordanze nelle indicazioni qualitative e quantitative delle voci rilevabili dal computo metrico estimativo nella formulazione dell’offerta, che, riferita all’esecuzione dei lavori secondo gli elaborati progettuali posti a base di gara, resta comunque fissa ed invariabile ”;
2. l’ATI V avrebbe dovuto comunque essere esclusa per violazione delle disposizioni di gara, per avere essa previsto, nell’offerta tecnica, l’utilizzo di un materiale, per la pavimentazione, non solo difforme dalle previsioni del capitolato speciale, ma da quest’ultimo espressamente vietato, non essendo “ammesso nella miscela l’utilizzo di materiale da riciclo proveniente da conglomerati bitumosi”: materiale, questo, corrispondente al “materiale fresato proveniente dalla pavimentazione in conglomerato bitumoso esistente” offerto dall’ATI V. Tale vizio avrebbe, comunque, dovuto incidere sulla valutazione dell’offerta tecnica, impedendo il raggiungimento, da parte della stessa, della soglia minima del punteggio richiesto.
Ciò ancor più considerato che la V, nel proporre una riduzione dei tempi di esecuzione di 4 giorni, non avrebbe tenuto conto dei tempi di realizzazione progettualmente previsti: le NT del capitolato, infatti, prevedono che, una volta stesa la fondazione della pavimentazione, i successivi strati non possono esser collocati prima di 72 ore;
3. infine, il concorrente avrebbe dovuto introdurre nella lista delle categorie la quinta e la sesta colonna (prezzi unitari in cifre e lettere) e la settima (quantità per costo unitario). La V, invece, ha redatto una nuova lista, modificando le quantità.
In ragione di tutto ciò, la stazione appaltante avrebbe dovuto annullare l’intera gara, non potendo aggiudicarla alla V.
Quest’ultima si è costituita in giudizio, eccependo, in primo luogo, la carenza di interesse alla pronuncia sul ricorso, atteso che la ricorrente, in data 10 luglio, ha presentato domanda di ammissione alla procedura di concordato con continuità aziendale ai sensi degli artt. 152, 161 comma 6, 182 bis, comma 1 e 186 bis della Legge fallimentare e che, in data 26 luglio 2013, il Tribunale ha assegnato alla C un termine di sessanta giorni per la presentazione della proposta di Piano. A tal proposito, la V ha:
- richiamato la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2155 del 15 aprile 2010, secondo cui, in caso di concordato preventivo la procedura concorsuale, ostativa della partecipazione alle gare, può dirsi sussistere sin dalla data di deposito della relativa istanza;
- evidenziato come, nella fattispecie, non ricorrerebbe alcuna delle condizioni eccezionali di partecipazione alle gare (art. 186 bis).
Nel merito, il ricorso sarebbe infondato, in quanto la disciplina delle ATI orizzontali dovrebbe necessariamente trovare applicazione, così come è stato fatto, anche in relazione ai sub-raggruppamenti orizzontali nell’ambito di un raggruppamento verticale (TAR Lazio, II quater, n. 338/2013). Pertanto, nell’ambito di ogni sub-raggruppamento orizzontale “i requisiti di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti nel bando di gara devono essere posseduti dalla mandataria…nella misura minima del quaranta per cento dell’importo dei lavori;la restante percentuale è posseduta cumulativamente dalle mandanti…ciascuna nella misura minima del dieci per cento dell’importo dei lavori. I lavori sono eseguiti …nel rispetto delle percentuali minime di cui al presente comma” (così il testo dell’art. 92, comma 2, del DPR 207/2010). Con specifico riferimento alla lavorazione scorporata OG6, tale condizione minima non sarebbe stata rispettata, in quanto nessuna impresa si è assunta il 40 % della lavorazione. La mandataria, infatti, che ha speso requisiti di qualificazione per una percentuale superiore al 40 %, non si è assunta una lavorazione per un importo superiore a tale percentuale, ma, al contrario, inferiore (36 % circa), con violazione del principio che imporrebbe la corrispondenza tra qualificazione ed esecuzione. E ciò per ogni singolo sub-raggruppamento, a prescindere dal fatto che la quota minima sia stata rispettata in relazione al raggruppamento generale.
Altrettanto inammissibile sarebbe il ricorso, nella parte in cui tende all’annullamento del regolamento stesso di cui all’art. 92 del DPR 201/2010, in quanto non è stato notificato all’Amministrazione dello Stato e comunque nessuna prescrizione del bando o del disciplinare è stata impugnata nella parte in cui richiama tale disposizione. Peraltro, tale ricorso rientrerebbe nella competenza del TAR Lazio, la quale potrebbe anche attrarre l’intera controversia.
