TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2020-04-14, n. 202003911
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 14/04/2020
N. 03911/2020 REG.PROV.COLL.
N. 03520/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3520 del 2010, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e L P, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’avv. C P in Roma, via Ezio,12;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
Del provvedimento pronunciato in data 30.12.2009 dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione, Area della previdenza, settore amministrativo sanitario del personale di Polizia Penitenziaria notificato al ricorrente in data 08.02.2010 con il quale veniva decretato che l’infermità del ricorrente, meglio descritta in atti, non è dipendente da causa di servizio, unitamente agli atti presupposti tra cui il parere emanato dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio in data 22.09.2008
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2020 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso depositato in giudizio in data 22.04.2010, espone parte ricorrente di avere prestato servizio come Agente di Polizia e di essere al momento del deposito del ricorso in servizio presso il carcere di Rebibbia di Roma.
Avendo lamentato l’insorgenza di “ -OMISSIS- ”, in data 15.10.2005 presentava domanda per il riconoscimento della dipendenza di tale infermità da causa di servizio, ai sensi della legge 15 dicembre 1990, n.395, venendo quindi sottoposto, in data 9.05.2006, a visita medica presso la Commissione Medica Ospedaliera di Roma Cecchignola che gli diagnosticava " -OMISSIS-”, con menomazione dell’integrità psicofisica ascrivibile alla Tabella A- 7A Categoria annessa al D.P.R. 30.12.1981. n.384.
Il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, tuttavia, con delibera del 22.09.08, negava l'esistenza di un nesso di causalità tra la predetta infermità ed i fatti patologicamente rilevanti, in quanto di origine “ -OMISSIS-. Nel determinismo e nel successivo decorso dell'affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può aver svolto il servizio prestato, tenuto anche conto delle modalità di svolgimento dei disagi descritti negli atti i quali, considerati nel loro assurgere, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero di concausa efficiente e determinante”.
Conseguentemente, veniva emanato dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione, Area della previdenza, settore amministrativo sanitario del personale di Polizia Penitenziaria il provvedimento in data 30.12.2009, notificato al ricorrente in data 08.02.2010, con il quale veniva decretato che l’infermità del ricorrente non è dipendente da causa di servizio.
Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio con mero atto di forma e nell’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è affidato a due censure, con cui parte ricorrente deduce:
eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione dell’art.21 octies della legge 8 agosto 1990, n.241/1990;
violazione dell’art.10 bis della medesima legge n.241/90.
Con il primo motivo, avvalendosi della consulenza medica di parte del dottor G.C. parte ricorrente contesta nel merito la valutazione del Comitato di Verifica, che si sarebbe basata sull’id quod plerumque accidit senza tener conto sia della giovane età del ricorrente all’epoca dell’insorgere della malattia, che in genere si verifica per fattori endogeni in una età più avanzata (tra i 50 e 60 anni);sia dei turni massacranti dal predetto svolti presso il carcere di Rebibbia, tali da assurgere quantomeno a concausa dell’infermità riscontrata dalla C.M.O.
Peraltro, in un caso del tutto analogo, la stessa C.M.O sarebbe giunta a soluzione opposta, affermando la dipendenza dell’infermità da causa di servizio sulla base di una motivazione del tutto carente (Adunanza n.444/2007 del 26.11.2007), con conseguente disparità di trattamento e violazione dell’art.2 Cost.
Chiede, pertanto, che sia disposta una consulenza d’ufficio al fine di accertare la dipendenza della patologia da causa di servizio.
Con la seconda censura, parte ricorrente lamenta di non avere ricevuto il dovuto preavviso di diniego, ai sensi dell’art.10 bis della legge n.241/90, a fronte del quale avrebbe potuto evidenziare le proprie argomentazioni al fine di opporsi al rigetto dell’istanza.
Le censure dedotte non possono trovare accoglimento.
Occorre premettere che il D.P.R. n. 461 del 2001 ha affidato (artt. 11 e 12) al CVCS il compito di accertare l’esistenza del nesso causale (o concausale) con il servizio delle infermità contratte dai pubblici dipendenti (ex multis, Tar Campania, Salerno, n. 1735 del 2019;Tar Lazio, Roma, n. 10702 del 2019;Tar Calabria, Catanzaro, n. 778 del 2015).
