TAR Salerno, sez. II, sentenza 2018-03-27, n. 201800459

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2018-03-27, n. 201800459
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201800459
Data del deposito : 27 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/03/2018

N. 00459/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02108/2014 REG.RIC.

N. 02435/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 2108 del 2014, proposto da:
R S, R A e R M, rappresentati e difesi dall’Avv. G G, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 174;

contro

Comune di Positano in persona del Sindaco – legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. F A e G P, con domicilio eletto, in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 58, presso l’Avv. Polverino;



sul ricorso, numero di registro generale 2435 del 2014, proposto da:
R F P, rappresentato e difeso dall’Avv. G G, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 174;

contro

Comune di Positano in persona del Sindaco – legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. F A e G P, con domicilio eletto, in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 58, presso l’Avv. Polverino;

per la condanna,

quanto al ricorso n. 2108 del 2014:

(in dichiarata riassunzione del procedimento, già pendente dinanzi al Tribunale di Salerno – Sezione di Amalfi, iscritto al n. 94/2001 di R. G.),

del Comune di Positano, in considerazione della sopravvenuta irreversibile trasformazione dei terreni, di proprietà dei ricorrenti, per effetto di varie e molteplici realizzazioni, non tutte, tra l’altro, di pubblica utilità:

- al risarcimento in forma specifica (restituzione dei beni immobili illegittimamente appresi, indipendentemente dalle circostanze e modalità di occupazione, acquisitiva od usurpativa, di acquisizione dei terreni, essendosi comunque trattato di occupazione illegittima, con conseguente insorgenza di un illecito permanente), con riduzione in pristino dello stato dei luoghi, entro termine perentorio a fissarsi;

- al risarcimento di tutti i danni come accertati e con le rivalutazioni di legge all’attualità ed ogni onere successivo a carico dell’ente (la relativa quantificazione dovrà ristorare i ricorrenti sia della perdita della proprietà, sia del mancato godimento della stessa dal momento dell’occupazione);

- in caso d’acquisizione parziale al patrimonio indisponibile dell’Ente, al risarcimento in forma specifica, limitatamente alla parte residua (che dovrà essere ridotta in pristino stato e restituita ai ricorrenti), nonché al risarcimento per equivalente relativamente alla parte acquisita (liquidando in loro favore e a titolo risarcitorio il valore venale del bene, secondo il mercato locale e commisurato ai parametri, adottati dallo stesso ente per le concessioni);

nonché, per la condanna,

quanto al ricorso n. 2435 del 2014:

(in dichiarata riassunzione del procedimento, già pendente dinanzi al Tribunale di Salerno – Sezione di Amalfi, iscritto al n. 94/2001 di R. G., e previa riunione dello stesso a quello, R. G. n. 2108/2014, per connessione oggettiva e soggettiva)

del Comune di Positano alla restituzione dei beni illegittimamente acquisiti ai ricorrenti, con la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, entro termine perentorio a fissarsi e, in caso d’acquisizione parziale al patrimonio indisponibile dell’ente,

per la condanna

del medesimo al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle somme dovute, determinandone il prezzo venale e di mercato locale, oltre rivalutazione e interessi, dal dì del fatto all’effettivo soddisfo;

nonché per la condanna

del Comune di Positano, per le causali espresse in premessa, al risarcimento di tutti i danni, come pure analiticamente indicati in narrativa, e al pagamento delle spese, diritti ed onorari del giudizio riassunto e del presente in riassunzione, con attribuzione al procuratore anticipante;


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Positano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2018, il dott. P S;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;


FATTO

Con il primo dei ricorsi in epigrafe, i ricorrenti, ivi specificati, dichiaravano di riassumere, innanzi a questo Tribunale, il giudizio civile n. R. G. 94/2001, già incardinato innanzi all’A. G. O. e segnatamente innanzi al Tribunale di Salerno – Sezione Distaccata di Amalfi, concluso con sentenza di declinatoria della giurisdizione del G. O., in favore del T. A. R.;
riferivano in particolare che, con l’atto di citazione in sede civile, avevano convenuto in giudizio il Comune di Positano, esponendo:

- 1) d’essere proprietari degli immobili siti in Comune di Positano, alla località Valle dei Mulini, individuati in catasto al foglio n. 5, mappali nn. 456, 457, 556, 558, 583, 584, 585, 598, 599 e 329, “meglio e analiticamente descritti, poi, nella c. t. u. espletata nel giudizio riassunto”;

- 2) che sui suoli, innanzi descritti, il Comune di Positano, “del tutto arbitrariamente e senza titolo alcuno, a far data dal 1987 aveva realizzato una strada prevalentemente sopraelevata, di larghezza totale di m. 5,70, nonché una condotta fognaria a cielo aperto, con relativi pozzetti di caduta, nella quale scorrevano e scorrono i liquami confluenti in un pozzetto di raccolta posto a lato monte”;

- 3) che i suoli suddetti “risultano, pertanto, ancora oggi gravati non solo da una servitù di scarico costituita di fatto dal Comune di Positano, in assenza di titolo e senza corresponsione delle relative indennità, ma da manufatti realizzati dall’ente per offrirli, poi, in concessione agli operatori economici di Positano (cfr. delibera della G. C. n. 62/2007, in atti” – gravata in altro ricorso – n. R.G. 1758 del 2007 – nde);

- 4) che, “a causa di frequenti rotture della condotta sopra indicata, della mancata tenuta della stessa e dei pozzetti, dovute all’omessa od insufficiente manutenzione e vigilanza del funzionamento, si sono verificati e si verificano abbondanti fuoriuscite di acque”;

- 5) che, in conseguenza di tali eventi, “si sono prodotti nel corso del tempo, fino all’attualità, ingenti danni nei fondi di proprietà degli istanti, costituiti da frequenti crolli delle macere, scoscendimento dei terrazzamenti e distruzione delle colture esistenti”;

- 6) che si sono “rivelate inutili le opere di protezione ripetutamente poste in essere dai proprietari, sopportandone notevoli costi, in quanto vanificate dal ripetersi frequente degli eventi anche climatici di danno innanzi descritti”;

- 7) che a nulla “sono valsi gli inviti rivolti al Comune di Positano per una composizione bonaria della controversia e i continui contatti per la risoluzione dell’annosa questione (cfr. istanze depositate, proposte di transazione e delibere concordate e, poi, non adottate)”.

Sulla base di tali elementi di fatto, deducendo gli attori la sussistenza della condotta antigiuridica dell’ente convenuto, gli stessi, previo accertamento:

- a) della realizzazione sine titulo della strada soprelevata e della condotta fognaria sul fondo di essi attori;

- b) dei danni prodotti dallo sversamento di acque dalla condotta e delle cause di tale evento;

- c) della determinazione dell’indennità per la costituzione della servitù di scarico;

- d) della determinazione dei danni conseguenti alla fuoriuscita delle acque, nonché dei costi sopportati dagli attori per la realizzazione di opere di protezione, vanificate dal ripetersi degli eventi;

- e) della determinazione delle opere necessarie al ripristino dello stato dei luoghi;

chiedevano l’emissione delle consequenziali pronunce restitutorie, risarcitorie e/o di pagamento di somme, così come richiesto in citazione e precisato nell’apposita memoria, di cui all’art. 183, ultimo comma, c. c., e con specifico riferimento alle norme legislative regolanti la materia ed in particolare alla delibera del Consiglio Comunale n. 34 del 29.12.2005, per l’applicazione del “canone di occupazione” per la determinazione delle somme, a tale titolo a liquidarsi in loro favore.

Segnalavano, altresì, che “s’instaurava il contraddittorio con la costituzione del Comune di Positano convenuto, che eccepiva l’inammissibilità ed infondatezza della domanda, e si procedeva all’espletamento dell’attività istruttoria, mediante acquisizione documentale ed espletamento di consulenza tecnica d’ufficio”;
dopo di che la causa passava in decisione, la quale veniva resa, con la sentenza n. 3205/2014, di declaratoria di difetto di giurisdizione, cui faceva seguito la presente riassunzione, mediante la quale essi riproponevano il richiamato atto di citazione, chiedendo “di essere risarciti dei danni tutti, causati dal Comune di Positano, che nell’ambito di lavori occupava ed irreversibilmente trasformava un terreno “con vocazione edilizia, di proprietà degli odierni ricorrenti, sito in Positano, alla Località Valle dei Mulini, censito nel N. C. E. U. del Comune di Positano al fol. n. 5, mappali n. 456, 457, 556, 558, 583, 584, 585, 598, 599 e 329, senza mai adottare alcun atto d’urgenza, finalizzato al decreto d’espropriazione o, comunque, in tutto o in parte ablatorio”;
evidenziavano, in particolare, ai fini della decisione, che il Comune, “su detta superficie, pur illegittimamente occupata, nei corso del tempo ebbe a realizzare dei manufatti che, poi, offrì addirittura mediante apposita delibera della G. C., n. 62/2007, di concessione di spazi ed aree pubbliche e, quindi, con esclusione di ogni pubblica utilità, ad operatori economici del luogo, <per mettere a frutto il proprio patrimonio>”;
onde i ricorrenti, venuti a conoscenza di detto atto deliberativo, l’avevano impugnato, con il separato ricorso di cui sopra, in esso ottenendo la sospensiva della deliberazione gravata;
rappresentavano, inoltre, che “da detta epoca all’attualità risulta che l’immobile come in premessa richiamato e più analiticamente descritto nella c. t. u., è stato letteralmente in parte inglobato nella sede stradale, ma il procedimento espropriativo non ha mai avuto conclusione con l’adozione del regolare e definitivo decreto ablativo”;
risultava, dunque, provato “il mancato perfezionamento della procedura espropriativa, le trattative svoltesi nel corso del tempo, ma senza risultato;
anche per l’irreversibile trasformazione dei beni occupati, come denunziato davanti al G. O. cd accertato dalla c. t. u.”;
precisavano, infine, che “nessuna somma e a qualsiasi titolo è stata mai versata ai ricorrenti, per la causale in atto”;
e concludevano, giusta “l’ordinamento sovranazionale recepito dalla Repubblica”, nei sensi riferiti in epigrafe.

Si costituiva in giudizio il Comune di Positano, con articolata memoria difensiva, nella quale, preliminarmente, eccepiva la tardività e l’inammissibilità, nonché l’improponibilità e l’improcedibilità dell’avverso gravame, facendo presente che:

- il ricorso in riassunzione R. G. n. 2108/2014, proposto da S, M ed A R, era stato notificato, presso la sede reale del Comune di Positano, in data 25.09.2014;

- in data 23.10.2014, presso i procuratori costituiti nel giudizio civile, era stato notificato un altro atto di riassunzione, nell’interesse di S R, M R, F P R e A R;

- in data 28.10.2014, presso i procuratori costituiti nel giudizio civile, era stato notificato un ulteriore atto di riassunzione, nell’interesse del solo F P R;

- come risultava dalla certificazione del T. A. R. Campania, Sezione di Salerno, Reg. Cert. n. 1/2015 del 15.01.2015 (prot. n. 2072 del 16.01.2015): “(...) A seguito della sentenza n. 3205/14 resa dal Tribunale Civile di Salerno – Sezione di Amalfi, risultano essere stati iscritti a ruolo presso questo Tribunale Amministrativo i seguenti giudizi in riassunzione: 1) R. G. n. 2435/2014: ricorso proposto dal sig. R F P contro il Comune di Positano, notificato “a mani” in data 28/10/2014 (cron. n. 25855) ed iscritto a ruolo in data 21/11/2014;
in detto giudizio non risultano essere stati depositati ulteriori originali di ricorsi in riassunzione;
2) R. G. n. 2108/2014: ricorso proposto dai sig.ri R S, R M e R A contro il Comune di Positano, notificato a mezzo servizio postale in data 25.09.2014 e ricevuto in data 29.09.2014 (cron. n. 5192), ed iscritto a ruolo in data 17/10/2014;
in relazione al suddetto giudizio, risulta essere stato depositato, in data 21/11/2014, un ulteriore originale di ricorso in riassunzione, proposto dai sig.ri R S, R M e R A, notificato “a mani” al Comune di Positano in data 23/10/2014 (cron. n. 25747). Si evidenzia che in questo ulteriore originale di ricorso in riassunzione non compare il nome del ricorrente R F P, che però appare nella copia notificata al Comune di Positano (cron. n. 25747), allegata alla predetta istanza”.

