TAR Firenze, sez. II, sentenza 2009-08-18, n. 200901383

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2009-08-18, n. 200901383
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 200901383
Data del deposito : 18 agosto 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00741/2005 REG.RIC.

N. 01383/2009 REG.SEN.

N. 00741/2005 REG.RIC.

N. 00742/2005 REG.RIC.

N. 00973/2005 REG.RIC.

N. 00974/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 741 del 2005, proposto dalla società
BE.CA.TO. S.r.l., in persona degli amministratori e legali rappresentanti pro tempore, sigg.ri F B, E T e G C, rappresentata e difesa dall’avv. F A e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, lungarno Vespucci 20

contro

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Papa, Federica Paci e Serena Andreini e con domicilio eletto presso lo studio legale Lessona in Firenze, via dei Rondinelli 2

nei confronti di

T Marco Vinicio, non costituito in giudizio



sul ricorso numero di registro generale 742 del 2005, proposto dalla società
BE.CA.TO. S.r.l., in persona degli amministratori e legali rappresentanti pro tempore, sigg.ri F B, E T e G C, rappresentata e difesa dall’avv. F A e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, lungarno Vespucci 20

contro

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato e difeso

nei confronti di

T Marco Vinicio, non costituito in giudizio



sul ricorso numero di registro generale 973 del 2005, proposto dalla società
BE.CA.TO. S.r.l., in persona degli amministratori e legali rappresentanti pro tempore, sigg.ri F B, E T e G C, rappresentata e difesa dagli avv.ti F A e Matteo Guidi e con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Firenze, lungarno Vespucci 20

contro

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato e difeso

nei confronti di

T Marco Vinicio, non costituito in giudizio



sul ricorso numero di registro generale 974 del 2005, proposto dalla società
BE.CA.TO. S.r.l., in persona degli amministratori e legali rappresentanti pro tempore, sigg.ri F B, E T e G C, rappresentata e difesa dagli avv.ti F A e Matteo Guidi e con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Firenze, lungarno Vespucci 20

contro

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato e difeso

nei confronti di

T Marco Vinicio, non costituito in giudizio

I) quanto al ricorso R.G. n. 741 del 2005

per l’annullamento

- del provvedimento a firma del Dirigente del Servizio Attività Economiche – U.O.O. Centro Annonario – Sviluppo e Promozione del Comune di Pistoia, prot. n. 8128 del 14 febbraio 2005, con cui è stata ordinata la cessazione immediata dell’attività abusiva esercitata dalla società BE.CA.TO. (consistente nell'esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia “B” ex art. 5 della l. n. 287/1991) nei locali posti in via Pertini - Pistoia;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ed in particolare del verbale della Polizia Municipale del Comune di Pistoia – Nucleo Vigilanza Annonaria, n. 1830 del 13 dicembre 2004

nonché per la condanna

del Comune di Pistoia al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza o comunque a causa degli impugnati provvedimenti

II) quanto al ricorso R.G. n. 742 del 2005

per l’annullamento

- del provvedimento a firma del Dirigente del Servizio Attività Economiche – U.O.O. Centro Annonario – Sviluppo e Promozione del Comune di Pistoia, prot. n. 8131 del 14 febbraio 2005, con cui è stata ordinata la cessazione immediata dell’attività abusiva esercitata dalla società BE.CA.TO. (consistente nell’esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia "A" ex art. 5 della l. n. 287/1991) nei locali posti in Via Pertini - Pistoia;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ed in particolare del verbale della Polizia Municipale del Comune di Pistoia – Nucleo Vigilanza Annonaria n. 1865 del 7 febbraio 2005

nonché per la condanna

del Comune di Pistoia al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza o comunque a causa degli impugnati provvedimenti

III) quanto al ricorso R.G. n. 973 del 2005

per l’annullamento

- del provvedimento a firma del Dirigente del Servizio Sviluppo Economico del Comune di Pistoia, prot. n. 13972 dell’11 marzo 2005, con cui è stata revocata l’autorizzazione di pubblico esercizio di tipologia “A” n. 2052 del 7 marzo 1995 esercitata in via Pertini a Pistoia;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale

nonché per la condanna

del Comune di Pistoia al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza o comunque a causa degli impugnati provvedimenti

IV) quanto al ricorso R.G. n. 974 del 2005

per l’annullamento

- del provvedimento a firma del Dirigente del Servizio Sviluppo Economico del Comune di Pistoia, prot. n. 13975 dell’11 marzo 2005, con cui è stato revocato il diritto ad attivare il pubblico esercizio di tipologia “B” presso i locali di via Pertini in Pistoia;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale

nonché per la condanna

del Comune di Pistoia al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza o comunque a causa degli impugnati provvedimenti.


Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pistoia;

Vista l’istanza di riunione dei ricorsi, depositata in data 9 ottobre 2008 dalla ricorrente;

Viste le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 16 aprile 2009, il dr. P D B;

Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

La società ricorrente, BE.CA.TO. S.r.l., espone di aver acquistato in data 27 settembre 2004 dal sig. M V T, con contratto di cessione di ramo d’azienda, l’esercizio commerciale avente tipologia “B” ex art. 5 della l. n. 287/1991 (bar, caffé, pasticcerie e similari) e posto nel Comune di Pistoia, alla via Pertini. Per detto esercizio, come recita la premessa del contratto, l’autorizzazione all’attività di somministrazione di alimenti e bevande sarebbe stata successivamente rilasciata, come dichiarato dal Servizio Attività Economiche del predetto Comune con raccomandata prot. n. 45244 del 17 luglio 2002.

