TAR Torino, sez. II, sentenza 2022-12-21, n. 202201172
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Pubblicato il 21/12/2022
N. 01172/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00502/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 502 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Enel Green Power Spa e Enel Green Power Italia Spa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati U P e E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Bernardino Verbano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F D P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato P C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Provincia del Verbano Cusio Ossola, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- della deliberazione del Consiglio Comunale di San Bernardino Verbano n. 11 del giorno 23 marzo 2021 notificata a mezzo PEC con nota prot. 1155 in data 2 aprile 2021, avente ad oggetto “Reintegra di beni di uso civico nel possesso comunale (art. 13, comma 1, lett. D)”;
di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e consequenziali, e specificamente:
- della delibera di Giunta n. 200 del 28/10/1996 con cui il Comune di san Bernardino Verbano ha affidato al geom. R L l'incarico di individuare i beni di uso civico nel Comune;
- della Delibera di G.R. n. 47-20722 del 7/071997 con cui la Regione Piemonte ha conferito al medesimo geom. R L l'incarico di Perito Istruttore per la riapertura delle operazioni di accertamento demaniale per la definizione della consistenza, corretta ubicazione e stato possessorio dei beni vincolati ad uso Civico del Comune di San Bernardino Verbano;
- dell'accertamento e degli elaborati tecnici relativi all'incarico ricevuto consegnati dal Perito Istruttore in data 10 settembre 1999;
- del Decreto del Presidente della Giunta Regionale del Piemonte 27.06.2016 n. 8/R recante “Norme di attuazione della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29 (Attribuzioni di funzioni amministrative e disciplina in materia di usi civici)”;
- della Deliberazione della Giunta Regionale Piemonte 5 ottobre 2018, n. 17-7645, recante “Parametri economici per la conciliazione stragiudiziale in materia di usi civici, ai sensi dell'art. 10, comma 2, della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29. Revoca della D.G.R. 5-2484 del 29 luglio 2011”;
- di ogni altro atto menzionato o presupposto espressamente o implicitamente nella delibera di C.C. impugnata n. 11 del 2021.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 16 maggio 2022:
- delibera di G.R. n. 47-20722 del 7/071997 con cui la Regione Piemonte ha conferito al geom. R L l’incarico di Perito Istruttore per la riapertura delle operazioni di accertamento demaniale per la definizione della consistenza, corretta ubicazione e stato possessorio dei beni vincolati ad uso Civico del Comune di San Bernardino Verbano, unitamente ai suoi atti presupposti, non conosciuti nel loro testo effettivo, e in particolare della
- delibera di Giunta comunale n. 200 del 28/10/1996 con cui il Comune di san Bernardino Verbano ha affidato al geom. R L l’incarico di individuare i beni di uso civico nel Comune;
- nota del Sindaco del Comune di S. Bernardino Verbano in data 06.03.1997 prot. n. 884, menzionata nell’atto impugnato in via principale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Bernardino Verbano e della Regione Piemonte;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il dott. M F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Enel Green Power Italia srl, subentrata dal 19.12.2019 alla ENEL Green Power SpA nei rapporti oggetto del presente ricorso, è proprietaria e gestisce un impianto idroelettrico denominato “Rovegro”, situato su terreni nel territorio comunale di San Bernardino Verbano (meglio identificato al C.T. F. 6, p.le 8 e altre, ed al C.E.U. Fg.6 p.le 8, 393, 398, 412, 413, 415, 416, 417, 418, 419, 422 -fg.10 p.le 103, 104, fg.12 p.le 822, 824, 825, 826, fg.15 p.le 36, 37, 38 -fg.17 p.le 39, 40, 41, 42, 43, 44 - fg.18 p.le 315, 368, 369, 370-fg.19 p.le 132, 135, 165, 166, 167, 168, 169, 130 - fg.6 p.le 421, 12).
Il Comune e la Regione Piemonte hanno avviato (con DGC n. 200 del 28.10.1996 e DGR n. 47-20722 del 7.07.1997) un percorso di accertamento demaniale sui terreni di uso civico mediante incarico a professionista esterno (il Comune ha preso atto dell’esito di tale lavoro con DCC n. 45 del 22.11.1999).
Con particolare riferimento ai cespiti di cui sopra è stato dato avvio alla procedura per la reintegra di parte dei terreni gravati da uso civico con tentativo di esperimento di conciliazione stragiudiziale (con DCC n. 10 del 26.03.2009, DGC n. 39 del 21.04.2009 e, successivamente, con DD n. 38 del 16.04.2019).
Al termine di tale lavoro il Comune ha determinato le somme per la definizione in via conciliativa della concessione dei beni alternativa alla reintegra (così definite: indennizzo per occupazione pregressa 49.465,00 euro;corrispettivo legittimazione diritto di superficie 98.145,00 euro;canone di concessione, anni 2019/2049, 80.441,00 euro/anno;compenso per la perdita dei frutti 756,00 euro).
Dopo aver avviato il procedimento amministrativo di reintegra (ai sensi dell’art. 17 del DPGR n. 8/R e dell’art. 7 della L 241/90) Enel Green Power s.r.l. proponeva la transazione della vertenza basata sulla: 1) prescrizione dei canoni pregressi relativi alle ultime cinque annualità;2) assunzione del valore venale del terreno pari ad 1 euro.
Il Comune, dopo aver deliberato il non accoglimento della controproposta conciliativa della Società (DGC n. 69 del 13.11.2020), con DCC n. 11 del 23.03.2021 (notificata il 02.04.2021) deliberava la reintegra dei beni in questione.
