TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2017-04-12, n. 201700252

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2017-04-12, n. 201700252
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 201700252
Data del deposito : 12 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/04/2017

N. 00252/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00338/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 338 del 2009, proposto da:
L M, rappresentata e difesa dall'avvocato R B, con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio dell’avv. Daniela Canu, via Dante n. 80;

contro

il Comune di Guspini, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati M V e M M, con domicilio eletto presso il loro studio legale in Cagliari, Piazza del Carmine n. 22;

il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliato per legge presso gli uffici della medesima in Cagliari, via Dante n. 23;

per la condanna

delle indicate Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti (perdita del diritto di proprietà e mancato godimento delle aree)derivanti dal fatto illecito posto in essere dalle stesse amministrazioni mediante la costruzione sui fondi di sua proprietà di un'opera pubblica (scuola elementare) in mancanza della emissione del decreto definitivo di esproprio.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Guspini e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2017 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con atto del 26 ottobre 1970 il Provveditore alle Opere Pubbliche per la Sardegna l’area imponeva il vincolo preordinato all’esproprio sui fondi individuati dall’apposita Commissione provinciale come idonei alla costruzione della scuola elementare del Comune di Guspini per una estensione complessiva di mq. 1950.

Ai sensi dell’art. 14, comma 9, della legge n. 641/1967 il decreto di vincolo equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Con tale provvedimento venivano altresì fissati, rispettivamente in 2 e in 4 anni dall’11.11.1970 i termini per l’inizio e il compimento dei lavori e delle espropriazioni.

Con nota del 7 febbraio 1973 il Comune di Guspini informava il sig. Bruno M, dante causa della ricorrente, che il giorno 8 febbraio 1973 i tecnici incaricati avrebbero eseguito “… studi e rilievi per la precisa individuazione dei beni da espropriare …”.

Il Comune di Guspini, quindi, procedeva alla costruzione dell’opera che veniva ultimata il 10 aprile 1976 (vedi all. n. 15 delle produzioni comunali).

Sennonché l’ente espropriante, dall’inizio dell’iter procedimentale ad oggi, non ha mai emesso il decreto definitivo di esproprio dell’immobile appartenente al sig. M, ne ha mai corrisposto al proprietario alcuna somma per l’occupazione dell’area.

Con nota del 9 giugno 2005 le eredi del sig. M trasmettevano al Comune la relazione di determinazione del valore di mercato degli immobili.

Il Comune rispondeva con nota n. 5247 del 23 marzo 2006, con la quale assumeva in sostanza che il Comune aveva acquistato la proprietà dell’area per accessione invertita e che il credito degli originari proprietari era ormai estinto per decorso della prescrizione quinquennale.

Con il ricorso in esame la sig.ra L M, rimasta unica erede del sig. Bruno M, ha chiesto l’accertamento dell’illecita occupazione dei fondi di sua proprietà da parte del Comune di Guspini e la condanna di quest’ultimo, unitamente a Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al pagamento dei danni subiti per la perdita della proprietà dell’area e per la sua mancata disponibilità nel periodo tra il termine finale dell’occupazione legittima (11.11.1974) e la data di notifica del presente ricorso, con le maggiorazioni di legge.

Inoltre chiedeva il risarcimento del danno causato dall’interclusione di parte dei suoi fondi rimasti inaccessibili per effetto della realizzazione dell’opera.

Con vittoria delle spese.

Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Guspini che, con difese scritte, ha eccepito l’intervenuta usucapione del bene con conseguente estinzione dell’obbligo di risarcimento dei danni subiti.

In subordine ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per l’intero o, in ulteriore subordine, per il periodo eccedente il quinquennio precedente alla notifica del ricorso.

L’amministrazione comunale ha comunque contestato che l’area occupata per la realizzazione dell’opera in questione sia estesa per l’intero compendio indicato dalla ricorrente.

Si è altresì costituito in giudizio il Ministero intimato che dopo aver eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla pretese risarcitorie azionate dalla ricorrente ne ha comunque eccepito la prescrizione e, comunque, l’intervenuta usucapione.

Con memoria depositata il 16 febbraio 2017 ha ulteriormente illustrato le ragioni delle sue pretese.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2017, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Occorre procedere preliminarmente all’esame dell’eccezione di usucapione sollevata dall’amministrazione resistente al fine di paralizzare ogni pretesa di parte ricorrente.

