TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2023-04-19, n. 202306742

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2023-04-19, n. 202306742
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202306742
Data del deposito : 19 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/04/2023

N. 06742/2023 REG.PROV.COLL.

N. 11345/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11345 del 2014, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M B, S D, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Bonetti &
Partners in Roma, via San Tommaso D'Aquino, 47;

contro

Asl 105 - Messina (Gia' Usl 40 Taormina), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio eletto presso lo studio Rosaria Internullo in Roma, via A. Baiamonti, 4;
Assessorato Alla Salute della Regione Siciliana, non costituito in giudizio;
Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via F.Sco Crispi 247;

per la condanna

al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal provvedimento di decadenza dell’impiego, di cui il ricorrente ha già ottenuto l’annullamento con sentenza del Consiglio di Stato, sezione III, -OMISSIS-, n. -OMISSIS-;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Asl 105 - Messina (Gia' Usl 40 Taormina) e di Regione Siciliana e di Azienda Sanitaria Provinciale di Messina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 14 aprile 2023 la dott.ssa Francesca Ferrazzoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe indicate in data 8 agosto 2014 e depositato il successivo 10 settembre 2014, parte ricorrente ha esposto che, a seguito della vicenda relativa alla richiesta da parte dell’ASL n. 40 di Taormina di rimuovere la situazione di incompatibilità derivante dall’avere egli esercitato l’opzione per il rapporto di lavoro dipendente a tempo definito senza procedere alla riduzione del numero dei pazienti, egli è stato dichiarato decaduto con provvedimenti avverso i quali ha proposto ricorso dinanzi al TAR Lazio (I bis, sentenza del -OMISSIS-, n. -OMISSIS- di rigetto del ricorso) e al Consiglio di Stato che con sentenza della terza sezione a n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS- ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento di licenziamento.

Premesso che per il ristoro dal danno patrimoniale e per la ricostruzione di carriera avrebbe agito con separato provvedimento di ottemperanza, ha chiesto dunque il risarcimento dei danni morali e non patrimoniali.

Ha rappresentato la sussistenza del nesso di causalità come dimostrato dall’annullamento del provvedimento di decadenza che avrebbe generato un ingiusto danno alla reputazione personale e professionale del ricorrente.

Ha rilevato che ulteriore conseguenza dell’illegittimo provvedimento di decadenza sarebbe stata provocata anche dal risalto notevole riservato alla notizia dalla stampa locale, comportando essa una più agevole conoscibilità della notizia potenzialmente a più soggetti.

Ha lamentato ancora che nel danno patrimoniale andrebbero inclusi il danno morale soggettivo ed il danno esistenziale. In particolare, le conseguenze della vicenda sarebbero esprimibili in termini di danni all’attività politica, danni all’attività medica, sulla perdita di chances in politica e nell’attività professionale.

Ha quantificato il danno in euro 500.000,00 per i danni subiti da attività politica in ragione del prematuro ritiro cui egli è stato costretto;
euro 1.200.000,00 per le chances professionali perse in ragione delle mancate partecipazioni ai concorsi per l’avanzamento di carriera;
euro 400.000,00 per tutti gli altri danni morali subiti.

Ha concluso con istanza istruttoria ai fini dell’ordine all’ASP di Messina di esibire tutti i bandi emanati dalla stessa successivamente al suo illegittimo licenziamento, chiedendo la condanna dell’ASP di Messina al pagamento a titolo risarcitorio della complessiva somma di euro 2.100.000,00 o nella misura ritenuta di giustizia.

L’ASP si è costituita in giudizio ed ha eccepito l’incompetenza territoriale del TAR Lazio, poiché il provvedimento annullato avrebbe efficacia territorialmente limitata, ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento che allignerebbe a far tempo dal provvedimento di decadenza del 1994, il difetto di competenza dell’ASP di Messina e il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Ha concluso per la reiezione nel merito del ricorso.

In particolare, in relazione all’eccezione di decadenza dall’azione risarcitoria, ha dedotto che, ai sensi dell’art. 69, comma 7 del d.lgs. n. 165/2001, “ Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione del giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 ”. E poiché nel caso in esame la domanda risarcitoria sarebbe stata instaurata col ricorso in esame notificato l’8 agosto 2014, se ne ricaverebbe che l’interessato sarebbe decaduto, secondo la costante giurisprudenza sull’argomento: TAR Piemonte sezione I, 21 febbraio 2014, n. 311 e TAR Abruzzo, sezione I, 13 marzo 2014, n. 249.