2. Avverso la delibera, nonché gli atti comunali e regionali presupposti, le Società hanno notificato ricorso in data 28.05.2021, ritualmente depositandolo avanti questo Tribunale, con il quale lamentano in cinque distinti motivi violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere, ed instano per il rilascio di misure cautelari.
Per resistere al gravame si è costituita la Regione Piemonte (il 02.07.2021).
Questo Tribunale, con ordinanza n. 265/2021, ha accolto l’istanza cautelare.
Successivamente si è costituito il Comune (il 09.09.2021), che ha altresì eccepito inammissibilità per difetto di giurisdizione. Ha fatto seguito il deposito di memoria delle ricorrenti (il 21.04.2022), del comune (il 22.04.2022) e delle rispettive repliche (il 02.05.2022 ed il 04.05.2022).
Le società interessate, con ricorso per motivi aggiunti notificato il 16.05.2022, impugnando la DGR n. 47-20722 del 7.07.1997 e la DGC n. 200 del 28.10.1996 già oggetto del ricorso originario, articolano un ulteriore motivo di ricorso.
E’ seguito il deposito di memoria dell’amministrazione (il 21.10.2022) e delle repliche di entrambe le parti (il 21.10.2022 e il 31.10.2022).
All’udienza pubblica del 22 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione, previa segnalazione, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., dei profili di inammissibilità per difetto di giurisdizione in ordine alle censure riguardanti la quantificazione del canone, come specificato nel verbale.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il Collegio preliminarmente non ritiene fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione sollevata dal Comune.
Quest’ultimo sostiene che, essendo contestato l’intero procedimento di accertamento della “ qualitas ” dei terreni occupati senza titolo dalle ricorrenti (e non solo il provvedimento di reintegrazione in ragione dell’esito negativo della conciliazione stragiudiziale), la giurisdizione spetti al Commissario liquidatore degli usi civici.
Sul punto basti citare la giurisprudenza riportata nella memoria di parte, espressione di un consolidato orientamento, secondo la quale occorre affermare la “ giurisdizione del Commissario agli usi civici, che è l'autorità giurisdizionale competente, ai sensi della L. 16 dicembre 1927, n. 1766, art. 29, in ordine a tutte le controversie circa l'esistenza, la natura e la estensione dei diritti di uso civico, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo (Cass. 17668/03). A partire da SU 6689/95 è stato infatti definitivamente chiarito che "nella giurisdizione del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici - prevista dal citato art. 29 - rientrano le controversie concernenti l'accertamento dell'esistenza, della natura e dell'estensione dei diritti di uso civico, ovvero della qualità demaniale del suolo, nonchè le questioni relative alla rivendicazione, intesa come attività diretta al recupero dei suddetti terreni per consentire il pieno e pacifico esercizio del godimento degli usi civici da parte della collettività beneficiarla, ogni qual volta attengano a controversie aventi ad oggetto l'accertamento tra i titolari delle rispettive posizioni soggettive e debbano essere risolte con efficacia di giudicato. Relativamente alle menzionate controversie, la giurisdizione del Commissario sussiste ogni qualvolta la soluzione delle questioni afferenti alle materie elencate si pone come antecedente logico-giuridico della decisione, cosicchè la decisione relativa alla titolarità o alla estinzione degli usi civici, ovvero alle conseguenze della cessione o dell'espropriazione dei terreni soggetti ad usi civici, come antecedente logico necessario, suppone la valutazione e la pronunzia in merito alla "qualitas soli " (Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 07/05/2014, n. 9829).
Come già affermato da questo Tribunale, la giurisdizione del Commissario si pone quando il petitum formulato e la causa petendi dell’intero gravame si pongono necessariamente in correlazione alla “ qualitas soli ” delle aree coinvolte, di cui in sostanza si chiede l’accertamento (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 23.03.2021, n. 328).
Nel caso di specie non si controverte della natura del bene né si mette in discussione il relativo procedimento di accertamento. Viene contestato l’iter procedimentale che ha condotto al provvedimento di reintegra, censurandone i presupposti amministrativi, competenza e modalità di esercizio dei relativi poteri. Vengono inoltre censurati provvedimenti a carattere generale quali il DPGR n. 8/R/2016 (regolamento recante Norme di attuazione della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29) e la DGR 17-7645/2018 (recante Parametri economici per la conciliazione stragiudiziale in materia di usi civici, ai sensi dell'art. 10, comma 2, della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29) con riferimento alla legittimità della delibera comunale che dispone la reintegra. Ciò consente di qualificare il petitum del ricorso in una azione caducatoria attinente all’illegittimità diretta e derivata di provvedimenti amministrativi a fronte di interessi legittimi dei ricorrenti.
Salvo quanto si dirà sul terzo motivo, la giurisdizione è del giudice amministrativo e quindi l’eccezione non può essere condivisa.
3.2 Con una seconda eccezione il comune contesta l’irricevibilità del ricorso per tardività con riferimento agli atti presupposti alla DCC n. 11/2021, anch’essi impugnati. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame dell’eccezione in considerazione dell’esito nel merito del ricorso.
4. Con il primo ed il quarto motivo di ricorso originario e l’unico motivo del ricorso per motivi aggiunti, trattati unitamente per ragioni di connessione oggettiva, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 1766/1927, dell’art. 30 r.d. n. 332/1928 e del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost;della LRP n. 29/2009 e della LRP n. 23/2015 e del principio tempus regit actum; incompetenza;eccesso di potere, omessa motivazione ed illegittimità derivata.