In pari data, la società esponente acquistava inoltre dal sig. T – con ulteriore cessione di ramo d’azienda – l’esercizio commerciale posto anch’esso nei locali di Via Pertini in Pistoia e munito di autorizzazione amministrativa prot. n. 2052 del 7 marzo 1995, per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A” ex art. 5 della l. n. 287 cit. (ristoranti, trattorie, pizzerie ed esercizi similari).

Tuttavia, a seguito di sopralluogo effettuato il 13 dicembre 2004 (e documentato con verbale di pari data, n. 1830), i vigili annonari verificavano che la BE.CA.TO. S.r.l. svolgeva nei locali di via Pertini un esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia “B” senza la prescritta autorizzazione. In particolare, alla carenza del titolo autorizzativo non avrebbero supplito né la comunicazione di sub-ingresso presentata dalla società il 2 ottobre 2004, né l’autorizzazione sanitaria di cui al provvedimento del S.U.A.P., prot. n. 77163 del 13 dicembre 2004. Pertanto, con provvedimento dirigenziale prot. n. 8128 del 14 febbraio 2005, il Comune di Pistoia ordinava alla BE.CA.TO. S.r.l. di cessare immediatamente l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia “B” ex art. 5 della l. n. 287/1991. Contestualmente, con nota datata 11 febbraio 2005 il Comune provvedeva ad avviare il procedimento di revoca del diritto all’attivazione di un pubblico esercizio di tipologia “B”, cui seguiva, dopo la relativa istruttoria procedimentale, il provvedimento dirigenziale prot. n. 13975 dell’11 marzo, con il quale l’Amministrazione revocava il diritto sopra citato, sul rilievo: a) del mancato possesso, da parte del sig. T, dell’iscrizione al R.E.C.;
b) della scadenza, in data 30 settembre 2004, dell’ultima proroga concessa per il diritto ad ottenere l’autorizzazione di pubblico esercizio di tipologia “B” nei locali di via Pertini a Pistoia.

Con verbale n. 1865 del 7 febbraio 2005, la Polizia Municipale provvedeva inoltre, ad accertare nei riguardi della società esponente la mancanza di idonea autorizzazione amministrativa per l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia “A”, non potendo considerarsi validamente operante il trasferimento di licenza effettuato dal sig. T a causa di irregolarità riscontrate a carico di questi. Per conseguenza, con provvedimento dirigenziale prot. n. 8131 del 14 febbraio 2005, il Comune di Pistoia ordinava alla BE.CA.TO. S.r.l. la cessazione immediata dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia “A” ex art. 5 della citata l. n. 287. Allo stesso tempo l’Amministrazione comunale, con nota del 12 febbraio 2005, comunicava al sig. T, rendendone partecipe anche l’esponente, l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione n. 2052 del 7 marzo 1995, contestandogli la mancata iscrizione al R.E.C. sia in costanza della citata autorizzazione, sia al momento della cessione all’odierna ricorrente del ramo d’azienda di tipologia “A”. Il procedimento si concludeva con provvedimento dirigenziale prot. n. 13972 dell’11 marzo 2005, recante revoca della suddetta autorizzazione n. 2052 del 7 marzo 1995.

Avverso i suindicati provvedimenti, reputati ingiustamente lesivi dei propri interessi, è insorta la BE.CA.TO. S.r.l., impugnandoli con i ricorsi indicati in epigrafe. In particolare:

I) con il ricorso R.G. n. 741/2005 la società impugna l’ordine di cessazione immediata del pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande di tipo “B” (prot. n. 8128 del 14 febbraio 2005) e gli atti presupposti e connessi, tra cui il verbale della Polizia Municipale di Pistoia n. 1830 del 13 dicembre 2004;

II) con il ricorso R.G. n. 742/2005 la società impugna l’ordine di cessazione immediata del pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A” (prot. n. 8131 del 14 febbraio 2005), con gli atti presupposti e connessi e, specificamente, il verbale della Polizia Municipale di Pistoia n. 1865 del 7 febbraio 2005;

III) con il ricorso R.G. n. 973/2005 impugna la revoca dell’autorizzazione di pubblico esercizio per l’attività di somministrazione di cibi e bevande di tipologia “A”, prot. n. 2052 del 7 marzo 1995, relativa ai locali di via Pertini;

IV) con il ricorso R.G. n. 974/2005 impugna il provvedimento di “revoca” del diritto ad attivare l’autorizzazione di pubblico esercizio di tipologia “B” nei locali di via Pertini.

