TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-09-25, n. 202004021

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-09-25, n. 202004021
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202004021
Data del deposito : 25 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/09/2020

N. 04021/2020 REG.PROV.COLL.

N. 05723/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del-OMISSIS-, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato E R, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, c.so Vittorio Emanuele n. 670;

contro

il Comune di Anacapri in persona del Sindaco in carica;
la Regione Campania in persona del Presidente in carica, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della determinazione del responsabile del settore tecnico del comune di Anacapri del 27 luglio-OMISSIS- prot.n.-OMISSIS- recante rigetto istanza di condono edilizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 luglio 2020 la dott.ssa Angela Fontana;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. In data 14 febbraio 2002, i ricorrenti sono divenuti proprietari di un immobile sito in Anacapri, alla -OMISSIS-, n. 18, composto da un locale cantina al piano seminterrato di circa 66 metri quadrati, con una corte di accesso di pertinenza di circa 3 metri quadrati (realizzato a seguito del rilascio della concessione edilizia n. -OMISSIS- del 23 agosto 1977), e sono anche divenuti comproprietari di un adiacente terreno.

In relazione a tale locale cantina e alla adiacente corte di accesso è stata presentata dai danti causa degli odierni ricorrenti, in data 18 aprile 1986, una istanza di condono, ai sensi della legge n. 47 del 1985.

In data 1° dicembre 2004, i ricorrenti hanno proposto una ulteriore istanza di condono, ai sensi dell’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, riguardante: a) il mutamento della destinazione d’uso da cantina ad abitazione;
b) l’ampliamento della costruzione per circa 10,41 metri quadrati;
l) l’apertura di vani d’accesso e la creazione di una rampa, collegante il piano seminterrato con il sovrastante terrazzamento.

2. Il responsabile del servizio tecnico ha respinto l’istanza di condono di data 1° dicembre 2004 ed ha ordinato la demolizione delle opere oggetto di tale istanza, rispettivamente con l’atto n. -OMISSIS- del 27 luglio 2005 e l’atto n. -OMISSIS-del 7 agosto 2008.

3. Nel frattempo, in data 27 febbraio-OMISSIS- gli interessati hanno presentato al Comune una istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, riguardante la realizzazione senza titolo: a) di uno sbancamento di un terrapieno di circa 120 metri quadrati e di un muro di contenimento, con creazione di un’area pavimentata di corte;
b) di una scala di collegamento, di un ripostiglio, di un locale deposito di circa 4 metri quadrati, di due vasche settiche;
c) di una creazione di una aiuola in sostituzione di parte della pavimentazione, con eliminazione di parte della muratura di tompagno e dell’infisso del deposito.

Rispettivamente con gli atti n. -OMISSIS- del 7 agosto-OMISSIS-, il responsabile dell’ufficio tecnico:

- ha respinto anche l’istanza di data 22 febbraio-OMISSIS-;

- ha ordinato la demolizione dell’area di corte ottenuta con lo sbancamento, delle mura di contenimento, di tre nicchie murarie, di due ripostigli, di una scala in muratura, di un deposito di 6 metri quadrati, del sottostante pozzo di raccolta di liquami domestici e di una vasca di raccolta;

- ha ordinato la sospensione dei lavori, ai fini ambientali.

4. Con gli ulteriori atti n. -OMISSIS- del 26 agosto-OMISSIS-, il responsabile dell’ufficio tecnico ha ordinato la demolizione (e la sospensione dei lavori ai fini ambientali): a) di una unità abitativa seminterrata, estesa 27 metri quadrati, con attigua area di corte, estesa 4,35 metri quadrati;
b) di una pavimentazione delle coperture dei cormi di fabbrica, di una fioriera e di un box in muratura.

5. Con l’atto n.-OMISSIS- di data 8 ottobre-OMISSIS-, la Regione Campania ha ordinato agli interessati di sospendere i lavori effettuati sull’area in questione.