Inammissibili - per le già dette ragioni connesse alla carenza di interesse alla pronuncia di un’impresa che ha chiesto il concordato preventivo - sarebbero anche le censure rivolte nello specifico all’aggiudicazione a favore della V, anche in considerazione della disomogenea posizione delle raggruppate (ed in particolare di quelle future associate che sono immuni da procedure concorsuali). In ogni caso, le doglianze sarebbero infondate, in quanto la V avrebbe regolarmente presentato la propria offerta, conforme a quanto richiesto, ancorchè una parte del contenuto non fosse completamente visibile a causa di un limite tecnico del programma Excel utilizzato per completare il file fornito dalla stazione appaltante senza specificare la versione del programma Excel da usare. Alla completezza del documento (leggibile per intero a video, nonostante la stampa sia limitata a soli 1024 caratteri dei 32.767 usati) dovrebbe, altresì, aggiungersi l’efficacia della dichiarazione ex art. 118, comma 2 del DPR 207/2010.
Per quanto riguarda le caratteristiche del materiale utilizzato, il capitolato prevedeva il divieto di usare materiale da riciclo proveniente da conglomerati bituminosi che, però, non consentisse il rispetto dei requisiti prestazionali minimi. Al contrario, la proposta della ricorrente sarebbe migliorativa, in quanto, oltre che “ecologica”, sarebbe conforme al capitolato e agli standard richiesti.
Anche l’offerta della ricorrente, inoltre, non garantirebbe un tempo di maturazione del cemento di 72 ore, comunque derogabile, secondo quanto previsto dal disciplinare, quando sia stata accertata la necessaria resistenza.
Nessuna disposizione, inoltre, escludeva la possibilità di modificare la lista delle categorie, redatta dalla stazione appaltante con un normale foglio Excel, quantomeno con riferimento alle quantità, subordinate all’accettazione della stazione appaltante.
Infine, del tutto legittimo sarebbe il confronto a coppie anche in presenza di due sole offerte (TAR Torino, 7 aprile 2011, n. 361).
Sul piano del danno, parte resistente ha evidenziato l’opportunità del rispetto delle tempistiche previste, frutto degli accordi raggiunti con ENAV e ENAC, in ragione della chiusura al traffico totale, limitazione al traffico (dal 13 maggio 2014 al 6 giugno 2014) ed individuazione di diversi sentieri di avvicinamento nelle diverse fasi di lavorazione.
Contestualmente, parte ricorrente ha depositato una memoria nella quale, dopo aver dato conto dell’avvenuta presentazione dell’istanza di ammissione al concordato preventivo, essa ha sostenuto la sussistenza di un interesse concreto ed attuale alla decisione, non fosse altro che per ottenere il risarcimento del grave danno subito a seguito della revoca dell’aggiudicazione provvisoria, che ha costretto l’impresa stessa a richiedere l’apertura della procedura concorsuale.
Ciò considerato che, se l’aggiudicazione definitiva fosse avvenuta a favore della ricorrente, non solo questa non sarebbe stata costretta a chiedere il concordato, ma poiché tutte le imprese avevano, a quella data, i requisiti di qualificazione, il contratto, così stipulato, avrebbe potuto essere eseguito anche dalle altre associate, pur in assenza della Cavalieri. Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria, infatti, avrebbe ammesso la possibilità non di sostituire un’impresa, ma di continuare nell’esecuzione del contratto senza quella che ha perso i requisiti, se le altre imprese sono in possesso degli stessi. Nel caso di specie, tale condizione sarebbe integrata, poiché i requisiti di partecipazione necessari erano posseduti dalle altre partecipanti al raggruppamento - ferma restando la possibilità di continuare a partecipare anche per la Cavalieri, una volta ammessa al concordato, ancorché non come mandataria – e, comunque, come desumibile anche dalla memoria della stazione appaltante, l’offerta della ricorrente (più conveniente sul piano economico, ma per soli due punti circa) è stata giudicata ampiamente migliore sul piano tecnico.
La difesa della stazione appaltante prende le mosse dall’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica dello stesso al Ministero, nonostante la questione verta principalmente sull’interpretazione di una norma regolamentare.
Nel merito, SACBO ha sostenuto la legittimità del proprio operato, affermando (pag. 18 del ricorso) che “le norme del Codice e del Regolamento, anche se non prescrivono espressamente l’obbligo di piena corrispondenza tra requisiti di qualificazione, quote di partecipazione all’associazione temporanea e quote di esecuzione dei lavori, non contengono alcuna previsione di segno contrario, ossia diretta ad ammettere in modo esplicito che un operatore, qualificato per il 40 % dei lavori, possa poi in concreto assumere quote di partecipazione nell’associazione temporanea (e, quindi, eseguire lavori) per una percentuale inferiore.”.