In tutti e quattro i ricorsi la BE.CA.TO. S.r.l. ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, nonché la condanna del Comune di Pistoia al risarcimento dei danni subiti e subendi, deducendo, a supporto del gravame, censure di contenuto analogo e cioè:


- violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 287/1991 e 20 della l. n. 241/1990, e della tabella C, voce 49, del d.P.R. n. 407/1994, violazione degli artt. 3, comma 1, e 10, commi 1 e 3, della l. n. 287/1991, nonché dell’art. 17-ter del R.D. n. 773/1931, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, carenza di motivazione, poiché sulla comunicazione di sub-ingresso della società nelle autorizzazioni per gli esercizi di somministrazione di tipo “A” e “B”, si sarebbe formato il silenzio assenso, perciò la società sarebbe titolare delle autorizzazioni per entrambe le tipologie di esercizio;
per di più, non sarebbe stato comunicato l’avvio dei procedimenti sanzionatori ed i provvedimenti adottati in esito agli stessi sarebbero privi di motivazione (ricorsi R.G. nn. 741/2005 e 742/2005);

- violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, ed eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e carenza di motivazione, poiché qualora si ritenesse che il provvedimento impugnato contenga l’implicita revoca o annullamento delle predette autorizzazioni, sarebbero state comunque violate le regole sulla preventiva comunicazione di avvio del procedimento e quelle sul cd. contrarius actus in materia di autotutela (ricorsi R.G. nn. 741/2005 e 742/2005), nonché quelle sulla motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico che deve recare l’atto di annullamento in autotutela (R.G. n. 741/2005);

- violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 287/1991 e degli artt. e ss. 2556 c.c., giacché sarebbe violata la disciplina sui trasferimenti d’azienda, dovendo ritenersi l’iscrizione al R.E.C. non già requisito di validità per la cessione di un ramo d’azienda munito di autorizzazione, ma soltanto un requisito soggettivo necessario per attivare il pubblico esercizio (R.G. nn. 742/2005, 973/2005 e 974/2005);

- violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 20 della l. n. 241/1990, e della tabella C, voce 49, del d.P.R. n. 407/1994, violazione degli artt. 4 della l. n. 287/1991 e 21-octies della l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per errore sui presupposti, violazione del giusto procedimento, contraddittorietà e carenza di motivazione, in quanto la società sarebbe titolare delle autorizzazioni di tipologia “A” e “B”, ottenute per silenzio assenso e la revoca delle quali non sarebbe stata preceduta dall’avviso ex art. 7 della l. n. 241/1990;
inoltre, i provvedimenti di revoca avrebbero illegittimamente trascurato che la titolare delle autorizzazioni (cioè la società ricorrente) era ed è iscritta al R.E.C.;
ancora, non sarebbero stati rispettati i principi in materia di atti di revoca codificati dall’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990;
infine, i provvedimenti di revoca richiamerebbero l’art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 287/1991, che, però, sarebbe inapplicabile alla vicenda de qua, stante l’attivazione dell’esercizio ad opera della ricorrente già da tre mesi al tempo dell’adozione dei provvedimenti (R.G. nn. 973/2005 e 974/2005).

La ricorrente ha formulato, altresì, domanda di risarcimento dei danni subiti e subendi per effetto degli atti impugnati.

Si è costituito in tutti i giudizi instaurati il Comune di Pistoia, depositando distinte memorie con cui ha chiesto la reiezione dei singoli ricorsi, attesa la loro infondatezza.

Con istanza del 9 novembre 2008, la società ricorrente ha chiesto la riunione dei ricorsi in epigrafe. In vista dell’udienza pubblica fissata per la loro discussione, ha poi depositato una memoria finale unica per tutti e quattro i ricorsi.

All’udienza del 16 aprile 2009 le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

La società ricorrente, BE.CA.TO. S.r.l., con i ricorsi indicati in epigrafe, impugna i seguenti atti, emanati dal Comune di Pistoia in relazione agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A” e di tipo “B” ex art. 5 della l. n. 287/1991, ambedue siti nella via Pertini: 1) l’ordine di cessazione del pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “B” (R.G. n. 741/2005) e 2) la revoca del diritto ad attivare l’autorizzazione di tipo “B” (R.G. n. 974/2005);
3) l’ordine di cessazione del pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A” (R.G. n. 742/2005) e 4) la revoca dell’autorizzazione del pubblico esercizio di tipo “A”, n. 2052 del 7 marzo 1995 (R.G. n. 973/2005).

In via preliminare si ritiene opportuno disporre la riunione dei ricorsi suindicati, in forza dei palesi motivi di connessione soggettiva ed oggettiva degli stessi.

Sempre in via preliminare, si reputa di dover trattare congiuntamente i ricorsi R.G. nn. 741/2005 e 974/2005, perché ambedue attinenti al pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “B”. In ugual modo, si reputa di dover trattare congiuntamente i ricorsi R.G. nn. 742/2005 e 973/2005, poiché ambedue attinenti al pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A”.

Cominciando, quindi, dai ricorsi R.G. nn. 741/2005 e 974/2005 (quelli attinenti all’autorizzazione di tipo “B”), osserva il Collegio che gli stessi sono ambedue infondati.

In argomento è necessaria una breve premessa in fatto, per rendere più agevolmente comprensibile la dimostrazione dell’infondatezza dei ricorsi. La premessa riguarda, infatti, la sussistenza o meno di un’autorizzazione per il pubblico esercizio di somministrazione di tipologia “B” in capo al dante causa della ricorrente, sig. M V T: orbene, l’analisi della documentazione versata in atti porta ad escludere che quest’ultimo fosse titolare della suddetta autorizzazione.