6. Con il ricorso in esame, gli interessati hanno impugnato tutti i provvedimenti sopra indicati, formulando sette motivi di censura.

7. Con il primo motivo, è lamentata l’illegittimità degli atti n. -OMISSIS- del 27 luglio-OMISSIS- e n. -OMISSIS-del 7 agosto-OMISSIS-, per violazione degli articoli 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990.

Gli interessati hanno dedotto che il Comune avrebbe dovuto comunicare le ragioni ostative all’accoglimento delle istanze di condono e di accertamento di conformità, anche perché si tratta (quanto all’istanza di condono) di un immobile per il quale era stata già presentata una istanza di condono, in base alla legge n. 47 del 1985.

La omessa comunicazione avrebbe impedito la presentazione di memorie e documenti da parte degli interessati.

7.1 Il motivo così sintetizzato va respinto.

Per la pacifica giurisprudenza amministrativa, la natura vincolata del diniego (di condono o di accertamento di conformità, anche paesaggistica), quando sussistono dirimenti ragioni che precludono l’accoglimento della relativa istanza, comporta che non vi è alcun vizio procedimentale quando il diniego medesimo è emesso senza inviare la previa comunicazione delle relative ragioni ( ex multis Cons. Stato, Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1778;
Tar Campania, sez. VI, 3 agosto 2020, n. 3455)

8. Col secondo motivo, è lamentato – con richiamo a molteplici precedenti giurisprudenziali - che i contestati dinieghi, n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-del-OMISSIS-, sarebbero illegittimi, perché non sono stati preceduti dall’acquisizione dei pareri della commissione edilizia comunale e della commissione locale per il paesaggio.

8.1 Anche tale motivo va respinto, perché infondato.

Va rilevato, preliminarmente, che i ricorrenti non hanno specificamente dedotto la violazione di specifiche disposizioni di legge, richiamando alcuni orientamenti giurisprudenziali, riguardanti fattispecie eterogenee.

Ciò posto, osserva il Collegio che per la consolidata giurisprudenza occorre tenere conto della specifica normativa sul condono e sull’accertamento di conformità (richiesti nella specie dai ricorrenti), dalla quale non emerge che nel corso dei relativi procedimenti debbano essere acquisiti previ pareri (Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4033;
Sez. IV, 25 novembre 2016, n. 4962): il legislatore ha articolato i relativi procedimenti, sicché non vi è alcuna illegittimità per il fatto che l’Amministrazione non abbia inteso acquisire alcun parere (che si sarebbe dovuto considerare comunque facoltativo), in considerazione – evidentemente – della non particolare complessità della fattispecie.

9. Col terzo motivo, è altresì lamentata la violazione dell’art. 167, comma 5, del codice n. 42 del 2004, poiché non è stato chiesto neppure il parere della Soprintendenza statale, da considerarsi necessario in ragione della sussistenza sull’area di un vincolo paesaggistico.

9.1 Anche tale censura va respinta.

L’art. 167, comma 4, del codice n. 42 del 2004 dispone che l’autorità competente (nella specie, il Comune, quale autorità subdelegata dalla Regione) ‘accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5’, in alcuni casi tassativi, previsti dalle successive lettere a), b) e c).

Il legislatore ha dunque previsto che il procedimento di cui al comma 5, nel corso del quale la Soprintendenza è tenuta a rendere il parere, debba avere luogo quando l’autorità competente ravvisi la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della istanza.

Viceversa, nei casi non riconducibili alle medesime lettere a), b) e c), nel corso del procedimento non occorre il parere della Soprintendenza e l’istanza può essere senz’altro respinta.

10. Col quarto motivo, è lamentata la violazione degli articoli 146 e 167, comma 4, del codice n. 42 del 2004, poiché con l’istanza di condono è stata chiesta la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso del locale cantina, nonché della realizzazione di due vani, di una rampa di collegamento e dell’apertura di vani d’accesso, mentre con l’istanza di accertamento di conformità è stata chiesta la sanatoria di lavori di manutenzione, di recupero e comunque di lavori esterni.