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 14 DPR n. 461 del 2001, quindi, il parere del CVCS si impone, nel suo contenuto tecnico-discrezionale, all'Amministrazione, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, deve limitarsi ad eseguire soltanto una verifica estrinseca della completezza e regolarità del precedente iter valutativo e non deve attivare una nuova ed autonoma valutazione che investa il merito tecnico. In altre parole, l'Amministrazione deve conformarsi al suddetto parere, al quale può senz'altro rinviare per relationem e, solo ove ritenga di non poterlo fare, certamente per ragioni non di tipo tecnico, che deve in ogni caso esplicitare, può chiedere supplementi di accertamenti sanitari alla Commissione medica ex art. 11 comma 4 D.P.R. 29/10/2001, n. 461 (ex multis, Tar Lazio, Roma, n. 11462 e n. 10675 del 2019;Tar Campania, Salerno, n. 635 del 2015).
Non rientra invece tra i poteri del Comitato quello di richiedere un supplemento documentale all’amministrazione, competente ai sensi dell’art.7 a redigere la relazione nella quale sono riassunti gli elementi informativi disponibili, relativi al nesso causale tra l'infermità o lesione e l'attività di servizio, nonché l'eventuale documentazione prodotta dall'interessato.
Peraltro, il CVCS esprime un giudizio conclusivo, che rappresenta il momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti, quale la CMO: si tratta di un parere di carattere più complesso, sia per la composizione dell'organo (essendo presenti nel Comitato soggetti con professionalità mediche, giuridiche ed amministrative), sia per la più completa istruttoria esperita, non limitata soltanto agli aspetti medico-legali, che assorbe quindi i diversi pareri resi dagli organi intervenuti nel procedimento, sicché l'Amministrazione non è tenuta a motivare le ragioni per le quali si adegua ad esso, mentre una motivazione specifica e puntuale è dovuta nei soli casi in cui l'Amministrazione, in base ad elementi di cui disponga e che non siano stati vagliati dallo stesso ovvero in presenza di evidenti omissioni e violazioni delle regole procedimentali, ritenga di non poter aderire al parere del predetto Comitato.
Ciò chiarito, bisogna poi ricordare che il CVCS perviene alle proprie conclusioni in ordine alla dipendenza da causa di servizio della patologia da cui è affetto il dipendente, assumendo a base cognizioni di scienza medica e specialistica, con la conseguenza che il relativo parere è espressione di discrezionalità tecnica.
Di conseguenza, per costante giurisprudenza, il sindacato giurisdizionale sulle decisioni dell’Amministrazione che recepiscono il parere del CVCS sulla dipendenza di un’infermità da causa di servizio è ammesso esclusivamente nelle ipotesi di vizi logici desumibili dalla motivazione degli atti impugnati, dai quali si evidenzi l’inattendibilità metodologica delle conclusioni cui è pervenuta l'Amministrazione stessa, ovvero nelle ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto, tali da poter incidere sulla valutazione finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito (Cons. Stato, n. 7761 e n. 6778 del 2019, n. 5822 del 2018;n. 1454 del 2014;Tar Torino, 286 del 2016;Tar Puglia, Lecce, n. 935 del 2018 e n. 340 del 2016;Tar Abruzzo, Pescara, n. 11 del 2016, Tar Lazio, Roma, n. 242 del 2016). Il giudice amministrativo, pertanto, non può sostituire le proprie valutazioni a quelle effettuate dalle competenti autorità, in sede amministrativa, neanche in caso di difformi conclusioni raggiunte dai sanitari compulsati autonomamente dalla parte.
Il sindacato giurisdizionale si incentra, dunque, prevalentemente sul difetto di motivazione o di istruttoria inficiante il parere espresso dal CVCS, unico organo competente, come si è visto, ad esprimere un giudizio conclusivo circa il riconoscimento della dipendenza ontologica e giuridica di una infermità da causa di servizio.
Tanto premesso, si legge nella motivazione resa dal CVCS che l’infermità riportata dal ricorrente non è stata ritenuta conseguente a causa di servizio in quanto di origine “ -OMISSIS-. Nel determinismo e nel successivo decorso dell'affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può aver svolto il servizio prestato, tenuto anche conto delle modalità di svolgimento dei disagi descritti negli atti i quali, considerati nel loro assurgere, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero di concausa efficiente e determinante”.