In vista dell’udienza pubblica parte ricorrente ha opposto che nella specie non avrebbe rilievo che il giudizio sia stato instaurato al di fuori del termine di decadenza del 15 settembre 2000, in quanto a quella data era ancora pendente il giudizio sulla legittimità del provvedimento di licenziamento instaurato col ricorso n. -OMISSIS- deciso con la sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS-/2009 e passato in giudicato soltanto dopo la pronuncia del Consiglio di Stato nel 2014 con la sentenza n. -OMISSIS-. E ha precisato che, ove si ritenesse che la norma desse vita ad una decadenza anche in ipotesi di giudizio sull’impugnazione del provvedimento pendente, la norma dovrebbe essere tacciata di incostituzionalità.

Ha contestato, altresì, di non avere ricevuto alcun danno non patrimoniale e morale come sostenuto dall’ASP nella sua memoria di costituzione, rappresentando che non avrebbe potuto partecipare al concorso per la posizione apicale di dirigente sanitario di base essendo stato eliminato illegittimamente dall’ASL prima di potere maturare i requisiti di anzianità previsti per tale procedura, e rappresenta pure che avrebbe conseguito un aggravamento della propria situazione di salute a partire dal 1990 culminata con infarto del miocardio nel 2004 e conseguente operazione nel 2005.

L’ASP ha insistito che non sussistono gli elementi della colpa nel proprio operato avendo proceduto al licenziamento del medico in assenza dell’opzione che egli avrebbe dovuto effettuare circa i propri assistiti;
osserva che il licenziamento gli avrebbe consentito di avere una platea di pazienti più ampia di quella di 1400 pazienti prevista per un medico di base.

La Regione e la ASP hanno rappresentato, altresì, che il giudizio di ottemperanza avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato si è oramai concluso, e che l’Amministrazione ha provveduto al pagamento al ricorrente di tutte le somme in quella sede riconosciute e in particolare alla liquidazione delle differenze retributive, dell’assegno ad personam , dell’indennità di specificità medica. Tutte le somme sono state maggiorate degli Interessi e della rivalutazione monetaria secondo le modalità indicate nella stessa sentenza che ha definito il giudizio dl ottemperanza.

Per l'effetto, hanno quindi rilevato che in questa sede potrebbe essere riconosciuto all'odierno ricorso ex art. 30 Cpa solo un oggetto diverso, ovvero i danni non patrimoniali di natura morale ed esistenziale derivante al Dott. Sima dal citato provvedimento di decadenza.

Con sentenza non definitiva n. -OMISSIS-, ritenuta la giurisdizione del giudice adito, è stato rilevato che le sentenze gemelle del 4 febbraio 2014 - rese nei casi Mottola ed altri c/Italia (R.G. n. 29932/07) e Staibano ed altri c/Italia (R.G. n. 29907/07) dalla Corte Europea - “ hanno evidenziato che la legge italiana – nel fissare la decadenza prevista dall’art. 69, comma 7, cit. – pone un ostacolo procedurale che integra violazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione (a tenore del quale, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile). La Corte Europea, in particolare, ha osservato come l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 cit. ponga un ostacolo procedurale costituente sostanziale negazione del diritto invocato (nei casi portati all’esame della Corte: il diritto al trattamento previdenziale per il periodo in cui i ricorrenti avevano svolto una prestazione lavorativa) e tale da escludere un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco. Il contrasto tra norma nazionale e norma internazionale (l’art. 6 della Convenzione) viene giudicato dalle Sezioni Unite insuperabile in sede interpretativa, giacché l’interpretazione dell’art. 69, comma 7, cit. nel senso sopra esposto si è ormai consolidata: pertanto, di fronte al dubbio circa il contrasto tra la norma nazionale in esame e l’art. 117, comma 1, Cost. (nella parte in cui quest’ultimo prevede che la potestà legislativa venga esercitata dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali), alla Cassazione non è rimasta altra strada che sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001 (nella parte in cui prevede che le controversie attribuite al G.A. per il periodo anteriore al 30 giugno 1998 debbano essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000), in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. (stante l’obbligo assunto dall’Italia con l’adesione alla C.E.D.U.), analogamente a quanto osservato e ritenuto dalla sezione con l’ordinanza n. 4776/2016 ”.

