TAR Catania, sez. IV, sentenza 2017-07-12, n. 201701762

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2017-07-12, n. 201701762
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201701762
Data del deposito : 12 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/07/2017

N. 01762/2017 REG.PROV.COLL.

N. 02624/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2624 del 2006, proposto da:
San Giorgio Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati C M e V R, con domicilio eletto presso lo studio Jelo Massimiliano Maria in Catania, via V.E. Orlando, 26;

contro

Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Messina, in persona del Prefetto p.t.;

,Ministero dell'Interno, in persona del Ministro legale rappresentante p.t.,
Ministero delle Attivita' Produttive –Direzione Generale Incentivi alle Imprese, in persona del Ministro legale rappresentante p.t., tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, ed ivi domiciliati in via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

previa sospensiva,

del Decreto prot. n. 6977 del 10/04/2006 del Ministero delle Attivita' Produttive, di revoca del precedente Decreto n. 118648 del 19/07/2002 di concessione di agevolazioni finanziarie ex L. n. 488/1992;

della nota prot. n. 5202, Area Sic. I del 25/11/2004 del Prefetto di Messina;

ove occorra, della Circolare n. 559 del 18/12/1998 del Ministero dell’Interno;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Attivita' Produttive – Direzione Generale Incentivi alle Imprese, del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Messina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società San Giorgio s.r.l. conseguiva il diritto a vedersi corrisposta la somma complessiva di euro 580.098,00, in tre quote annuali ciascuna pari a 193.366,00 euro, dal Ministero dello Sviluppo Economico a titolo di agevolazioni alle attività produttive nelle aree depresse del Paese, come da decreto di concessione a titolo provvisorio n. 118648 del 19/07/2002. Successivamente però la banca concessionaria Europrogetti &
Finanza s.p.a., in esito alla ricezione della nota del 25/11/2004 della Prefettura di Messina da quest’ultima adottata a norma dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 (e sul presupposto della ivi comunicata sussistenza di pericoli di infiltrazione mafiosa nella società San Giorgio s.r.l.), ciò rappresentava al Ministero dello Sviluppo Economico con nota del 21/12/2004;
alla quale faceva seguito, da parte di quest’ultimo, dapprima la comunicazione - con atto prot. n. 1071796 del 08/07/2005 - dell’avvio del procedimento di revoca del sopra menzionato finanziamento, e quindi – con atto prot.n. 6977 del 10/04/2006 – la revoca del decreto con il quale esso era stato concesso, in uno con la richiesta di restituzione delle somme frattanto erogate in sua conformità alla società San Giorgio s.r.l. per l’importo di euro 193.366,00.

La società San Giorgio s.r.l., agendo a mezzo del proprio legale rappresentante, impugnava il provvedimento menzionato da ultimo – in uno con il provvedimento prot. n. 5202 del 25/11/2004 del Prefetto di Messina e, ove e per quanto dovesse occorrere, la Circolare del Ministero dell’Interno n. 599 del 18/12/1998 - con ricorso notificato il 13/09/2006 e depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito il 29/09/2006.

Le Amministrazioni intimate si costituivano in giudizio pel tramite del competente ufficio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con memoria depositata in segreteria il 06/10/2006.

La domanda cautelare incidentalmente proposta con il ricorso in epigrafe veniva rigettata con ordinanza n. 1599/2006 della Sezione, confermata in grado d’appello dalla ordinanza n. 283/2007 del CGA.

In data 08/06/2017 aveva luogo la udienza pubblica fissata per il suo esame, con successiva remissione in decisione dello stesso.

I – Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato (in via principale) sia stato adottato facendo utilizzo del provvedimento prot. n. 5202 del 25/11/2004 della Prefettura di Messina oltre il termine massimo di 6 mesi previsto dal primo comma dell’art. 2 del D.P.R. n. 252/1998.