Evidenziato, in tal modo, “il tortuoso iter di notificazione dell’avverso ricorso in riassunzione”, atteso che il giudizio T. A. R. SA – R. G. n. 2108/2014 era stato iscritto, in data 17.10.2014, sulla base del ricorso in riassunzione notificato in data 25 – 29.09.2014, presso la Casa Comunale (sede reale) di Positano, in violazione degli artt. 170, 1° comma, c. p. c. e 125, 2° comma, disp. att. c. p. c.;
che tale giudizio era stato proposto esclusivamente dai sigg. S, M e A R;
che in data 23.10.2014, ovvero in epoca successiva all’instaurazione del presente giudizio, presso il domicilio eletto nell’originario giudizio (già incardinato presso il Tribunale Salerno – Sezione Distaccata di Amalfi), era stata effettuata la notifica del ricorso in riassunzione, ad opera (per quanto era dato leggere nell’epigrafe dell’atto notificato) di S, M, F P e A R;
che, tuttavia, l’attestazione della Segreteria del T. A. R. Salerno, innanzi riportata, faceva risaltare che, alla difesa del Comune, era stato notificato un atto diverso da quello (l’altro originale, per intenderci) depositato al T. A. R.;
concludevano come risultasse, pertanto, violato il principio dell’identità tra l’originale dell’atto da notificare, e la copia notificata, con conseguente invalidità di tale secondo originale, e conferma dell’inammissibilità della riassunzione (anche originaria), posto che la riassunzione dell’originario giudizio non era stata correttamente e ritualmente instaurata;
inoltre R F P non aveva riassunto, con la copia notificata in data 23.10.2014 presso i difensori costituiti, l’originario giudizio, instaurato dinanzi al G. O.;
in conclusione, la difesa del Comune eccepiva “la manifesta inammissibilità dell’esperita riassunzione”, in ordine alla quale non accettava il contraddittorio;
seguiva la specificazione di tale eccezione, nel senso che, anzitutto, l’atto di riassunzione era inammissibile, perché i ricorrenti avevano mutato i fatti costitutivi del diritto, fatto valere originariamente dinanzi al G. O., e la domanda ivi proposta;
seguiva la specificazione dei fatti, dedotti a sostegno della domanda, proposta con atto di citazione del febbraio 2001 da S R, in proprio e nella qualità di procuratore di M R, P R, A R e P G, innanzi al Tribunale Civile di Salerno – Sezione di Amalfi, nei confronti del Comune di Positano, per la quale, per motivi di sintesi, si rinvia all’ampia esposizione, contenuta nella memoria difensiva in questione;
inoltre, “l’originaria domanda venne, poi, mutata (e non emendata), in occasione della memoria, ex art. 183, comma 6, n. 1, c. p. c., come pure eccepito dalla difesa comunale dinanzi al G. O. (cfr. comparsa di replica del 6.07.13), indicando, quali fatti a fondamento delle domanda, le seguenti circostanze” (si rinvia, anche in questo caso, per ovvie ragioni di brevità, alla lettura della memoria in oggetto);
premesso che tale “mutatio libelli”, già contestata innanzi al G. O., sarebbe stata oggetto d’altro profilo d’inammissibilità, nel prosieguo, la difesa dell’Amministrazione Comunale di Positano rilevava come, nel ricorso in riassunzione, dinanzi codesto T. A. R. (quello, notificato presso la sede reale dell’Amministrazione Comunale), le controparti avevano indicato “a fondamento della loro domanda, fatti diversi, nuovi e non contemplati nell’originario atto di citazione, e neanche nella memoria ex art. 183 citata, formulando una causa petendi ed un petitum diversi” (anche in questo caso, si rimanda all’ampia esposizione in atti);
la conclusione, in ogni caso, era nel senso che “non è stato riassunto il medesimo giudizio originariamente proposto dinanzi al G. O., con la conseguente eccepita inammissibilità”;
anzi: “L’originario giudizio proposto dinanzi al Tribunale di Salerno – Sez. Amalfi s’è, dunque, estinto”, poiché v’era stata “mutatio libelli, sotto i profili del petitum e della causa petendi”, com’emergeva dal confronto tra gli atti di citazione e di riassunzione, con la conclusione che quello, proposto innanzi al T. A. R., era un nuovo ricorso, rispetto al giudizio, che pure d’affermava di voler riassumere, con conseguente sua inammissibilità (tra l’altro, non tutti gli originari attori avevano riassunto il giudizio, originariamente proposto dinanzi al G. O, onde nei confronti di R P e G P, la sentenza del Tribunale di Amalfi n. 3205/2014 s’era consolidata, e il Comune non avrebbe potuto subire alcun effetto pregiudizievole, dalla decisione del G. A., eventualmente assunta in favore di detti soggetti). La difesa del Comune eccepiva, inoltre, che l’atto di riassunzione era inammissibile, e nullo, “perché affetto dagli stessi vizi, già censurati in sede cognitoria civile e sollevati con la comparsa conclusionale e che qui si ripropongono: - A) Sulla spendita della qualità del sig. S R: come già dedotto in sede di comparsa di costituzione e risposta, il sig. S R ha dichiarato di agire anche quale procuratore speciale dei sigg. M, P e A R e della sig.ra P G, indicando la procura generale per Notar Andrea Pansa del 23.03.1989;
il Comune, costituitosi tempestivamente, ha dedotto che la qualità di procuratore generale, spesa dall’attore, non era stata documentata, con l’ovvia conseguenza della nullità degli atti processuali in quanto formati da persona che, in difetto di prova sui poteri di rappresentanza, non può agire il luogo di altri. (…) Il Magistrato non ha colto l’eccezione, ma la conseguenza è semplicemente quella per cui <error judicis error parti>, ovvero, comunque, la nullità del giudizio;
- B) Sulla nullità dell’atto di citazione. “In citazione, gli attori hanno assunto che l’Ente comunale avrebbe realizzato, arbitrariamente, una strada ed una condotta fognaria e costituito di fatto una servitù di scarico, lamentando, poi, fuoriuscita di acque, crolli di macere, scoscendimenti, distruzione di colture. Su tali premesse, quindi, l’attore ha invocato, in via principale, il rilascio del suolo ed il ripristino della situazione precedente. La controversia, pertanto, avrebbe ad oggetto il rilascio di beni occupati senza titolo, previo ripristino della situazione precedente. Ma, se l’atto di citazione non lamentava lo spossessamento, non si comprende quale bene si dovrebbe rilasciare. Avuto riguardo, inoltre, alla domanda subordinata, pure formulata in citazione, secondo cui è stata chiesta la condanna del Comune al risarcimento dei danni, a qualsiasi titolo subiti dagli attori in conseguenza dell’illegittima condotta della P. A., nonché al pagamento della indennità ex artt. 1033 e ss. codice civile, le perplessità aumentano, come indicato nella comparsa di costituzione e risposta, cui si rimanda. Con la successiva memoria ex art. 183 c. p. c., però, gli attori hanno modificato l’originaria domanda, rappresentando che, non esistendo alcun atto espropriativo, sarebbe dovuto il risarcimento dei danni subiti e, in ragione della creazione della rete fognaria, sarebbe dovuta anche l’indennità per la costituzione della relativa servitù. Gli attori hanno, infine, così concluso: “Appare fin troppo evidente che la domanda di pagamento delle indennità è alternativa a quelle di condanna al ripristino dello stato dei luoghi”;
e che sussisterebbe “il diritto degli attori al risarcimento di tutti i danni subiti in dipendenza dello sversamento delle acque reflue causato dalla rottura delle condotte o dalla mancata tenuta delle stesse”;
la conclusione era che: “Ai sensi dell’art. 164 c. p. c., la citazione deve considerarsi nulla” e “la modifica della primigenia domanda è inammissibile”;
con la memoria ex art. 183 c. p. c., in particolare, era possibile l’emendatio libelli, non la mutatio libelli;
- C) La domanda risarcitoria è inammissibile e non provata e gli elementi costituitivi della stessa sono assolutamente generici. Parte attrice ha genericamente indicato i presupposti di fatto dell’azione, non indicando specificamente gli eventi da cui sarebbe derivato il danno. Soprattutto, è mancata la prova, sin dall’atto di citazione, dei danni stessi, che sono stati soltanto prospettati, ma che sono e restano indimostrati, anche a seguito dell’espletata c. t. u., che, invero, ha condotto una valutazione meramente ipotetica (…). Tutto ciò viola il disposto dell’art. 2697, comma 1, c. c. con conseguente inammissibilità dell’avversa domanda”. Indi, “per completezza difensiva”, il Comune ribadiva “le argomentazioni difensive, svolte nell’originario giudizio dinanzi al G. O., (…) utili a contrastare l’azione proposta, anche laddove essa fosse esaminabile quale ricorso “nuovo”, alla luce delle già spiegate eccezioni” (per tale parte, sempre per intuibili motivi di sintesi, si rinvia alla lettura dell’atto difensivo in trattazione).

Inoltre, l’ente osservava come, in dette difese (svolte nel giudizio civile), “le risultanze della c. t. u. sono state contestate (…) con argomentazioni efficacissime, che qui si ribadiscono” (si rimanda, ancora una volta, all’esame dell’atto defensionale in questione, onde non appesantire ulteriormente la trattazione).

In disparte le eccezioni preliminari, nel modo che precede sollevate, ovvero ribadite, la difesa del Comune passava ad individuare “le domande proposte con il ricorso in riassunzione, da considerare, in ipotesi, “nuovo” ricorso: i ricorrenti chiedono “di essere risarciti tutti dei danni causati dal Comune di Positano che nell’ambito dei lavori occuparono ed irreversibilmente trasformarono un terreno con vocazione edilizia (...) senza mai adottare alcun atto di urgenza finalizzato al decreto di espropriazione e, comunque, in tutto o in parte ablatorio (...) Da detta epoca (recte: 2007) all’attualità risulta che l’immobile (...) è stato letteralmente in parte inglobato nella sede stradale ma il procedimento espropriativo non ha mai avuto conclusione con l’adozione del regolare e definitivo decreto ablativo. Risulta, pertanto, provato il mancato perfezionamento della procedura espropriativa (...) in considerazione della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto di varie e molteplici realizzazioni, non tutte, tra l’altro, di pubblica utilità;
ne consegue la restituzione (...) dei beni immobili illegittimamente appresi ed indipendentemente dalle circostanze e modalità di occupazione, acquisitiva o usurpativa, di acquisizione del terreno (...) Trattasi, quindi, di occupazione illegittima e di insorgenza di illecito permanente. Ne consegue ancora che i beni vanno restituiti, pertanto, ai ricorrenti, con la riduzione in pristino dello stato dei luoghi (...), con il risarcimento di tutti i danni come accertati e con le rivalutazioni di legge all’attualità ed ogni onere successivo a carico dell’ente. La relativa quantificazione dovrà ristorare i proprietari ricorrenti sia della perdita della proprietà sia del mancato godimento della stessa dal momento dell’occupazione”.

Tali essendo le domande da ascrivere al ricorso in riassunzione, ove interpretabile – come ipotizzato dallo stesso Comune – quale ricorso “nuovo”, l’ente deduceva, nel merito, quanto segue: “Dalle difese sin qui esposte emergono due punti fondamentali: la strada è funzionale al depuratore realizzato nel Comune di Positano dalla Cassa del Mezzogiorno, con decreto di occupazione d’urgenza del 1982, scaduto il 16/09/1987;
la condotta fognaria in disuso risale, come documentato nel giudizio dinanzi al Tribunale di Amalfi, dal Comune di Positano, al 1963. Sta di fatto che, nel caso di specie, vi sono due situazioni, che vanno partitamente considerate, in quanto diverse sono le genesi e le situazioni di fatto, oggetto di causa, e diverse sono le conseguenze giuridicamente valutabili. Ed è un fatto che la c. t. u. esperita nel giudizio dinanzi al G. O. abbia accertato che: “Le aree interessate si presentano come una superficie agricola terrazzata attraversata da una strada in gran parte sopraelevata su piloni in cemento armato. Le superfici sono al momento coltivate con agrumi. I terrazzamenti sono attraversati da una condotta fognaria in disuso realizzata con 13 pozzetti fuori terra tra i quali si snoda una tubazione in PVC che divide in 2 settori la proprietà coltivata. La strada sopraelevata collega via Pasitea, l’asse viario principale del centro di Positano, con il depuratore comunale”;
appariva, allora, evidente, secondo la difesa dell’ente, che non era stata sacrificata la proprietà totale dei ricorrenti, bensì era stata costituita una servitù, in conseguenza della realizzazione della strada sopraelevata. Per quanto riguardava, invece, la condotta fognaria, i presunti danni, certamente risalenti, non sono stati nemmeno oggetto di quantificazione. Nel caso concreto, dunque, non vi sarebbe stata irreversibile trasformazione dei luoghi, né perdita del possesso e/o della proprietà attorea. V’era stata soltanto imposizione di due servitù: una di sopraelevazione ed una di scarico fognario, ormai cessata. Le aree occupate dal Comune erano soltanto quelle interessate dal passaggio delle condutture e dall’area d’appoggio dei pilastri di sostegno della strada realizzata (che è, pacificamente, sopraelevata). Ne deriva che i danni, laddove esistenti e/o riconoscibili, sono limitati a tali minori porzioni della proprietà attorea. E, allora, l’occupazione irreversibile riguarderà, al più, i pilastri ed i limiti alla residua proprietà: a) per deprezzamento;
b) (per il) limite (costituito) dal viadotto. Su questo punto, la destinazione agricola non edificatoria circoscriveva l’indennizzo e il risarcimento. Invero, la proprietà dei ricorrenti non aveva subito alcun sacrificio dello jus aedificandi, in quanto tale area non era edificabile, essendo ricompresa in Zona Territoriale 2 del P. U. T. (di rispetto ambientale). L’unico riferimento possibile era esclusivamente la disciplina urbanistico – edilizia, vigente nel territorio del Comune di Positano per l’edificabilità o meno dell’area (cfr. N. T. A. dei P. R. G. e P. U. T. ex l. R. C. n. 35/1987), con la precisazione che il Regolamento per la Occupazione di Suolo Pubblico del Comune di Positano non consente alcuno sfruttamento edificatorio della area stessa e, quindi, non conferisce capacità edificatoria all’area de qua;
tale Regolamento è finalizzato alla concessione ed all’imposizione erariale di spazi pubblici: ergo, esso non ha alcuna natura urbanistica. “In base all’art. 37, comma 5, d. P. R. 327/01, per stabilire se un’area sia o meno edificabilc, occorre rifarsi alle possibilità legali ed effettive di edificazione (...)”. In ogni caso, «non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata» (art. 37, comma 6)”. La restituzione sarebbe già avvenuta, per la parte residua, come dimostrava “il ricorso con sospensiva accolta al T. A. R.” (si tratta del citato giudizio, n. R. G. 1758/2007 – nde);
la condotta fognaria non è in funzione;
può essere restituita, se ancora non lo è, salvo l’eventuale risarcimento. In ogni caso, e con riserva di dedurre ulteriormente: “In tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione risarcitoria a seguito di occupazione acquisitiva o appropriativa non è sufficiente la mera consapevolezza di avere subito un’occupazione e/o una manipolazione senza titolo dell’immobile, ma occorre che il danneggiato si trovi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive per il suo diritto dominicale anche con riferimento alla loro rilevanza giuridica e, quindi, in particolare, al verificarsi dell’effetto estintivo – acquisitivo definitivo perseguito dall’amministrazione espropriante. L’onere di provare la ricorrenza del presupposto richiesto dall’art. 2947 cod. civ., coincidente con il momento in cui il trasferimento della proprietà venga o possa essere percepito dal proprietario come danno ingiusto ed irreversibile, grava sull’amministrazione e, in mancanza di tale prova, si deve ritenere, in adesione all’indirizzo giurisprudenziale della CEDU, che tale momento coincida con quello della citazione introduttiva del giudizio, nel quale il proprietario richieda il controvalore dell’immobile (con i relativi accessori), incompatibile con il perdurare del suo diritto dominicale su di esso” (Cassazione civile, sez. I, 17/04/2014, n. 8965);
non essendovi stata alcuna trasformazione irreversibile dei suoli di proprietà attorea, non opera il carattere permanente dell’illecito, escludente la prescrizione del diritto al risarcimento;
in ogni caso, la prescrizione quinquennale operava ed era già decorsa, anche a voler qualificare come permanente il danno da occupazione, atteso che: “In tema di occupazione di un’area non seguita da tempestivo provvedimento di esproprio, il “dies a quo” della prescrizione del diritto al risarcimento del danno non coincide con l’irreversibile trasformazione dell’immobile e l’occupazione “sine titulo” va qualificata come illecito permanente;
ne consegue che il termine quinquennale di prescrizione decorre a partire da ogni momento dell’illecita occupazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 02/12/2011, n. 6375). In base a tali considerazioni, la difesa dell’ente chiedeva che il Tribunale: 1) in via preliminare, dichiarasse l’inammissibilità della proposta riassunzione, per le motivazioni esposte sopra;
2) laddove fosse ritenuta ammissibile la proposta riassunzione, accogliere tutte le conclusioni di parte, rese dinanzi al G. O. e sopra riportate;
3) in via gradata, laddove sussistano i presupposti per dichiarare ammissibile l’azione proposta, quale ricorso autonomo, dichiarare lo stesso irricevibile, tardivo, inammissibile, improcedibile, improponibile ed, in ogni caso, infondato, in fatto e in diritto, e, per l’effetto, respingerlo, con vittoria di spese del complessivo giudizio, in favore della resistente Amministrazione.

Seguiva, nell’imminenza del passaggio in decisione, il deposito di memoria, in cui i ricorrenti replicavano alle eccezioni preliminari, sollevate ex adverso, e insistevano nelle loro richieste risarcitorio/restitutorie, previa effettuazione di consulenza tecnica d’ufficio.

Il Comune di Positano produceva memoria riepilogativa e documenti.

All’udienza pubblica del 26 aprile 2017, il ricorso era trattenuto in decisione.

Con il secondo dei ricorsi in epigrafe, il ricorrente R F P riassumeva autonomamente il giudizio civile, concluso con declaratoria di difetto di giurisdizione, di cui s’è detto in precedenza;
l’esposizione dei fatti e le richieste conclusive del ricorrente ricalcavano quelle dell’altro ricorso in riassunzione, preventivamente proposto;
analogamente, le eccezioni preliminari e le difese, nel merito, del Comune di Positano erano sostanzialmente le stesse, già riferite a proposito dell’altro giudizio;
il Comune, evidenziava, inoltre, la non coincidenza soggettiva tra R F P, agente in riassunzione nel presente (secondo) giudizio, e R P, attore dinanzi al Tribunale Civile (sia pur rappresentato, in quella sede, dal procuratore generale, R S), con conseguente eccezione di inammissibilità, anche per tale motivo, della riassunzione in oggetto.