Ritenuta la questione di legittimità costituzionale de qua rilevante, il giudizio è stato sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 79, comma 1, c.p.a., “ relativamente alla domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali proposta dal ricorrente, vista da un lato, la decadenza dell’azione dettata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165/ 2001 e dall’altro, la sottoposizione di detta norma al giudizio di legittimità costituzionale a seguito delle pronunce sopra citate dalle Sezioni Unite della Cassazione e della sezione ”.

Quindi, con sentenza n. 6 del 18 gennaio 2018, la Corte Costituzionale ha rilevato che: “ Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, censurato, per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione ai parametri interposti dell'art. 6, par. 1, della CEDU, e dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, nella parte in cui prevede che le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche anteriore al 30 giugno 1998 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000. La norma censurata è coerente con i parametri convenzionali, poiché essa, di per sé, fissa un termine ispirato ad una finalità legittima e (più che) ragionevole di concentrazione delle controversie avanti ad un unico giudice. Inoltre, la disposizione censurata, nel prevedere la decadenza dall'azione, non si pone in contrasto con i parametri interposti, atteso che l'assunto da cui muove la Corte EDU nelle sentenze Mottola e Staibano — e cioè l'effetto sorpresa derivante dal mutamento giurisprudenziale nell'interpretazione del termine previsto dalla norma censurata, prima interpretato come termine di proponibilità dell'azione davanti al giudice amministrativo con salvezza di azione davanti al giudice ordinario, poi ritenuto termine di decadenza sostanziale — potrebbe condurre, semmai, sussistendone i presupposti, all'applicazione dell'istituto della rimessione in termini per errore scusabile, attualmente disciplinato dall'art. 37 del d.lg. 2 luglio 2010, n. 104 (sent. n. 123 del 2017;
ordd. nn. 214 del 2004, 213, 328 del 2005, 197 del 2006)
”.

Con ricorso notificato in data 14 febbraio 2018, il dott. -OMISSIS- ha ritualmente riassunto il presente giudizio.

Con memoria versata in atti in data 13 marzo 2023, la ASP ha insistito in particolare per la dichiarazione di inammissibilità del presente giudizio per intervenuta decadenza, in quanto promosso oltre il termine di cui all’art. 69, comma 7, del D.lgs. n. 165/2011.

Infine, all’udienza del 14 aprile 2023 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Preliminarmente, ritenuta la giurisdizione di questo giudice con la sentenza non definitiva n. -OMISSIS-, deve essere scrutinata l’eccezione di incompetenza territoriale del TAR Lazio ex art. 13 c.p.a. sollevata dall’ASP.

In particolare, l’Amministrazione ha sostenuto che la competenza a conoscere della questione in esame spetterebbe al “ TAR Sicilia Sez. Staccata di Catania in quanto tribunale nel cui ambito territoriale l’atto amministrativo oggi annullato ha concretamente prodotto effetti e, comunque, tribunale nella cui circoscrizione territoriale ha sede l’autorità che ha emesso il citato provvedimento ” di decadenza dal rapporto di lavoro da cui sarebbero derivati i danni di cui si chiede il risarcimento in questa sede.

Il TAR oggi adito risulterebbe territorialmente incompetente, sia in relazione al criterio del luogo ove l’atto amministrativo è destinato a produrre effetti che è localizzato nel territorio della Provincia di Messina, sia in relazione al criterio del luogo ove ha sede l’autorità amministrativa che ha emesso l’atto amministrativo viziato e da cui nel caso di specie è disceso il presunto danno per il ricorrente.

L’eccezione non può trovare accoglimento.

Osserva il Collegio che l’Adunanza Plenaria n. 3/2011 ha ritenuto la piena autonomia della domanda risarcitoria rispetto al “ pregiudiziale ” giudizio impugnatorio. Trattasi, tuttavia, di una autonomia squisitamente processuale, ferma restando la connessione oggettiva rispetto al giudizio con il quale viene accertata l’illegittimità del provvedimento gravato.

Conseguentemente, il giudizio volto alla condanna al risarcimento danni per provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, deve essere considerato quale giudizio strettamente collegato al procedimento in forza del quale è stato dichiarato illegittimo l’atto che si rappresenti quale “ occasione del danno ”.