Va precisato che su tale eccezione a carattere riconvenzionale questo giudice amministrativo ha il potere di pronunciarsi “ incidenter tantum ”, ai circoscritti fini della soluzione della controversia oggetto di esame in via principale, trattandosi di questione pregiudiziale, ancorché veicolata in via di eccezione, attinente a diritti a norma dell’art. 8 c.p.a. senza richiesta di ampliamento del thema decidendum.

L’eccezione è tuttavia infondata.

In disparte la discutibile usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione (in senso contrario, da ultimo, Cons. Stato Sez. giurisdizionali Sez. IV, n. 3988 del 26 agosto 2015), il Comune di Guspini non ha in alcun modo provato, limitandosi a enunciazioni essenzialmente incentrate sul mero decorso del tempo, in qual modo possa configurarsi la fattispecie del “pacifico ed incontestato possesso”.

Sostiene in particolare la difesa comunale che a far data dalla scadenza dell’occupazione legittima (11.11.1974) e comunque da quella di ultimazione dei lavori (10.4.1976) il Comune di Guspini, fino alla data di notifica del ricorso (3.04.2009), avrebbe pacificamente posseduto le aree in contestazione.

Sennonché, ad avviso del Collegio, la mancanza del cd animus possidendi in capo all’amministrazione comunale è insita nel comportamento da essa tenuto per tutto il periodo successivo a tale data.

A ben vedere, infatti, essa non ha prodotto alcun atto da cui risulti provata l’interversione del possesso, cosicché deve ritenersi che il termine per l’usucapione non abbia neppure cominciato a decorrere.

Sul punto la giurisprudenza della Corte di Cassazione è assolutamente costante nell’affermare che l’interversione idonea a trasformare la detenzione in possesso non può avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un uno o più atti esterni, sebbene non riconducibili a tipi determinati, dai quali sia consentito desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, in opposizione al possessore.

L’interversione del possesso, quindi, pur potendo realizzarsi mediante il compimento di attività materiali in grado di manifestare inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il possesso esclusivamente nomine proprio, richiede sempre, ove il mutamento del titolo in base al quale il soggetto detiene non derivi da causa proveniente da un terzo, che l’opposizione risulti inconfondibilmente rivolta contro il possessore e cioè contro colui per conto del quale la cosa era detenuta, in guisa da rendere esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore ha cessata di possedere nomine alieno e che intende sostituire al preesistente proposito di subordinare il proprio potere a quello altrui, l’animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo così in possesso la detenzione, anche soltanto precaria, precedentemente esercitata.

Pertanto, ove la relazione con la res abbia avuto inizio a titolo di detenzione, il che nella specie è inequivoco, il protrarsi, anche a lungo, del godimento del bene nonostante la scadenza del termine di durata del rapporto attributivo della detenzione stessa, l’inerzia dei proprietari nel richiedere la restituzione della cosa, la mera esternazione – fatta a persone diverse dal possessore – del considerarsi proprietario del bene, sono circostanze inidonee tanto ad escludere l’operatività della norma dell’art. 1141, 2 comma c.c. (in base alla quale chi ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non sia mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore), quanto a configurare un’opposizione al possessore (cfr: Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 8900 del l’11 aprile 2013).

Di qui l’inequivoca insussistenza, nella vicenda che ci occupa, dei presupposti di legge richiesti ai fini della configurazione dell’acquisto della proprietà per usucapione e per l’accoglimento dell’eccezione comunale.

Nel merito il Collegio non può che confermare il suo orientamento in materia di procedimenti ablatori non ritualmente conclusi con l’adozione del decreto espropriativo.