In ogni caso, dopo il deposito di documenti, e di una memoria difensiva, nell’interesse dell’Amministrazione Comunale resistente, anche tale ricorso, alla pubblica udienza del 26 aprile 2017, passava in decisione.

All’esito della relativa camera di consiglio, il Tribunale, osservato preliminarmente che i due ricorsi andavano riuniti, ai fini istruttori, stante l’emergenza di evidenti ragioni di connessione oggettiva e, in parte, soggettiva;
e, sempre preliminarmente, che restava impregiudicata la decisione su ogni questione di rito (oltre che di merito) e segnatamente sull’ammissibilità, o meno, della riassunzione del giudizio civile, concluso con la sentenza di declinatoria della giurisdizione, in favore di questo Tribunale, di cui s’è detto sopra, riassunzione dichiaratamente operata, dai ricorrenti (come in epigrafe identificati), mercé la proposizione degli atti introduttivi dei due giudizi in epigrafe;
rilevava che, alla luce del materiale probatorio in atti, era possibile sintetizzare la vicenda in esame, come segue: i ricorrenti agiscono per la restituzione, anche sub specie di vindicatio libertatis, dei fondi di loro proprietà, siti in località Valle di Mulini di Positano, e i cui riferimenti catastali sono stati riportati sopra, fondi occupati dal Comune di Positano per la realizzazione di una strada sopraelevata e di una condotta fognaria, senza peraltro (il dato non è contestato) che il relativo procedimento sia sfociato in un decreto d’esproprio (ovvero in un atto impositivo di servitù coattiva);
nonché agiscono per il risarcimento dei danni, prodottisi per effetto dell’illegittima occupazione di detti terreni, da parte dell’ente;
dal canto suo, l’Amministrazione Comunale, nelle sue difese, afferma non esservi stata irreversibile trasformazione dei luoghi, né perdita del possesso e/o della proprietà dei loro beni, da parte dei ricorrenti, essendosi soltanto verificata l’imposizione di due servitù, una di sopraelevazione e l’altra di scarico fognario (la seconda, oltre tutto, ormai cessata);
ovvero riconosce l’intervenuta occupazione dei terreni di proprietà dei ricorrenti, limitata peraltro soltanto alle aree d’appoggio dei piloni della strada sopraelevata, laddove i danni, a suo avviso, sarebbero relativi al solo deprezzamento di valore subito dalle porzioni di terreno, residuate dalla costruzione della strada (porzioni di terreno residue che, nella stessa memoria, il Comune afferma, inoltre, essere già state restituite ai legittimi proprietari);
tale essendo, in sintesi, la vicenda in oggetto, rilevava il Tribunale come fosse necessario espletare incombenti istruttori, e, in particolare, ordinare al Comune di Positano di trasmettere al Tribunale, nel termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione in via amministrativa, ovvero dalla notificazione, a cura di parte, dell’ordinanza, una documentata relazione di chiarimenti, da redigersi a cura dell’ufficio tecnico dell’ente, nella quale riferire, dettagliatamente, dell’articolazione del procedimento o dei procedimenti che avevano condotto all’occupazione delle particelle di terreno, di proprietà dei ricorrenti, e in narrativa riportate, specificando, in maniera precisa, quali particelle fossero state occupate, nonché per quale estensione, e per quanto tempo;
in particolare, per ciascuna delle particelle occupate occorreva specificare se fosse stato emanato decreto d’occupazione delle stesse, ovvero se fosse, eventualmente, mancata l’adozione d’ogni atto d’occupazione (ferma restando la mancata emanazione di un formale decreto d’esproprio);
sempre nella stessa relazione, si sarebbe dovuto precisare, sempre con il supporto d’adeguata documentazione, se e quali particelle, tra quelle occupate, fossero state eventualmente restituite ai legittimi proprietari, e, in caso positivo, quando detta restituzione fosse avvenuta;
nonché, correlativamente, si sarebbe riferito, in generale, circa l’attuale stato dei luoghi, riferendo quali particelle di terreno, di proprietà dei ricorrenti, ubicate nella predetta località, fossero tuttora in mano pubblica, la loro estensione, e l’uso, cui le stesse erano adibite (con il supporto, altresì, di documentazione fotografica, che illustrasse la situazione dei luoghi);
infine, se, a fronte dell’occupazione, legittima o meno che fosse, erano mai stati erogati corrispettivi o indennità di sorta, e, eventualmente, di quale ammontare e a favore di chi;
restando riservata la decisione d’ogni questione, in rito, merito e sulle spese, e rinviando, in prosieguo, all’odierna pubblica udienza.

In data 27.07.2017 parte ricorrente depositava copia della sentenza, n. 935/2017, emessa in data 26.04.2017 e pubblicata in data 18.05.2017, con la quale la Sezione aveva accolto il ricorso, cui s’è accennato sopra, n. 1758/2007 R. G., debitamente notificata al Comune di Positano.

L’ente, dal canto suo, aveva depositato, in data 25.07.2017, la relazione istruttoria chiesta dal Tribunale, munita di ventitré allegati.

In essa – a firma del Responsabile del Settore Tecnico – si riferiva, testualmente, quanto segue:

“Il sottoscritto ing. R F in qualità di Responsabile del Settore Tecnico Progettale e LL.PP. del Comune di Positano, in ottemperanza a quanto richiesto nell’ordinanza istruttoria n. 978/2017 del T.A.R. Campania – II° Sez. staccata di Salerno, relativa al ricorso promosso dal sig. R S + altri contro il Comune di Positano, rassegna la presente Relazione relativa ai seguenti quesiti:

(…)

PREMESSA

Il ricorso della parte attrice e la relativa pretesa risarcitoria nei confronti della P. A. riguarda fondamentalmente due eventi che, seppur riferiti alla stessa area territoriale (terreni ubicati nella valle del rivo Mulini), risultano temporalmente e funzionalmente slegati tra loro. La prima pretesa risarcitoria riguarda l’occupazione e successiva utilizzazione, da parte della P. A., di alcuni terreni di proprietà dell’attrice, necessari per la realizzazione di un viadotto di collegamento tra la rotabile via Pasitea e l’impianto di Depurazione Comunale e per la realizzazione dello stesso impianto di depurazione. La seconda pretesa risarcitoria riguarda invece l’imposizione di una servitù di scarico fognario che attraversa alcuni appezzamenti di terreno della parte attrice che, a causa di malfunzionamenti e rotture, avrebbe provocato notevoli danni alle stesse proprietà.

Le due questioni devono essere affrontate e valutate separatamente.

AREE OCCUPATE PER LA REALIZZAZIONE DELL'IMPIANTO DI DEPURAZIONE COMUNALE E DEL VIADOTTO DI ACCESSO ALL'IMPIANTO STESSO.

Con deliberazione del Consiglio di Amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno dell’1.04.1982 n. 1150/PI (all. 2) veniva approvato il Progetto esecutivo di ristrutturazione, potenziamento e ampliamento dell’impianto di depurazione del Comune di Positano denominato Progetto PS3/228.

Tale progetto prevedeva l’ampliamento e la ristrutturazione dell’esistente impianto di depurazione ubicato in zona Rivo Mulini e la realizzazione di viadotto di collegamento tra il nuovo impianto e la rotabile di Via Pasitea.

Con la stessa deliberazione veniva:

data concessione al Comune di Positano per l’esecuzione delle opere;

dichiarata la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle opere inserite in progetto;

approvato il piano particellare di esproprio.

Sulla base della sopracitata deliberazione il Comune di Positano faceva istanza, con nota prot. n. 4975 del 30.07.1982, alla Prefettura di Salerno per l’emissione del decreto di occupazione temporanea d’urgenza dei beni immobili indicati nel piano particellare d’esproprio (all. 1), allegato al progetto approvato;
la Prefettura di Salerno emetteva, in data 16.09.1982, il decreto d’occupazione temporanea d’urgenza, n. 1142, per consentire al Comune di Positano l’immissione in possesso delle aree interessate dalla realizzazione del progetto, con ultimazione fissata all’1.04.1985 (all. 3).

In data 20.10.1982 veniva redatto dal Comune di Positano, previa comunicazione alle ditte interessate del 29.09.1982 prot. 5951 (all. 4), lo stato di consistenza e il verbale di immissione in possesso degli immobili oggetto di procedimento espropriativo (all. 5).

In particolare, per gli immobili di proprietà della parte attrice, lo stato di consistenza e il verbale di immissione in possesso ha determinato:

I) che le particelle ubicate al Fg. 5 nn. 583, 584, 585 e 590 avevano subito un frazionamento derivante da compravendita tra privati e che le quote di terreno rimaste in proprietà al sig. R G erano le seguenti:

583/a di mq 885 di cui mq 156,90 oggetto di occupazione;

584/a di mq 82 di cui mq 82 oggetto di occupazione;

585/a di mq 95 di cui mq 95 oggetto di occupazione;

456 di mq 690 di cui mq 60 oggetto di occupazione;

457 di mq 126 di cui mq 126 oggetto di occupazione;

598 di mq 690 di cui mq 690 oggetto di occupazione;

599 di mq 73 di cui mq 73 oggetto di occupazione.

La superficie totale di terreno di proprietà R oggetto di occupazione d’urgenza fu di mq 1282,90.

Con nota, prot. n. 1709 del 9.03.1985, il Comune di Positano ha richiesto alla Prefettura di Salerno di prorogare i termini delle occupazioni d’urgenza.

La Prefettura di Salerno, accogliendo l’istanza del Comune di Positano, emetteva in data 25.03.1985 decreto n. 443 con il quale prorogava le occupazioni di urgenza fino alla data dell’1.04.1987 (all. 6).

Con nota, prot. n. 2444 del 31.03.1987, il Comune di Positano ha richiesto alla Prefettura di Salerno di prorogare ulteriormente i termini delle occupazioni d’urgenza.

La Prefettura di Salerno, accogliendo l’istanza del Comune di Positano, emetteva in data 6.05.1987 decreto n. 482, con il quale prorogava le occupazioni di urgenza fino alla data del 15.09.1987 (all. 7).

In data 2.03.1987, il tecnico incaricato dal Comune di Positano depositava al Catasto di Salerno il tipo di frazionamento relativo alle aree oggetto di occupazione d’urgenza e successivo esproprio (all. 8) e procedeva alla pubblicazione sul FAL della Provincia di Salerno, n. 62 del 4.08.1987, del deposito del piano particellare d’esproprio definitivo e dell’elenco delle ditte interessate (all. 9).

In data 15.09.1987, veniva notificato al sig. R G il calcolo analitico delle aree oggetto di occupazione e di esproprio e le relative indennità (All. 10).

Le aree definitivamente occupate ed oggetto di irreversibile trasformazione, in quanto occupate dall’opera pubblica realizzata erano le seguenti:

583/a di mq 885 di cui mq 34 oggetto di espropriazione;

584/a di mq 82 di cui mq 81 oggetto di espropriazione;

585/a di mq 95 di cui mq 95 oggetto di espropriazione;

456 di mq 690 di cui mq. 20 oggetto di espropriazione;

457 di mq 126 di cui mq 126 oggetto di espropriazione;

598 di mq 690 di cui mq 690 oggetto di occupazione;

599 di mq 73 di cui mq 73 oggetto di occupazione

La superficie totale di terreno di proprietà R, interessata dal piano particellare d’esproprio, è di mq 1119.

In ordine al procedimento espropriativo sopradescritto, per il quale ad oggi non è stato emesso nessun atto definitivo di esproprio, i sig.ri R hanno instaurato innumerevoli ricorsi amministrativi e civili contro il Comune di Positano, da ultimo il ricorso n. reg. gen. 2108 del 2014 presso il TAR Salerno.

Sin dall’inizio delle controversie per il procedimento espropriativo in essere, l’Amministrazione Comunale e i sig. R hanno intavolato varie trattative per la definizione bonaria delle controversie e per l’eliminazione di tutte le azioni legali pendenti.

In particolare, da una ricerca agli atti dell’archivio comunale eseguita da ultima per poter redigere la presente relazione richiesta dal TAR Salerno, sono stati ritrovati alcuni documenti di fondamentale importanza;
dai documenti agli atti si è riscontrato come in uno dei tanti incontri avutosi tra le parti, in data 19.02.1990, s’era raggiunto un accordo verbale, da formalizzare ufficialmente con successivi atti amministrativi.

Il sig. S R, in qualità di rappresentante di tutti gli eredi R, con nota del 26.02.1990 prot. n. 1379 (all. 12) confermava quanto verbalmente pattuito nell’incontro del 19.02.1990 e dichiarava di rinunciare ad ogni azione legale, instaurata sulle aree oggetto d’esproprio, una volta ottenuta l’autorizzazione edilizia relativa alla trasformazioni di un fabbricato sito in Via dei Mulini n. 6/8/10, di cui al progetto presentato al Comune in data 21.02.1990, ferma restando la corresponsione, agli eredi R, delle indennità di occupazione e di esproprio dovute per legge.

In data 12.03.1990 con delibera di C. C. n. 30 (all. 13) l’Amministrazione Comunale approvava l’ipotesi di transazione.

Sulla base di tale deliberazione di C. C., n. 30/1990, la Commissione Edilizia Integrata del Comune di Positano, con parere n. 3 del 19.04.1990 (all. 14 – 15) e successivamente la commissione urbanistica, con parere n. 1 del 31.05.1990 (all. 16) esprimevano parere favorevole al progetto presentato dal sig. R F P, con motivazione specifica riferita ai contenuti della delibera di C. C. n. 30/1990 ed allo scopo di sbloccare l’esecuzione dei lavori relativi all'impianto di depurazione. In data 07.09.1990 veniva rilasciata per il progetto sopracitato, dopo alcune comunicazioni di avviso di approvazione (all. 17 – 18), autorizzazione edilizia n. 416 (all. 19), in base alla quale i sig.ri R realizzano i lavori sull’immobile ubicato in Via dei Mulini n. 6/8/10 (all. 20). Tali lavori, autorizzati solo ed esclusivamente perché legati all'atto transattivo (si legga il parere della commissione edilizia integrata all. 15) hanno permesso la traslazione di un intero piano del fabbricato al livello del piano viabile di Via dei Mulini con n. 2 aperture direttamente su strada, senza oltremodo il pagamento di nessun onere di urbanizzazione e di costruzione.

Nonostante l’Amministrazione Comunale abbia mantenuto l’accordo, posto alla base dell’ipotesi transattiva approvata con delibera di C. C. n. 30/1990, consentendo ai sig.ri R di incrementare in maniera esponenziale il valore dell’immobile ubicato in Via dei Mulini ottenendo così un vantaggio economico di molto superiore al valore dei beni agricoli oggetto di procedura espropriativa, i sig.ri R hanno continuato a dar corso alle loro azioni legali intraprese contro il Comune di Positano, con richieste di risarcimenti e indennità al di fuori di ogni logica, richiedendo tra l’altro la restituzione delle aree poste al di sotto del viadotto di collegamento tra la via Pasitea e l’impianto di depurazione e delle indennità di occupazione e di esproprio calcolate sulla base di valori di mercato di suoli edificabili, consapevoli che le aree oggetto di esproprio avevano esclusivamente un utilizzo agricolo e ricadevano in zone ad inedificabilità assoluta per effetto di vari vincoli urbanistici e paesistico ambientali (L. R. 35/87, assenza di PRO, fasce di rispetto fluviale (art. 96 lett. f) del T. U. 523/1903), vincolo ambientale), e pur sapendo che le aree ubicate sotto il viadotto (ed in particolare quelle, poste tra un pilone e l’altro) non possono essere restituite in quando occupate dalla base fondale del viadotto stesso e come tali già caratterizzate dall’irreversibile trasformazione;

IMPOSIZIONE DI UNA SERVITÙ DI SCARICO FOGNARIO CHE ATTRAVERSA ALCUNI APPEZZAMENTI DI TERRENO DELLA PARTE ATTRICE

La condotta fognaria oggetto di causa è stata realizzata presumibilmente tra la metà degli anni '50 e l’inizio degli anni '60. Agli atti dell’ufficio tecnico comunale esiste una planimetria generale della rete fognaria comunale, datata 1963 (all. 22) nella quale il tratto fognario di che trattasi, segnato in maniera schematica, viene assunto come già esistente e funzionante a quella data. Non è stato però possibile reperire documentazione che possa far accertare in maniera univoca l’esistenza o meno di regolare procedimento di imposizione di servitù per mancanza di archiviazione delle pratiche comunali antecedente agli anni '70.