Al riguardo, si rammenta che non è dato al Giudice Amministrativo sostituire le proprie valutazioni a quelle del Comitato disponendo consulenza tecnica d’ufficio - neppure alla luce di diverse conclusioni a cui sia giunto un consulente di parte.
Il positivo riconoscimento della dipendenza di una patologia da causa di servizio consegue infatti all'accertamento, da parte dell'Amministrazione, dell'effettiva e comprovata "riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione" (art. 11, primo comma, D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461. La legge non ritiene sufficiente, a tale fine, la mera "possibile" valenza patogenetica del servizio prestato, ma, di contro, impone la puntuale verifica, connotata da certezza o da alto grado di credibilità logica e razionale, della valenza del servizio prestato quale fattore eziologicamente assorbente o, quanto meno, preponderante nella genesi della patologia. Questa verifica è rimessa ex lege alla potestà tecnico-discrezionale dell'Amministrazione, le cui valutazioni, a ben vedere, sono frutto non di semplice opinabilità, ossia di applicazione di regole tratte da campi del sapere umano non esatti, ma di ipoteticità, ossia di ricostruzione di un nesso di causalità non conosciuto sulla base di assunzioni, presunzioni, collegamenti logici, deduzioni. Conseguentemente, gli esiti della valutazione tecnica operata dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio non possono essere contestati alla luce di difforme conclusioni raggiunte da sanitari compulsati autonomamente dalla parte, atteso che la legge ha inteso riservare i relativi accertamenti esclusivamente ai competenti organi dell'Amministrazione (Cons. Stato Sez. IV, 04/10/2017, n. 4619).
Ad ogni modo, si rileva che il ricorrente adduce quali concause asseritamente scatenanti della patologia circostanze ed elementi (essere stato sottoposto a stress psicofisici marcati dovuti alla sorveglianza per orari prolungati di detenuti; dover essere prontamente reperibile ed intervenire in qualsiasi momento e velocemente;non avere il tempo necessario per consumare i pasti che spesso vengono consumati in modo disordinato e discontinuo;il riposarsi ed il dormire in modo privo di regolari ritmi sonno-veglia) che, in realtà, costituiscono normali conseguenze della peculiarità della mansione svolta dagli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria.
Il ricorrente, in particolare, riferisce di essere stato assunto in data 03.07.1992 e di aver prestato servizio alle dipendenze del Gruppo Operativo Mobile della Direzione della Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia, con impiego a turno nei reparti detentivi cosiddetti speciali in cui si trovano detenuti ad alto indice di pericolosità. Dall’attestato di servizio allegato tuttavia, non emerge che il ricorrente sia stato sottoposto a condizioni lavorative abnormi e stressanti rispetto alle ordinarie mansioni per cui è stato assunto in servizio.
Quanto alla asserita disparità di trattamento, motivata in relazione ad una diversa decisione asseritamente adottata dal Comitato di verifica, il Collegio ne rileva l’infondatezza, sia perché ogni parere del CVCS, in considerazione della sua stessa natura, è pronunciato in relazione alle specificità mediche e fattuali del caso concreto;sia in quanto anche l’assenza di motivazione e/ o la carenza dei presupposti dell’eventuale parere n. 444/2007 del 26.11.2007 non varrebbe a giustificare l’annullamento anche del provvedimento in questa sede gravato.
Ne sussiste violazione dell’art.10 bis della legge n.241/90: ed invero, l'istituto del c.d. "preavviso di rigetto", di cui all'art. 10-bis della L. n. 241/90, ha lo scopo di far conoscere all'amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco. Tale scopo viene meno - ed è di per sé inidoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento - nei casi in cui il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, come nel caso di specie, sia stata raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità. Ciò perché l'art. 10-bis della L. n. 241/90, così come le altre norme in materia di "partecipazione procedimentale", deve essere interpretato non in senso "formalistico", ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato preavviso di rigetto non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, quando, in ipotesi, possa trova applicazione l'art. 21-octies della stessa legge, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. (T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 19/09/2019, n. 11098)
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato.
Atteso l’oggetto del contendere, possono compensarsi tra le parti le spese di lite.