Ed invero, con sentenza n. 874 del 24 ottobre 2012, intervenuta nelle more del presente giudizio, più volte condivisa e dalle cui conclusioni non si ravvisano oggi motivi per discostarsi, il Tribunale, su analogo presupposto della vicenda che qui occupa (occupazione e trasformazione di terreni sine titulo per mancato completamento della relativa procedura ablatoria) ha precisato:

1) che l’occupazione e la trasformazione dei fondi si sostanziano in un’attività illecita, insuscettibile di produrre effetti acquisitivi della proprietà e, viceversa, fonte dell’obbligo per la pubblica amministrazione di restituire il bene e risarcire il proprietario interessato per il danno sofferto. Sul punto si è fatto riferimento alla condivisibile evoluzione giurisprudenziale - partita da numerose pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo prima e dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007 poi - secondo cui non assume concreto rilievo, in punto di mezzi di tutela assicurati al proprietario danneggiato, la tradizionale distinzione tra occupazione espropriativa ed occupazione usurpativa, posto che in entrambi i casi il comportamento dell’Amministrazione assume i caratteri dell’illecito civile, con tutto ciò che ne consegue (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844);
tale concetto è stato recentemente sviluppato dalla Corte di Cassazione (Sez. I, 23 agosto 2012, n. 14609), secondo cui “l’occupazione “sine titulo” del fondo….non può comportare, soprattutto in assenza di una scelta abdicativa del proprietario…la perdita della proprietà del fondo da parte del soggetto che subisce l’occupazione, con la conseguenza che l’assenza dell’indefettibile presupposto del riconoscimento, da parte degli organi competenti, della pubblica utilità dell’opera comporta che il privato, durante l’illegittima occupazione, possa fruire dei rimedi reipersecutori a tutela della non perduta proprietà”;
nella medesima pronuncia la Suprema Corte ha poi espressamente escluso che la domanda restitutoria possa trovare ostacolo negli artt. 2933, comma 2, e 2058, comma 2, del codice civile, in quanto: - l’art. 2933, comma 2, oltre che riferibile alle sole violazioni di “obblighi di non fare” (cioè alle cd. “manipolazioni del bene”) e non anche alle illecite occupazioni, é norma comunque eccezionale e come tale da interpretare in modo rigorosamente restrittivo, con esclusivo riferimento a beni realmente insostituibili e di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con relativa prova a carico dell’Amministrazione resistente;
- l’art. 2058, comma 2, quale disposizione che si ascrive alla disciplina del risarcimento del danno, non risulta applicabile alla tutela restitutoria dei diritti reali, che trova la propria speciale (ed autonoma) regolamentazione negli artt. 948 - 951 del codice civile;

2) che l’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è costituito dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione interessata, dello speciale “potere sanante” previsto dall’art. 42 bis del d.p.r. 8 giugno 2011, n. 2001 (introdotto dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 11), applicabile anche “a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa previsione contenuta al comma 8 (cfr., al riguardo, Consiglio di Stato n. 5844/2011);

3) che l’occupazione dei terreni per cui è causa da parte dell’Amministrazione comunale non trova dunque in tali casi alcun fondamento giuridico, e ciò comporta la restituzione dell’area illegittimamente occupata, previa rimessione in ripristino dello stato dei luoghi, a cura e spese della stessa Amministrazione resistente;

4) che, come detto, resta, comunque, impregiudicato il potere di quest’ultima di avviare il procedimento di cui all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, finalizzato all’adozione di un provvedimento motivato di acquisizione dei terreni occupati e trasformati alla mano pubblica;
in questa ipotesi l’Amministrazione dovrà riconoscere ai ricorrenti, oltre al danno da mancato possesso del bene, anche il danno da perdita definitiva della proprietà;

Alla luce del richiamato contesto normativo e giurisprudenziale, pertanto, il completamento dell’opera pubblica e l’irreversibile trasformazione del bene sine titulo non ha determinato alcun effetto acquisitivo della proprietà in capo alla pubblica amministrazione.

Ne consegue che la ricorrente è da ritenersi tutt’ora proprietaria dei terreni occupati e detenuti sine titulo dal Comune diGuspini, il quale dovrà restituirli previa rimessione in ripristino dello stato dei luoghi.

Sotto questo profilo la circostanza dell’edificazione della scuola pubblica sulle aree per cui è causa, con consistente esborso economico di risorse pubbliche, lungi dal costituire elemento preclusivo in termini assoluti alla restituzione, rientra senz’altro tra gli elementi intorno ai quali si dovrà concretizzare la valutazione da parte dell’amministrazione degli interessi in conflitto e che dovrà sfociare nella decisione se acquisire o meno l’immobile al patrimonio comunale, previo ristoro al proprietario del diritto dominicale perduto, ovvero restituirglielo previo riacquisto e rimozione di tutte le opere realizzate.