Per tale condotta fognaria i sig.ri R, proprietari dei fondi attraversati, fino all’instaurarsi della procedura civile n. 94/2001, non hanno mai richiesto all’amministrazione comunale il riconoscimento dell’indennità di servitù di scarico, pur avendone avuto modo e tempo. Infatti i sig.ri R hanno fatto ricorso in data 3.10.1987 (causa civile 3208/87) per il riconoscimento dei danni subiti ai fondi e derivanti da un malfunzionamento della stessa condotta, con evento avvenuto in data 10.03.1985.

Orbene, si deve evidenziare che i sig.ri R, già al 1987, erano ben coscienti che sui loro fondi esisteva una servitù di scarico fognario ormai consolidata, tant’è che gli stessi, con sentenza civile n° 543/1994 (causa civile 3208/87) si sono visti riconoscere dal Giudice il solo risarcimento dei danni all'epoca realmente subiti dai fondi, accuratamente accertati e documentati, per un importo liquidato alla sig. ra G P L. 21.287.715 oltre ad interessi maturati dal 17.10.1994 al 06.02.1995 di L. 323.261.

Nella stessa sentenza, il Giudice, oltre al risarcimento del danno subito dai fondi dei sig.ri R, imponeva al Comune di Positano, l’esecuzione di lavori per la completa ristrutturazione del sistema fognario di che trattasi al fine di evitare ulteriori eventi dannosi dovuti al malfunzionamento. L’Amministrazione Comunale in esecuzione della sopracitata sentenza e per effetto di alcune perdite fognarie verificatisi nuovamente nel corso del 1999, ha eseguito la completa ristrutturazione della condotta fognaria e dei relativi manufatti (progetto approvato in data 24.02.1999 con del. G.C. 70) con lavori ultimati nel 2001.

Allo stato il tratto fognario di che trattasi non è più attivo ma restano sui fondi dei sig.ri R i pozzetti e le condotte interrate che costituivano la servitù, senza nessun aggravio.

CONCLUSIONI

Sulla base di quanto sopra esposto e in funzione delle richieste avanzate dal T.A.R. Salerno si può evidenziare quanto segue:

Quesito n° 1. Specificare per ciascuna particella occupata se è stato emanato o meno il decreto di occupazione;

Risposta n° 1. Tutte le particelle di proprietà della parte attrice (fg. 5 part. nn. 583, 584, 585, 456, 457, 598 e 599) interessate dal procedimento espropriativo per la ristrutturazione dell’impianto di depurazione comunale e per la costruzione del viadotto di collegamento dello stesso impianto alla via Pasitea, sono state regolarmente interessate da decreto di occupazione per un totale di 1282,90 mq (decreti prefettizi nn. 1141/82, 443/85 e 482/87). Non si ha invece riscontro di decreti di occupazione per l’imposizione di servitù di scarico fognario per la condotta che attraversa i fondi della parte attrice. Si evidenzia ancora che tale servitù risultata già attiva almeno a far data dal 1963.

Quesito n° 2. Specificare, con supporto di adeguata documentazione, se e quali particelle, tra quelle occupate, siano state eventualmente restituite ai legittimi proprietari e, in caso positivo, la data di restituzione del bene;

Risposta n° 2. Rispetto a quanto inizialmente occupato e dettagliatamente descritto nel piano particellare d’esproprio allegato al progetto (all. 1) e nel verbale di consistenza e di immissione in possesso (all. 5) per un totale di mq 1282,90, sono stati rimessi nella disponibilità della parte attrice mq 163,90 come risulta dal frazionamento eseguito dall’amministrazione e notificato alla parte attrice, unitamente al calcolo delle indennità di esproprio e di occupazione (all. 10). Nella tabella sottostante viene riportato il quadro sinottico delle aree occupate, espropriate e restituite.

Part. 583/a (Mq 885) occupati 156,90 mq espropriati 34 mq restituiti 122,90 mq;

Part. 584/a (Mq 82) occupati 82 mq espropriati 81 mq restituiti 1 mq;

Part. 585/a (Mq 95) occupati 95 mq espropriati 95 mq restituiti 0 mq;

Part. 456 (Mq 690) occupati 60 mq espropriati 20 mq restituiti 40 mq;

Part. 457 (Mq 126) occupati 126 mq espropriati 126 mq restituiti 0 mq;

Part. 598 (Mq 690) occupati 690 mq espropriati 690 mq restituiti 0 mq;

Part. 599 (Mq 73) occupati 73 mq espropriati 73 mq restituiti 0 mq;

Totale occupati mq. 1282,90, espropriati mq. 1119, restituiti 163,90 mq.

Si evidenzia che tutte le aree oggetto del piano particellare di esproprio (mq 1119) sono state interessate da irreversibile trasformazione dei luoghi ed attualmente occupate da opere pubbliche.

Quesito n° 3. Riferire sull’attuale stato di luoghi e su quali particelle di terreno, di proprietà dei ricorrenti, siano tuttora in mano pubblica, specificando (con supporto fotografico dei luoghi) la loro estensione e l’uso a cui queste sono adibite.

Risposta n° 3. Allo stato attuale tutte le aree oggetto del procedimento espropriativo sono state interessate dall’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi e sono attualmente occupate dall’impianto di depurazione (all. 23) e dal viadotto di accesso all’impianto stesso (all. 21). Le aree ricomprese tra un pilone e l’altro al di sotto del viadotto risultano interessate dalla base fondale del viadotto stesso e anche se in parte libere (zona ricompresa tra la fondazione e il soprastante piano del viadotto) non possono essere oggetto di restituzione alla parte attrice. Le stesse aree devono restare nel patrimonio indisponibile dell’Amministrazione per consentire il libero accesso e intervento in caso di manutenzione ai piloni e alle stesse fondazioni. Tali aree, facenti parte del patrimonio indisponibile, e come tali inalienabili, sono attualmente utilizzate dall’Ente come aree di sgombero e deposito di materiali e (lo stesso ente: nde) può autorizzarne al massimo un utilizzo a terzi attraverso apposita concessione di suolo pubblico con la prescrizione di sgombero in caso di necessità d’intervento da parte della stessa pubblica amministrazione. L'estensione di tale aree è circa pari a mq. 200.

Quesito n° 4. Riferire se a fronte dell’occupazione dei terreni da parte della pubblica amministrazione, legittima o meno che sia, siano mai stati erogati corrispettivi o indennità di sorta, specificando eventualmente il loro ammontare e a favore di chi sono stati erogati.

Risposta n° 4. Con riferimento a quanto già indicato nella presente relazione si evidenzia che per le aree occupate durante il procedimento espropriativo (fg. 5 part. nn. 583, 584, 585, 456, 457, 598 e 599), l’Amministrazione Comunale, tenendo fede agli accordi presi con la parte attrice, ha consentito alla stessa, a fronte dell'eliminazione di tutte le cause pendenti riguardanti il procedimento espropriativo, di poter adeguare un fabbricato ubicato in Via dei Mulini (zona di maggior pregio commerciale del Paese) con la realizzazione di nuove aperture fronte strada e l’innalzamento dei solai dei locali dello stesso immobile fino alla quota della via dei Mulini, ottenendo la trasformazione di un immobile senza nessuna visibilità commerciale e turistica (in quanto posto sotto strada e pertanto con valore molto limitato, rispetto a quanto successivamente realizzato) in un immobile di altissimo pregio e visibilità (si richiedano le rendite che lo stesso ha procurato alla parte attrice come fitti, come attività e come incremento di valore dello stesso immobile), ottenendo così un vantaggio economico di molto superiore al valore dei beni agricoli oggetto di procedura espropriativa. L’Amministrazione non ha riconosciuto alla parte attrice nessun’altra indennità, in quanto la stessa parte attrice, non solo non ha mantenuto fede agli accordi presi e di cui ne ha ricavato indubbi vantaggi (continuando le cause in corso con l’Amministrazione), ma ha avanzato richieste di indennità calcolate su basi inaccettabili per l’Amministrazione e mai riconosciute, né nelle varie CTU che si sono succedute nel corso dei vari procedimenti giudiziari, né nelle varie sentenze con le quali sono state liquidate le indennità agli altri proprietari dei fondi limitrofi, interessati dallo stesso procedimento espropriativo (sentenza del Tribunale di Salerno n. 599/2004 riguardante un’altra porzione di area, ubicata in posizione limitrofa a quelle della parte attrice, anch’essa oggetto dello stesso procedimento di occupazione d’urgenza e nella quale s’è usato un valore di 9,55 €/mq).

Per quanto riguarda, infine, eventuali indennità riconosciute alla parte attrice per effetto della servitù di scarico fognario e per risarcimento dei danni subiti dai fondi per effetto del malfunzionamento delle condotte si deve evidenziare quanto già detto in precedenza.

Nessuna indennità di servitù può essere più riconosciuta alla parte in quanto trattasi di servitù imposta da tempo immemore (oltre cinquant’anni) senza che mai sia stata avanzata richiesta in tal senso fino al 2001 (ad almeno 40 anni dall’imposizione). Alla stessa parte attrice sono stati riconosciuti, nel 1995, per il risarcimento di danni all’epoca realmente subiti dai fondi, accuratamente accertati e documentati, per un importo liquidato alla sig.ra G P, £. 21.287.715 oltre ad interessi maturati dal 17.10.1994 al 6.02.1995, di £. 323.261. Nessun’altra indennità per risarcimento danni è stata riconosciuta dall'Amministrazione alla parte attrice per gli eventi del 1999, in quanto la stessa parte attrice non ha mai certificato e documentato i danni subiti.

Si ritiene, infine, necessario evidenziare, anche se non richiesto dal TAR, alla luce di quanto sopra documentato e soprattutto, e alla luce di quanto solo ora accertato in relazione agli enormi vantaggi economici ottenuti dagli eredi R, per effetto delle modifiche autorizzate all’immobile di Via dei Mulini, che nessun’altro indennizzo è ad essi dovuto, per l’occupazione dei beni agricoli e la loro irreversibile trasformazione e che, solo qualora il T. A. R. ritenesse comunque necessario riconoscere alla parte attrice quanto all’epoca dovuto per indennità di occupazione legittima e illegittima e per indennità d’espropriazione, le stesse indennità dovranno essere determinate, in conformità a quanto determinato dal sottoscritto nelle relazioni di CTP già depositate agli atti di causa”.

Seguiva il deposito di memoria difensiva, nell’interesse dell’Amministrazione Comunale di Positano, nella quale si sottolineava come fosse recentemente emerso che, in seguito ad uno dei diversi incontri tra le parti, il sig. S R, in qualità di rappresentante di tutti gli eredi R, con nota del 26.02.1990 prot. n. 1379 (allegata alla relazione dell’ing. Fata) rinunciava ad ogni azione legale instaurata sulle aree oggetto di esproprio, una volta ottenuta l’autorizzazione edilizia relativa alla trasformazioni di un fabbricato sito in Via dei Mulini n. 6/8/10 di cui al progetto, presentato al Comune in data 21.02.1990, ferma restando la corresponsione agli eredi R delle indennità d’occupazione e d’esproprio dovute per legge;
che con delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 12.03.1990 (all. 13 della Relazione dell’ing. Fata) veniva approvata l’ipotesi di transazione;
che, sulla base di tale deliberazione, la Commissione edilizia integrata del Comune di Positano, con parere n. 3 del 19.04.1990, prima (All. n. 14 – 15 Relazione Fata), e la Commissione urbanistica, con parere n. 1 del 31.05.1990, poi (All. n. 16), s’esprimevano favorevolmente sul progetto presentato dal sig. R F P, facendo espresso richiamo all’accordo recepito con la delibera di C. C. n. 30/1990, anche al fine di sbloccare l’esecuzione dei lavori relativi all’impianto di depurazione;
che, in data 7.09.1990, il Comune di Positano rilasciava l’autorizzazione edilizia n. 416 (all. n. 19), in forza della quale i sig.ri R hanno realizzato i lavori sull’immobile ubicato in Via dci Mulini n. 6/8/10 (all. n. 20);
che tali lavori erano stati autorizzati solo ed esclusivamente perché legati all’atto transattivo;
che la realizzazione dei lavori, consistenti nella traslazione di un intero piano del fabbricato al livello del piano viabile di Via dei Mulini, con due aperture direttamente su strada, è stata autorizzata senza corresponsione alcuna di oneri di urbanizzazione e di costruzione;
e rilevava che, nonostante i R avessero, in tal modo, incrementato notevolmente il loro patrimonio, con la trasformazione dell’immobile sito in Via dei Mulini (incremento che (anda)va ben oltre il valore dci beni agricoli oggetto della procedura espropriativa), essi avevano continuato a coltivare le azioni legali proposte contro il Comune di Positano, “dimenticando l’accordo raggiunto e richiedendo, tra l’altro, la restituzione delle aree poste al di sotto del viadotto di collegamento tra la via Pasitea e l’impianto di depurazione, nonché la corresponsione di indennità di occupazione e di esproprio, calcolate sulla base di valori di mercato di suoli edificabili, laddove, al contrario, le aree oggetto di esproprio avevano esclusivamente un utilizzo agricolo e ricadevano in zone d’inedificabilità assoluta”;
insomma, appariva evidente “che i sigg. R abbiano conseguito un notevole vantaggio, vantaggio deliberato dal Consiglio Comunale del 1990, per rendere possibile una transazione che emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione prodotta in giudizio in allegato alla perizia dell’ing. Fata”, vale a dire che tra le parti era intervenuto “un accordo ampiamente satisfattivo delle pretese degli odierni ricorrenti che, come visto, hanno manifestato la propria volontà di transigere le diverse liti, salvo poi venir meno a quanto dichiarato con la nota del 26.02.1990, prot. n. 1379”;
sicché risultava evidente “l’inequivocabile manifestazione della volontà d’avvalersi dell’accordo documentato dagli atti prodotti in giudizio, o comunque dell’intervenuta accettazione della medesima, fatta allo scopo di avvalersi dei suoi effetti”;
e, ai fini della decisione, non poteva “non tenersi conto della richiesta dei R, della deliberazione consiliare del 1990 e del vantaggio conseguito dai medesimi”, tenendo conto che “l’accordo transattivo di carattere novativo, stipulato tra le parti in causa ed avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, determina la cessazione della materia del contendere, atteso che da detto negozio derivano obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti” (Cassazione civile, sez. II, 17/02/2017, n. 4257);
oltre a instare, nel modo testé riferito, per la declaratoria d’improcedibilità del ricorso, per cessata materia del contendere, la difesa dell’ente ribadiva le conclusioni, rassegnate nella precedente memoria difensiva, e sopra riferite, cui aggiungeva quella, di dichiarare il difetto di giurisdizione, in parte qua, dell’avversa azione, alla luce dell’ordinanza della Corte di Cassazione, SS.UU., 22 marzo 2017, n. 7303 (quanto, cioè, alla richiesta di condanna dell’ente al pagamento dell’indennità d’occupazione legittima), con il favore delle spese del complessivo giudizio in proprio favore.