Il parere del consiglio di Stato invocato da parte ricorrente si riferirebbe alla diversa ipotesi in cui tutte le imprese partecipanti in ATI fossero qualificate per eseguire l’intera lavorazione: in tal caso, non avrebbe senso imporre percentuali minime di lavorazione.
In ogni caso, la ratio della norma sarebbe ravvisabile nell’interesse a che non vi sia un’eccessiva frammentazione nell’esecuzione delle lavorazioni.
A nulla rileverebbe la dichiarata (e discendente dalla legge) assunzione di responsabilità solidale tra le partecipanti, in quanto inidonea a dimostrare il possesso dei requisiti.
Così riassunte le tesi sostenute dalle parti in causa, questo Tribunale ha accolto la richiesta di sospensione degli effetti dell’illegittima esclusione.
Tale pronuncia cautelare è stata, però, impugnata in appello, sia da parte della stazione appaltante, che della aggiudicataria. Nel ricorso in appello, SACBO ha affermato che “non si sarebbe opposta all’aggiudicazione all’odierna appellata del contratto ove l’ATI C: (i) avesse tempestivamente comunicato il recesso della C;(ii) fosse stata indicata una nuova mandataria;(iii) risultassero comunque soddisfatti i requisiti previsti dalla lex specialis .”.
Il 30 settembre 2013, dunque, ossia entro il termine concesso dalla stazione appaltante, la C ha depositato presso la SACBO il proprio recesso dall’ATI e la sostituzione, per l’esecuzione dell’appalto, con la nuova mandataria CIC s.p.a., in possesso dei requisiti per la assunzione di tutte le quote della C, (come adeguatamente documentato).
A seguito della camera di consiglio del 15 ottobre, però, il Consiglio di Stato ha riformato l’ordinanza di questo Tribunale, rigettando l’istanza cautelare di primo grado e, conseguentemente, la SACBO ha sottoscritto il contratto con la ATI V.
In ragione di ciò, la ricorrente ha formulato una precisa domanda di risarcimento del danno, laddove il contratto così sottoscritto non dovesse essere dichiarato inefficace, atteso che non risulta necessaria la dimostrazione della colpa (come da giurisprudenza ormai consolidata) e che, appaiono, invece, provati il nesso eziologico e il danno, considerato che la stazione appaltante, se non avesse illegittimamente escluso la ricorrente, avrebbe dovuto ad essa aggiudicare definitivamente la gara. Perciò, la ricorrente ha chiesto la refusione delle spese sostenute (riservandosi la loro precisa quantificazione), il risarcimento del danno curriculare, legato alla mancata esecuzione del contratto ed alla conseguente impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, nonché il riconoscimento del lucro cessante in misura pari al 10 % del valore dell’appalto.
Tale ricostruzione dei fatti è stata confermata anche dalla memoria della stazione appaltante depositata il 27 gennaio 2014, nella quale si precisa anche che la C è stata ammessa al concordato preventivo (senza alcun accenno, nella visura camerale, alla continuità aziendale) con provvedimento del Tribunale del 5 dicembre 2013. Tale circostanza sarebbe da ritenersi preclusiva dell’aggiudicazione – ora per allora – e della successiva stipula del contratto: la domanda risarcitoria sarebbe, dunque, del tutto infondata, a causa dell’assenza di una situazione giuridica meritevole di tutela in capo alla ricorrente che, per sua esclusiva responsabilità, non avrebbe potuto eseguire il contratto, essendo in itinere e non ancora concluso il procedimento per l’ammissione al concordato in continuità aziendale.
Ciò anche in considerazione di quanto previsto all’art. 186-bis della legge fallimentare, a tenore del quale “l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria”, qualità che, invece, nel caso di specie era ricoperta dalla C.
Né avrebbe potuto, secondo la stazione appaltante, trovare spazio la possibilità riconosciuta dalla giurisprudenza “alle imprese componenti l’ATI di modificare il ruolo speso all’interno del Raggruppamento”, in quanto, nel caso di specie, trattandosi di modificare il ruolo della mandataria, sarebbe stato necessario individuarne una nuova (a differenza dell’ipotesi di redistribuzione delle quote tra mandanti, pacificamente ammessa) così determinando una radicale modificazione dell’ATI, non compatibile con la norma (ed in particolare con l’art. 37, comma 9 del codice). Secondo SACBO, infatti, è pur vero che il comma 18 dell’art. 37 ammette che “in caso di fallimento del mandatario….la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario”, ma il combinato disposto tra questa disposizione e quella speciale dell’art. 186 bis della legge fallimentare comporterebbe l’impossibilità di dare applicazione alla prima, in ragione del fatto che l’impresa in concordato potrebbe concorre solo come mandante. Ciò in conformità a quanto affermato in Adunanza plenaria n. 8 del 2012 e cioè che “un’a.t.i. <<a geometria variabile>>sarebbe da ammettersi solo entro i limiti dei casi tassativi in cui è possibile la modifica soggettiva”.