Per sostenere il contrario, la BE.CA.TO. S.r.l. adduce la nota del Comune di Pistoia del 17 luglio 2002, prot. n. 45244: questa costituirebbe, nella descrizione della vicenda fatta dalla società, il titolo autorizzatorio di cui avrebbe beneficiato il proprio dante causa, sig. T. Siffatta asserzione è palesemente priva di fondamento, per la decisiva ragione che quella invocata è una semplice nota di comunicazioni proveniente dall’Amministrazione comunale, indirizzata ad un soggetto diverso dal sig. T e che, in ogni caso, non reca il rilascio di alcuna autorizzazione. Più in dettaglio, la nota de qua:

1) è indirizzata non al sig. T, ma alla sig.ra J H, dante causa di quest’ultimo, la quale in data 23 agosto 1999 aveva presentato a propria volta domanda di autorizzazione per il pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “B”;

2) non contiene alcuna titolo autorizzatorio, ma si limita a comunicare che “l’autorizzazione sarà rilasciata successivamente all’indicazione esatta del locale che dovrà corrispondere ai requisiti di sorvegliabilità previsti dal D.M. 17.12.1992 n°564 ed all’ottenimento dei seguenti documenti:

- Autocertificazione (ai sensi della normativa antimafia);

- Copia del certificato di agibilità o attestazione di un tecnico abilitato (a cura del richiedente)”.

L’espressione contenuta nella prima parte della nota de qua (“la Sua domanda del 23.8.1999 prot. n. 44615…..può essere accolta”), dal canto suo, proprio per la formula utilizzata (non: “è accolta”, ma: “può essere accolta”), esclude ogni interpretazione che possa farla equiparare ad un atto di rilascio del titolo autorizzatorio. D’altronde, ad accogliere la soluzione opposta, si dovrebbe concludere che la nota in questione abbia un testo letterale contraddittorio, in quanto essa dapprima conterrebbe il rilascio dell’autorizzazione e poi, invece, lo negherebbe, subordinandolo alla produzione di ulteriore documentazione da parte della richiedente. Ma allora, scatterebbe il principio ermeneutico di cui all’art. 1362, secondo comma, c.c. (pienamente applicabile anche agli atti amministrativi: T.A.R. Sardegna, 19 dicembre 2002, n. 1823), per il quale, in presenza di un testo letterale contraddittorio o comunque di non agevole comprensione, occorre ricostruirne l’esatto significato tenendo conto del complessivo comportamento dell’autore dell’atto anche successivo all’adozione di questo. Dunque, occorrerebbe tenere conto anche del comportamento tenuto posteriormente alla nota in discorso dal Comune di Pistoia. Orbene, quest’ultimo non solo non ha mai riconosciuto in capo al sig. T il possesso dell’autorizzazione per l’esercizio di somministrazione di tipo “B”, ma anzi ha dimostrato il contrario con il proprio comportamento posteriore ed in particolare, proprio con l’intervento posto in essere avverso la ricorrente (in specie, con l’ordine di immediata cessazione dell’esercizio di tipo “B” nei locali di via Pertini, perché svolto in mancanza di autorizzazione). A conferma di ciò, deve rilevarsi come nel provvedimento prot. n. 13975 dell’11 marzo 2005, impugnato con ricorso R.G. n. 974/2005, il Comune di Pistoia riconnetta alla nota del 17 luglio 2002 non già il significato di atto di rilascio dell’autorizzazione, ma soltanto di atto con cui è stato costituito, in capo alla richiedente sig.ra J H, il diritto ad ottenere detta autorizzazione, beninteso subordinatamente al ricorrere delle condizioni elencate nel secondo periodo della nota stessa.

Alla conclusione ora vista – che non consente di attribuire il significato di autorizzazione alla nota del Comune resistente del 17 luglio 2002 – conducono anche ulteriori argomenti interpretativi, pur sempre desumibili dalla circostanza che nella predetta nota, ai fini del rilascio dell’autorizzazione, viene richiesta all’interessata la produzione di altra documentazione. Ciò significa che l’interessata tenendo un comportamento secondo buona fede e pur nella scarsa perspicuità della prima parte del testo della nota, avrebbe dovuto comprendere che questa recava una mera richiesta di integrazione della documentazione fino ad allora prodotta, evidentemente insufficiente ad ottenere il rilascio del titolo: avrebbe, cioè, dovuto comprendere che l’autorizzazione non sarebbe stata rilasciata fino a quando la suddetta documentazione integrativa non fosse stata depositata e poi vagliata dalla P.A. e ritenuta pienamente soddisfacente. Si rammenta, in proposito, che il contenuto e gli effetti di un provvedimento amministrativo devono essere individuati in base a ciò che ne può ragionevolmente intendere il destinatario, secondo il criterio ermeneutico della buona fede di cui all’art. 1366 c.c., applicabile all’interpretazione degli atti amministrativi anche in virtù del principio costituzionale di buon andamento (C.d.S., Sez. IV, 30 maggio 2002, n. 3004). Se sembra ragionevole ipotizzare un errore commesso in buona fede dall’originaria richiedente – sig.ra H – in ragione delle possibili difficoltà di comprensione della lingua italiana (per giunta, del gergo burocratico), nessun errore scusabile potrebbe mai ipotizzarsi a vantaggio del sig. T e dell’odierna ricorrente, che, avendo avuto contezza della nota del 17 luglio 2002, non potevano nutrire in buona fede equivoci in ordine alla sua effettiva portata di atto istruttorio, meramente endoprocedimentale e non conclusivo del procedimento.