Pertanto, si ritiene che la competenza territoriale della controversia in esame appartenga al Tribunale adito.

3. Attesa l’infondatezza nel merito del ricorso in esame, ritiene il Collegio di poter prescindere dallo scrutinio dell’eccezione preliminare di inammissibilità per intervenuta decadenza dall’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 69 comma 7, del D.lgs. n. 165/2011, pur ravvisando profili di fondatezza della stessa attesa la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018 - intervenuta nelle more del presente giudizio - che ha affermato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, censurato, per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione ai parametri interposti dell'art. 6, par. 1, della CEDU, e dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, nella parte in cui prevede che le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche anteriore al 30 giugno 1998 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000. Invero, il Giudice delle Leggi ha rilevato che “ la norma censurata è coerente con i parametri convenzionali, poiché essa, di per sé, fissa un termine ispirato ad una finalità legittima e (più che) ragionevole di concentrazione delle controversie avanti ad un unico giudice ”.

4. Si procede, pertanto, con lo scrutinio del merito che, come già detto, è infondato per le ragioni che si vengono ad illustrare.

5. Ai fini che occupano, è necessario preliminarmente chiarire in breve la natura della responsabilità della pubblica Amministrazione ed indicare gli elementi costitutivi della fattispecie.

Sul punto, da ultimo si è pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 7/2021, che ha affermato, tra gli altri, il seguente principio di diritto qui di interesse: “ la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale;
è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. - da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento - i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.;
e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.
”.

In particolare, la decisione de qua ha premesso che nel corso del tempo, la giurisprudenza ha disancorato l’interesse legittimo dalla sua originaria concezione di interesse occasionalmente protetto e ne ha rilevato la dimensione sostanzialista, quale interesse correlato a un bene della vita coinvolto nell’esercizio della funzione pubblica e, comunque, a una situazione soggettiva sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare. Al privato sono riconosciuti quindi: strumenti di tutela procedimentale finalizzati ad orientare la discrezionalità dell’amministrazione e variegate forme di tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive originate dall’esercizio del potere amministrativo, tra le quali ha assunto un ruolo di rilievo la tutela risarcitoria. Sulla base di tale quadro normativo è stato introdotto nel diritto pubblico un sistema in cui è devoluto al giudice amministrativo il potere di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere pubblico, in una logica “ rimediale ”, e cioè come “ strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione ”.

Ha quindi illustrato le differenze tra le diverse forme di responsabilità previste nel nostro ordinamento giuridico, affermando che il paradigma cui è improntato il sistema di responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa è quello della responsabilità da fatto illecito.

Ha rilevato come l’elemento centrale nella fattispecie di responsabilità è quindi l’ingiustizia del danno, che deve essere dimostrata in giudizio, diversamente da quanto avviene nelle ipotesi di responsabilità contrattuale, e che implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto solo se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato che questo avrebbe avuto titolo per mantenere od ottenere.

Osserva il Collegio, conformemente agli arresti giurisprudenziali prevalenti sul punto, che, in base al principio sancito dall’art. 2697 c.c. e recepito nell'art. 64 c.p.a., chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, ragion per cui laddove il privato agisca per il risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, lo stesso è tenuto a fornire in modo rigoroso e circostanziato la prova di tutti gli elementi dell’illecito.

Il risarcimento del danno, non costituisce una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, essendo per contro necessaria la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione, incombendo sul danneggiato l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, la mancanza di uno solo dei quali determina l'infondatezza della pretesa.

In particolare, “ ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non fornisce un riscontro automatico della colpevolezza dell’Amministrazione, a tal fine venendo in rilievo altri elementi attinenti al grado di chiarezza della normativa applicabile, alla semplicità o alla complessità degli elementi di fatto esaminati, al carattere vincolato della statuizione provvedimentale da assumere ovvero all'ambito più o meno ampio della discrezionalità di volta in volta esercitata;
la ponderazione di questo insieme di elementi è consustanziale al giudizio di rimproverabilità e conduce a ravvisare l'elemento psicologico della colpa della pubblica amministrazione non già nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma nella sussistenza di inescusabili negligenze ovvero di errori interpretativi manifestamente gravi, apprezzabili come tali in relazione all'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione;
la responsabilità deve invece essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto
” (C. di St., sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8165).