Era, quindi, la volta dei ricorrenti, che depositavano memoria difensiva riepilogativa e di replica alle eccezioni di controparte, del seguente testuale tenore:

Ҥ.1 SULLA LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE DEI RICORRENTI.

Controparte ha eccepito la mancanza di procura in capo al Sig. R S, affermandone la inesistenza negli atti processuali. Al fine di contrastare la avversa strumentale eccezione, si precisa che la predetta procura generale (atto per Notaio Pansa del 23.03.1989) è stata puntualmente depositata innanzi al Tar. Quest’ultima è, infatti, contenuta come allegato n. 2 della produzione di parte del giudizio svoltosi innanzi al Tribunale Civile, produzione affoliata nel fascicolo del ricorso in riassunzione, depositato da parte ricorrente, oggi presente anche con mandato conferito personalmente.

§. 2 SULLE GRAVI CIRCOSTANZE EMERSE ALL’ESITO DELLA ISTRUTTORIA ORDINATA DAL TRIBUNALE.

Al fine di paralizzare le legittime pretese dei ricorrenti, il Comune di Positano, in ottemperanza all’ordinanza collegiale istruttoria di codesto T. A. R., ha depositato una relazione esplicativa con documentazione “storica” di atti e proposte unilaterali che – se rispondenti al vero (e non lo sono per quanto si dirà qui di seguito) – sarebbero comunque privi di alcuna validità, illegittimi e costituenti reato. Sia nella relazione dell’Ing. Fata che negli stessi scritti difensivi depositati, da ultimo, da controparte in data 30.12.2017, viene fatta menzione di un ipotetico accordo transattivo intervenuto tra le parti, accordo per effetto del quale (qualora esistente) sarebbe stato (secondo parte avversa) definito ogni rapporto tra le parti. A tal proposito, seppure con estrema sintesi, è doveroso precisare quanto segue.

§ 2.1. Sulla inesistenza della transazione (art. 1350 n. 12 Cod. Civ.)

La transazione avente ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o altri rapporti ad essi assimilati ai sensi dell’art. 1350 n. 12 Cod. Civ., dev’essere effettuata per iscritto a pena di nullità. La forma scritta, infatti, costituisce elemento essenziale del contratto ex art. 1325 n. 4 Cod. Civ. con la successiva e necessaria trascrizione, ed è il caso in esame, per i diritti immobiliari, ai sensi dell’art. 2643 n. 13 C. C. Oltre che inesistente la transazione, così come ex adverso prospettata, ed ove anche esistente sarebbe nulla per illiceità dell’oggetto ( aliquid dare : consistenza immobiliare, aliquid retinere : concessione edilizia, oggi permesso di costruire). Risulta ex actis che la consistenza immobiliare non è stata mai trasferita (Cfr. sentenza T. A. R. n. 935/17 del 18.05.2017) né il permesso di costruire mai rilasciato ed i germani R per tali fatti sono stati tutti tratti a giudizio (R. G. n. 3200/99 e R. G. n. 18053/11, davanti al Tribunale Penale di Salerno, trattandosi di zona sottoposta a vincolo paesaggistico – ambientale (R. G. n. 1775/07 sent. n. 84/2012 del 20.02.2012). È fin troppo evidente, infatti, che non vi è mai stato alcun trasferimento in capo all’Ente della proprietà dei germani R che per gli ampliamenti operati sono stati sottoposti a procedimenti penali, proprio per la mancanza della concessione edilizia (oggi permesso a costruire). Si precisa, altresì, che un ipotetico accordo tra le parti viene soltanto menzionato negli scritti difensivi e nei vari atti deliberativi del Comune di Positano, non essendosi, in realtà, mai concluso tra le parti, né prodotto in atti. Negli atti menzionati da controparte, giusta delibera consiliare n. 30/90 (pag. n. 2 della predetta) si fa, infatti, riferimento solamente: “all’approvazione dell’ipotesi di transazione con gli eredi R, così come prospettata dal Sindaco deliberando di dare allo stesso mandato per la definizione dello schema di transazione che verrà, una volta predisposto dai legali delle due parti in causa, sottoposto all’esame del Consiglio Comunale per la definitiva approvazione”. Circostanze, quest’ultime, mai realizzatesi nella realtà, non essendo mai stato perfezionato alcun accordo.

§ 2.2. Nullità della transazione relativa a contratto illecito.

Secondo l’avverso dedotto il predetto atto transattivo (mai perfezionatosi) tra le parti avrebbe avuto ad oggetto: “la rinunzia dei germani R ad ogni azione legale istaurata sulle aree oggetto di esproprio, una volta ottenuta l’autorizzazione edilizia relativa alle trasformazioni di un fabbricato sito in Via dei Mulini n. 6/8/10 di cui al progetto presentato al Comune in data 21.02.1990, ferma restando la corresponsione agli eredi R delle indennità di occupazione e di esproprio dovute per legge” (cfr. pagina n. 4 della relazione a firma dell’Ing. Fata, depositata in data 25.07.2017). In conseguenza e per effetto di quanto affermato, la predetta transazione sarebbe avvenuta: “in cambio del rilascio, in favore dei predetti, di autorizzazione edilizia relativa alla trasformazione di un altro fabbricato di proprietà”. In conseguenza l’atto transattivo, qualora fosse mai esistito (circostanza non provata) sarebbe, comunque, privo d’ogni validità. La norma edilizia, proibitiva ed impeditiva, stante il divieto assoluto di edificabilità in Positano, rende i pareri e gli atti collegiali propedeutici e mai formalizzati e perfezionati del tutto nulli perché aventi ad oggetto atti concessori, mai rilasciati perché illeciti. È stato rilevato, infatti, che qualora “la nullità delle deliberazioni deriva da cause che costituirebbero motivi di illeceità dell’atto, si deve ritenere che per queste operi l’art. 1972, co. 1° Cod. Civ., che trasmette la nullità alla transazione (Cfr. tratt. Rescigno – Gabrielli – IV - I contratti – composizione delle liti) e, in termini, Cass. Civ. Sez. III Sent. 7 Ottobre 2008 n. 24769: “Qualora le parti perseguano il risultato vietato dall’ordinamento non attraverso la combinazione di atti di per sé leciti ma mediante la stipulazione di un contratto la cui causa concreta si ponga direttamente in contrasto con le disposizioni urbanistiche e, in particolare, con i vincoli di destinazione posti dal locale piano regolatore o dalla norma vincolante, il contratto stipulato è nullo ai sensi dell’art. 1343 Cod. Civ. (per violazione, appunto, di norme imperative) e non ai sensi dell’art. 1344 Cod. Civ..

§. 3 SULL’ESITO DEL GIUDIZIO CONTRADDISTINTO AL R. G. N. 1758/07 DI CODESTO TRIBUNALE, AVENTE AD OGGETTO L’IMPUGNATIVA DELLA DELIBERA N. 62/07.

Si rappresenta, infine, come la decisione del presente giudizio non possa non tenere in debito conto anche dell’esito del giudizio avente ad oggetto la legittimità della delibera della G. C. n. 62/07 di Positano, giudizio svoltosi innanzi alla medesima Sezione di codesto Tribunale. Come esposto nelle precedenti memorie depositate in data 24.03.2017, il Comune di Positano aveva, medio tempore, mediante tale delibera della G. C., n. 62/07, adottato un ulteriore atto in danno dei ricorrenti, prevedendo la concessione in locazione a terzi, titolari di licenze commerciali, dei manufatti realizzati nelle aree oggetto del presente giudizio. Ebbene anche tale atto, adottato del pari contra legem ed in danno dei ricorrenti, è stato oggetto d’annullamento da parte di codesto TAR. Detto giudizio si è concluso, infatti, con l’emissione, in data 18.05.2017, della sentenza n. 935/17, di declaratoria dell’illegittimità della predetta delibera di G. C., n. 62/07 (sentenza già depositata in questo giudizio in data 25.07.2017). Ciò – tra l’altro – proprio in considerazione della “altruità” dei diritti dominicali, riconosciuti in capo agli odierni ricorrenti ed individuati, pertanto, quali legittimi proprietari dei beni”.

Per tutti i suesposti motivi, la difesa dei ricorrenti concludeva per l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, relativamente alla quantificazione dei danni subiti, e comunque per l’accoglimento del ricorso, come da conclusioni, già rassegnate in atti.

Alla pubblica udienza del 31.01.2018, i ricorsi erano trattenuti in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, va confermata la riunione dei procedimenti in oggetto, in quanto, all’evidenza, caratterizzati da profili di connessione oggettiva e soggettiva.

Va poi affrontata, sempre preliminarmente, la questione dell’ammissibilità e della ritualità della riassunzione del processo, operata da parte ricorrente, innanzi al T. A. R., vale a dire che occorre porsi – anche su specifica eccezione, sollevata dalla difesa del Comune di Positano – il quesito, se il presente giudizio possa, o meno, essere considerato come la prosecuzione di quello, svoltosi innanzi alla Sezione Distaccata di Amalfi del Tribunale di Salerno, e definito con sentenza, dichiarativa del difetto di giurisdizione di quel giudice, in favore del G. A. (e compensazione delle spese, ivi comprese quelle di c. t. u.);
ovvero, se lo stesso possa e debba essere, piuttosto, riguardato come un processo che – lungi dal potere legittimamente costituire la ripresa di quello, celebratosi in sede civile – introduca, ex novo, nei confronti del Comune di Positano, un’azione di tipo restitutorio – risarcitoria, fondata sull’occupazione dei suoli di proprietà, e sull’irreversibile trasformazione dei medesimi, per scopi di pubblica utilità, non seguita – peraltro – dalla formale ablazione degli stessi, da parte della P. A. (giusta le precisazioni, di cui in narrativa).

Ciò, in quanto parte resistente ha eccepito l’inammissibilità della riassunzione – operata dai ricorrenti – sotto il triplice profilo, in estrema sintesi:

- a) della “mutatio libelli”, rispetto alle domande articolate, “ab origine” (e anche “medio tempore”), innanzi al Tribunale Civile;

- b) della notifica del ricorso, effettuata (limitatamente, peraltro, al solo ricorso n. 2108/2014 R. G., e con riferimento alla sola copia del ricorso, inizialmente depositata al T. A. R.) presso la sede reale dell’Amministrazione Comunale, piuttosto che nel domicilio eletto, nel giudizio a quo, presso i difensori, ivi officiati;
inoltre, pur se altra copia del medesimo ricorso, notificato stavolta, ritualmente, ex art. 170 c. p. c., era stata successivamente prodotta in giudizio dai ricorrenti, la stessa, tuttavia, non corrispondeva alla copia, pervenuta ai difensori, la quale recava anche il nome del ricorrente R F P, assente, invece, in quella, depositata presso il Tribunale;

- c) della non coincidenza soggettiva tra R F P, agente in riassunzione nel presente (secondo) giudizio, e R P, attore dinanzi al Tribunale Civile (sia pur rappresentato, in quella sede, dal procuratore generale, R S), con conseguente irritualità, anche per tale motivo, della riassunzione in oggetto.

In disparte tale ultimo aspetto, che non riveste carattere dirimente, osserva il Tribunale che, quanto al secondo profilo, come sopra evidenziato, fermo restando che, in linea generale, “la riassunzione della causa deve avvenire notificando il ricorso alle parti costituite presso il domicilio già eletto” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 19/06/2006, n. 3649), l’eccezione può essere superata, unicamente, peraltro, quanto al ricorso, rubricato al n. 2435/2014 R. G., il quale è stato regolarmente notificato (anche) presso il domicilio, eletto presso i difensori, nel precedente giudizio, ex art. 170 c. p. c.: per ciò che concerne, invece, il ricorso, rubricato al n. 2108/2014 R. G., se da un lato è vero che la copia, inizialmente depositata presso la Sezione, era stata notificata, piuttosto che al difensore domiciliatario, presso la sede reale dell’Amministrazione Comunale;
e se era vero, altresì, che i ricorrenti producevano, comunque, in giudizio, altra copia del medesimo ricorso (stavolta effettuata, ritualmente, ai sensi dell’art. 170 c. p. c., ovvero presso il domicilio, eletto nel precedente giudizio), è altrettanto vero, tuttavia, che tale seconda copia, depositata in giudizio, è risultata difforme da quella, pervenuta ai difensori domiciliatari (cfr. l’attestazione della Segreteria, in atti, per il cui contenuto vedi, amplius, in narrativa).

Ne risulta che, come eccepito dalla resistente Amministrazione Comunale, in tal modo è stato violato il principio dell’identità tra l’originale dell’atto da notificare, e la copia notificata, con conseguente invalidità di tale secondo originale (stante la rilevata difformità tra copia notificata e copia depositata) e conseguente inammissibilità della riassunzione del processo, già incardinato in sede civile, con detto ricorso (n. 2108/2014 R. G.) operata (atteso che l’altra copia del ricorso, presente in atti, e sulla base della quale s’era, anzi, proceduto all’iscrizione del giudizio nel R. G. R., era stata notificata, presso la sede reale del Comune, anziché presso il domicilio eletto nel giudizio, di cui s’intendeva effettuare la riassunzione).

Trascorrendo al primo dei surriferiti profili, rileva, peraltro, il Tribunale, come, in ogni caso, la riassunzione de qua debba valutarsi, come inammissibile (e, stavolta, con riferimento ad entrambi i giudizi in epigrafe, sostanzialmente coincidenti nel contenuto), anche per un’altra ragione, vale a dire a cagione della “mutatio libelli”, operata dai ricorrenti.

Fondata si presenta, infatti, l’eccezione di parte resistente, impingente nella modificazione sostanziale tra l’azione, esercitata in sede civile, e quella, riproposta innanzi alla Sezione, a seguito della declinatoria di giurisdizione, da parte del giudice civile.

In quella sede, in particolare, l’ambito dell’azione – giusta l’analitica descrizione, contenuta nella memoria di costituzione del Comune di Positano, e che, di seguito, si riporta testualmente – era così delimitato:

“Con atto di citazione del febbraio 2001, S R, in proprio e nella qualità di procuratore di M R, P R, A R e P G, citò dinanzi al Tribunale Civile di Salerno - Sezione di Amalfi, il Comune di Positano, indicando, quali fatti posti a fondamento dell'originaria citazione, le seguenti circostanze:

“1) gli istanti sono proprietari dei seguenti immobili siti in Comune di Positano alla località Valle dei Mulini (...);

2) sui suoli innanzi descritti il Comune di Positano ha, del tutto arbitrariamente e senza titolo alcuno, realizzato una strada prevalentemente sopraelevata, di larghezza totale di m 5,70, nonché una condotta fognaria a cielo aperto, con relativi pozzetti di caduta, nella quale scorrono i liquami confluenti in un pozzetto di raccolta posto a lato monte;

3) i suoli stessi risultano, pertanto, anche gravati da una servitù di scarico costituita di fatto dal Comune di Positano in assenza di titolo e senza corresponsione delle relative indennità;

4) a causa di frequenti rotture della condotta sopra indicata, della mancata tenuta della stessa e dei pozzetti, dovute alla omessa manutenzione e vigilanza del funzionamento, si sono verificati e si verificano abbondanti fuoriuscite di acque;

5) in conseguenza dei suddetti eventi, si sono prodotti ingenti danni nei fondi di proprietà degli istanti, costituiti da frequenti crolli delle macere, scoscendimento dei terrazzamenti e distruzione delle colture esistenti;

6) si sono rilevate inutili le opere di protezione ripetutamente poste in essere dai proprietari, sopportandone i notevoli costi, in quanto vanificate dal ripetersi frequente degli eventi anche climatici di danno innanzi descritti;

7) a nulla sono valsi gli inviti rivolti al Comune di Positano per una composizione bonaria della controversia e i continui contatti per la risoluzione dell’annosa questione”;

da tale esposizione dei fatti discendevano le seguenti conclusioni:

“a) condannarsi il Comune di Positano all’immediato rilascio dei suoli descritti in premessa e al ripristino dello stato dei luoghi;

b) in linea gradata o alternativa, condannarsi il Comune di Positano al risarcimento di tutti i danni a qualsiasi titolo subiti dagli attori in conseguenza della illegittima condotta, nonché al pagamento della indennità prevista dagli artt. 1033 e segg. c.c., il tutto da determinarsi in corso di causa;

c) previamente dichiarandosi la responsabilità del Comune di Positano nella produzione degli eventi di danno descritti in narrativa, condannarsi il Comune stesso alla eliminazione delle cause, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni subiti dagli istanti nelle loro proprietà immobiliari in conseguenza di detti eventi, nella misura a determinarsi in corso di causa o comunque ritenuta di giustizia, con maggiorazione per rivalutazione monetaria e interessi legale dal dì dell’insorgenza del credito al completo ed effettivo soddisfo;

d) condannarsi il convenuto al pagamento delle spese, diritti e onorari del giudizio, con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario”.