Ne deriverebbe il rigetto di ogni istanza risarcitoria, in quanto l’ATI che vedeva mandataria la C non avrebbe mai potuto eseguire il contratto, a causa della ammissione di quest’ultima al concordato preventivo (non in continuità aziendale).
Infine, nella propria memoria di replica, SACBO, ha ribadito sia la pretesa carenza di interesse alla pronuncia, in ragione della sopravvenuta ammissione a concordato liquidatorio della C, sia l’infondatezza del ricorso. Ciò richiamando la giurisprudenza secondo cui sussisterebbe l’obbligo, per l’impresa mandataria, di eseguire almeno il 40 % dei lavori, così da fornire alla stazione appaltante un’adeguata garanzia sulla regolare e corretta esecuzione degli stessi. Né potrebbe trovare applicazione la tesi dell’eccesso di qualificazione, atteso che, nella fattispecie, solo tre imprese su quattro avrebbero posseduto la qualificazione per l’esecuzione dell’intera lavorazione della categoria prevalente OG6. E’ pur vero che tale condizione risulta contestata da parte ricorrente, secondo cui ognuna delle imprese avrebbe la qualificazione per l’esecuzione dell’intero, considerato che, dato l’ammontare complessivo della OG6 a 3.023.046,56, sarebbe sufficiente a tal fine la classifica IV(fino a 2.582.000) aumentata di un quinto come consentito dalla legge, posseduta anche dalla quarta impresa mandante. Ciononostante, secondo la stazione appaltante, la regola dell’incremento non sarebbe applicabile nella particolare fattispecie del raggruppamento temporaneo di imprese.
Fermo restando tutto quanto già detto in ordine all’impossibilità per il raggruppamento ricorrente di sottoscrivere il contratto, in ragione del concordato preventivo cui è stata ammessa la C, e in ordiene alla irrilevanza dell’intervenuto subentro nella composizione del raggruppamento di una nuova mandataria, la domanda di risarcimento sarebbe, dunque, infondata per la mancanza degli elementi costitutivi a tal fine necessari. In particolare, non potrebbe essere riconosciuto il lucro cessante, non essendo stata provata l’impossibilità di impiegare in modo diverso le maestranze e i mezzi d’impresa, né la perdita di chance , occorrendo, anche in questo caso, la prova della possibilità di ottenere l’aggiudicazione.
Anche la controinteressata ha sottolineato come la C s.p.a. non sia mai stata, di fatto, ammessa al concordato preventivo, né abbia presentato la documentazione a tal fine necessaria, con la conseguenza che la ammissione al concordato preventivo “liquidatorio” determinerebbe la carenza di interesse alla pronuncia a causa dell’impossibilità di conseguire il bene della vita preteso attraverso il ricorso (e cioè l’aggiudicazione ovvero il risarcimento del danno per equivalente). Ciò tanto più considerato che la C è anche receduta dall’impegno alla formazione del raggruppamento che ha partecipato alla gara.
Peraltro, il ricorso sarebbe infondato anche nella parte in cui tende all’annullamento dell’aggiudicazione a favore della controinteressata stessa, in quanto il rifiuto della proposta migliorativa formulata dall’ATI V relativamente al solo profilo concernente l’utilizzo di “base di conglomerato bitumoso fibrorinforzato” non potrebbe comunque portare alla esclusione del raggruppamento stesso.
Mentre l’infondatezza di quanto sostenuto nel ricorso con riferimento alla non necessità della piena corrispondenza tra quote di partecipazione, qualificazione ed esecuzione sembrerebbe confermata anche dalla rinuncia all’impugnativa dell’art. 92 del DPR 207/2010 e dalla inammissibilità della richiesta di disapplicazione della disposizione, stante l’espresso richiamo del bando e del disciplinare di gara anch’essi non impugnati.
Nella propria replica, la ricorrente ha respinto l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, insistendo per l’accertamento dell’imputabilità della mancata esecuzione della commessa alla stazione appaltante: se essa, infatti, avesse confermato l’aggiudicazione provvisoria al raggruppamento ricorrente, alla data della sottoscrizione del contratto tutte le imprese partecipanti sarebbero state in possesso dei requisiti (non essendo ostativa la richiesta di ammissione a concordato preventivo con continuità aziendale) ed avrebbero, dunque, potuto eseguire la commessa, come espressamente previsto dalla normativa di cui al codice dei contratti e alla legge fallimentare. Ricordato che l’ordinanza n. 463/2013 di questo Tribunale ha accertato come “la mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicataria sia da addebitarsi esclusivamente alla Stazione appaltante”, il raggruppamento ricorrente ha, dunque, ribadito l’istanza risarcitoria nella misura indicata nella memoria depositata il 27 gennaio 2014, peraltro ricordando che esso ha chiesto, in subordine, nel denegato caso del rigetto dell’istanza di annullamento dell’esclusione dalla gara, l’annullamento dell’aggiudicazione a favore della controinteressata e, conseguentemente, l’annullamento dell’intera procedura concorsuale.
Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2014 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia, che le parti resistenti vorrebbero far discendere dal fatto che la C è stata ammessa al concordato preventivo e, perciò, non avrebbe potuto eseguire la commessa, in quanto mandataria del raggruppamento.
A tale proposito, parte ricorrente ha evidenziato come l’aggiudicazione provvisoria risalisse al 14 maggio 2013. Se, dunque, SACBO avesse tempestivamente proceduto all’aggiudicazione definitiva a suo favore, in data 26 giungo 2013 - data in cui la SACBO ha provveduto all’aggiudicazione definitiva a favore dell’ATI V - il raggruppamento avrebbe potuto sottoscrivere il contratto, atteso che la C solo il 10 luglio 2013, ragionevolmente proprio in ragione della mancata aggiudicazione, è stata costretta a presentare domanda di preconcordato, pur continuando la propria attività ed in particolare l’esecuzione di un altro importante appalto pubblico, espressamente autorizzata dal Tribunale, ancorchè tale autorizzazione non fosse necessaria ex lege . Se, invece, la sottoscrizione del contratto fosse tempestivamente avvenuta, in piena conformità alla legge, anche l’eventuale necessità di chiedere l’ammissione al concordato che fosse comunque sopravvenuta non avrebbe precluso la possibilità di continuare nell’esecuzione dei lavori e, conseguentemente, probabilmente di alleviare la situazione finanziaria della C, se non addirittura escludere la necessità dell’ammissione al concordato preventivo.
Ne risulta dimostrata la permanenza dell’interesse alla pronuncia, in primo luogo in funzione della pretesa risarcitoria fatta valere da parte ricorrente.
Invero, la possibilità per quest’ultima di procedere all’esecuzione dei lavori non potrebbe essere esclusa a priori, ma dovrebbe formare oggetto dell’esame da parte della stazione appaltante, la quale dovrebbe valutare l’eventuale regolarità del cambiamento nella compagine del raggruppamento e comunque il subentro nel contratto potrebbe essere in concreto escluso per effetto dello stadio di avanzamento dei lavori. In ragione di ciò, quello su cui lo stesso raggruppamento ricorrente ha concentrato la propria domanda e il Collegio deve, conseguentemente, focalizzare la propria attenzione, è l’ammissibilità della domanda risarcitoria.
Rispetto a quest’ultima, il Collegio non ritiene condivisibile la tesi delle parti resistenti secondo cui la sopravvenuta ammissione al concordato preventivo della C, oltre ad escludere il suo interesse alla pronuncia, inciderebbe sulla fondatezza della pretesa risarcitoria, in quanto ad oggi il raggruppamento ricorrente non potrebbe più procedere all’esecuzione del contratto. La prospettazione non è corretta: al giudice amministrativo non è demandato di accertare se oggi il raggruppamento potrebbe eseguire il contratto e, quindi, ottenere il risarcimento del danno per essersi visto illegittimamente precludere tale possibilità, bensì di stabilire se al momento in cui il raggruppamento è stato escluso, esso avrebbe dovuto essere individuato come aggiudicatario definitivo e, quindi, possa oggi pretendere il risarcimento del danno generato dall’illegittimità della mancata aggiudicazione nel giugno 2013.
Così opportunamente delineati i profili della domanda, appare allora chiaro che, a prescindere dall’attuale situazione debitoria e composizione del raggruppamento, le imprese che costituivano l’RTI alla data del maggio 2013 hanno, oggi, l’interesse a vedere accertata l’eventuale illegittimità della loro esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivato dall’impossibilità di sottoscrivere, allora, il relativo contratto d’appalto.
Ciò chiarito, va preliminarmente riconosciuta la competenza di questo Tribunale a conoscere in relazione all’effettivo oggetto di ciò di cui si controverte nel ricorso in esame, e cioè la corretta applicazione dell’art. 92 del Regolamento, DPR 207/2010, operata dalla stazione appaltante.
Così delimitata la res controversa , la competenza del TAR Lazio deve essere esclusa, proprio in considerazione del fatto che oggetto del contendere è la valutazione della legittimità dell’operato di una stazione appaltante nell’applicazione del regolamento e, quindi, di atti aventi rilevanza territoriale limitata all’ambito locale.
