TAR Catania, sez. IV, sentenza 2024-09-18, n. 202403114
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Pubblicato il 18/09/2024
N. 03114/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00373/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 373 del 2024, proposto da E G, rappresentata e difesa dagli avvocati A S ed O G T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Aescvlapivs S.r.l., non costituita in giudizio;
per:
- l’accertamento del diritto (in rito ex art. 116 cpa) all’accesso civico generalizzato esercitato con l’istanza presentata dal ricorrente volta a conoscere la data in cui il laboratorio convenuto è stato autorizzato dal Ministero della salute a svolgere i test in vitro rt-PCR ed il numero di test in vitro risultati positivi al virus sars cov 2 inviati alle ASL della Regione di appartenenza;
- la condanna all’ostensione della documentazione suddetta;
- la nomina di un Commissario ad acta , e la liquidazione di somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 26 cpa;
- in subordine, laddove fosse ritenuto corretto il rito di cui al 117 cpa, per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione alla medesima istanza, mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Parte ricorrente ricorre avverso il silenzio su istanza tesa a conoscere il numero dei test in vitro RT-PCR inviati a ciascuna ASP, sul presupposto che, in forza della Circ. Min. salute del 9 marzo 2020, n. 7922, «…la misurazione della pandemia, attraverso lo svolgimento di test in vitro rt-PCR, è, pertanto, attività svolta, esclusivamente, dai laboratori indicati nella lista redatta dal Ministero della Salute, richiamata nel FOIA ed in cui è inserito il laboratorio resistente…» (ricorso, pag. 8);deposita anche giurisprudenza favorevole su casi analoghi.
La società intimata, pur in presenza di rituale notifica del ricorso, non si è costituita.
All’udienza camerale del 12 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Preliminarmente, sotto il profilo processuale, il Collegio ritiene ammissibile l’azione proposta col rito dell’accesso (in luogo di quella avverso il silenzio ex art. 117 cpa, astrattamente configurabile).
Invero, come chiarito da condiviso orientamento giurisprudenziale «…Occorre premettere sul piano processuale che, nonostante il comma 6 dell’art. 5 cit. preveda che “Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza” (con ciò escludendo la formazione del “silenzio rigetto”), l’Ordine ha opposto all’istanza un mero silenzio, e che al riguardo il Collegio ritiene comunque ammissibile l’azione proposta col rito dell’accesso (in luogo di quella avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a. astrattamente configurabile). Infatti, ai sensi del successivo comma 7, “Avverso la decisione dell’amministrazione competente (…) il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’articolo 116 del Codice del processo amministrativo”: il richiamo di legge a quest’ultimo articolo, che prevede il ricorso anche “contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza”, rende preferibile in base alla sua ratio l’interpretazione secondo cui anche il silenzio “non significativo” formatosi sull’istanza di accesso “generalizzato” ai sensi del comma 2 cit. sia sindacabile con l’azione ex art. 116 c.p.a.;mentre il formale riferimento, dal contenuto apparentemente limitativo, “all’inadempimento degli obblighi di trasparenza” e non anche all’accesso civico “generalizzato” dipende semplicemente dal mancato allineamento della citata previsione processuale alla successiva introduzione di quest’ultimo istituto, dovendosi pertanto leggere il riferimento agli “obblighi di trasparenza” come un richiamo a tutto tondo alle varie forme d’accesso previste dal d.lgs. 33/2013…» (Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2023, n. 1104).
Sempre sotto il profilo processuale, la società intimata è passivamente legittimata, in forza del disposto dell’art. 2 bis, comma 3, del D. lgs. 14 marzo 2013, n. 33, secondo cui «…La medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si applica anche, in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea […] agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.» ;nel caso di specie, infatti, la società intimata: a) è ricompresa nell’elenco dei laboratori abilitati allo svolgimento di test in vitro rt-PCR (allegato al ricorso sub 2), i cui esiti, a tenore della circolare del Ministero della salute del 9 marzo 2020 (allegato al ricorso sub 3) sono utilizzati ai fini del rilevamento e del calcolo della diffusione del virus SARS-CoV-2 in Italia;b) ha un bilancio superiore a cinquecentomila euro (allegato al ricorso sub 6).
Tanto premesso, la domanda principale, concernente l’accesso, è fondata, atteso che:
- l’istanza di accesso civico generalizzato (allegato al ricorso sub 1) è stata presentata dalla ricorrente in data 15 dicembre 2023 e non ha ricevuto riscontro dalla società intimata;
- i dati richiesti con la suddetta istanza risultano in possesso della società intimata, riguardando l’attività di laboratorio svolta per i test di positività al virus SARS-CoV-2;
- non è ravvisabile alcuno dei limiti ostativi all’accesso civico contemplati all’art. 5 bis , commi da 1 a 3, del d. lgs. n. 33/2013, essendo, peraltro, la domanda formulata in maniera sufficientemente circoscritta, senza riguardare dati riservati.
In conseguenza, deve essere ordinato alla società intimata di provvedere sull’istanza, mediante l’ostensione delle informazioni e dei dati richiesti, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, o notificazione di parte, se anteriore, della presente sentenza.
Diversamente, deve essere rigettata la domanda di condanna ad una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 26 cpa, richiamata la condivisibile giurisprudenza secondo cui «…L’art. 26, comma 2, c.p.a., nel prevedere la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria della parte soccombente che abbia agito o resistito temerariamente in giudizio, è applicabile agli atti caratterizzati dall’esercizio dell’azione in forme manifestamente eccedenti o devianti rispetto alla tutela attribuita dall’ordinamento…» (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1651);nel caso di specie, infatti, la società intimata non si è costituita, ciò non potendo integrare il comportamento processuale dell’aver resistito temerariamente.
Né il Collegio, ravvisa, almeno allo stato, anche in ragione delle peculiarità della vicenda, i presupposti per l’immediata nomina di un Commissario ad acta , che potrà eventualmente essere richiesta da parte ricorrente con successiva istanza, in caso di infruttuosa scadenza del termine per adempiere assegnato alla società intimata.
Essendo risultata la società intimata soccombente con riferimento alla parte prevalente del ricorso, le spese di lite seguono la soccombenza con riferimento a tale soggetto al 60%, potendo essere compensate nel resto in ragione del rigetto della domanda di parte ricorrente di condanna ex art. 26 cpa;la liquidazione viene effettuata in dispositivo anche tenendo conto della proposizione seriale di cause analoghe da parte dell’odierna ricorrente;la società intimata deve inoltre essere condannata alla integrale rifusione del contributo unificato corrisposto da parte ricorrente.