Innanzi a questo Tribunale, invece, l’ambito del giudizio veniva, dai ricorrenti, così circoscritto (s’adopera, ancora una volta, per ragioni di praticità, la descrizione, contenuta nella memoria di costituzione del Comune di Positano):

“Nel ricorso in riassunzione dinanzi codesto TAR (…), invece, le controparti hanno, indicato, a fondamento della loro domanda, fatti diversi, nuovi e non contemplati nell’originario atto di citazione (…), formulando una causa petendi ed un petitum diversi.

Vi si legge:

“Con atto di citazione notificato in data 26.2.2001 (...) convennero in giudizio il Comune di Positano esponendo:

1) gli attori sono proprietari dei seguenti immobili siti in Comune di Positano meglio ed analiticamente descritti, poi, nella C.T. U. espletata nel giudizio che si riassume;

2) sui suoli innanzi descritti il Comune di Positano, del tutto arbitrariamente e senza titolo alcuno, a far data dal 1987 aveva realizzato una strada prevalentemente sopraelevata, di larghezza totale di m. 5,70, nonché una condotta fognaria a cielo aperto, con relativi pozzetti di caduta, nella quale scorrevano e scorrono i liquami confluenti in un pozzetto di raccolta posta a lato monte;

3) i suoli stessi risultano, pertanto, ancora oggi gravati non solo da una servitù di scarico costituita di fatto dal Comune di Positano in assenza di titolo e senza corresponsione delle relative indennità ma da manufatti realizzati dall'Ente per offrirli, poi, in concessione agli operatori economici di Positano (cfr. delibera della G.C. n. 62/2007, depositata in atti);

4) a causa di frequenti rotture della condotta sopra indicata, della mancata tenuta della stessa e dei pozzetti, dovute alla omessa o insufficiente manutenzione e vigilanza del funzionamento, si sono verificati e si verificano abbondanti fuoriuscite di acque;

5) in conseguenza dei suddetti eventi, si sono prodotti nel corso del tempo fino alla attualità ingenti danni nei fondi di proprietà degli istanti, costituiti da frequenti crolli delle macere, scoscendimento dei terrazzamenti e distruzione delle colture esistenti;

6) si sono rilevate inutili le opere di protezione ripetutamente poste in essere dai proprietari, sopportandone i notevoli costi, in quanto vanificate dal ripetersi frequente degli eventi anche climatici di danno innanzi descritti;

7) a nulla sono valsi gli inviti rivolti al Comune di Positano per una composizione bonaria della controversia e i continui contatti per la risoluzione dell'annosa questione (cfr. istanze depositate, proposte di transazione e delibere concordate e, poi, non adottate ...

Il Tribunale di Salerno pronunciava sentenza n. 3205/2014 (...) per cui gli odierni ricorrenti oggi ripropongono il richiamato atto di citazione e, quindi, chiedono di essere risarciti tutti dei danni causati dal Comune di Positano che nell’ambito di lavori occuparono ed irreversibilmente trasformarono un terreno con vocazione edilizia, di proprietà degli odierni ricorrenti, (...) senza mai adottare alcun atto di urgenza, finalizzato al decreto di espropriazione o, comunque, in tutto o in parte ablatorio.

In particolare, poi, si evidenzia, ai fini della decisione, che il Comune di Positano su detta superficie, pur illegittimamente occupata, nel corso del tempo ebbe a realizzare dei manufatti che, poi, offrì addirittura mediante apposita delibera della G. C. n. 62/2007 di concessione di spazi ed aree pubbliche e, quindi, con esclusione di ogni pubblica utilità ad operatori economici del luogo “per mettere a frutto il proprio patrimonio”.

I ricorrenti, venuti a conoscenza di detto atto deliberativo ne impugnarono la legittimità innanzi a codesto T.A.R che, con ordinanza n. 1140/2007 del 29 novembre 2007, prodotta in atti, ne sospese l’esecutività. (...) Da detta epoca all'attualità risulta che l'immobile come in premessa richiamato e più analiticamente descritto nella C.T.U. è stato letteralmente in parte inglobato nella sede stradale ma il procedimento espropriativo non ha mai avuto conclusione con la adozione di regolare e definitivo decreto ablativo.

Risulta, pertanto, provato il mancato perfezionamento della procedura espropriativa, le trattative svoltesi nel corso del tempo, ma senza risultato anche per l’irreversibile trasformazione dei beni occupati, come denunziato davanti al G. O. ed accertato dal C. T. U.

Nessuna somma ed a qualsiasi titolo è stata mai versata ai ricorrenti per la causale in atto.

(…) Richiamato, pertanto, l’ordinamento sovranazionale recepito dalla Repubblica Italiana, anche in considerazione della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto di varie e molteplici realizzazioni, non tutte, tra l’altro, di pubblica utilità, ne consegue la restituzione (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2012, n. 5189) dei beni immobili illegittimamente appresi ed indipendentemente dalle circostanze e modalità di occupazione, acquisitiva o usurpativa, di acquisizione del terreno (cfr. C. Cost. 4 ottobre 2010 n. 293, Cons. di St. Sez. V, 2 novembre 2011 n. 58441).

Trattasi, quindi, di occupazione illegittima e di insorgenza di illecito permanente. Ne consegue ancora che i beni vanno restituiti, pertanto, ai ricorrenti, con la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, entro perentorio a fissarsi, con il risarcimento di tutti i danni come accertati e con le rivalutazioni di legge alla attualità ed ogni onere successivo a carico dell'Ente.

La relativa quantificazione dovrà ristorare i proprietari ricorrenti sia della perdita della proprietà sia del mancato godimento della stessa al momento dell'occupazione. In caso di acquisizione parziale al patrimonio indisponibile dell’ente la parte residua dovrà essere ridotta in pristino stato e restituita ai ricorrenti legittimi proprietari, liquidando in loro favore ed a titolo risarcitorio il valore venale del bene, secondo il mercato locale e commisurato ai parametri adottati dallo stesso Ente per le concessioni”.

Osserva il Collegio come, dall’esposizione che precede, risulti evidente la profonda modificazione del petitum e della causa petendi, intervenuta, “medio tempore”, tra l’azione, intentata in sede civile, e quella, riproposta in sede giurisdizionale amministrativa (restando in disparte, perché non dirimente, il denunziato mutamento dell’originaria domanda, in sede di giudizio civile, “in occasione della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c. p. c.”, mutamento pure eccepito dalla difesa comunale, già dinanzi al G. O. (cfr. comparsa di replica del 6.7.2013), con rilievo, indi ribadito nel presente giudizio: la natura non dirimente di tale modifica, per così dire, “intermedia”, dell’azione, discende dalla circostanza per cui nella stessa – come testualmente riferito dalla difesa dell’Amministrazione – i ricorrenti confermavano “la mancanza di qualsivoglia titolo che conferisse, al Comune, il possesso del bene altrui”).

La modificazione de qua emerge, in tutta la sua evidenza, dalle stesse espressioni adoperate dai ricorrenti, allorquando gli stessi osservavano: “Il Tribunale di Salerno pronunciava sentenza n. 3205/2014 (...) per cui gli odierni ricorrenti oggi ripropongono il richiamato atto di citazione e, quindi, chiedono di essere risarciti dei danni tutti causati dal Comune di Positano, che nell’ambito di lavori occuparono ed irreversibilmente trasformarono un terreno con vocazione edilizia, di proprietà degli odierni ricorrenti, (...) senza mai adottare alcun atto di urgenza, finalizzato al decreto di espropriazione o, comunque, in tutto o in parte ablatorio ”.

Osserva il Tribunale come si sia, dunque, passati da un’azione – quella esercitata in sede civile – volta al rilascio dei suoli di loro proprietà, assunti come occupati “sine titulo” dalla P. A., ed al conseguente ripristino dello stato dei luoghi (“il Comune di Positano ha, del tutto arbitrariamente e senza titolo alcuno , realizzato una strada prevalentemente sopraelevata, di larghezza totale di m 5,70, nonché una condotta fognaria a cielo aperto, con relativi pozzetti di caduta”), nonché, “in linea gradata o alternativa”, alla condanna del Comune di Positano al risarcimento di tutti i danni, a qualsiasi titolo subiti dagli attori, in conseguenza della predetta condotta, assunta come illegittima, nonché “al pagamento dell’indennità prevista dagli artt. 1033 e segg. c. c., il tutto da determinarsi in corso di causa”;
ad un’azione – quella, intentata in questa sede – tendente ad ottenere la restituzione dei beni immobili, occupati dal Comune e destinati ad opere di pubblica utilità, nell’ambito di una procedura ablativa, non sfociata nell’emanazione del conclusivo decreto d’espropriazione (“in considerazione della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto di varie e molteplici realizzazioni, non tutte, tra l’altro, di pubblica utilità, ne consegue la restituzione (…) dei beni immobili illegittimamente appresi ed indipendentemente dalle circostanze e modalità di occupazione, acquisitiva o usurpativa, di acquisizione del terreno”), nonché volta alla condanna del Comune al “risarcimento di tutti i danni”, loro derivanti dall’occupazione dei terreni, valutata come “illecito permanente”, la cui quantificazione “dovrà ristorare i proprietari ricorrenti sia della perdita della proprietà sia del mancato godimento della stessa (a partire dal: nde) momento dell’occupazione”.

In definitiva, dalle considerazioni che precedono risulta che la riassunzione, dichiaratamente operata dai ricorrenti, relativamente al giudizio civile di cui sopra, a seguito della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione del G. A., è – per le ragioni dianzi esposte – inammissibile.

Ciò posto, rileva peraltro il Tribunale come la conclusione testé raggiunta, nel senso dell’inammissibilità della riassunzione , che i ricorrenti avevano inteso operare (e, quindi, dell’estinzione del processo, inizialmente incardinato in sede civile, e della conseguente irrilevanza di tutte le domande – e, correlativamente, di ogni eccezione – ivi formulata, nonché con l’impossibilità di valutare, quand’anche soltanto come argomenti di prova, le prove – ivi comprese la consulenza tecnica – ivi assunte), non significa, peraltro, che i presenti ricorsi siano, del pari, da valutare come inammissibili ex se (nel senso che i giudizi debbano essere definiti con una pronuncia, in rito, che detta improponibilità sancisca, impedendo, quindi, il loro esame nel merito).

Deve infatti valere, in materia, ad avviso del Tribunale, l’orientamento, lucidamente espresso nella seguente massima: “La circostanza che il processo riassunto non sia un nuovo processo ma esplichi la funzione di consentire la prosecuzione di quello già pendente, non esclude che, con l’atto di riassunzione, possa essere proposta una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, a condizione che l’atto di riassunzione contenga tutti gli elementi prescritti per l’atto introduttivo del giudizio. Si ritiene, infatti, che la funzione dell’atto riassuntivo non sia di ostacolo a che esso cumuli in sé anche quella introduttiva di un nuovo giudizio, ponendosi tale orientamento, peraltro, in linea con il principio di effettività di cui all’art. 1 c. p. a., ai sensi del quale “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo” e con il principio della pluralità delle domande di cui all’art. 32 c. p. a. Nel caso in cui contenga una domanda nuova, l’atto di riassunzione vale, a questo limitato effetto e quindi limitatamente alla stessa, come atto introduttivo “ex novo”, salvi gli effetti della traslatio per le originarie domande” (T. A. R. Sicilia – Catania, Sez. II, 22/05/2015, n. 1412).

Il principio di fondo, ricavabile dalla stessa massima, e che rileva in questa sede, consiste nell’affermazione, secondo cui “la funzione dell’atto riassuntivo” non è “di ostacolo a che esso cumuli in sé anche quella, introduttiva di un nuovo giudizio”, congiunta all’ulteriore rilievo, pure in essa espresso, secondo il quale “nel caso in cui contenga una domanda nuova, l’atto di riassunzione vale (…) come atto introduttivo ex novo” (del giudizio).

Detto principio, evidentemente riconducibile a quello, più generale, compendiato nel noto brocardo “utile per inutile non vitiatur” , ad avviso del Collegio, deve valere, dunque, sia allorquando le domande nuove si aggiungano, come nell’ipotesi considerata dalla massima, a quelle, oggetto del giudizio riassunto, sia allorquando, come nella specie, le stesse domande nuove s’innestino sul tronco di un giudizio a quo, la cui riassunzione sia dichiarata inammissibile (in pratica, sostituendosi, in tale secondo caso, del tutto, alle azioni, ivi esercitate).

Tal è il caso che si verifica nella specie, atteso che, come s’è visto in precedenza, il ricorso, o meglio, i - sostanzialmente identici – ricorsi, come presentati all’attenzione del Tribunale, sia pur, dichiaratamente, riassuntivi del precedente contenzioso civile (per la qual parte sono, giusta quanto riferito sopra, inammissibili), contengono, tuttavia, un’esposizione dei fatti ed un’articolazione delle relative domande (“causa petendi” e “petitum”), che si pongono, alla stregua di quanto ampiamente rilevato sopra, come intimamente differenti, rispetto all’azione originariamente esercitata in sede ordinaria;
e che, quindi, ben possono costituire, a pieno titolo, gli atti introduttivi, “ex novo”, di un differente giudizio, vale a dire del presente processo, incardinatosi – a partire, ovviamente, dal momento della proposizione degli stessi ricorsi – innanzi al G. A.

La validità dell’ulteriore conclusione, testé raggiunta, è confermata, del resto, anche da quanto espresso nella parte motiva della sentenza del T. A. R. Puglia – Lecce, Sezione Seconda, n. 3101/2008, citata dalla difesa dell’Amministrazione Comunale di Positano, nella quale, per quanto qui rileva, s’afferma: “(la ricorrente) non ha affatto proceduto alla riassunzione dinanzi a questo T. A. R. della causa originariamente proposta davanti all’A. G. O., ma – ad avviso del Tribunale – ha attivato un nuovo giudizio amministrativo, avente (peraltro) un contenuto non del tutto coincidente con l’azione civile introdotta con l’atto di citazione notificato in data 2 Gennaio 1995”.

A prescindere dallo specifico contesto, nel quale l’espressione surriferita si collocava, la stessa, ad avviso della Sezione, costituisce null’altro che un’applicazione del principio, enucleato dalla sopracitata massima del T. A. R. Catania, secondo cui “la funzione dell’atto riassuntivo non è di ostacolo a che esso cumuli in sé anche quella introduttiva di un nuovo giudizio”.

