TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-11-26, n. 201811447

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-11-26, n. 201811447
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201811447
Data del deposito : 26 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/11/2018

N. 11447/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02657/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2657 del 2017, proposto da
Ordine degli Avvocati di Siracusa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Barberini 67;

contro

Ministero della Giustizia e Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministero della giustizia del 1° dicembre 2016, degli allegati, delle risultanze del tavolo di coordinamento ministeriale e d’ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura;

Vista l’ordinanza cautelare n. 2286/2017;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2018 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe, il ricorrente Ordine degli Avvocati di Siracusa ha chiesto l’annullamento del decreto del Ministero della giustizia del 1° dicembre 2016, avente ad oggetto la “Rideterminazione delle piante organiche del personale della magistratura dei Tribunali ordinari e delle relative Procure della Repubblica”, nella parte in cui riduce di un’unità il corpo giudicante del Tribunale di Siracusa e mantiene inalterato il numero di magistrati addetti agli uffici requirenti.

Con il primo motivo, sostiene che la previsione gravata del provvedimento ministeriale sarebbe affetta da difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto basata su presupposti erronei. Osserva anche che l’uso degli indicatori qualitativi, che la relazione allegata al decreto individua quale un correttivo fondamentale di quelli quantitativi, non sarebbero stati adeguatamente apprezzati.

Con il secondo motivo, parte ricorrente contesta la scelta di diminuire di una unità i magistrati giudicanti e di mantenere inalterata la dotazione dei magistrati addetti agli uffici requirenti, ritenuta irragionevole alla luce delle ricorrenti vacanze dell’organico del Tribunale, del particolare carico dei ruoli e dell’elevato rapporto tra le sopravvenienze ed il numero dei magistrati.

Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, chiedendo l’estromissione, per carenza di legittimazione passiva, del CSM ed eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse;
nel merito, insistono nella reiezione del gravame siccome infondato.

Alla camera di consiglio del 10 maggio 2017 la domanda cautelare presentata unitamente al ricorso è stata respinta per assenza di periculum in mora . Il provvedimento cautelare di questo Tribunale è stato confermato dall’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2963/2017.

Alla pubblica udienza del 7 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, va disposta l’estromissione dal giudizio del CSM, come richiesto, non essendo impugnato alcun atto riferibile all’Organo di autogoverno.

Sempre in via preliminare, si osserva che l’ordine degli avvocati ricorrente è legittimato a ricorrere avverso il decreto in epigrafe.

In ordine alla legittimazione ad agire degli ordini professionali, la giurisprudenza ha affermato la necessità che l’azione sia promossa per la tutela di una posizione soggettiva propria dell’ente o comunque in presenza di un “interesse istituzionalizzato” della categoria;
nel secondo caso, l’ordine può agire in giudizio sia reagire alla violazione delle norme poste a tutela della professione, sia per perseguire vantaggi, anche strumentali, riferibili alla sfera della categoria nel suo insieme (cfr., Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10;
sez. V, 23 febbraio 2015, n. 883), con il solo limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli ordini medesimi.

L’art. 24 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che disciplina l’ordinamento della professione forense, definisce gli ordini circondariali “enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale”.

Ebbene non può escludersi, salvo quanto successivamente sarà detto in ordine allo scrutinio della esistenza dell’interesse al ricorso, la legittimazione dell’ordine degli avvocati a impugnare un atto ministeriale che incida, nell’ambito circondariale, sulla organizzazione e sul funzionamento del servizio giudiziario, a tutela dell’interesse istituzionale della categoria di garantire “il miglior esercizio delle attività professionali” (in termini, in relazione ai compiti del Consiglio dell’ordine, cfr. l’art. 29, comma 3, della legge professionale).

Quanto sopra affermato in tema di legittimazione attiva, non esime questo Collegio dall’interrogarsi se, in relazione alla natura e al contenuto concreto dell’atto organizzativo impugnato, possa effettivamente paventarsi la lesione, personale, concreta e attuale, di un interesse dell’ordine (o del singolo iscritto) al corretto esercizio della professione forense.