D’altra parte, secondo la giurisprudenza, l’incertezza e la non univocità dei significati contenuti in un provvedimento amministrativo, soprattutto per ciò che attiene alle difformità riscontrabili tra le premesse ed il dispositivo, dev’essere risolta secondo il criterio generale d’interpretazione degli atti amministrativi, per il quale occorre riconoscere al provvedimento il solo significato che conduca a risultati conformi all’ordinamento giuridico (C.d.S., Sez. V, 1° aprile 1996, n. 318). Nella vicenda de qua, in presenza di un’incompletezza documentale dell’istanza di autorizzazione, emergente con chiarezza dal contenuto della nota comunale del 17 luglio 2002, in nessun modo si può riconoscere a quest’ultima il significato di rilascio del titolo autorizzatorio, perché ciò significherebbe il rilascio del titolo stesso pur in carenza della documentazione necessaria e quindi contra legem.

Da quanto sinora detto si deduce, anzitutto, che non è in alcun modo dimostrata l’esistenza, in capo alla sig.ra J H, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di tipo “B”. Dimostra, altresì, l’inesistenza di qualsivoglia autorizzazione di tal genere in capo al sig. T, dante causa, della ricorrente, il quale né l’ha conseguita in proprio, né l’ha conseguita per silenzio assenso a seguito di sub-ingresso rispetto alla sig.ra H, non essendo ipotizzabile un sub-ingresso in assenza della dimostrazione dell’esistenza del titolo, rispetto al quale si vorrebbe operare il suddetto sub-ingresso. Per la medesima ragione, nessuna autorizzazione è configurabile in capo alla ricorrente, non avendo quest’ultima ottenuto il titolo autorizzatorio né in proprio (con atto distinto e separato, nonché espresso), né per effetto del sub-ingresso rispetto al sig. T e quindi in via tacita per silenzio assenso. In argomento, va totalmente condivisa, infatti, l’obiezione della difesa comunale, secondo cui la validità della licenza, in realtà mancante, rappresenta presupposto necessario per operare il sub-ingresso. Va da sé, peraltro, che anche laddove si volesse sostenere in qualche modo che la sig.ra H abbia conseguito l’autorizzazione, mancherebbe comunque la prova del conseguimento della stessa da parte del sig. T ed anzi assumerebbero rilevanza le argomentazioni contrarie (su cui cfr. più diffusamente infra) fondate sulla mancata attivazione, da parte sua, dell’esercizio, e sulla sua mancata iscrizione al R.E.C..

A questo proposito, mette conto aggiungere che nessuna indicazione contraria potrebbe desumersi dal fatto che il sig. T avesse ottenuto dal Comune di Pistoia la sospensione dell’attività di somministrazione e poi una proroga di tale sospensione (cfr. la nota comunale 8 agosto 2004, prot. n. 50664), poiché, come si vedrà più specificamente in relazione al ricorso R.G. n. 974/2005, né alla scadenza di detta proroga (30 settembre 2004), né alla data anteriore di cessione del ramo d’azienda alla ricorrente (27 settembre 2004), il medesimo sig. T risultava in possesso dell’iscrizione al R.E.C.: ciò, in aggiunta alla mancata dimostrazione di conformità dei locali.

Alla luce della conclusione cui si è pervenuti circa l’inesistenza, in capo al dante causa sig. T, di un’autorizzazione per il pubblico esercizio di somministrazione di tipologia “B” in cui l’odierna ricorrente potesse subentrare, è agevole comprendere l’infondatezza di tutte le doglianze contenute nei ricorsi R.G. nn. 741/2005 e 974/2005, poiché basate sull’opposta premessa della sussistenza, in capo al sig. T, dell’autorizzazione de qua, in cui la ricorrente medesima sarebbe subentrata. E così, in relazione ai motivi avanzati con il ricorso R.G. n. 741/2005 avverso l’ordine di cessazione immediata dell’attività abusivamente esercitata, si osserva che:

a) non può ipotizzarsi alcun silenzio assenso formatosi a favore della ricorrente sulla comunicazione di sub-ingresso da questa eseguita il 30 settembre 2004. Invero, l’istituto del silenzio – assenso può configurarsi solo quando l’interessato sia in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per l’espletamento dell’attività per cui si richiede l’autorizzazione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 28 gennaio 2003, n. 500), mentre nel caso di specie manca il presupposto costituito dall’autorizzazione del dante causa, nella quale si pretenderebbe di subentrare per silentium. Ovviamente, ai fini della formazione del titolo autorizzatorio in capo alla BE.CA.TO. S.r.l. nessuna rilevanza può attribuirsi all’autorizzazione sanitaria rilasciata alla società con provvedimento del S.U.A.P.–Sportello Unico delle Attività Produttive, prot. n. 77163 del 13 dicembre 2004, trattandosi, come condivisibilmente eccepito dalla difesa comunale, di atto che nulla ha a che spartire con la licenza amministrativa per fini commerciali;

b) non essendosi formata nessuna autorizzazione tacita a favore della BE.CA.TO. S.r.l., è manifesta l’erroneità dell’invocazione, da parte di questa, dei principi in materia di autotutela, con il corollario dell’infondatezza delle censure di violazione di legge per applicazione di una sanzione estranea alla fattispecie in esame e di eccesso di potere per sviamento. Non essendovi, infatti, nessun atto tacito da revocare o annullare, non si può in alcun modo sostenere che la P.A. abbia esercitato il potere sanzionatorio, in luogo di quello di annullamento o revoca in autotutela;