D’altronde, la stessa Amministrazione Comunale di Positano, nella propria memoria di costituzione, procedeva, a fini difensivi, alla disamina delle domande, proposte con il ricorso in riassunzione, <da considerare, in ipotesi, “nuovo” ricorso>, con ciò, evidentemente, essendo perfettamente consapevole del possibile verificarsi di un’eventualità del genere.

Ovviamente, la condizione perché possa procedersi nei sensi, testé riferiti, è rappresentata, giusta la massima del T. A. R. Catania, sopra riportata, dalla circostanza “che l’atto di riassunzione contenga tutti gli elementi prescritti per l’atto introduttivo del giudizio”.

Ebbene, rileva il Collegio come detti elementi siano presenti, nella specie, giusta quanto rilevato sopra, relativamente all’oggetto di tale nuovo giudizio, ivi compresa (si tratta di una condizione, ovviamente, imprescindibile) l’esistenza di una valida notificazione dei ricorsi de quibus, effettuata, stavolta (non più nel domicilio, eletto presso il difensore, costituito nel precedente giudizio, che non sarebbe evidentemente più idonea a consentire una valida instaurazione del contraddittorio con la P. A., e – quindi – a dar vita ad un “nuovo” processo, bensì), presso la sede effettiva dell’Amministrazione convenuta: ebbene, sia il ricorso n. 2108/2014 R. G., sia quello, riunito, n. 2435/2014 R. G., rispettano la predetta condizione, essendo stati, entrambi, notificati, al Comune di Positano, (anche) presso la sede dell’ente (e non ponendosi più, quanto al ricorso n. 2018/2014 R. G. – relativamente alla notifica dello stesso, effettuata presso la sede del Municipio – la problematica, che affliggeva, invece, la notificazione effettuata ai difensori – domiciliatari – dell’ente, vale a dire la rilevata diversità tra la copia, oggetto di consegna ai medesimi, e quella, depositata in Sezione, ai fini dell’iscrizione a ruolo).

Stabilito, pertanto, che i presenti ricorsi riuniti, in quanto interpretati come atti introduttivi di un nuovo giudizio, e non già come prosecuzione del giudizio, incardinato presso il giudice civile, sono, sotto tale profilo, pienamente ammissibili, occorre, a questo punto, esaminare l’ulteriore eccezione di parte resistente, tendente a patrocinare l’impossibilità, per il Tribunale, di scendere all’esame del merito, dovendo gli stessi essere, invece, essere dichiarati improcedibili, per sopravvenuto difetto d’interesse (meglio, che per la dedotta cessata materia del contendere);
ciò, in virtù dell’accordo transattivo di carattere novativo, asserito come intervenuto tra i ricorrenti e l’Amministrazione Comunale di Positano, il quale accordo avrebbe comportato la rinuncia, dei medesimi ricorrenti, alle azioni pendenti (ivi compresa, deve quindi ritenersi, la presente, per quanto cronologicamente di gran lunga posteriore), secondo quanto argomentato nell’ultima memoria difensiva dell’ente e come in narrativa ampiamente riferito, specificamente nel modo seguente:

“(…) In seguito ad uno dei diversi incontri tra le parti, il sig. S R, in qualità di rappresentante di tutti gli eredi R, con nota del 26.02.1990, prot. n. 1379 (allegata alla relazione dell’ing. Fata) rinunciava ad ogni azione legale instaurata sulle aree oggetto di esproprio, una volta ottenuta l’autorizzazione edilizia relativa alla trasformazione di un fabbricato sito in Via dei Mulini n. 6/8/10 di cui al progetto, presentato al Comune in data 21.02.1990, ferma restando la corresponsione agli eredi R delle indennità d’occupazione e d’esproprio dovute per legge;
che con delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 12.03.1990 (all. 13 della Relazione dell’ing. Fata) veniva approvata l’ipotesi di transazione;
che, sulla base di tale deliberazione, la Commissione edilizia integrata del Comune di Positano, con parere n. 3 del 19.04.1990, prima (all. n. 14 – 15 Relazione Fata), e la Commissione urbanistica, con parere n. 1 del 31.05.1990, poi (all. n. 16), s’esprimevano favorevolmente sul progetto presentato dal sig. R F P, facendo espresso richiamo all’accordo, recepito con la delibera di C. C. n. 30/1990, anche al fine di sbloccare l’esecuzione dei lavori, relativi all’impianto di depurazione;
che, in data 7.09.1990, il Comune di Positano rilasciava l’autorizzazione edilizia n. 416 (all. n. 19), in forza della quale i sig.ri R hanno realizzato i lavori sull’immobile, ubicato in Via dci Mulini n. 6/8/10 (all. n. 20);
che tali lavori erano stati autorizzati solo ed esclusivamente perché legati all’atto transattivo;
che la realizzazione dei lavori, consistenti nella traslazione di un intero piano del fabbricato al livello del piano viabile di Via dei Mulini, con due aperture direttamente su strada, è stata autorizzata senza corresponsione alcuna di oneri di urbanizzazione e di costruzione;
e rilevava che, nonostante i R avessero, in tal modo, incrementato notevolmente il loro patrimonio, con la trasformazione dell’immobile sito in Via dei Mulini (incremento che andava ben oltre il valore dei beni agricoli oggetto della procedura espropriativa), essi avevano continuato a coltivare le azioni legali proposte contro il Comune di Positano, “dimenticando l’accordo raggiunto e richiedendo, tra l’altro, la restituzione delle aree poste al di sotto del viadotto di collegamento tra la via Pasitea e l’impianto di depurazione, nonché la corresponsione di indennità di occupazione e di esproprio, calcolate sulla base di valori di mercato di suoli edificabili, laddove, al contrario, le aree oggetto di esproprio avevano esclusivamente un utilizzo agricolo e ricadevano in zone d’inedificabilità assoluta”;
insomma, appariva evidente, secondo la difesa del Comune, “che i sigg. R abbiano conseguito un notevole vantaggio, vantaggio deliberato dal Consiglio Comunale del 1990, per rendere possibile una transazione che emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione prodotta in giudizio in allegato alla perizia dell’ing. Fata”, vale a dire che tra le parti era intervenuto “un accordo ampiamente satisfattivo delle pretese degli odierni ricorrenti che, come visto, hanno manifestato la propria volontà di transigere le diverse liti, salvo poi venir meno a quanto dichiarato con la nota del 26.02.1990, prot. n. 1379”;
sicché risultava evidente “l’inequivocabile manifestazione della volontà d’avvalersi dell’accordo documentato dagli atti prodotti in giudizio, o comunque dell’intervenuta accettazione della medesima, fatta allo scopo di avvalersi dei suoi effetti”;
e, ai fini della decisione, non poteva “non tenersi conto della richiesta dei R, della deliberazione consiliare del 1990 e del vantaggio conseguito dai medesimi”, tenendo conto che “l’accordo transattivo di carattere novativo, stipulato tra le parti in causa ed avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, determina la cessazione della materia del contendere, atteso che da detto negozio derivano obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti” (Cassazione civile, sez. II, 17/02/2017, n. 4257).

L’eccezione, come sopra dettagliata, è infondata.

Il Collegio condivide, al riguardo, le argomentazioni, espresse dalla difesa dei ricorrenti, nell’ultima memoria in atti, ove s’è evidenziata la necessità della forma scritta ad substantiam , per le transazioni che – come quella, ipotizzata come sussistente nella specie – riguardano beni immobili o altri diritti reali immobiliari, ex art. 1350, comma 1, n. 12, cod. civ. (“Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità: (…) 12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti” (cfr., in giurisprudenza, la massima seguente: “In tema di transazione, l’esistenza del mandato a transigere o della ratifica di transazione avente ad oggetto controversie relative a rapporti obbligatori, per i quali non è richiesta la forma scritta – necessaria, invece, se la controversia, in relazione alla quale essa interviene, ha ad oggetto rapporti giuridici concernenti beni immobili o diritti reali immobiliari – può essere desunta da elementi presuntivi, e, per quanto riguarda la ratifica, anche da facta concludentia (…)” – Cassazione civile, sez. III, 27/01/2012, n. 1181).

Ma la necessaria forma scritta, nella specie, è carente, stante l’inesistenza di un atto scritto, espressamente qualificato come transazione, che consacrasse l’unilaterale volontà d’addivenire alla stessa, espressa da R S, con la nota del 26.02.1990, prot. n. 1379, a sua firma (in particolare, secondo la ricostruzione, fornita dal dirigente del Settore Tecnico, nella relazione in atti: “Il sig. S R, in qualità di rappresentante di tutti gli eredi R, con nota del 26.02.1990 prot. n. 1379 (all. 12) confermava quanto verbalmente pattuito nell’incontro del 19.02.1990 e dichiarava di rinunciare ad ogni azione legale, instaurata sulle aree oggetto d’esproprio, una volta ottenuta l’autorizzazione edilizia relativa alla trasformazioni di un fabbricato sito in Via dei Mulini n. 6/8/10, di cui al progetto presentato al Comune in data 21.02.1990, ferma restando la corresponsione, agli eredi R, delle indennità di occupazione e di esproprio dovute per legge”).

S’era trattato, quindi, di un accordo soltanto verbale, giammai esteriorizzato in forma solenne, e rispetto al quale la suddetta nota, a firma di R S, si poneva, sostanzialmente, a guisa di conferma della volontà di mantenere fermo l’accordo in tal guisa concluso con il Comune.

Vero è, del resto, che, di tale accordo, si fa esplicita menzione negli atti, successivi a tale, unilaterale, manifestazione di volontà, assunti dal Consiglio Comunale, dalle Commissioni Edilizie Integrata ed Urbanistica e dal Sindaco di Positano, nel corso dell’anno 1990, come sopra dettagliati;
atti, culminati nel rilascio, da parte del primo cittadino di Positano, e in favore, stavolta, di R F P, della “autorizzazione ad intervento di manutenzione straordinaria”, prot. 416 del 7.09.1990, relativa ad “adeguamento funzionale e ridistribuzione spazi interni del fabbricato sito alla via dei Mulini”.

Tuttavia, deve rimarcarsi come l’attivismo singolarmente manifestato, dal Comune di Positano, nel consentire ai desiderata del “rappresentante di tutti gli eredi R” (tale qualificatosi, nella predetta nota del 26.02.1990), non sia giunto mai, secondo quanto emerge dagli atti a disposizione del Tribunale, a sacralizzare tale accordo in un atto scritto (scrittura privata o atto pubblico) che fosse qualificato, esplicitamente, come “transazione” (la quale, ove ritenuta, ciò nonostante, esistente, sarebbe, in ogni caso, nulla, in base alla disciplina codicistica, per difetto di tale, ineludibile, elemento formale).

Tanto, a prescindere, per altro verso, dall’altrettanto evidente nullità, per illiceità dell’oggetto, di un accordo nel quale, a fronte della rinuncia, da parte degli eredi R, ai giudizi pendenti, ed in vista della realizzazione, da parte dell’ente, dell’impianto di depurazione, “i cui lavori sono attualmente bloccati causa le vertenze in materia di definizione della procedura espropriativa con gli eredi R” (cfr. la parte motiva della deliberazione del C. C. di Positano, n. 30 del 12.03.1990), l’Amministrazione Comunale, nelle sue varie articolazioni coinvolte nella vicenda, s’è prestata a interpretazioni, a dir poco disinvolte, della normativa, urbanistica ed edilizia, vigente nel proprio territorio (sempre secondo quanto risulta dalla relazione dell’ing. Fata: “Tali lavori, autorizzati solo ed esclusivamente perché legati all’atto transattivo (si legga il parere della Commissione Edilizia Integrata – all. 15) hanno permesso la traslazione di un intero piano del fabbricato al livello del piano viabile di Via dei Mulini con n. 2 aperture direttamente su strada, senza oltretutto il pagamento di nessun onere di urbanizzazione e di costruzione”).

Si tratta, osserva conclusivamente, sul punto, il Tribunale, dell’affermazione della realizzazione di condotte di indubbia gravità, che solo grazie al decorso del tempo (collocandosi, le stesse, nell’anno 1990) ed alla, ormai abbondantemente maturata, prescrizione, verosimilmente sfuggiranno, nell’attualità, ai rigori della legge penale (ferma restando, in ogni caso, la doverosa trasmissione degli atti, da parte del Collegio, alla Procura della Repubblica di Salerno, per ogni definitiva ed opportuna valutazione, di competenza di quell’Ufficio, al riguardo).

Ciò posto, e passando al merito dei “nuovi” gravami (si ripete: sostanzialmente identici nei contenuti), proposti dai ricorrenti, rileva, anzitutto, il Tribunale come la controversia, inizialmente incardinata in sede civile, concernesse (secondo la descrizione, contenuta nella relazione dell’ing. Fata, in atti) “due eventi che, seppur riferiti alla stessa area territoriale (terreni ubicati nella valle del rivo Mulini), risultano temporalmente e funzionalmente slegati tra loro: la prima pretesa risarcitoria riguarda l’occupazione e successiva utilizzazione, da parte della P. A., di alcuni terreni di proprietà dell’attrice, necessari per la realizzazione di un viadotto di collegamento tra la rotabile via Pasitea e l’impianto di depurazione comunale e per la realizzazione dello stesso impianto di depurazione;
la seconda pretesa risarcitoria riguarda, invece, l’imposizione di una servitù di scarico fognario che attraversa alcuni appezzamenti di terreno della parte attrice che, a causa di malfunzionamenti e rotture, avrebbe provocato notevoli danni alle stesse proprietà”.

Ebbene, dei due eventi dedotti – in origine – come causativi di danno ingiusto, il secondo – quello che riguarda l’imposizione di una servitù di scarico fognario su alcuni terreni di proprietà attorea – non è stato riproposto, nei ricorsi (in riassunzione, ma da qualificarsi come nuovi gravami) in esame, che si sono concentrati, invece, sull’occupazione dei terreni dei ricorrenti, seguita all’attivazione, da parte del Comune, della procedura espropriativa (meglio descritta, in detta relazione esplicativa, nei suoi passaggi essenziali), implicante l’irreversibile trasformazione dei terreni medesimi, conformemente agli scopi di pubblica utilità perseguiti dall’Amministrazione Comunale (realizzazione di un viadotto di collegamento tra la rotabile via Pasitea e l’impianto di depurazione comunale e dello stesso impianto di depurazione), procedura non culminata, tuttavia, com’è pacifico ed incontestato, nell’adozione di un formale decreto d’esproprio.

Di tale secondo profilo, come sopra precisato (in disparte quanto, nella suddetta relazione, osservato, circa l’epoca assai risalente dell’imposizione della servitù di scarico fognario de qua, la liquidazione, in favore dei G P, con sentenza n. 343/1994 del giudice civile, delle somme di denaro, ivi precisate, a titolo risarcitorio e la presumibile prescrizione d’ogni pretesa al riguardo), il Tribunale non è tenuto, pertanto, più ad occuparsi, dovendo la sua attenzione concentrarsi, di necessità, sul primo profilo (l’occupazione e l’irreversibile trasformazione dei suoli di proprietà dei ricorrenti, non seguita dall’adozione di un formale atto ablativo, per la costruzione del viadotto e del depuratore), come sopra riferito.

A tale riguardo, soccorrono, sul piano fattuale, gli esiti dell’istruttoria disposta dal Collegio, riscontrata dall’Amministrazione Comunale mercé il deposito della più volte citata relazione dell’ing. Fata, in narrativa riportata nella sua interezza.

