TAR Milano, sez. III, sentenza 2020-11-24, n. 202002270

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2020-11-24, n. 202002270
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202002270
Data del deposito : 24 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/11/2020

N. 02270/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01567/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1567 del 2020, proposto da
C S, rappresentato e difeso dagli avvocati F T, S M e S B, e, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S B in Milano, Via Podgora, n. 3;

contro

UNICREDIT s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via E. Panzacchi, n. 6;

nei confronti

BANCA D'ITALIA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio
CONSOB-COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA' E LA BORSA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

per l'accertamento

dell'illegittimità del silenzio-rigetto serbato sull'istanza del 18 giugno 2020, inviata a mezzo pec dal ricorrente in pari data, recante la richiesta di accesso ai seguenti documenti: 1) Rapporto riserve / impieghi relativo agli esercizi 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018, 2019;
2) Mastrini contabili e flussi finanziari dei “conti di servizio interni” usati per le operazioni di prestito ed impiego alla clientela nei medesimi esercizi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Unicredit s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2020 il dott. S Celeste Cozzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, azionista di Unicredit s.p.a. (società che come noto svolge attività bancaria), in data 18 giugno 2020, ha inoltrato a tale società un’istanza di accesso agli atti ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990. L’istanza aveva ad oggetto la seguente documentazione: a) rapporto riserve/impieghi relativo agli esercizi 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018, 2019;
b) mastrini contabili e flussi finanziari dei “conti di servizio interni” usati per le operazioni di prestito ed impiego alla clientela nei medesimi esercizi.

Attraverso l’esame di tale documentazione, il ricorrente intendeva verificare la correttezza dei dati contenuti nel bilancio relativo all’esercizio 2013 il quale, a suo dire, non avrebbe correttamente contabilizzato alcune poste attive con conseguente alterazione del risultato economico.

Non avendo Unicredit s.p.a. dato riscontro all’istanza nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 25, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, l’interessato ha proposto il presente ricorso con il quale chiede che venga accertata l’illegittimità del silenzio serbato e la condanna della società alla consegna della documentazione richiesta.

Si è costituita in giudizio, per opporsi all’accoglimento delle domande avverse, Unicredit s.p.a.

La causa è stata trattenuta in decisione in esito alla camera di consiglio telematica del 17 novembre 2020, tenutasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato per le ragioni di seguito esposte.

Stabilisce l’art. 23, primo periodo, della legge n. 241 del 1990 che il diritto di accesso previsto e disciplinato da tale legge <<…si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi>>.

La definizione di pubblica amministrazione ai fini dell’applicazione della normativa in materia di accesso viene fornita dal precedente art. 22, primo comma, lett. e), della stessa legge, il quale stabilisce che ai suddetti fini debbono considerarsi pubblica amministrazione, non solo tutti i soggetti di diritto pubblico, ma anche quelli di diritto privato limitatamente però <<…alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario>>.

Siccome nel caso concreto l’istanza di accesso agli atti è stata rivolta nei confronti un soggetto privato (la natura privatistica di Unicredit s.p.a. non è infatti contestata in questa sede), per risolvere la presente controversia occorre stabilire cosa abbia voluto intendere il legislatore per “attività di pubblico interesse” e, più in particolare, occorre stabilire se l’attività bancaria possa essere ascritta, ai fini che qui rilevano, a tale categoria.

Per rispondere al quesito occorre osservare che l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la fondamentale sentenza n. 4 del 22 aprile 1999, ha chiarito che l’istituto del diritto di accesso, disciplinato dagli artt. 22 e segg. della legge n. 241 del 1990, dà attuazione ai principi contenuti nell’art. 97 Cost., il quale, come noto, stabilisce che l’attività amministrativa deve uniformarsi ai principi di buon andamento ed imparzialità. La trasparenza dell'attività amministrativa (che il diritto di accesso indubbiamente garantisce) ne favorisce infatti lo svolgimento imparziale e permette un miglior perseguimento dell’interesse pubblico.

Se questa è la premessa, si deve ritenere che quando il legislatore – all’art. 22, primo comma, lett. e), della legge n. 241 del 1990 – parla di “attività di pubblico interesse”, egli si riferisce all’attività amministrativa svolta dai soggetti privati, e ciò in quanto solo questa attività rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 97 Cost. (e non dell'art. 41, sulla libertà dell'iniziativa economica).

A questo punto va rilevato che l’elemento che connota l’attività amministrativa è il fatto che essa è diretta al soddisfacimento dell’interesse pubblico.

Anche ai soggetti privati, in particolari casi, viene affidato il compito di svolgere attività finalizzata, non solo al perseguimento dell'interesse loro proprio, ma anche al soddisfacimento di interessi della collettività (tipico esempio sono i gestori di pubblico servizio). In questo caso l’attività svolta, sebbene regolata dalle norme di diritto privato, assume rilievo pubblicistico e si qualifica come attività amministrativa che si deve attenere ai principi della trasparenza e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Ed è proprio in questo caso che diviene applicabile la normativa contenuta negli artt. 22 e segg. della legge n. 241 del 1990 in materia di diritto d’accesso.

Affinché possa parlarsi di attività amministrativa svolta da soggetti privati e sia quindi possibili esercitare nei loro confronti il diritto di accesso, non è pertanto sufficiente che tale attività abbia notevole rilevanza economico-sociale;
né è sufficiente che il legislatore – proprio in ragione di tale rilievo – abbia inteso regolarla e sottoporla a controllo in modo da assicurare che la stessa non si eserciti in contrasto con l’interesse pubblico. Come detto, quello che invece rileva è il fatto che al soggetto privato sia stato affidato il compito specifico di svolgere un’attività finalizzata anche al soddisfacimento dell’interesse pubblico giacché, come ha chiarito anche la successiva giurisprudenza, è proprio in ragione degli interessi pubblici perseguiti che l'obbligo pubblicistico di esibizione dell'atto diviene compatibile con la veste privatistica del soggetto che ne è gravato (cfr. Consiglio di Stato, ad plen., 5 settembre 2005, n. 5).

Ciò premesso, si deve osservare che, ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), l'attività bancaria consiste nella raccolta del risparmio dal pubblico e nell'esercizio del credito ed è esercitata, ai sensi del successivo art. 14, primo comma, lett. a), da soggetti costituiti in forma di società per azioni o società cooperative per azioni a responsabilità limitata, autorizzati dalla BCE su proposta della Banca d'Italia (art. 14, comma 2, TUB) ed inscritti in apposito albo (art. 13 TUB). L’attività bancaria – nonostante il suo grande rilievo socio-economico che ha spinto il legislatore a regolarla ed a sottoporla al controllo della Banca d’Italia secondo le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 385 del 1993 – rimane pertanto pur sempre un’attività imprenditoriale svolta in regime di libera concorrenza con gli strumenti del diritto comune: la società privata che la esercita non è affatto tenuta al perseguimento dell’interesse pubblico ma, come ogni società commerciale che svolge attività imprenditoriale, persegue esclusivamente l’interesse proprio alla massimizzazione dei profitti.

Ne consegue che il soggetto privato che svolge tale attività non può essere considerato una “pubblica amministrazione”, neppure in base alla definizione allargata che ne dà l’art. 22, primo comma, lett. e), della legge n. 241 del 1990. Non può quindi ritenersi che nei suoi confronti possa esercitarsi il diritto di accesso agli atti previsto e disciplinato da tale legge (in questo senso T.A.R. Abruzzo L'Aquila, sez. I, 7 maggio 2015, n. 335).

Per tutte queste ragioni va ribadita l’infondatezza del ricorso in esame che deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

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