Passando, dunque, all’esame del merito della controversia, il ricorso appare fondato con riferimento alla questione principale dedotta, relativa all’illegittimità dell’esclusione del raggruppamento ricorrente.
Come schematicamente ricostruito nella sentenza del Cons. Giust. Amm. Sic., 12 dicembre 2013, n. 930, in materia di raggruppamenti temporanei, sotto un profilo teorico, è possibile distinguere:
“1) le quote di partecipazione al raggruppamento, ossia la "percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento" (articolo 37, comma 13);
2) i requisiti di qualificazione che ciascun operatore raggruppato deve possedere (per i lavori la disciplina è sinteticamente individuata, tra l'altro, all'articolo 37, commi 3 e 6);
3) le quote di esecuzione dei lavori, ossia la quota di prestazione che ciascuna impresa andrà ad effettuare dopo la stipulazione del contratto, o, nel caso di servizi e forniture, "le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati" (articolo 37, comma 4).”.
Dalla sentenza si ricava, altresì, il principio secondo cui la necessità della corrispondenza tra quote di partecipazione, qualificazione ed esecuzione è finalizzata ad evitare che le imprese possano assumere l’impegno ad eseguire lavori per percentuali superiori a quelle per cui sono qualificate.
Se tale è la ratio della norma, è allora evidente che non avrebbe alcuna logica escludere imprese che, qualificate ognuna per l’esecuzione dell’intera prestazione, abbiano optato per una ripartizione interna delle quote di esecuzione di una delle prestazioni richieste, ancorchè categoria principale, (ripartizione chiaramente ed immediatamente rappresentata, in un’ottica di trasparenza e chiarezza) diversa dalla quota generale di partecipazione al raggruppamento. Tale scelta non può che essere ricondotta alla piena facoltà di organizzazione imprenditoriale dell’attività e non si riverbera in alcun modo sulle garanzie che la norma ha voluto assicurare alla stazione appaltante in ordine alla affidabilità del soggetto candidato all’esecuzione dell’appalto.
Alle stesse conclusioni è giunto il TAR Puglia, Lecce, Sez. I, nella recente sentenza 9 gennaio 2014, n. 49, nella quale, dopo aver anch’esso chiarito che lo scopo dell'art. 13, tredicesimo comma, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 è quello di assicurare “che i lavori siano assunti dall'impresa adeguatamente qualificata, non essendo ammissibile che la stessa, qualora in possesso di una classifica insufficiente, attraverso la partecipazione in un'ATI possa realizzare lavori per un maggior valore, che non ha la capacità a eseguire”, ha puntualizzato che la corrispondenza determinante deve, quindi, “sussistere tra i requisiti di capacità tecnica e la quota dei lavori assunti (la seconda non potendo eccedere i primi)”.
Naturalmente tale corrispondenza deve poi riflettersi nella quota di partecipazione all'ATI, ma non senza evidenziare che ove, per qualsiasi ragione, “la quota di lavori assunti non corrisponda alla quota di partecipazione all'ATI…. ferma restando la responsabilità solidale delle ditte che compongono l'ATI, la quota di partecipazione a questa costituisce un impegno interno alla medesima, mentre nei confronti della stazione appaltante ha rilievo l'impegno di ciascuna ditta ad eseguire la prestazione nella percentuale risultante da dati certi” e cioè nella percentuale della lavorazione che ciascuna partecipante si è impegnata ad eseguire.
Pertanto, nel caso in cui non sia in discussione la qualificazione del sub-raggruppamento orizzontale, la circostanza che la percentuale di una certa lavorazione non corrisponda alla quota di partecipazione all'ATI (ragguagliata all'importo a base d'asta) “non assume rilievo quanto alla corrispondenza fra qualificazione posseduta e qualificazione necessaria, non privando la Stazione Appaltante della garanzia in ordine all'esecuzione dei lavori da parte di soggetto qualificato”, essendo ogni esecutrice ampiamente qualificata all’esecuzione della quota di lavorazione assunta.
Il Collegio ritiene, dunque, pienamente condivisibile il principio ricavabile dall’orientamento giurisprudenziale di cui si è dato ora conto e secondo cui, qualora nell’ambito dell'ATI prescelta (di tipo misto) non si eccedano mai i requisiti di qualificazione posseduti, è irrilevante, con riferimento ad una specifica lavorazione, ancorché prevalente, che vi sia o meno corrispondenza con la quota di partecipazione all'ATI, atteso che ciò non pone in discussione il possesso della qualificazione richiesta, pur se la quota di lavori risulti inferiore alla quota dichiarata di partecipazione all'ATI.