In tale relazione è descritta, con sufficiente chiarezza, la dinamica del procedimento espropriativo, interessante (anche) i terreni di proprietà dei ricorrenti;
sono dettagliate le aree, di loro proprietà, definitivamente occupate, ed oggetto di irreversibile trasformazione, in quanto occupate dalla suddetta opera pubblica (e tale indicazione, promanante dallo stesso U. T. C. di Positano, rende prive di pregio le deduzioni della difesa dell’ente circa il mancato avverarsi dell’irreversibile trasformazione dei luoghi de quibus, ovvero circa la limitazione delle aree, occupate dal Comune, a quelle “interessate dal passaggio delle condutture e dalle aree di appoggio dei pilastri di sostegno della strada, sopraelevata, realizzata”);
nonché sono precisate le aree, restate in mano pubblica (la quasi totalità) e quelle (poche) restituite ai ricorrenti;
è specificato che nessuna indennità è stata versata, agli stessi ricorrenti, per effetto dell’occupazione delle stesse aree, seguita dalla loro radicale trasformazione, in vista della realizzazione della divisata opera pubblica (la circostanza si spiega, almeno in parte, quale conseguenza della conclusione dell’accordo, di natura asseritamente transattiva, intervenuto tra le parti, sul quale ci si è soffermati, a lungo, sopra).

Il Tribunale ritiene, quindi, al fine di non appesantire la trattazione, di richiamare, in questa sede, relativamente ai profili fattuali sopra evidenziati, i contenuti di detta relazione, nella quale, del resto, s’afferma, a chiare lettere, che “in ordine al procedimento espropriativo sopradescritto (…) ad oggi non è stato emesso nessun atto definitivo di esproprio”;
la circostanza, del resto, oltre a non essere oggetto di contestazione tra le parti, è stata anche consacrata, nella sentenza della Sezione, n. 935/2017, pubblicata il 18.05.2017, resa sul parallelo gravame degli odierni ricorrenti, della quale si riportano gli stralci d’interesse:

“(…) Ciò posto, osserva ulteriormente il Collegio che la circostanza dell’assenza, in capo al Comune di Positano, del diritto di proprietà sulle particelle suddette discende, anzitutto, dall’operatività del principio di non contestazione, nulla avendo opposto, l’ente, alle affermazioni, in proposito, di parte ricorrente;
in ogni caso, la circostanza si ricava, positivamente, anche dalla relazione tecnica asseverata del 22.11.2007, a firma del geom. M C, dalla quale emerge che non è stato mai perfezionato alcun titolo di cessione immobiliare relativamente agli spazi in questione (ubicati sotto il viadotto comunale di accesso al Depuratore), “fatta eccezione per le pilastrature che poggiano sul suolo” (detta ultima affermazione si preciserà infra);
nonché dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio (in realtà, si tratta di un supplemento all’originaria c. t. u.) del 25.09.2012, espletata in sede civile (prima della declaratoria di difetto di giurisdizione) dall’arch. G P, dalla quale (in disparte ogni altra considerazione, non di pertinenza del presente giudizio), si ricava che l’occupazione, da parte del Comune di Positano, delle aree di proprietà dei ricorrenti è illegittima a far data dal 16.09.1987 (scadenza del quinquennio dall’occupazione d’urgenza, decretata in data 16.09.1982, senza essere peraltro seguita dall’emanazione del decreto d’esproprio).

In sostanza, come s’apprende, ancora, dalla relazione tecnica asseverata di parte, a firma del geom. Cinque, in atti, nel 1982, a seguito di un decreto d’occupazione d’urgenza, n. 1142/Div. del 16.09.1982, il Comune s’immise, inizialmente, nel possesso di un suolo di mq. 356, facente parte del fondo di maggior consistenza dei germani R, ove furono poggiati e realizzati i soli pilastri, senza occupare gli altri spazi circostanti;
successivamente, l’ente pubblico s’immise nel possesso di altri mq. 927, sempre di proprietà dei germani R (zona impianto depuratore), ma tale seconda immissione in possesso non venne, mai, formalmente definita.

In ogni caso, dalla disamina congiunta degli indici probatori suddetti risulta dimostrata, senz’altro, la circostanza dell’assenza di un valido atto d’acquisizione, in mano pubblica, delle aree in questione (quanto meno, di quelle di proprietà dei ricorrenti, cui – pure – la delibera giuntale gravata, indubbiamente, si riferiva);
detta circostanza è stata, del resto, anche esternata, nella parte finale della motivazione della sentenza del giudice civile (Tribunale di Salerno – Sezione Distaccata di Amalfi) che ha declinato la giurisdizione, circa la domanda restitutorio – risarcitoria, avanzata dai ricorrenti medesimi (domanda attualmente oggetto, all’esito di riassunzione, di separato giudizio, innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale).

Ne discende, in maniera evidente, l’illegittimità della deliberazione della G. C. di Positano, oggetto d’impugnazione, nella narrativa della quale s’afferma, in maniera discordante dalle riferite acquisizioni probatorie, che l’Amministrazione aveva intenzione di mettere a reddito “i propri beni”, attualmente non utilizzati per finalità pubbliche: è, infatti, violativo dell’art. 832 cod. civ., oltre che chiaramente sintomatico d’eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza d’istruttoria e sviamento, che il Comune consideri le particelle, di proprietà dei ricorrenti, quali “propri beni”, essendo – invece – del tutto mancato, ovvero non essendosi perfezionato, giusta le specificazioni riferite sopra, il procedimento previsto dalla legge perché si produca l’effetto traslativo delle suddette particelle di terreno nel patrimonio dell’ente pubblico.

Ed è, di conseguenza, illegittima la divisata concessione a terzi (titolari di attività economiche, operanti nella zona della Marina di Positano) delle aree in questione (comprensive di quelle, di proprietà dei ricorrenti), essendo palese che: “Nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet” (…)”.

Insomma, i dati di fondo, che emergono in maniera univoca dagli atti, a disposizione del Collegio, fotografano una situazione, caratterizzata dall’illegittima occupazione delle aree di proprietà dei ricorrenti (come specificate nella loro precisa consistenza, da ultimo, e con valore confessorio, nella relazione del tecnico comunale, in atti), a far data dal 16.09.1987 (scadenza del quinquennio dall’occupazione d’urgenza, decretata in data 16.09.1982);
occupazione, non seguita dall’emanazione di un formale decreto d’esproprio, idoneo a consentirne il trasferimento definitivo, in favore del Comune.

Ne consegue che la fattispecie rientra, pacificamente, nella sfera di giurisdizione del T. A. R. adito (cfr. Cassazione civile, sez. un., 19/07/2016, n. 14793: “Rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. g), c. proc. amm., le occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione ed attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, come tale riconoscibile in base al procedimento ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che regolano il procedimento in questione (fattispecie relativa ad occupazione e trasformazione dell’area non seguita dall’adozione del decreto di esproprio)”.

Ne consegue, altresì, conformemente agli esiti, cui è pervenuta la giurisprudenza (anche della Sezione), che: “Dalla illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio sorge (al di là dell’unica ipotesi alternativa costituita dalla possibilità di un contratto traslativo ovvero di un accordo transattivo), unicamente, l’obbligo per l’amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, restituendo il terreno con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione temporanea ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis d. P. R. n. 327/2001 e versando il relativo indennizzo/risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati” (T. A. R. Calabria – Reggio Calabria, Sez. I, 12/05/2017, n. 438).

In argomento, si legga anche la parte motiva della sentenza della Sezione, n. 1482 del 16.10.2017, che, per quanto qui rileva, ha affermato:

“ (…) Stabilito, quindi, definitivamente che il ricorso, per le considerazioni dianzi svolte, è fondato e va accolto, dalla qualificazione, in termini d’illiceità, dell’occupazione del terreno di proprietà del ricorrente (per essere vanamente decorso il termine di dichiarazione di p. u., entro cui pronunziare validamente il decreto d’esproprio), discende il diritto, dello stesso ricorrente, a pretenderne la restituzione, salvo che l’Amministrazione non intenda adottare, a sanatoria, il sistema disciplinato dall’art. 42 bis del T. U. Espr. (…).

L’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica sul fondo occupato, che secondo la difesa del Comune dovrebbe, del resto, inibire il risarcimento in forma specifica del danno, subito dal proprietario, vale a dire la restituzione in suo favore del fondo in questione, è poi evidentemente irrilevante (e la richiesta, in tali sensi formulata dal ricorrente, è, viceversa, pienamente ammissibile, oltre che fondata, per le ragioni dianzi esposte): “La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà in capo alla P.A., per cui solo il formale atto di acquisizione di cui all’art. 42 bis d. P. R. n. 327 del 2001 (cd. acquisizione sanante) può essere in grado di limitare il diritto del privato alla restituzione del bene, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni sia del privato che dell’Amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29/08/2012, n. 4650).

Pertanto, fatta salva l’eventuale adesione, da parte del Comune di (…), all’opzione rappresentata dall’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42 bis T. U. Espr. (da esercitarsi nel termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa, ovvero dalla notificazione a cura di parte della presente sentenza, in applicazione analogica dell’indirizzo espresso da Consiglio di Stato, sez. IV, 27/04/2015, n. 2126 (“In caso di occupazione sine titulo, in assenza di uno specifico termine nell’art. 42 bis t. u. espropri (d. P. R. 327 del 2001) e in applicazione dell’art. 2 l. n. 241 del 1990, una volta presentata apposita istanza da parte degli interessati, l’opzione tra la restituzione dei fondi o l’emanazione del decreto di acquisizione sanante deve avvenire nell’ordinario termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento di carattere obbligatorio”), all’accoglimento del ricorso, nei sensi dianzi precisati, consegue la condanna dello stesso Comune a risarcire in forma specifica il danno subito dal ricorrente, provvedendo alla restituzione, in suo favore, del terreno di sua proprietà, allo stato illecitamente occupato sine titulo;
fermo restando, sia in un caso, sia nell’altro, l’obbligo per l’Amministrazione Comunale di risarcire, in favore del medesimo ricorrente, il danno da occupazione illegittima di tale terreno (“In caso di occupazione sine titulo da parte dell’Amministrazione di aree private, sia che la P. A. intenda adottare il provvedimento di acquisizione sanante sia che intenda restituirle, è tenuta al risarcimento del danno da occupazione illegittima, da quantificarsi, in base al combinato disposto dell’art. 34 comma 4, c. p. a. e dell’art. 42 bis comma 3, d. P. R. n. 327 del 2001, nella misura del 5% annuo del valore venale delle aree occupate, da computarsi dalla data di scadenza del decreto di occupazione legittima alla data di regolarizzazione della fattispecie” – T. A. R. Campania, Napoli, sez. V, 3/12/2016, n. 5597)”.

Si osservi, inoltre, quanto all’eccepita – dal Comune – prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, che la stessa non è maturata nella specie, posto che: “L’omissione degli adempimenti tipici della procedura ablatoria e segnatamente del provvedimento definitivo di esproprio deve essere qualificata come illecito permanente, nella cui vigenza non decorre la prescrizione;
ciò perché in tal caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi, con la conseguenza che il soggetto spossessato può agire nei confronti dell’ente pubblico espropriante senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene” (Consiglio di Stato, sez. I, 28/04/2015, n. 3059).

Si consideri, altresì, che, stante il mancato verificarsi, per le ragioni dianzi espresse, dell’effetto di riassunzione del giudizio, intentato in sede civile, ove la relativa domanda era stata formulata, senza essere, peraltro, ribadita negli atti, introduttivi (ex novo) dei presenti giudizi riuniti, non occorre statuire alcunché, quanto alla richiesta di condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento dell’indennità di occupazione legittima;
in ogni caso, detta richiesta sarebbe, in ogni caso, fuoriuscita dall’ambito di cognizione del G. A., per rientrare in quella del giudice ordinario, giusta il pacifico indirizzo della giurisprudenza, espresso in massime, del genere della seguente: “Sussiste il difetto di giurisdizione del g. a. sulle domande dirette alla corresponsione dell’indennità prevista per il periodo di occupazione legittima e alla corretta quantificazione dell’indennità di espropriazione. Ciò alla stregua delle previsioni contenute nell’art. 133, lett. g), c. p. a. e nell’art. 53, comma 3, d. P. R. n. 327 del 2001, le quali attribuiscono al giudice ordinario la cognizione delle controversie riguardanti la determinazione della corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” (T. A. R. Campania – Napoli, sez. V, 8/09/2017, n. 4327).

In definitiva, i, sostanzialmente identici, ricorsi in epigrafe (da considerarsi come ricorsi nuovi, rispetto alla controversia azionata in sede civile, giusta quanto ampiamente riferito in precedenza), vanno accolti nei sensi e limiti di quanto sopra precisato, e l’Amministrazione Comunale di Positano, giusta l’opzione interpretativa già fatta propria dalla Sezione, in altri analoghi gravami, fatta salva l’eventuale adesione, da parte della stessa, all’opzione rappresentata dall’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42 bis T. U. Espr. (da esercitarsi nel termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa, ovvero dalla notificazione a cura di parte della presente sentenza), va condannata a risarcire in forma specifica il danno subito dai ricorrenti, provvedendo alla restituzione, in loro favore, dei terreni di proprietà, allo stato illecitamente occupati sine titulo;
fermo restando, sia in un caso, sia nell’altro, l’obbligo per la stessa Amministrazione Comunale di risarcire, in favore dei medesimi ricorrenti, il danno da occupazione illegittima di tale terreno (“In caso di occupazione sine titulo da parte dell’Amministrazione di aree private, sia che la P. A. intenda adottare il provvedimento di acquisizione sanante sia che intenda restituirle, è tenuta al risarcimento del danno da occupazione illegittima, da quantificarsi, in base al combinato disposto dell’art. 34 comma 4, c. p. a. e dell’art. 42 bis comma 3, d. P. R. n. 327 del 2001, nella misura del 5% annuo del valore venale delle aree occupate, da computarsi dalla data di scadenza del decreto di occupazione legittima alla data di regolarizzazione della fattispecie” – T. A. R. Campania, Napoli, sez. V, 3/12/2016, n. 5597)”.

Ne deriva, in applicazione dell’art. 34, comma 4, c. p. a. (“In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti”), che il Comune di Positano, nello stesso termine di novanta giorni di cui sopra, e qualunque sia l’opzione concretamente esercitata (restituzione delle aree occupate ovvero adozione del provvedimento d’acquisizione sanante) dovrà proporre ai ricorrenti il pagamento delle somme, agli stessi spettanti a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima dei loro terreni, determinata secondo i criteri sopra indicati, desunti dall’art. 42 bis, comma 3, T. U. Espr.

Ne deriva che – trattandosi di poteri amministrativi, non ancora esercitati – il Tribunale non può statuire alcunché, circa il valore venale delle aree occupate (nella cui determinazione, evidentemente, un ruolo essenziale sarà svolto dalla loro qualificazione, o meno, in termini di aree edificabili, questione circa la quale si registrano, allo stato, posizioni contrastanti tra le parti);
fermo restando, ovviamente, che in caso di mancato accordo, potrà essere chiesta, al Tribunale, la determinazione della somma dovuta, secondo il meccanismo, disciplinato dal citato art. 34, comma 4, c. p. a.

Quanto al profilo delle spese di giudizio, dalla soccombenza del Comune di Positano deriva la condanna dell’ente al pagamento, in favore dei ricorrenti, di spese e compensi di lite, liquidati come in dispositivo, oltre che alla restituzione, in favore degli stessi, dei contributi unificati, rispettivamente versati;
con attribuzione, in favore del loro difensore, che ne ha fatto anticipo e richiesta, ex art. 93 c. p. c.

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