TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-07-26, n. 202108939

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-07-26, n. 202108939
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202108939
Data del deposito : 26 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2021

N. 08939/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02906/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2906 del 2021, proposto da:
V M, T D B, G C, C D T, A S, C V, P G, R B, A A, V A, M C, V L, V C, S A, S M, G P, A S, P T, P P S, G A, D D C, D C, N C, G D G, A E, B C, S G, A L, G M, R N, Eugenio D'Aragona, A B, D F, A T, R E L, F T, G D C, O I, S F, G S, A F, Michele Cipolla, Raimondo Antonio Rotolo, Vincenzo Di Carlo, Ciro Michele Pellegrino, Carmelo Zaccone, Antonino La Marca, Salvatore Picardo, Cataldo Cammarata, Francesco Cantoro, Giovanni Scarpulla, Salvatore Barone, Francesco Lo Mascolo, Salvatore Saviano, Carmelo Ribbisi, Francesco Asero, Gaetano Rago, Giuseppe Vendra, Domenico Razzano, Angelo Savoca, Piero Panzica, rappresentati e difesi dall'avvocato Carmelo La Fauci Belponer, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Pubblica Amministrazione, Ministero dell'Interno, Ministero della Difesa non costituiti in giudizio;

per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio-inadempimento

delle amministrazioni resistenti formatosi sulla diffida inviata, via p.e.c., in data 22.12.2020, ricevuta nella superiore data e condanna delle amministrazioni resistenti all'avvio ed alla successiva conclusione - mediante l'adozione del provvedimento espresso - del procedimento amministrativo relativo all'attuazione della previdenza complementare, cosi come previsto dagli artt. 7, D.lgs. n. 195/1995;
art. 26, comma XX, Legge n. 448/1998;
art. 3, D.lgs. n. 124/1993, art. 67, D.P.R. n. 254/1999;
art. 74, Legge n. 388/2000 ed art. 1, Legge n. 243/2000;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 giugno 2021 il dott. Claudio Vallorani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il presente ricorso è stato introdotto dai soggetti in epigrafe, in parte militari all’Arma dei Carabinieri e, in parte, appartenenti alla Polizia di Stato, ancora in servizio, i quali hanno maturato, alla data del 31.12.1995 (data di entrata in vigore della c.d. Legge “Dini”, n. 335/1995), un’anzianità contributiva non superiore a 18 anni. Essi evidenziano in ricorso, in primo luogo, che il trattamento pensionistico che percepiranno “…sarà calcolato con il sistema misto retributivo-contributivo, di gran lunga peggiorativo sotto il profilo economico rispetto a quello retributivo puro.”.

Nonostante siano trascorsi 25 anni dall'entrata in vigore della Legge n. 335/1995 la previdenza complementare per il personale militare, della GdF e per quello appartenente alle Forze di Polizia non è stata ancora attuata e non è stato ancora adottato neanche il provvedimento amministrativo di avvio del procedimento di cui all'art. 7 comma 1 D.lgs.n. 195/1995.

I ricorrenti hanno impugnato il silenzio-inadempimento delle amministrazioni resistenti formatosi sulle diffide inviate dagli stessi a mezzo p.e.c. (doc. 3 e doc. 4 ric.) nelle quali si chiedeva alle Amministrazioni in epigrafe di dare attuazione, entro il termine di legge, a forme di previdenza complementare a beneficio dei dipendenti, cosi come previsto dagli articoli: 7 d.lgs.n. 195/1995;
26, comma 20, Legge n. 448/1998;
3 d.lgs.n. 124/1993;
67 d.P.R. n. 254/1999;
74 Legge n. 388/2000;
1 Legge n. 243/2000.

Nessun riscontro è stato dato dalle Amministrazioni intimate e, in particolare né dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri né dal Ministero della Pubblica Amministrazione.

Parte ricorrente si duole della inerzia delle Amministarzioni suddette la quale nega ogni tutela all’interesse pretensivo vantato dagli odierni ricorrenti, senza rispettare il diritto, di cui sono titolari i militari in epigrafe, di ottenere l'adempimento di uno specifico obbligo gravante sul datore di lavoro pubblico (si cita Corte di Cassazione SS.UU. Civili n. 22807/2020).

Ad avviso dei ricorrenti, quindi, da un lato, si è formato il silenzio-inadempimento sulle diffide sopra indicate e, dall'altro, si sarebbe anche “materializzato” un danno patrimoniale conseguente al ritardo nell'attuazione della previdenza complementare.

Deducono inoltre i ricorrenti che il procedimento amministrativo in esame si snoda, per il personale appartenente alle Forze di polizia ad ordinamento militare nonché a quelle ad ordinamento civile (quindi: Arma Carabinieri, Corpo della Guardia di Finanza, Polizia):

a) nell'avvio - da parte del Ministro per la Funzione Pubblica (oggi Presidenza del Consiglio dei Ministri) - delle procedure per l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all'art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 195/1995;

b) nella predisposizione di uno schema di provvedimento concordato (con allegati appositi prospetti relativi ai costi) ovvero di un accordo con relativa sottoscrizione;

c) nell'approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri del suddetto schema di provvedimento;

d) nell'emanazione del Decreto Presidente della Repubblica, atto formalmente presidenziale ma sostanzialmente normativo.