c) non vi era alcuna necessità di far precedere il provvedimento impugnato dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, essendo stato notificato alla società il verbale di accertamento e contestazione dell’illecito amministrativo (prot. n. 1830 del 13 dicembre 2004), su cui si fonda il provvedimento stesso (v. subito infra): perciò, deve considerarsi integrata quella speciale esimente dall’obbligo ex art. 7 cit. che si ha quando il procedimento – qui il procedimento sfociato nell’ordine di cessazione dell’attività – consegua con un preciso nesso di derivazione necessaria da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall’interessato – qui il verbale di accertamento ed irrogazione della sanzione pecuniaria – (cfr. C.d.S., Sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034);

d) l’ordine di cessazione immediata dell’attività esercitata senza avere prima ottenuto la prescritta autorizzazione è correttamente motivato per relationem tramite rinvio al verbale di accertamento e contestazione dell’illecito amministrativo, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, per il quale, ai fini della motivazione per relationem, basta che l’interessato sia posto in condizione di conoscere gli atti da cui emergono i presupposti di fatto e di diritto della determinazione assunta (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 29 aprile 2009, n. 3595);

e) l’inesattezza della prospettazione della ricorrente, secondo la quale il provvedimento impugnato conterrebbe altresì un atto implicito di annullamento o revoca dell’autorizzazione conseguita – non essendovi, si ribadisce, nessuna autorizzazione da annullare o revocare –, dimostra l’infondatezza delle doglianze circa le (inesistenti) violazioni da parte del Comune dei principi in tema di esercizio dei poteri di autotutela (comunicazione di avvio del procedimento, principio del contrarius actus, mancanza di motivazione circa la revoca o annullamento e, per quest’ultimo, mancata indicazione dei preminenti motivi di interesse pubblico legittimanti l’annullamento).

Con riferimento, invece, ai motivi dedotti con il ricorso R.G. n. 974/2005 avverso il provvedimento di revoca in capo al sig. T del diritto ad attivare l’autorizzazione di tipo “B” per mancanza di iscrizione al R.E.C. (Registro Esercenti Commercio), va premesso che l’iscrizione al citato registro, benché abolita per le categorie di esercenti attività di vendita dall’art. 26 del d.lgs. n. 114/1998, è stata espressamente mantenuta, da tale disposizione legislativa, per le attività di somministrazione di alimenti e bevande. Pertanto, l’interessato deve non solo presentare apposita domanda, ma anche ottenere l’iscrizione, in quanto non vi è automatismo tra presentazione della domanda e iscrizione al R.E.C.: la vincolatività dell’azione amministrativa postula, infatti, l’esercizio del potere di verifica dell’esistenza in capo al soggetto richiedente dei requisiti previsti dalla legge (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 8 novembre 2004, n. 5722).

La giurisprudenza ha chiarito che nel caso di cessione dell’azienda per atto tra vivi, il sub-ingresso nell’autorizzazione, cui ha diritto il cessionario, è subordinato al previo accertamento da parte della P.A., dell’avvenuta cessione di tutte le tabelle autorizzate, dell’avvenuta immissione del subentrante nella titolarità dell’esercizio di vendita, nonché dell’esistente iscrizione del subentrante al Registro degli Esercenti Commerciali (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 6 agosto 2007, n. 7683;
T.A.R. Toscana, Sez. II, 26 aprile 1995, n. 216): ne discende che nel caso di specie – in cui è circostanza incontestata dalla ricorrente che il suo dante causa, sig. Marco T, non abbia mai ottenuto l’iscrizione al R.E.C. – il predetto sig. T non ha mai ottenuto alcun subentro nell’autorizzazione di tipo “B” di cui sarebbe stata titolare (per quanto detto prima, solo eventualmente) la sig.ra H.

In altri termini, secondo la giurisprudenza, la voltura dell’autorizzazione commerciale è un atto dovuto, in quanto la P.A. deve limitarsi ad accertare la sussistenza del trasferimento dell’esercizio di vendita e l’iscrizione, da parte dell’avente causa, nel Registro degli Esercenti il Commercio: poi, in caso di esito positivo, la licenza in sub-ingresso o la voltura di quella originaria non potranno essere negati. Pertanto, il trasferimento in gestione o in proprietà di un esercizio commerciale, per atto tra vivi o mortis causa, attribuisce a chi subentra nell’attività il diritto di ottenere la relativa autorizzazione amministrativa, ove sussistano le condizioni soggettive dell’iscrizione nel Registro degli Esercenti il Commercio e quelle oggettive dell’effettivo trasferimento dell’esercizio (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 12 aprile 2007, n. 3417). L’equivoco in cui incorre la ricorrente è quindi duplice:

a) da un lato, non considera che il sig. T, quale avente causa della sig.ra J H, per acquisire il sub-ingresso nell’autorizzazione avrebbe dovuto ottenere l’iscrizione al R.E.C., ma, non avendo mai ottenuto detta iscrizione, non ha mai acquisito alcun sub-ingresso e, quindi, non ha potuto “girare” alcun titolo autorizzatorio per gli esercizi di tipo “B” ad essa ricorrente. In modo del tutto appropriato – ed in conformità al suindicato indirizzo giurisprudenziale della doverosità della volturazione, qualora ne sussistano i presupposti soggettivi ed oggettivi – il Comune di Pistoia ha intitolato il provvedimento gravato non già “revoca dell’autorizzazione”, ma “revoca del diritto ad attivare l’autorizzazione”, volendo con ciò sottolineare il ruolo rivestito dalla mancata iscrizione al R.E.C. del sig. T quale fattore impediente del suo diritto ad ottenere il subentro nella relativa autorizzazione amministrativa;