In sostanza, la presunzione di colpa dell’amministrazione, può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato.

Per contro deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (cfr. Cons. St., sez. II, 27 agosto 2021, n. 6058;
TAR Roma n. 7033/2022).

La predetta Adunanza Plenaria n.7/2021 ha altresì evidenziato che la condotta del privato può concorrere a costituire il comportamento valutabile ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a. per escludere il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. L’ordinamento giuridico, dunque, nell’assoggettare la funzione amministrativa al diritto, riconosce al privato un novero di mezzi a tutela dei propri interessi più ampio di quelli utilizzabili nei rapporti di diritto civile ed in cui l’azione risarcitoria è solo uno dei rimedi a disposizione.

Su un piano generale, la mancata sollecitazione del potere di avocazione, così come la mancata proposizione di ricorsi giurisdizionali, non ha rilievo come presupposto processuale dell’azione risarcitoria, la quale è ormai svincolata da ogni forma di pregiudiziale amministrativa, fermo restando che la condotta del privato può assumere rilievo come fattore di mitigazione o di esclusione del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a.

In ordine al quantum debeatur , poi, la giurisprudenza ha ritenuto che, in base al principio generale sancito dall' art. 2697 c.c., ai fini del risarcimento dei danni provocati dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo, il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti. L'azione risarcitoria innanzi al Giudice Amministrativo non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex art. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sulla parte ricorrente grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per i danni derivanti dall'illegittimo ed omesso svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo (in tal senso, ex multis : TAR Lazio Roma n. 11611/2020).

Al mancato assolvimento dell'onere probatorio, peraltro, come pacificamente ritenuto in giurisprudenza, non può porre rimedio il giudice amministrativo avvalendosi della CTU che non è un mezzo di prova, ma è volto a fornire al giudice un ausilio tecnico per la valutazione di circostanze e fatti già acquisiti e dimostrati dalla parte.

Ancora, la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno.

6. Orbene, nella fattispecie in esame, si ritiene che non ricorrano tutti i presupposti di legge per la configurabilità della responsabilità amministrativa nei termini sopra descritti, ed in particolare l’elemento soggettivo della colpevolezza.

Occorre anzitutto ricostruire la complessa vicenda sostanziale e processuale all’origine del presente giudizio.

Il dott. -OMISSIS-, in servizio presso l’ex USL n. 40 di Taormina in qualità di medico condotto, giusta nota del 20 giugno 1986, ha optato per il rapporto di lavoro a tempo definito.

All’entrata in vigore della disposizione di cui al comma 7 dell’art.4 della legge n. 412/91 (1 gennaio 1993), che imponeva di optare per il rapporto di lavoro dipendente o per quello di medicina convenzionale, non avendo operato il -OMISSIS- alcuna scelta, l’Amministrazione, con delibera n. 853 del 2 agosto 1994 lo ha dichiarato decaduto dal rapporto di impiego con la conseguenza che lo stesso ha mantenuto il solo rapporto convenzionale.

Con ricorso innanzi al TAR per il Lazio, il medico ha chiesto l’annullamento della predetta delibera.

Il giudizio si è concluso con la sentenza n. -OMISSIS- del 2009, con la quale il Tribunale adito ha respinto le domande del ricorrente, condannandolo alla refusione delle spese di lite.

In particolare, i giudici di prime cure hanno ritenuto che: “ essendo il ricorrente titolare di un rapporto di impiego di ruolo e di un rapporto convenzionale quale medico generico, la sua posizione lavorativa rientrava chiaramente nell’ipotesi di incompatibilità introdotta dall’art. 4 della legge n. 412/91 ”… “ il ricorrente non poteva ritenersi più ex- medico condotto dal 12 maggio 1987 a seguito del suo inquadramento con rapporto di lavoro a tempo definito, per cui può fondatamente affermarsi che lo stesso soggiaceva al regime delle incompatibilità introdotto dall’art. 4, 7º comma, della legge n. 412/91, che non consente la permanenza nel S.S.N. del rapporto di impiego con un altro rapporto di natura convenzionale ”.