In sostanza le ricorrenti censurano la DCC n. 11/2021 (nonché le sopra richiamate presupposte DGC 200/1996, DGR n. 47-20722/1997 e DCC n. 45/1999) sostenendo che il potere di reintegra non poteva essere esercitato, non essendo legittimo l’accertamento della demanialità avvenuto mediante incarico a perito esterno affidato dal Comune. Sostengono che anche dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di usi civici, avvenuto con DPR n. 616/1977, in assenza di specifica legge regionale (intervenuta per il Piemonte solo nel 2009), all’epoca dei fatti (nel 1996) era in vigore la normativa nazionale sugli usi civici (L. n. 1766/1927), che riservava al Commissario, organo del Ministero dell’Agricoltura, ogni potere di accertamento in materia. Tutti gli atti della sequenza procedimentale pertanto sarebbero illegittimi in via derivata per incompetenza.
L’accertamento della demanialità dei beni, inoltre, sarebbe illegittimo in quanto non approvato dalla Regione (in veste di Commissario agli usi Civici), ai sensi dell’art. 30 del RD n. 332/1928.
Con il quinto motivo la censura si estende alla non conformità del percorso procedimentale seguito alla emanazione della LRP n. 29/2009 (recante Attribuzioni di funzioni amministrative e disciplina in materia di usi civici ), così come modificata dalla LRP n. 23/2015. Le ricorrenti sostengono che, secondo l’ordinamento regionale, l’accertamento demaniale spetterebbe alla Regione in via generale. Il Comune potrebbe procedere all’accertamento ma solo laddove ottenga che le relative “risultanze siano approvate dalla Regione sotto il profilo della legittimità della procedura”, passaggio che nel caso di specie sarebbe mancato.
I motivi non meritano accoglimento.
Con riferimento al primo ordine di questioni è pacifico che le competenze e le funzioni amministrative (riservate dalla L. n. 1766/1927 al Commissario statale per gli usi civici) siano state trasferite alle regioni ad opera dell’art. 66 del D.P.R. n. n. 616/1977.
Basti a tale scopo richiamare quanto riconosciuto da pacifico orientamento giurisprudenziale secondo il quale “ a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha disposto il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative, tra l'altro, in materia di usi civici, ivi comprese quelle già attribuite al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, deve ritenersi sottratta a quest'ultimo ogni competenza in detta materia, ivi compresa quella di attestazione dell'appartenenza di terreni al regime dei beni di uso civico ” (Cass. civ. Sez. III, 24/02/2000, n. 2092). Ed ancora è stato sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale che “ non spettava allo Stato, e per esso al Commissario regionale per il riordino degli usi civici in Abruzzo, dichiarare la legittimazione delle occupazioni abusive dei terreni gravati da usi civici, né determinare la somma di denaro che l'occupante abusivo doveva versare per potersi giovare della legittimazione, con la conseguenza che deve essere annullata la sent. n. 25 emessa dal Commissario suddetto il 21 ottobre 2005. Infatti, considerato che il procedimento per la legittimazione delle occupazioni abusive di terreni gravati da usi civici ha natura amministrativa e non giurisdizionale, le funzioni in materia sono state trasferite alle Regioni dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nell'ambito del complessivo trasferimento di funzioni amministrative precedentemente spettanti allo Stato: pertanto, il Commissario ha esorbitato dai limiti che competevano alla sua funzione giurisdizionale, così invadendo la sfera di attribuzioni riservata alla Regione ” (Corte cost. Sent., 20/02/2007, n. 39).
Il percorso amministrativo seguito dal Comune e dalla Regione, pertanto, risulta legittimo sotto il profilo della competenza generale dei poteri esercitati.
Passando al secondo ordine di censure, vale a dire alle contestate specifiche competenze comunali, il Collegio evidenzia che la LRP n. 29/2009, così come modificata dalla LRP n. 3/2015 nonché dalla LRP n. 4/2018, prevede, all’art. 4, comma 2, che “ Competono inoltre alla Regione: a) l'accertamento dell'esistenza di diritti di uso civico fatta salva la competenza giurisdizionale del Commissariato usi civici prevista dalla legge […] ”. All’art. 6 dispone che sono trasferite al Comune le funzioni in materia di “[…] c) … reintegrazione nel possesso di beni gravati da uso civico oggetto di occupazione abusiva non regolarizzata o non regolarizzabile acquisito il parere favorevole dell'ASBUC frazionale se esistente;[…] b) … conclusione della conciliazione stragiudiziale per occupazione di terreni gravati da uso civico senza titolo o senza valido titolo ”.
I processi conciliativi inoltre sono soggetti ad autorizzazione regionale, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge, ma l’art. 4 dispone, al comma 1 lett. c), che il Comune può procedere alla conclusione della conciliazione indipendentemente dall’autorizzazione.
Ciò premesso, nel caso di specie emerge che l’attività di accertamento dell'esistenza di diritti di uso civico è stata condotta dalla Regione, a mezzo del citato incarico a perito esterno conferito con DGR 47-20722 del 1997 (cfr. doc. n. 1 allegato alla memoria regionale).