La protratta inazione delle Amministrazioni coinvolte costituisce, secondo parte ricorrente, condotta illegittima che viola l’art. 97 Cost., l'art. 2 legge n. 241/1990 e l'art. 41 della Carta di Nizza.

In sostanza, i ricorrenti lamentano la mancata attivazione delle procedure volte all’avvio della previdenza complementare per le forze armate, prevista dal d.lgs. 195/1995, come modificato dal d.lgs. 129/2000, deducendo che l’unica negoziazione avviata tra la parte pubblica e la delegazione sindacale al fine di addivenire ad un accordo, risalente all’anno 1999, non si era conclusa positivamente.

Sussistono, ad avviso dei ricorrenti, tutti i presupposti per la declaratoria d'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dalle amministrazioni resistenti sulle diffide sopra indicate. Infatti, malgrado l'avvenuta nomina di un commissario ad acta a seguito di ricorsi di altro personale in servizio ex art. 117 c.p.a., su pregresse istanze simili alla presente, non risulta, di fatto, adottato alcun provvedimento di avvio della negoziazione ex art. 7, comma I, D. Lgs. n. 195/1995 e, conseguentemente non sono stati avviati nè i procedimenti negoziali nè le procedure di concertazione/contrattazione per l'intero Comparto Difesa e Sicurezza mediante convocazione delle parti sindacali, allo specifico fine di attuare la previdenza complementare nel settore Forze armate-Personale Polizia.

Alla domanda contro il silenzio inadempimento si accompagna la domanda di risarcimento dal danno da ritardo, fondata sulla seguente parabola argomentativa: tutti i ricorrenti sono in possesso del requisito soggettivo dell'anzianità contributiva al 31.12.1995, non superiore a 18 anni e saranno, perciò, titolari di una pensione calcolata con il sistema contributivo. Quindi, la ritardata attuazione dei meccanismi di previdenza complementare integra, per i ricorrenti, un danno patrimoniale tenuto conto dell'impossibilità di ottenere un risparmio in termini di tassazione IRPEF in virtù del maggiore ammontare deducibile. Infatti, gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto nonché la quota del citato T.F.R. da destinare alla previdenza complementare, non sono soggetti a tassazione ai fini IRPEF. A ciò si aggiunga il pregiudizio economico conseguente all'impossibilità di destinare al fondo pensione il T.F.R. maturato da ciascun ricorrente: adempimento, quest’ultimo, che, in tal modo, potrebbe aumentare il montante previdenziale.

Non si sono costituite in giudizio le Amministrazioni in epigrafe.

Alla camera di consiglio del 19 maggio 2021 il ricorso è stato assunto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

Deve ritenersi sussistere, nella specie, il difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli ricorrenti in epigrafe nominati (principio affermato da questa Sezione in molteplici casi recenti: v. ex multis TAR Lazio, I-bis, 15 aprile 2021, n. 4430 e n. 4431).

Sul punto, il Collegio condivide il consolidato orientamento giurisprudenziale anche di questo Tribunale (vedi sentenza del TAR Lazio, I Stralcio, 1 febbraio 2021, n. 1292), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva e del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse "finale" e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio ed alla conclusione dei procedimenti negoziali di cui all'art. 67, d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254, che appartiene esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia ad ordinamento civile) e ai comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali di interessi collettivi (quanto alle forze di polizia ad ordinamento militare e al personale delle forze armate), chiamate a partecipare ai predetti procedimenti. Conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, il ricorso avverso il silenzio - inadempimento serbato dal Governo della Repubblica circa la previsione legislativa dettata dalla legge 8 agosto 1995 n. 335 sulla previdenza complementare, da attuarsi attraverso i cd. "Fondi pensione" relativamente al personale del pubblico impiego (oltre alle pronunce recenti sopra citate cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 8.3.2011, n.2092;
id. n. 8008 del 2010;
ancora nn. 7448, 7456 e 7458 del 19 aprile 2010 e n. 10560 del 30 ottobre 2009 e n. 2991 del 24 febbraio 2010).

Anche il giudice d’appello ha aderito a tale impostazione, motivando il proprio convincimento anche in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego (Consiglio di Stato sez. IV, 24/10/2011, sent. n. 5697).

Per tali ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione a ricorrere, in relazione alla posizione dei ricorrenti persone fisiche, come specificati in premessa.

Si può rilevare, in via incidentale, che la legittimazione ad impugnare il silenzio nella materia “de qua” va invece riconosciuta alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia a ordinamento civile) ed ai Comitati centrali di rappresentanza (per le forze armate), quali organismi esponenziali di interessi collettivi, portatori, quantomeno, di un interesse legittimo procedimentale e pertanto chiamati e legittimati a partecipare ai predetti procedimenti e ad agire contro l’inerzia dei competenti organi dell’amministrazione attraverso l’unico strumento possibile, ovverosia l’azione avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a., esperibile in presenza di posizione di interesse legittimo connessa all'esercizio di un potere amministrativo.

Tuttavia l’azione all’odierno vaglio è stata proposta unicamente da militari e personale di Polizia – quindi persone fisiche e non associazioni sindacali rappresentative - il che conferma l’inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione attiva.

Quanto alla domanda risarcitoria ne è evidente l’irritualità per altro motivo trattandosi di ricorso collettivo con svariati ricorrenti.

Si rinvengono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, in considerazione della natura della controversia.

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