In sede di appello, il decisum dei giudici di primo grado è stato riformato con la sentenza n. -OMISSIS-/2014 del Consiglio di Stato che ha escluso “ il rigido automatismo del regime di incompatibilità dettato dall’art. 4, comma 7, della legge n. 412 agli effetti espulsivi e decadenziali dall’impiego ”, e ha affermato che “ Quanto alla preclusione all’applicazione nei confronti del ricorrente del regime transitorio sullo stato giuridico ed economico dei medici condotti dettato dall’art. 110 del d.P.R. n. 270 del 1987 esso opera, come previsto dalla lettera della norma, nei confronti dei medici “nei cui confronti alla data del 1° gennaio 2007 siamo stati assunti provvedimenti definitivi ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 348/1983”, evenienza che non ricorre nei confronti del dott. -OMISSIS- che solo in un momento successivo ha visto definita la propria posizione ai sensi del menzionato art. 28 ”. Ha quindi annullato gli atti impugnati, “ fatti salvi gli ulteriori provvedimento dell’amministrazione ed i diritti consequenziali del ricorrente ”, compensando le spese di lite.

Ricostruiti i fatti per cui è causa, osserva il Collegio che, nel caso di specie, non ricorre il requisito soggettivo della colpevolezza, attesa la complessità tecnica e normativa della questione, l’opinabilità delle soluzioni possibili e l’oggettiva novità delle problematiche rilevanti.

Ciò si evince chiaramente anche dalla circostanza che gli arresti giurisprudenziali dei giudici di prime cure sulla vicenda di cui è causa (sentenze Tar Lazio n. -OMISSIS- del 2009) sono stati riformati dai giudici di appello (decisione n. -OMISSIS-/2014).

Le pronunce giurisprudenziali emesse sulla vicenda in esame hanno evidenziato le difficoltà interpretative della normativa vigente, la complessità della valutazione della situazione del dott. -OMISSIS-, in assenza di una previsione specifica sul punto.

Pertanto, facendo applicazione dei principi su esposti in tema di responsabilità amministrativa, non sussiste l’elemento della colpevolezza in capo alle Amministrazioni resistenti.

Invero, come visto, per la configurabilità della colpa dell'Amministrazione assume rilievo la tipologia di regola di azione violata: se è chiara, univoca, cogente, si presume la sussistenza dell'elemento psicologico nella sua violazione;
al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo o equivoco - come nella fattispecie in esame - la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato disattendendo, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell'imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (in tal senso: C. di St. n. 4466/2022). La valutazione dell'elemento della colpa deve essere alla dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di modo che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all' art. 97 Cost. (in tal senso, ex multis : TAR Roma n. 226/2022).

Da un attento esame dei fatti per cui è causa, non risulta dimostrato che la ASL 105 Messina (già USL 40 Taormina) abbia agito con dolo o colpa grave: l'adozione e l'esecuzione degli atti annullati non è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, ma è stata la conseguenza di una interpretazione errata di una norma formulata in modo ambiguo e poco chiaro.

Peraltro, per completezza, deve essere rilevato che l’Amministrazione ha comunque già corrisposto al ricorrente dott. Sima tutti i diritti conseguenti alla sentenza del Consiglio di Stato, n. -OMISSIS-/2014 per come anche riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza.

In particolare, ha provveduto al pagamento degli assegni fissi e continuativi non percepiti per l'indebita interruzione del rapporto di lavoro, con decorrenza dal momento in cui si era determinato l'effetto risolutivo del rapporto. Sono state, altresì, riconosciute, oltre alle voci retributive ordinarie anche l'indennità di specificità medica - introdotta dall'art. 54 del C.C.N.L. del 1996 e mantenuta nei successivi rinnovi contrattuali - che caratterizza la posizione del dirigente medico, quale componente essenziale del trattamento economico in relazione alla pluralità di compiti di diagnosi, di assistenza, di cura, nonché di organizzazione peculiari alla qualifica. Dalle somme in tal modo quantificate è stato detratto ogni importo “ aliunde perceptum ” dal dott. Sima per tutti gli altri rapporti dl lavoro subordinato costituitisi durante il periodo di assenza dall'impiego. Infine, tutte le somme come sopra riconosciute sono state maggiorate degli Interessi e della rivalutazione monetaria secondo le modalità indicate nella stessa sentenza che ha definito il giudizio dl ottemperanza.

7. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, come in dispositivo.

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