Nel provvedimento regionale di conferimento dell’incarico risulta pacifico che l’accertamento sia stato gestito nell’ambito delle competenze riconosciute all’amministrazione. Vi si legge, infatti, che: “ Rilevato che il suddetto Comune, avendo necessità di conoscere complessivamente la natura del territorio, ha richiesto la nomina di un perito istruttore per redigere un censimento delle terre soggette ad uso civico, designando all'uopo il Geom. R L, così come risulta dalla nota del Sindaco del Comune di S. Bernardino Verbano in data 06.03.1997 prot. n. 884;
Visto il disposto di cui all'art. 66 del D.P.R. 616/77 con cui "sono trasferite alle regioni tutte le funzioni amministrative relative alla liquidazione degli Usi Civici, allo scioglimento delle promiscuità, alla verifica delle occupazioni ed alla destinazione delle terre d'uso civico e delle terre provenienti da affrancazioni, ivi comprese le nomine di periti ed istruttori per il compimento delle operazioni relative e la determinazione delle loro competenze";
Ravvisata l'opportunità, di procedere alla nomina di un perito istruttore su designazione del Comune;
Vista la deliberazione n. 200 del 28 ottobre 1996, esecutiva ai sensi di Legge, con cui il Comune di S. Bernardino Verbano (VCO) ha designato quale perito istruttore per l'accertamento in oggetto, il Geom. R L con studio in Verbania (VCO) - C.so Cairoli n. 46, impegnando all'uopo la spesa di £. 13.839.108 (IVA e CCGN incluse);
Considerato, quindi, che è compito della Regione verificare e approvare l'accertamento assegnato al perito istruttore, nelle more di una legislazione regionale che disciplini anche tale attività;si è ritenuto dover procedere attraverso la stipulazione di apposita convenzione a regolare i rapporti fra Regione Piemonte, Comune di S. Bernardino Verbano e Geom. R L ”.
È pacifico, agli atti, che della chiusura delle operazioni di tale accertamento il Comune ha preso atto con la succitata DCC n. 45/1999 (non allegata agli atti ma richiamata nel provvedimento impugnato).
Le ricorrenti sostengono, sia nel ricorso principale che nei motivi aggiunti, che l’incarico in questione sarebbe stato conferito dal Comune a mezzo della delibera n. 200/1996 (non allegata ma richiamata nei provvedimenti citati). Dalla pacifica lettura degli atti di causa, invece, l’indicazione del perito da parte del Comune assume rilievo di mera designazione, mentre il conferimento dell’incarico è avvenuto con la delibera regionale sopra citata.
Anche laddove il provvedimento comunale costituisse formalmente conferimento di incarico e/o apertura delle operazioni di accertamento degli usi civici, lo stesso è stato superato dalla citata deliberazione regionale e le attività si sono concluse solo a seguito di tale ultimo provvedimento che non assume, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti anche nei motivi aggiunti, valore di ratifica di un provvedimento affetto da incompetenza, ma possiede una sua autonomia strutturale e motivazionale.
Anche per tale ragione il Collegio non ritiene di accogliere l’istanza istruttoria delle ricorrenti relativa alla produzione del testo della DGC n. 200/1996 nonché della nota del Sindaco del 6.03.1997 prot. n. 884 (menzionata nella delibera di G.R. n. 47-20722/1997), funzionali alla ricostruzione dell’istruttoria comunale e dei rapporti pregressi con il professionista;profili che, come si è detto, risultano irrilevanti per la decisione della presente controversia.
Il provvedimento regionale, inoltre, non menziona né sospensioni né riaperture di procedimenti di accertamento, come sostenuto in più parti nelle memorie delle ricorrenti, con ciò confermando una volta di più la sua autonomia rispetto alla citata delibera comunale n. 200/1996.
Non persuade infine la censura di carenza motivazionale con cui le ricorrenti, nei motivi aggiunti, censurano la DGR n. 47-20722/1997 per carenza motivazionale sostenendo che la scelta di individuare un perito su designazione comunale si presenterebbe come tutt’altro che opportuna, contrariamente a quanto motivato dalla Regione. Quest’ultima, nel rimettersi alla designazione comunale (operata nella più volte citata DGC n. 200/1996), accetta una indicazione pervenuta dall’ente con cui deve stipulare una convenzione (il cui schema è peraltro allegato alla delibera) e col quale deve collaborare, pur nella distinzione di ruoli e funzioni, ai fini delle operazioni di accertamento.
L’istruttoria regionale, pertanto, non risulta affetta né da irragionevolezza né dalla carenza motivazionale denunciata, risolvendosi questa parte del motivo in una censura puramente formale del provvedimento, rispetto alla quale, peraltro, risulta non agevole intravedere l’interesse sotteso.
L’operato del Comune appare in linea con quanto previsto dall’ordinamento nazionale e regionale poiché, a valle di operazioni di accertamento condotte sulla base di provvedimenti adottati dalla Regione, lo stesso ha avviato (già a partire dal 2009) i procedimenti per la conciliazione stragiudiziale nonché, inutilmente esperita quest’ultima, di reintegra (funzioni ad esso espressamente attribuite dalla legge regionale).
Per quanto precede, il primo ed il quarto motivo del ricorso originario e l’unico motivo del ricorso per motivi aggiunti non sono fondati.
5. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 1766/1927, della LRP n. 23/2015;incompetenza;eccesso di potere.
Le ricorrenti censurano in particolare i succitati provvedimenti (DGC n. 39/2009, DD 38/2019), con cui è stato avviato il procedimento di conciliazione ed affidato l’incarico al succitato professionista esterno, nonché gli atti, in esse citati, elaborati dal professionista (in particolare le relazioni di stima ed istruttorie sulla quantificazione degli importi e l’applicazione della relativa norma regionale) che hanno condotto alla reiezione della controproposta conciliativa delle Società, lamentandone l’incompetenza giuridica a svolgere funzioni che si sono tradotte in amministrazione attiva.