Al fine di scongiurare tale evenienza, come già precisato, il Comune di Guspini potrà quindi adottare il provvedimento ex art. 42 bis del D.P.R. 8-6-2001 n. 327, che recita testualmente, per quanto qui rileva:

Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene…

(3° comma) l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma .”.

In sede di adozione di tale provvedimento, dunque, l’amministrazione, dovrà procedere alla liquidazione delle somme dovute ai ricorrenti sia a titolo di indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’acquisizione del diritto di proprietà sull’immobile.

In relazione alla domanda di risarcimento per il danno per l’occupazione illegittima il Collegio ritiene fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione intimata in relazione al periodo eccedente il quinquennio precedente alla notifica del ricorso.

Per giurisprudenza costante, dalla quale il Collegio non ravvisa oggi motivo per discostarsi, in caso di occupazione di un'area sine titulo, irreversibilmente trasformata per la realizzazione di opere già dichiarate di pubblica utilità, a seguito dello scadere del periodo di occupazione legittima e della mancata conclusione del procedimento espropriativo con l'adozione del decreto di espropriazione il comportamento della p.a. si configura come illecito permanente nella cui vigenza non decorre la prescrizione in mancanza di un effetto traslativo della proprietà.

Pertanto, il proprietario può agire nei confronti dell'ente pubblico, senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene ma a quello decorrente dall’avvenuta restituzione del bene o dall'acquisto della sua proprietà da parte dell’amministrazione ex art. 42 bis, per accordo transattivo o per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall'ente pubblico (nella specie, come detto, non verificatasi).

Peraltro la Corte di Cassazione (recentemente SS.UU.19 gennaio 2015 n. 735) ha stabilito che il diritto al risarcimento del danno per occupazione illecita si prescrive in cinque anni a decorrere dalla fine di ogni anno di occupazione e fino all’adozione del provvedimento ex art 42bis o alla restituzione dell’area.

Pertanto, posto che non si rinviene nel fascicolo di causa alcun valido atto di interruzione della prescrizione precedente alla notifica del ricorso avvenuta il 3 aprile 2009, è sicuramente fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa comunale per il periodo fino al 3 aprile 2004.

Per quanto attiene alla quantificazione del danno da mancato godimento, corrispondente al danno sofferto dal proprietario per l'illecita prolungata occupazione dei terreni di sua proprietà, può ragionevolmente quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene calcolato, in base alla destinazione urbanistica esistente prima dell’imposizione del vincolo espropriativo, alla data del 3 aprile 2004, momento di maturazione del risarcimento per mancato godimento dell’area del primo periodo non interessato dalla eccepita prescrizione;
detto valore dovrà essere rivalutato al 31 dicembre di ogni anno seguente al fine della quantificazione del 5% di risarcimento per gli anni successivi, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con il cit. art. 42- bis comma 3, D.P.R. n. 327 del 2001 (T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 7.03.2014, n. 182;
T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 14 dicembre 2012).

Naturalmente il pagamento dell’anzidetta somma presuppone l’accertamento dell’esatta delimitazione dell’area di proprietà della ricorrente interessata dal procedimento per cui è causa.

A tal fine l’Ufficio Tecnico comunale dovrà procedere, preliminarmente, nel contraddittorio della parte privata che potrà anche farsi assistere da un tecnico di sua fiducia, alla puntuale perimetrazione dell’area illecitamente trasformata con la costruzione della scuola.

Quanto, infine, al soggetto obbligato al pagamento dell’obbligo risarcitorio, per il quale la ricorrente ha chiesto la condanna in solido del Comune di Guspini e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, deve affermarsi l’esclusiva responsabilità dell’amministrazione comunale – ente espropriante - che dagli anni ‘70 e fino ad oggi non si è curata di attivarsi per la definizione del procedimento espropriativo per cui è causa.

Va invece respinta la domanda della sig.ra M nella parte in cui pretende che le sia liquidato anche il danno causato dall’interclusione di una parte del suo fondo che sarebbe rimasta inaccessibile.

Ed invero, al di là della genericità della censura per come formulata nell’atto introduttivo del giudizio, l’allegato 2 delle produzioni comunali, recante una riproduzione fotografia aerea dell’area, non evidenzia alcuna interclusione del lotto residuo di proprietà della ricorrente.

In conclusione, quindi, il ricorso merita accoglimento nei sensi e nei limiti sopra precisati.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo

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