Il Comune, pertanto, in considerazione anche degli atti del Ministero dei beni culturali n. 16740 del 16 settembre 2008, n. 33 del 26 giugno 2009 e n. 16721 del 13 settembre 2020 (e anche tenuto conto dell’art. 17 del decreto legge n. 133 del 2014, nel frattempo entrato in vigore, che ha ampliato il concetto di manutenzione straordinaria), non avrebbe potuto respingere le istanze con riferimento a tutti gli abusi realizzati.

11. Col quinto motivo, è lamentato un difetto di motivazione, poiché gli atti impugnati non avrebbero specificamente indicato le ragioni riguardanti la non sanabilità delle singole opere, individualmente considerate.

Inoltre, è lamentato un difetto di istruttoria, perché si sarebbero dovute evidenziare le ragioni tecnico-valutative, impeditive del rilascio della sanatoria.

Col motivo ‘5-a’, è dedotto che l’atto n. -OMISSIS- del-OMISSIS- avrebbe illogicamente affermato, e in assenza di adeguata motivazione, che l’art. 32 della legge n. 326 del 2003 non si applica per gli abusi realizzati sull’isola di Capri, in quanto sottoposta al vincolo paesaggistico.

Tenuto conto anche delle vicende riguardanti l’art. 3 della legge regionale n. 10 del 2004, dichiarato in parte incostituzionale con la sentenza n. 49 del 2006 della Corte Costituzionale, non sarebbe condivisibile l’interpretazione dell’art. 32, secondo cui non possono essere sanati gli abusi commessi sull’isola di Capri.

Sarebbe inoltre generico il richiamo effettuato all’ “ orientamento costante della Corte di Cassazione ”.

12. Tale motivi vanno decisi congiuntamente, per la loro connessione, e vanno respinti, perché infondati.

Il diniego n. -OMISSIS- del-OMISSIS- ha specificamente elencato i lavori nel corso del tempo realizzati senza titolo (e oggetto della relativa istanza), che sono consistiti in sbancamenti, realizzazione di nuovi volumi e di altre opere quali la scala in muratura, le vasche, ecc.

Il provvedimento ha evidenziato le previsioni urbanistiche applicabili per l’area in questione (ricadente nella zona P, aree a verde agricolo, e nella zona di protezione integrale con recupero paesistico-ambientale) ed ha rimarcato come vi sia stato un incremento di volumetria.

E’ indubitabile che gli abusi, complessivamente intesi, hanno comportato un aumento di volumetria ed hanno riguardato il medesimo immobile, la cui consistenza risulta dunque diversa da quella oggetto della originaria istanza di condono, proposta in data 18 aprile 2016.

Per la pacifica giurisprudenza, per la loro qualificazione le opere abusive vanno valutate ‘non atomisticamente’, ma complessivamente, attraverso un confronto tra lo stato di fatto attuale e quello risultante dai titoli edilizi relativi all’immobile (e, come nel caso, quello risultante da una pendente istanza di condono), non essendo consentito scomporre o frazionare i singoli interventi al fine di affermarne l’assoggettabilità a una diversa sanzione o la sanabilità, “ in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni ” (Cons. Stato, Sez. VI, 8 maggio 2018, n. 2738, TAR per la Campania Napoli, Sez. VIII, 11 marzo 2020, n. 1112).

Sotto tale profilo, del tutto legittimamente il Comune ha valutato unitariamente gli abusi commessi dopo la originaria istanza di condono.

Inoltre, come ha correttamente evidenziato il medesimo atto n. -OMISSIS- del-OMISSIS-, la legge sul ‘terzo condono’ n. 326 del 2003 non ha consentito il condono per abusi consistenti in aumenti di volumetria, su aree sottoposte a vincolo paesaggistico, tra le quali rientrano dal 1951 le aree del territorio del Comune di Anacapri (in termini, TAR per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 7 luglio 2020, n. 2907).