La doglianza non merita condivisione.
Come sopra evidenziato le operazioni di accertamento relative agli usi civici del Comune di San Bernardino Verbano sono state avviate dalla Regione con Delibera di G.R. n. 47-20722 del 7.07.1997. L’elaborato è stato depositato in Comune in data 10 settembre 1999 e dallo stesso approvato, come sopra evidenziato e pacificamente dedotto in giudizio dalle parti.
Nella delibera comunale n. 11/2021 si evidenzia, in modo non contestato dalle ricorrenti, che nell’ambito del procedimento di reintegra è stato esperito il tentativo di conciliazione sopra ricordato ma che lo stesso non è andato a buon fine poiché le controproposte della Società (riduzione delle somme a causa della prescrizione quinquennale dei canoni pregressi ed assunzione del valore venale del terreno a 1,00 euro) non sono state ritenute ammissibili.
La motivazione di tale inammissibilità richiama una memoria del perito incaricato (acquisita al protocollo comunale n. 3633 del 5.10.2020) ed evidenzia la contrarietà delle citate proposte alla normativa regionale e, in particolare, alle richiamate deliberazioni di Giunta. L’amministrazione utilizza tali considerazioni come supporto per il proprio iter motivazionale e prosegue il provvedimento con altre considerazioni sul valore venale dei beni, in ragione delle opere realizzate sui terreni in argomento dalle ricorrenti.
Dalla piana lettura dell’atto, pertanto, emerge che il contributo del professionista sia tutt’altro che quello di amministrazione attiva lamentato nel ricorso ma si ponga nei fisiologici confini di un supporto procedimentale, del tutto legittimo ed ordinariamente assunto in materie che richiedono attività e competenze tecniche. La motivazione del provvedimento, infatti, sebbene costruita sulle risultanze della consulenza ricevuta, è chiaramente riconducibile alla volontà dell’amministrazione comunale.
6. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della LRP n. 29/2009, del D.P.G.R. n. 8/R del 2016, della L. n. 1766/1927, dell’art. 2934 c.c. e dell’art 12 preleggi;eccesso di potere.
In particolare le ricorrenti contestano la quantificazione degli importi accertata dal Comune ed in particolare:
- il mancato riconoscimento della prescrizione quinquennale del canone concessorio (ai sensi dell’art. 2934), motivata dal Comune in ragione delle previsioni contenute nella DGR citata sulla quantificazione del mancato godimento del bene;
- la mancata applicazione dell’abbattimento pari al 80% sul valore scaturente dalla applicazione dei parametri economici di cui alla DGR citata, previsto dall’art. 10, comma 2 della LRP n. 29/2009.
Sul punto il Collegio ritiene che il motivo sia inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, cui peraltro appartiene la giurisprudenza citata nel ricorso a sostegno della tesi contraria, “ sono riservate, alla giurisdizione del giudice ordinario, solo quelle controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi, in materia di concessioni amministrative, con un contenuto meramente patrimoniale;è attratta invece, nella sfera di competenza del giudice amministrativo, la controversia che coinvolge la verifica dell'azione autoritativa della p.a. sull’intera economia del rapporto concessorio. In quest'ultima ipotesi, infatti la controversia ha per oggetto la qualificazione giuridica o la natura intrinseca dell'atto concessorio e non soltanto la misura del canone di concessione di un bene demaniale;tanto che le conseguenze patrimoniali (cioè la misura del canone) rispetto alla questione principale, sono meramente accessorie ” (Cons. Stato, 17/02/2004, sent. n. 657).
Più di recente è stato condivisibilmente sostenuto che “ in materia di concessioni amministrative di beni pubblici, il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. b), nell'attribuire la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fa espressamente salve le controversie aventi ad oggetto "indennità, canoni od altri corrispettivi", che restano assoggettate al regime generale, a seconda che involgano diritti soggettivi a contenuto patrimoniale o l'esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione dei canoni od alla debenza del rimborso;da ciò consegue che le controversie sull'"an" e sul "quantum" del canone pattuito convenzionalmente come corrispettivo di una concessione d'uso appartengono alla giurisdizione ordinaria, avendo ad oggetto diritti soggettivi a contenuto patrimoniale senza involgere la validità degli atti amministrativi che hanno condotto alla stipula della convenzione” (Cass. civ. Sez. Unite, 27/10/2020, n. 23591). Anche in tema di affrancazione di usi civici è stato riconosciuto che “ appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda avente a oggetto la determinazione dell'esatto ammontare della somma dovuta quale canone di legittimazione ed affrancazione, trattandosi di controversia circa l'esistenza, la natura e l'estensione di tali diritti, che, non attenendo in alcun modo alla contestazione della naturale demaniale delle aree, esula dalla giurisdizione speciale dei commissari per la liquidazione degli usi civici, mentre appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda avente a oggetto il risarcimento dei danni connessi alla mancata conclusione nei termini della procedura di affrancazione, trattandosi di controversia circa l'indebito ritardo nella definizione di un procedimento amministrativo, ricadente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a) n. 1, del d.lgs. n. 104 del 2010” (Cass. civ. Sez. Unite Ord., 10/02/2022, n. 4298).