Ciò in linea anche:
- con il parere del Consiglio di Stato 26 giugno 2013, n. 3014, richiamato da parte ricorrente e di cui appare condivisibile l’interpretazione del principio secondo cui deve esserci un collegamento anche tra quote di esecuzione e requisiti di qualificazione, nel senso che se un’impresa dichiara di eseguire una certa percentuale deve anche avere i requisiti per poter eseguire tale percentuale di lavori;
- con la sentenza del Consiglio di Stato, VI, n. 5074 del 24 settembre 2012, la quale, in una fattispecie analoga alla presente, ha affermato (capo 3.1.) che il comma 13 dell’art. 37 Codice dei contratti “si limita ad imporre il parallelismo fra le sole quote (e relativi requisiti) di partecipazione e di ammissione ( rectius : “di esecuzione”, n.d.r.), senza coinvolgere nell’obbligo di parallelismo anche il tertium genus rappresentato dalle quote (e relativi requisiti) di qualificazione/ammissione”.
Del tutto ragionevole appare, inoltre, il ritenere che non si possa imporre a ciascuna impresa di eseguire anche una percentuale minima di lavori (tale interpretazione risulta essere l’unica legittima anche secondo il Ministero che, nella sua relazione, l’ha confermata). In altre parole, se appare logico pretendere che ciascuna delle partecipanti abbia specifici requisiti minimi, pare contrastare con il principio di libertà di organizzazione imprenditoriale l’imporre alle imprese stesse una quantità minima di lavorazioni da eseguire. È pur vero che un certo interesse potrebbe residuare, in capo alla stazione appaltante, ad evitare un’eccessiva parcellizzazione nella ripartizione dell’esecuzione, ma se così fosse il legislatore avrebbe, allora, dovuto esplicitarlo in modo inequivoco.
Conclusivamente, dunque, l’art. 92 del regolamento di cui al DPR 207/2010 ha introdotto un principio mai normato prima (in quanto l’art. 37 del DPR 163/2006 prevede solo l’obbligo di corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione), la cui interpretazione è compatibile con l’ordinamento solo se tale da imporre la mera coincidenza tra quota di partecipazione e quota di lavori da eseguire.
Né è dato comprendere perché, come sostenuto da parte resistente, la situazione sarebbe diversa se ciascuna impresa fosse qualificata per eseguire l’intera lavorazione e non anche per eseguire una percentuale di lavorazione superiore a quella comunque assunta. A prescindere dalla circostanza che, nel caso di specie, delle cinque imprese raggruppate quattro erano in possesso della qualificazione per eseguire l’intera lavorazione ed una possedeva la qualifica immediatamente inferiore, in ogni caso risulterebbe comunque garantito l’interesse della stazione appaltante a contrarre con soggetti sufficientemente qualificati: ogni impresa avrebbe, infatti, una qualificazione ben superiore a quella minima di legge, salvo eseguire una parte inferiore di lavorazione. Ne discende, dunque, l’illegittimità dell’esclusione della ricorrente dalla gara e della caducazione della aggiudicazione provvisoria a suo favore.
Ritenuto, così, fondato il ricorso nella sua prima parte, si può prescindere dall’entrare nel merito delle ulteriori questione dedotte, specificamente in subordine, in quanto “l’accoglimento del motivo di censura sopra formulato è da solo sufficiente a tutelare l’interesse delle odierne ricorrenti, dal momento che l’annullamento del provvedimento di esclusione comporterebbe anche l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione all’ATI VITALI” (così il ricorso, ultimo capoverso di pag. 12).
L’accoglimento del ricorso per le ragioni sopra dette comporta, però, la necessità di entrare nel merito delle composite domande risarcitorie formulate dal raggruppamento ricorrente, prendendo le mosse da quella, originaria, di reintegrazione in forma specifica mediante aggiudicazione dell’appalto.
L’accoglimento di tale istanza trova oggi ostacolo nella situazione in concreto generata dal rigetto dell’istanza cautelare in sede di appello e dalle conseguente accelerazione dei tempi di esecuzione dell’appalto da imputarsi alla evidente esigenza, per la stazione appaltante, di rispettare i rigidi e pressanti tempi previsti per la realizzazione dei lavori e collegati alla complessità di intervenire sulle strutture di un aeroporto di notevole traffico aereo quale è oggi quello di Orio al Serio.
La stessa parte ricorrente ha, in effetti, concentrato le proprie ultime considerazioni sulla richiesta di risarcimento per equivalente, notificando una memoria nella quale ha richiesto la refusione delle spese sostenute (riservandosi la precisa quantificazione), il risarcimento del danno curriculare, legato alla mancata esecuzione del contratto ed alla conseguente impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, nonché il riconoscimento del lucro cessante in misura pari al 10 % del valore dell’appalto, implicitamente abbandonando l’istanza di subentro nel contratto, di per sé non esclusa a priori, dal momento che non appare condivisibile la tesi della stazione appaltante secondo cui l’ATI C non potrebbe, ad oggi, eseguire i lavori.