Conformemente alla giurisprudenza penale richiamata nel diniego impugnato, si devono dunque ritenere applicabili la lettera d) del comma 27 dell’articolo 32 del d.l. n. 269 (secondo cui non sono condonabili le opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”) ed il comma 26 del medesimo art. 32, per il quale nelle aree soggette a vincolo paesaggistico il condono è ammesso solo per gli abusi minori, cioè per gli abusi rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6 della tabella (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2020, n. 1902;
TAR per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 7 luglio 2020, n. 2907).

Da tanto consegue la infondatezza della deduzione difensiva (sintetizzata al precedente punto 10) secondo cui, per la tipologia minima degli interventi eseguiti e per le indicazioni ministeriali indicate in ricorso, il Comune non avrebbe potuto respingere le istanze di sanatoria proposte dall’interessato.

13. Col sesto motivo, è lamentata l’illegittimità degli atti impugnati, poiché il Comune ancora non si è pronunciato sulla originaria istanza di condono, proposta in data 18 aprile 1986: il Comune avrebbe dunque ordinato la demolizione anche dei manufatti per i quali è stata presentata a suo tempo tale istanza di condono.

13.1 La censura va respinta.

Allorquando su un immobile, oggetto di una istanza di condono, siano realizzati ulteriori abusi, oggetto a loro volta di una istanza di condono e di accertamento di conformità paesaggistica, l’Amministrazione comunale può esaminare e respingere la seconda istanza, in ragione della autonomia dei due procedimenti e della diversità degli abusi commessi.

Nessuna disposizione di legge ha subordinato l’esame di una istanza di sanatoria alla previa definizione di una precedente istanza di condono.

Nella specie, inoltre, gli impugnati ordini di demolizione hanno riguardato non le opere in quanto tali a suo tempo oggetto della istanza di data 18 aprile 1986, ma l’immobile – considerato nella sua unitarietà – che è venuto ad esistenza a seguito degli abusi commessi successivamente alla sua proposizione.

Gli atti impugnati non hanno semplicemente ordinato la riduzione in pristino dell’originario stato dei luoghi antecedente agli abusi oggetto della istanza del 18 aprile 1986, ma hanno ordinato la demolizione dell’immobile per come è risultato esistente a seguito degli ulteriori abusi commessi e specificamente elencati, senza precludere pertanto agli interessati di ripristinare proprio lo stato dei luoghi, corrispondente al contenuto della medesima prima istanza di condono.

14. Col settimo motivo, è contestata la legittimità dell’ordinanza regionale n.-OMISSIS- dell’8 ottobre-OMISSIS-, perché essa genericamente, e senza motivazione, avrebbe ordinato la sospensione dei lavori, senza specificare quale sia stato l’oggetto della contestazione.

14.1 Anche tale censura risulta infondata e va respinta.

Allorquando l’autorità competente – nella specie, la Regione, in base ai poteri delegati dalla normativa statale – ordini la sospensione dei lavori abusivi, non devono essere necessariamente specificamente indicate le opere che nel frattempo siano in corso di realizzazione, anche perché non si può escludere che l’autore degli abusi abbia proseguito la propria attività nel periodo intercorrente tra la data dell’accertamento e quella di emanazione del provvedimento: ciò che conta è che il destinatario dell’atto sia reso consapevole che – per la consistenza dei lavori – deve immediatamente sospendere la loro realizzazione, in attesa delle ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

Del resto, la funzione dell’ordine di sospensione è specificamente quella di informare il destinatario che l’ulteriore condotta abusiva, successiva alla conoscenza dell’atto, comporta la sussistenza anche di un reato, per la mancata ottemperanza di un provvedimento volto a consentire la valutazione di quanto accaduto, in assenza di ulteriori modifiche dello stato dei luoghi.

15. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto.

Non si procede, tuttavia, alla liquidazione delle spese del giudizio a favore delle intimate amministrazioni in quanto le stesse non risultano costituite in giudizio.

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