Con il motivo in scrutinio si censurano esclusivamente profili che non attengono alla legittimità del percorso procedimentale, ai profili di competenza o ai vizi propri del potere discrezionale amministrativo esercitato ma alle operazioni di calcolo dell’indennità dovuta, nelle quali rientrano sia il computo dei termini prescrizionali sia l’applicazione delle percentuali di abbattimento dei parametri economici da riconoscere in sede conciliativa e, più in generale, nei percorsi di dismissione dei beni assoggettati ad uso civico.
Risulta pertanto evidente che tale profilo della controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario. Il motivo è pertanto inammissibile.
7. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della LRP n. 29/2009 della L. n. 1766/1927, degli artt. 41 e 97 Cost.
Le ricorrenti censurano la delibera comunale impugnata, il presupposto Regolamento regionale adottato con DPGR n. 8/R/2016 e la DGR 17-7645/2018 per contraddittorietà con la LRP n. 29/2009, in particolare nella parte in cui disciplinano i criteri per la quantificazione del valore del bene e la determinazione di quanto dovuto per l’occupazione.
Nel dettaglio si censura la previsione di un valore minimo delle migliorie (pari al 15%) per il calcolo del valore venale del bene. Le ricorrenti, in particolare, censurano la contraddittorietà del punto 3 della delibera regionale che, da un lato, ritiene di non considerare “il valore di quanto edificato sul terreno durante il periodo di occupazione” e, dall’altro, dispone che “tuttavia il valore del terreno, al lordo delle migliorie, non può essere inferiore al 15%del valore delle costruzioni”.
La censura, per come formulata, non persuade.
7.1 Il Collegio premette che all’interno del motivo di ricorso vengono formulate ulteriori plurime censure inerenti l’illegittimità della duplicazione tra indennizzo per occupazione pregressa e indennizzo del danno per mancato godimento, la previsione di un tasso di interesse fissato arbitrariamente al 3% (punto 7 della DGR), vizi connessi ad impropri richiami all’art. 936 cc. nonché l’affermazione, contenuta nella delibera comunale, circa la mancata contestazione dell’esistenza di diritto di uso civico da parte delle ricorrenti.
Tali doglianze sono da ritenere inammissibili poiché dedotte e non argomentate. Come noto “ nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l'inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell'obbligo, ex art. 40, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 104/2010, di specificità delle censure consegue, dunque, l'inammissibilità del ricorso proposto ” (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 16/04/2021, n. 273).
Inconferente, poi, risulta la censura relativa agli errati riferimenti all’art. 936 c.c. poiché, come condivisibilmente sostenuto dalla difesa comunale, l’amministrazione ha palesemente esercitato il potere di reintegra motivandolo in modo compiuto, con ciò potendosi escludere l’applicazione dell’art. 936 c.c. e sostenere l’irrilevanza, ai fini di possibili effetti invalidanti, dei richiami a tale norma.
7.2 Passando al resto delle censure contenute nel motivo in scrutinio, il Collegio rileva che l’art. 10 della LRP n. 29/2009, al comma 2, nel disciplinare le conciliazioni stragiudiziali in materia di usi civici, dispone che “ la conciliazione è conclusa sulla base dei parametri economici fissati con deliberazione della Giunta regionale, sentita la competente commissione del Consiglio regionale. Tali parametri assumono, quale valore di riferimento del terreno, la media tra il suo valore venale e il valore che avrebbe avuto nel caso avesse mantenuto la destinazione agro-silvo-pastorale, escluse le variazioni per addizioni e altri interventi migliorativi sopravvenuti durante l'occupazione. L'importo da pagare per sanare la pregressa occupazione del bene tiene conto di detto valore di riferimento incrementato dell'eventuale prelievo o compromissione delle risorse naturali durante l'occupazione e diminuito delle somme già pagate al comune, delle spese sostenute e delle eventuali ricadute positive per la comunità locale derivanti dall'uso del terreno;all'importo così determinato è applicato un abbattimento dell'80 per cento ”.
In punto di incrementi del valore venale del bene il DPGR n. 8/R/2016 (regolamento recante Norme di attuazione della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29 ) prevede, all’art. 32, che “ 1. Gli incrementi del valore venale del bene, dovuti a migliorie apportate allo stesso, debitamente documentate nella relazione e perizia di stima, sia in termini descrittivi che fotografici, sono determinati in coerenza a quanto riportato nei tariffari regionali di volta in volta applicabili;nel caso di spese per le quali il privato può produrre idonee pezze giustificative, gli importi relativi sono rivalutati secondo gli indici dei prezzi determinati annualmente dall’ISTAT.
2. Possono essere considerate incrementative del valore venale le sole spese relative ad opere a carattere permanente e sostanziale, quali, ad esempio, le bonifiche, la realizzazione di condotte e canali per l’irrigazione o la costruzione di muri di sostegno. Sono considerate incrementative del valore venale anche le spese per opere di urbanizzazione primaria. Non si tiene conto, in ogni caso, delle migliorie realizzate per la normale coltivazione annuale quali, ad esempio, gli impianti di irrigazione a goccia o comunque volanti oppure la posa di reti antigrandine .”