Ma per quanto una interpretazione strettamente letterale della predetta norma sembrerebbe supportare la tesi del ricorrente – la dov’essa afferma che “ la documentazione prevista dal presente regolamento è utilizzabile per un periodo di sei mesi dalla data del rilascio, anche per altri procedimenti riguardanti i medesimi soggetti ” -, è il diritto vivente che invece la sconfessa. Infatti “ l'art. 2 comma 1, d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, nella parte in cui afferma che la documentazione antimafia è utilizzabile soltanto per sei mesi dal rilascio, intende riferirsi ai soli casi di documentazioni negative, vale a dire attestanti che non risultano infiltrazioni della criminalità organizzata, e non già anche casi di documentazioni positive, le quali conservano pertanto la loro capacità interdittiva anche oltre quel termine ” (Consiglio di Stato, sez. III, 02/12/2014, n. 5955);
giacchè “ è ragionevole, e conforme a proporzionalità, considerare che la situazione di rischio di infiltrazioni, che non è costituita ma solo manifestata da singoli e rilevati episodi, si può considerare davvero fugata non già per il mero e formale successivo trascorrere di un breve lasso di tempo dall'ultima verifica fatta, quanto per la necessità che siano sopravvenuti e accertati fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti cui era stato collegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri un avvenuto discostamento dalla situazione prima rilevata. Ne consegue, per non derogare senza base alla ragione e alla finalità della legge, che quando l'art. 2, comma 1, d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 afferma che la documentazione è utilizzabile solo per sei mesi dal rilascio, intende riferirsi ai soli casi di documentazioni negative, vale a dire che attestino che non risultano infiltrazioni della criminalità organizzata, e non già — come è nella specie — anche casi di documentazioni positive: queste conservano pertanto la loro capacità interdittiva anche oltre quel termine ”(Consiglio di Stato, sez. VI, 30/12/2011, n. 7002). Ma poiché nel caso di specie la nota prot. n. 5202 del 25/11/2004 della Prefettura di Messina è relativa ad una “ documentazione positiva ”, il Collegio, uniformandosi all’esegesi di cui sopra, ritiene irrilevante l’utilizzazione della stessa pur oltre il termine di cui al primo comma del D.P.R. n. 252/1998, respingendo pertanto il presente motivo di ricorso.

II – Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che è opportuno esaminare congiuntamente, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L. n. 575/1965, 4 del D.Lgs. n. 490/1994 e 2, comma 3, del D.P.R. n. 252/1998, nonché il sussistere vizi di eccesso di potere per lesione del principio del legittimo affidamento, per difetto dei presupposti e carenza di motivazione ed adeguata istruttoria.

La tesi della società ricorrente si incentra sulla circostanza che il pericolo di infiltrazione mafiosa nella società ricorrente sarebbe stato desunto dalla pericolosità sociale del Sig. J D, malgrado questi fosse titolare di una quota di partecipazione alla predetta società pari al 15%, e non rientrasse nel novero degli amministratori della stessa.

Il Collegio non ritiene fondata la doglianza della società ricorrente per un duplice ordini di motivi.

In primo luogo non sussiste il postulato indissolubile connubio fra capacità di influenzare le scelte gestionali di un operatore economico costituito in società di capitali e titolarità di cariche sociali e/o titolarità di quote maggioritarie di partecipazione allo stesso, “ atteso che la circostanza che il socio di maggioranza muova le leve della gestione sociale non esclude "ex se" che il socio di minoranza possa avere una influenza, quanto meno di fatto, sulla conduzione dell'impresa ”( Consiglio di Stato, sez. III, 21/07/2014, n. 3873).

In secondo luogo, appare assolutamente congrua l’attività istruttoria svolta dagli uffici della Prefettura di Messina prima di rilasciare la nota prot. n. 5202 del 25/11/2004, della quale un utilizzo altrettanto corretto e congruente ha poi fatto l’intimato Ministero dello Sviluppo Economico.