Secondo SACBO, infatti, tale impossibilità sarebbe dovuta al fatto che la fattispecie in esame sarebbe ben diversa da quella considerata nella sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2012, invocata da parte ricorrente a proprio favore, la quale aveva ad oggetto la diversa ipotesi del recesso della mandataria: recesso che concretizzerebbe una fattispecie del tutto differente rispetto all’esito divisato dalla ricorrente, in quanto nel recesso non si verificherebbe alcuna modificazione che, invece, si avrebbe nello scambio tra mandante e mandataria. In tal caso, infatti, si integrerebbe una violazione della par condicio tra i concorrenti.
Tale ricostruzione non pare al Collegio condivisibile: la società che ha assunto il ruolo di mandataria nell’ATI ricorrente, infatti, non è subentrata ex novo , ma ha mutato il proprio ruolo, da mandante (con il 26,288 %) a mandataria (con quota di partecipazione del 61,846 %), mentre la C, non potendo dimostrare in tempo utile il possesso dei requisiti (e cioè l’ammissione al concordato preventivo con continuità) ha optato per il recesso, come suggerito nell’appello al Consiglio di Stato dalla stessa SACBO. Ciò chiarito, la questione appare in realtà irrilevante, ai fini di verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. Accertata la condotta illecita (insita nell’illegittimità dell’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria e della successiva aggiudicazione dell’appalto ad altro soggetto) e prescindendo dall’accertamento dell’elemento soggettivo, così come indicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di appalti, che ritiene implicita la colpa, ciò che è determinante è che il raggruppamento temporaneo avrebbe, potenzialmente, potuto procedere all’esecuzione dell’appalto, se ne avesse conseguito l’aggiudicazione in via definitiva, così come sarebbe dovuto accadere se SACBO non avesse proceduto all’illegittima sua esclusione dalla gara. In ragione dell’evidente nesso causale, si è, dunque, in presenza di una situazione di danno imputabile al comportamento della stazione appaltante, la quantificazione dell’ammontare del quale deve tenere conto che, per quanto attiene al lucro cessante, parte ricorrente ha chiesto il riconoscimento dell’utile quantificato in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara nel 9 % dell’importo complessivo di gara offerto e, perciò, pari a 2.940.525,68 Euro. Il raggruppamento, però, non ha dimostrato di non aver potuto impiegare diversamente mezzi e personale (essendo a tal fine irrilevante il fatto che per circa un mese il raggruppamento abbia agito per ottenere la sottoscrizione del contratto in ragione della sospensiva concessa in primo grado in data 4 settembre 2013 e revocata con ordinanza del Consiglio di Stato del 18 ottobre 2013), con la conseguenza che tale cifra può essere ridotta, in via equitativa, alla somma di Euro 800.000, comprensivo delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e non quantificate in modo puntuale. Per quanto attiene al danno curriculare, da intendersi come danno all’immagine e al prestigio professionale, si ritiene che lo stesso sia in concreto ravvisabile nei confronti della sola C s.p.a., che, in ragione della mancata aggiudicazione, ha dovuto aprire la procedura di concordato. Esso è quantificabile in 250.000 Euro, pari all’incirca a metà di quel 5 % generalmente adottato dalla giurisprudenza, applicato al valore di quella parte di appalto che la stessa avrebbe dovuto eseguire (il 35,558 % dell’importo complessivo offerto pari a 32.672.507,52, corrispondente ad Euro 11.617.690,22 ovvero Euro 580.884,50), poiché appare ragionevole presumere, ma non è concretamente provato, che la necessità di fare ricorso alla procedura fallimentare sia imputabile all’illegittima revoca dell’aggiudicazione provvisoria.
Debbono essere esclusi interessi e rivalutazione sulla somma di 1.000.000 dovuta al raggruppamento, in quanto il mancato guadagno di cui è prevista la compensazione non si sarebbe, se non in minia parte, verificato prima della presente pronuncia, di gran lunga antecedente rispetto al termine di conclusione dei lavori. I suddetti accessori sono, invece, dovuti sulla somma di 250.000 Euro con cui è disposta la compensazione del danno curriculare, immediatamente intervenuto nei confronti della C che ha dovuto accedere alla procedura concorsuale.
Su tutte le somme saranno corrisposti interessi compensativi, nella misura del tasso legale, dalla data della sentenza a quella del soddisfo.
Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta, che ha determinato anche un conflitto tra le pronunce cautelari di primo e secondo grado.