La DGR 17-7645/2018 (recante Parametri economici per la conciliazione stragiudiziale in materia di usi civici, ai sensi dell'art. 10, comma 2, della legge regionale 2 dicembre 2009, n. 29 ) prevede che “ il valore venale, al netto delle migliorie, è determinato ai sensi dell’art. 31 del Regolamento, n. 8/R del 27 giugno 2016 (nel seguito, per brevità “il Regolamento”) detraendo gli eventuali incrementi, rivalutati, apportati dalle opere migliorative di cui all’art. 32 del Regolamento;non si considera, a tal fine, il valore di quanto edificato sul terreno durante il periodo di occupazione, tuttavia il valore del terreno, al lordo delle migliorie, non può essere inferiore al 15% del valore delle costruzioni ” e che “ gli importi derivanti dall’applicazione dei parametri economici contenuti nella presente deliberazione sono da intendersi come minimi al di sotto dei quali non si può ritenere congrua la valutazione […] ”.
Nella DCC impugnata si legge che: “ il valore venale, al netto delle migliorie, è determinato ai sensi dell’art. 31 del Regolamento, n. 8/R del 27 giugno 2016 … detraendo gli eventuali interventi, rivalutati, apportati dalle opere migliorative di cui all’art. 32 del Regolamento ” […] “ non si considera, a tal fine, il valore di quanto edificato sul terreno durante il periodo di occupazione, tuttavia il valore del terreno, al lordo delle migliorie, non può essere inferiore al 15% del valore delle costruzioni ”[…];“ appare evidente che il valore proposto dalla società (1 euro/mq) risulta essere notevolmente inferiore al valore minimo ammesso dalla norma regionale il quale, dovendo questo essere superiore al 15% del valore di costruzione dei manufatti realizzati sulle terre civiche ”.
La delibera, così come il regolamento regionale, precisano che il valore di riferimento del terreno, in caso di indennizzo per la pregressa occupazione in caso di conciliazione stragiudiziale, è dato dalla media tra il valore agricolo e il valore venale del bene. Entrambi prendono in considerazione modalità di quantificazione del valore venale (o di commercio) del bene che deve essere calcolato (ai sensi dell’art. 31 del citato Regolamento) escludendo gli incrementi apportati dalle opere migliorative di cui all’art. 32 del medesimo regolamento.
Il riferimento al 15% del valore delle costruzioni (previsto nel testo della DGR impugnata) eventualmente presenti sul terreno non muta il calcolo del valore venale di cui sopra, ma costituisce un valore minimo di riferimento da attribuire al terreno medesimo a valle della individuazione del valore medio.
Le ricorrenti non censurano la quantificazione della percentuale di incremento ma l’idea stessa, presa in considerazione dalla DGR, di considerare che un terreno edificato non possa comunque avere un incremento di valore.
Il riferimento alle “costruzioni” presente nella norma regolamentare è utilizzato al solo scopo di quantificare contabilmente il valore minimo dei terreni e non può essere interpretato come l’introduzione, per via regolamentare, dell’onere di valorizzare le opere addizionali presenti sui terreni, giacché ciò si porrebbe in violazione di quanto indicato all’art. 10, comma 2 della legge regionale.
Ciò è conforme alla ratio della norma che ha il chiaro scopo di trovare un equilibro tra gli esigui importi che si otterrebbero applicando il criterio del solo valore agricolo e quelli più elevati che si otterrebbero dalla applicazione del criterio del solo valore venale.
Non sussiste pertanto la lamentata violazione dell’art. 10 della LRP n. 29/2009. Tantomeno sussiste la contraddittorietà interna alla DGR citata (che, come evidenziato sopra, da un lato ritiene, ai fini del calcolo del valore venale, di non considerare “ il valore di quanto edificato sul terreno durante il periodo di occupazione ” e dall’altro dispone che “ tuttavia il valore del terreno, al lordo delle migliorie, non può essere inferiore al 15%del valore delle costruzioni ”).
Per tali ragioni la censura formulata non persuade ed il motivo non è fondato.
8. Nel ricorso viene sollevata anche questione di legittimità costituzionale sotto un duplice profilo.
8.1. In primo luogo la LRP n. 29/2009 sarebbe, secondo le ricorrenti, contraria agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui, all’art. 10, rimette a un atto e a un procedimento amministrativo l’individuazione dei parametri da applicare per le conciliazioni stragiudiziali diversamente disciplinate dall’art. 29, comma 3, della L. n. 1766/1927.
La questione è manifestamente infondata o comunque irrilevante ai fini del presente giudizio.
Già con il passaggio delle funzioni in capo alle Regioni operato dal citato D.P.R. n. 617/1977 alle stesse venivano trasferite “ tutte le funzioni amministrative relative alla liquidazione degli usi civici, allo scioglimento delle promiscuità, alla verifica delle occupazioni e alla destinazione delle terre di uso civico e delle terre provenienti da affrancazioni, ivi comprese le nomine di periti ed istruttori per il compimento delle operazioni relative e la determinazione delle loro competenze. Sono altresì trasferite le competenze attribuite al Ministero, ad altri organi periferici diversi dallo Stato, e al commissario per la liquidazione degli usi civici dalla legge 16 giugno 1972, n. 1766, dal regolamento approvato con regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332, dalla legge 10 giugno 1930, n. 1078, dal regolamento approvato con regio decreto 15 novembre 1925, n. 2180, dalla legge 16 marzo 1931, n. 377 ” (cfr. art. 66).
A valle del processo di trasferimento, alle regioni spettano le funzioni di natura amministrativa mentre al Commissario liquidatore spettano determinate funzioni di natura giurisdizionale. In tale quadro rientra anche l'esperimento dei tentativi di conciliazione che non rappresentano espressione di una “funzione” (amministrativa o giudiziaria) specifica da allocare sull’uno o l’altro organo ma solo una modalità alternativa di svolgimento delle funzioni rimesse ai due plessi dell’ordinamento.