Il Collegio ritiene in proposito, conformemente a quanto eccepito dalla difesa erariale, che non sussista un interesse al ricorso della parte ricorrente, con la sua conseguente inammissibilità.

Si rammenta, come noto, che nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per ipotesi specifiche in cui è ammessa l'azione popolare, non è consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell'azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone. Ciò in quanto “l'interesse a ricorrere…corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall'attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente;
in sostanza, sussiste interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo colloca in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistono elementi tali per affermare che l'azione si traduce in un abuso della tutela giurisdizionale" (Cons. St., sez. V, 27 gennaio 2016, n. 265).

La presente controversia si incentra sui presunti vizi del decreto del Ministro della giustizia contenente la rideterminazione delle piante organiche del personale di magistratura per alcuni uffici giudiziari giudicanti e requirenti.

Si osserva, sotto il profilo della lesione all’interesse, che l’atto in questione non determina, a differenza della ipotesi di rimodulazione dell’area geografica dei circondari dei tribunali, una maggiore difficoltà per l’utenza, seppure in chiave puramente logistica, all’accesso ai servizi della giustizia. Si tratta, invece, di un tipico atto di macro-organizzazione afferente alla distribuzione del personale (di magistratura, nel caso di specie) presso le sedi dislocate sul territorio, con lo scopo di allocare le risorse disponibili secondo criteri di razionalità ed efficienza.

Secondo la prospettazione di parte ricorrente, tale allocazione sarebbe il frutto di una scelta dell’amministrazione non condivisibile e in grado di pregiudicare la qualità del servizio reso, al punto da incidere gravemente sulla gestione della giustizia e, per tale via, sull’interesse dell’utenza tutta, e non solo della classe forense, a godere di un servizio rispondente a standard soddisfacenti sotto il profilo qualitativo. In sostanza, una contrazione del personale di magistratura previsto nell’organico del Tribunale non potrebbe non determinare uno scadimento dell’efficienza della sede giudiziaria, specie avuto riguardo all’allungamento dei tempi per la conclusione dei procedimenti.

Osserva il Collegio che la prospettazione di parte ricorrente, in ordine all’interesse ad agire, non può trovare condivisione, in quanto il “bene della vita” per il quale la parte ricorrente agisce, vale a dire l’interesse alla fruizione dei servizi giudiziari, non subisce dal provvedimento impugnato una oggettiva, immediata, lesione o comunque una compressione adeguatamente significativa, apprezzabile secondo criteri di adeguatezza causale.

La rimodulazione della pianta organica dei magistrati, infatti, è un atto di macro-organizzazione, tipicamente a contenuto generale, privo di destinatari e rispondente a finalità interne all’amministrazione, relative alla individuazione di una corretta distribuzione sul territorio del personale a disposizione e, quindi, al perseguimento di un modello ottimale di erogazione dei servizi di giustizia. Si tratta, in sostanza, della predisposizione da parte dell’amministrazione di un “modello organizzativo” ideale, con riferimento alla allocazione del personale di magistratura che costituisce una delle variabili in gioco nella determinazione dei plurimi fattori (la logistica, la tecnologia, il personale amministrativo, ecc.) in grado di incidere sulla qualità dei servizi della giustizia resi in sede locale. Una rimodulazione dell’organico del personale di magistratura presso una sede di Tribunale, seppure effettuata in chiave penalizzante sotto il profilo numerico, non è, quindi, un dato, in sé considerato, oggettivamente idoneo ad alterare immediatamente, in maniera significativa, la possibilità per l’utenza di fruire dei servizi della giustizia.

In sostanza, a fronte di un atto impugnato dal carattere puramente gestorio-organizzativo, non è ravvisabile una lesione concreta alle prerogative spettanti alla classe forense, e neppure una possibile utilità conseguibile dal suo annullamento, se non ricorrendo a valutazioni ipotetiche e di carattere puramente prospettico sui benefici ottenibili dall’utenza dal mantenimento, ovvero dall’incremento, nella sede del Tribunale del medesimo numero di magistrati.

Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità del gravame, in ragione della carenza di interesse che lo contraddistingue.

La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite.

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