b) dall’altro, insiste nel sostenere – del tutto erroneamente, come si è già visto – la formazione del silenzio assenso sulla propria comunicazione di sub-ingresso presentata il 30 settembre 2004 e ciò al fine di dedurne che al momento dell’emanazione del provvedimento di revoca impugnato, titolare dell’autorizzazione sarebbe stata essa ricorrente, iscritta al R.E.C., con conseguente illegittimità di detto provvedimento. Non essendosi formato, però, alcun silenzio assenso in capo alla società, non può utilmente percorrersi neppure questa via per eludere il dato incontroverso dell’assenza, in capo al dante causa, di un’autorizzazione di tipo “B” da volturare in favore della società stessa.

In secondo luogo, il provvedimento gravato è fondato sulla mancata attivazione dell’esercizio da parte del sig. T, con conseguente applicabilità alla vicenda in parola dell’ipotesi di “revoca” dell’autorizzazione prevista dall’art. 4, comma 1, lett. a), prima parte, della l. n. 287/1991 (“revoca” per mancata attivazione dell’esercizio entro 180 giorni dalla data del rilascio del titolo).

Da quanto sin qui esposto discende l’infondatezza di ambedue i motivi in cui è articolato il ricorso R.G. n. 974/2005.

Ed infatti, innanzitutto, la censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento è confutata dalla documentazione depositata dal Comune di Pistoia, in specie dalla nota comunale prot. n. 7937 del 12 febbraio 2005 e dalla lettera della società datata 28 febbraio 2005 (all.ti 15 e 16 della difesa del Comune).

In secondo luogo, il riferimento al possesso, in capo alla BE.CA.TO. S.r.l., dell’iscrizione al R.E.C. è, per ciò che si è poc’anzi detto, totalmente irrilevante, né vi sono elementi per configurare quello gravato come atto di annullamento in via di autotutela di un’autorizzazione, invero inesistente.

Qualche osservazione in più meritano le doglianze sulla violazione dei principi che, in materia di revoca del provvedimento amministrativo, si rinvengono nell’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 ed in particolare del principio del contrarius actus (che avrebbe determinato, secondo la ricorrente, la necessità di acquisire il parere dell’apposita Commissione comunale prescritto in sede di rilascio dell’autorizzazione) e dell’obbligo di adeguata motivazione.

Le doglianze non possono essere condivise, giacché il provvedimento impugnato, adottato ex art. 4 della l. n. 287/1991, non costituisce una revoca in senso stretto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, ma un provvedimento ad azione e contenuto vincolato, recante i connotati di una decadenza di tipo sanzionatorio (C.d.S., Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6800;
id., 15 settembre 2005, n. 4196). Ha osservato sul punto la giurisprudenza, in relazione ad una vicenda che presenta molte analogie con quella ora in esame, che la “revoca” ex art. 4 della l. n. 287/1991 ha carattere obbligatorio e non discrezionale, postulando la norma soltanto un accertamento di natura temporale (mancata attivazione dell’esercizio entro un certo termine), la cui esecuzione non implica nessuna ponderazione di interessi: gli effetti estintivi, una volta compiuto l’accertamento ricognitivo appena descritto, scaturiscono automaticamente dalla fattispecie legale, senza alcuna mediazione costitutiva da parte della P.A.. Se ne desume che il Legislatore ha definito impropriamente come “revoca” un provvedimento, ad adozione e contenuto vincolato, che ha invece, in tutti i casi previsti dall’art. 4 cit., i connotati di una decadenza di tipo sanzionatorio (C.d.S., Sez. V, n. 6800/2004, cit.;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 28 novembre 2005, n. 12426). La giurisprudenza è poi pervenuta alla medesima conclusione in relazione alla “revoca” o “annullamento” di autorizzazioni commerciali rilasciate sulla base dell’erroneo presupposto dell’iscrizione al R.E.C.: a tal proposito si è, infatti, espressamente escluso che l’atto debba essere preceduto dal parere della Commissione comunale prevista dagli art. 11 e 16, della l. n. 426/1971, in ragione del suo carattere vincolato e, in quanto tale, non implicante alcuna valutazione discrezionale (così T.A.R. Lazio, Latina, 16 maggio 2005, n. 383). A conferma di ciò, la giurisprudenza ha richiamato l’art. 31 della l. n. 426 cit. (legge che, per le disposizioni concernenti il R.E.C. relativamente all’attività di somministrazione di alimenti e bevande ex l. n. 287/1991, è stata fatta salva dall’abrogazione dalla clausola di salvezza contenuta nell’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 114/1998). In base all’art. 31 cit., infatti, la cancellazione dal Registro degli Esercenti ha come conseguenza la doverosa revoca dell’autorizzazione;
ciò anche in conformità al principio introdotto dall’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, secondo cui l’annullamento di provvedimenti vincolati per vizi formali non può essere pronunciato ove appaia palese che il loro contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (T.A.R. Lazio, Latina, n. 383/2005, cit.;
id., 17 gennaio 2007, n. 39).