Così stando le cose, in entrambi gli ambiti (amministrativo e giudiziario) i rispettivi organi possono legittimamente gestire i procedimenti conciliativi che potranno rivestire carattere negoziale/amministrativo (se gestiti nell’ambito dei procedimenti inerenti accertamento, affrancazione o reintegra degli usi civici) o giudiziale (se gestiti nell’ambito delle funzioni giurisdizionali).
Come riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza il Commissario liquidatore degli usi civici è investito, in virtù di quanto previsto dall'art. 29 della l. n. 1766 del 1927, di compiti amministrativi, nonché della piena giurisdizione in materia di " controversie circa la esistenza, la natura e la estensione" dei diritti di cui all'art. 1 della l. n. 1766 cit., nel cui alveo si colloca l'"esperimento di conciliazione" previsto dall'art. 29, comma 3, quale evenienza auspicabile, ma non obbligatoria, esperibile "in ogni fase del procedimento" giurisdizionale regolato dal comma 2 della medesima norma ” (Cass. civ. Sez. II Sent., 19/08/2020, n. 17310). Ed ancora la giurisprudenza distingue tali ambiti quanto riconosce che la “ regione non può esercitare il controllo di cui all'art. 29, comma 5, l. 1766/27 sulla conciliazione giudiziale in materia di usi civici e di proprietà collettive, in quanto esso si sostanzierebbe in un controllo amministrativo su un atto giurisdizionale. Tale conciliazione infatti, pur richiedendo sempre una convenzione tra le parti, non può essere assimilata ad un negozio privato puro e semplice, ma, caratterizzandosi strutturalmente per il necessario intervento del giudice e funzionalmente per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, si concreta in un atto processuale impugnabile secondo le regole procedurali in materia” (T.A.R. Lazio Sez. I ter, 16/03/2000, n. 5954).
Nel quadro delle proprie competenze amministrative e normative, comunque, la Regione ben può disciplinare i procedimenti conciliativi con la pienezza dei poteri che l’ordinamento costituzionale le riconosce. Il fatto che il procedimento conciliativo possa essere esperito anche nel contesto di un procedimento amministrativo e concludersi con provvedimenti amministrativi, pertanto, non ne snatura la funzione;né vengono minati il principio di ragionevolezza e coerenza dell’ordinamento (art. 3 Cost.) ed il diritto di difesa, risultando impregiudicate, avanti il giudice speciale, le prerogative di cui all’art. 29 della L. n. 1766/1927.
8.2 Sotto un diverso profilo si sostiene che la disciplina degli usi civici, essendo da ricondurre alla materia “ordinamento civile”, per la natura dominicale o comunque reale del diritto civico e degli altri diritti collettivi, esulerebbe dalla competenza regionale anche per ciò che attiene al risarcimento del danno e alle questioni indennitarie per indebita occupazione. La natura dominicale o comunque reale del diritto civico e degli altri diritti collettivi sarebbe peraltro oggi espressamente riconosciuta dalla L. 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi).
La questione non è rilevante ai fini del presente giudizio.
Come evidenziato dalle stesse ricorrenti (che richiamano allo scopo le sentenze della Corte Costituzionale n. 113/2018 e n. 228/2021, che, comunque, riguardano fattispecie del tutto diversa da quella di cui si controverte) la materia devoluta alle regioni (rientrante in quella attinente ad Agricoltura e Foreste, cfr. art. 66 del D.P.R. n. 616/1977) non può comprendere i profili dominicali.
Le stesse pronunce del giudice costituzionale citate, infatti, evidenziano che tale limite è pacificamente circoscritto al regime del diritto proprietario. “ La materia dell'ordinamento civile, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprende i rapporti tradizionalmente oggetto di disciplina civilistica (ex plurimis, sentenze n. 123 del 2010, n. 295 del 2009 e n. 352 del 2001). Se è innegabile che l'individuazione della natura pubblica o privata dei beni appartiene all'"ordinamento civile", deve concludersi che la disposizione censurata, nel disporre la descritta alienabilità, introduce una limitazione ai diritti condominiali degli utenti non prevista dalla normativa statale in materia, assegnando alle situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali con l'università agraria un regime, sostanziale e processuale, peculiare rispetto a quello specifico previsto dalle norme civilistiche e processuali altrimenti applicabile (sentenza n. 25 del 2007). La norma regionale censurata opera, dunque, nell'ambito della materia dell'"ordinamento civile" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e ne va di conseguenza dichiarata l'illegittimità costituzionale (sentenza n. 123 del 2010). E d'altronde, nell'intero arco temporale di vigenza del Titolo V, Parte II, della Costituzione - sia nella versione antecedente alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sia in quella successiva - e, quindi, neppure a seguito dei D.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977 precedentemente richiamati, il regime civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera di competenza delle Regioni” (Corte cost., Sent., 31/05/2018, n. 113).
Orbene tali profili non riguardano l’odierno giudizio, poiché la questione afferente la disciplina dei parametri economici per l’esperimento delle conciliazioni amministrative non travalica i limiti sopra identificati dal giudice costituzionale, attenendo più ai profili organizzativi e finanziari dell’azione amministrativa che non ai diritti dominicali connessi ai demani collettivi.
Per quanto precede non si rinvengono i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale.
9. Il ricorso originario e quello per motivi aggiunti, nel loro complesso, sono infondati e pertanto devono essere respinti. Il terzo motivo del ricorso originario è inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.