Infatti il socio di minoranza Sig. J D non soltanto è stato colpito da due ordinanze cautelari di arresto per il delitto di associazione mafiosa, ma altresì dalla sentenza di condanna della Corte di Assise di Messina n. 1/2005 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. E’ quindi evidente che il valore sintomatico (in negativo) attribuito dalla Prefettura di Messina alle due ordinanze di custodia cautelare in carcere adottate nei confronti del socio di minoranza J D è stato confermato dal successivo accertamento compiuto dai competenti organi giurisdizionali dello Stato, non lasciando adito a dubbi circa lo spessore criminale di tale soggetto, e dunque circa la sua idoneità a veicolare all’interno della compagine societaria interessi estranei alla sana gestione economica dell’azienda.

Con più analitico riguardo ai singoli motivi di censura, si precisa che gli stessi sono stati formulati considerando il provvedimento ministeriale impugnato quale un provvedimento amministrativo di revoca in senso proprio, espressione di un ampio potere discrezionale dell’Amministrazione sua autrice. Rileva in contrario il Collegio che, come correttamente evidenziato dall’Avvocatura dello Stato in memoria del 22/04/2017, esso è stato adottato “ in attuazione di quanto disposto dal D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 ”: e quindi nell’esercizio di un potere vincolato rispetto al quale non sussiste alcun interesse antagonista privato da ponderare mediante un giudizio i cui termini debbano esser resi comprensibili attraverso una congrua motivazione, così come risulta in modo chiaro dal combinato disposto del secondo comma dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 (alla cui stregua “ quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni ”) e del terzo comma dell’art. 11 del medesimo D.P.R. (alla cui stregua “ le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto ”).

Il Collegio rigetta pertanto interamente, in base alle sopra esposte considerazioni, il secondo ed il terzo motivo del ricorso in epigrafe – con riguardo a quest’ultimo, (anche) in relazione alle censure di carenza di istruttoria e di motivazione e di lesione del principio del legittimo affidamento.

III – Con il quarto motivo di ricorso la società ricorrente imputa all’intimato Ministero una violazione dell’art. 11 del D.P.R. n. 252/1998 nella parte in cui non avrebbe comunque “ fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite ” in favore della stessa.

Osserva in contrario il Collegio che quella norma, al suo secondo comma, prevede che – nell’ipotesi del sopravvenire in un successivo torno di tempo di una informativa antimafia positiva – “ l'amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite ”. La norma, al contrario di quanto pretenderebbe la società ricorrente, non detta una disciplina generale applicabile tanto alla revoca (delle autorizzazioni e delle concessioni) e al recesso (dai contratti): essa infatti fa espressamente riferimento alla “ esecuzione ”, che può logicamente ritenersi riguardare esclusivamente gli immediatamente prima menzionati “ contratti ”;
ovvero soltanto rapporti giuridici di fonte negoziale, e non (anche) atti autoritativi che, di per sé, non creano alcun rapporto (almeno in senso proprio: prescindendo cioè dal più generico dovere di vigilanza in capo alla P.A. autrice dell’atto…) fra l’amministrazione ed il privato, limitandosi (nel caso delle autorizzazioni) a rimuovere un limite all’esercizio di poteri giuridici (già) attribuiti ad un soggetto dell’ordinamento, o (nel caso delle concessioni) ad attribuirne taluni a titolo particolare ad un determinato soggetto giuridico.

IV – Con il quinto motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5 quinquies L. n. 241/1990.

Ma come il Collegio ha già rilevato al punto 2 della presente decisione, nel caso di specie l’Amministrazione non ha esercitato alcun potere discrezionale, essendosi piuttosto limitata ad accertare, con un provvedimento a carattere vincolato, che il finanziamento “ corrispost (o) sotto condizione risolutiva ” in assenza di una preventiva espressa pronuncia del Prefetto competente per ragioni di territorio in base al primo periodo del secondo comma del D.P.R. menzionato subito appresso, era definitivamente venuto meno all’efficacia giuridica a norma del terzo comma dell’art. 11 del D.P.R. n. 252/1998, alla cui stregua “ le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto ”.

V - Il Collegio, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe, statuendo sulla refusione delle spese di lite fra le parti secondo soccombenza.

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