Ma se l’atto in parola ha natura non discrezionale, né costitutiva, sono prive di fondamento anche le doglianze relative ai pretesi vizi procedimentali (necessità del parere della Commissione comunale) e di carenza di motivazione: come sostenuto dal Consiglio di Stato con un ragionamento che appare pienamente estensibile alla fattispecie in esame (pur tenendo conto che in questa non si era formata a favore del sig. T alcuna autorizzazione), nessun parere obbligatorio, diversamente da quanto avviene per il rilascio, è richiesto per far cessare l’efficacia dell’autorizzazione commerciale non tempestivamente utilizzata dal titolare, giacché, una volta decorso il predetto termine, è il medesimo ordinamento a sancire la subvalenza dell’interesse oppositivo del destinatario del provvedimento di “revoca” rispetto all’interesse pubblico primario alla celere utilizzazione, funzionale all’ordinato svolgimento del commercio, di tutti gli assensi rilasciati, anche al fine di scongiurare il rischio di deprecabili fenomeni di indebita locupletazione sui titoli suddetti (C.d.S., Sez. V, n. 6800/2004 cit.;
cfr. pure T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, n. 12426/2005, cit.). Ovviamente, la medesima subvalenza dell’interesse oppositivo del privato interessato si coglie nella disciplina sancita dalla l. n. 426/1971 (in specie dall’art. 31) con riferimento all’ipotesi della cancellazione dell’iscrizione al R.E.C. ed al connesso carattere vincolato del provvedimento di “revoca”. Del resto, ci si trova qui di fronte ad un provvedimento sanzionatorio, di natura decadenziale e vincolata, che la P.A. è tenuta ad adottare nei riguardi del privato inadempiente agli obblighi assunti in dipendenza dell’autorizzazione o a seguito della perdita dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 5 dicembre 2002 , n. 4730).

L'obiettiva natura vincolata della “revoca” gravata – considerata tanto sotto il profilo della mancata tempestiva attivazione dell’esercizio, quanto sotto quello della non iscrizione al R.E.C. – attenua altresì, secondo la giurisprudenza (C.d.S., Sez. V, n. 6800/2004, cit.), la necessità di una diffusa motivazione del relativo provvedimento, apparendo sufficiente, ai fini di un’esauriente esternazione delle ragioni che lo giustificano, che dal tenore dell’atto emerga la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge. Nel caso di specie le ragioni giustificative (mancata attivazione dell’esercizio e mancata iscrizione al R.E.C.) sono puntualmente esternate: donde l’infondatezza della censura.

La ricorrente lamenta ancora la contraddittorietà del richiamo all’art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 287/1991, nella parte in cui questo sanziona – come detto – con la “revoca” la mancata attivazione dell’esercizio per un periodo di 180 giorni dal rilascio del titolo, in quanto, in realtà, essa avrebbe attivato da mesi l’esercizio, ottenendo anche l’autorizzazione del S.U.A.P.: in argomento è, tuttavia, sufficiente rinviare a quanto sopra detto circa l’equivoco in cui incorre la ricorrente, la quale omette di considerare che ciò che rileva, ai fini del provvedimento gravato, è solamente la condotta del sig. T.

Come condivisibilmente osserva la difesa comunale, invero, la sequenza dei fatti ricostruita dalla BE.CA.TO. S.r.l. non tiene conto delle inadempienze del sig. T, unico soggetto conosciuto dalla P.A. come potenzialmente legittimato entro il 30 settembre 2004 ad attivare l’autorizzazione per l’esercizio di tipo “B” già richiesta dalla sig.ra H. Né si considera che – come già si è avuto modo di rilevare – la normativa de qua si propone il fine di scongiurare fenomeni di indebita locupletazione sulle autorizzazioni commerciali: fenomeni di cui si scorge qualche indizio nel caso in esame, alla luce del ripetuto avvicendarsi di soggetti interessati all’attivazione dell’esercizio nel giro di un arco temporale ridotto.

Circa l’irrilevanza, ai fini che qui interessano, del rilascio dell’autorizzazione sanitaria ad opera del S.U.A.P., si rinvia a quanto già detto in argomento, a confutazione delle doglianze formulate con il ricorso R.G. n. 741/2005.

Peraltro, anche a non voler considerare fondato il motivo di “revoca” basato sull’art. 4, comma 1, lett. a), prima parte, della l. n. 287/1991, resterebbe comunque fermo – mantenendo il carattere di doverosità e vincolatività della “revoca” – quello fondato sulla mancata iscrizione al R.E.C.: a tal proposito soccorre, perciò, il costante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale qualora il provvedimento si fondi su una pluralità di motivazioni autonome, il venir meno di una di esse non provoca l’illegittimità dell’atto se un’altra giustificazione sia in via autonoma idonea a sorreggerlo (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 30 novembre 2007, n. 6532;
T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 28 gennaio 2008, n. 608).

Quanto, infine, al secondo motivo di ricorso, con esso si nega che l’iscrizione al R.E.C. costituisca condizione di validità del contratto di cessione d’azienda e presupposto, in mancanza del quale al cessionario non sarebbe consentito subentrare nel titolo autorizzatorio. L’iscrizione sarebbe dunque un requisito soggettivo indispensabile per la sola attivazione del pubblico esercizio, non anche per la validità della cessione. Con specifico riferimento alla vicenda per cui è causa, peraltro, la P.A. avrebbe reiteratamente accolto le istanze di proroga della sospensione dell’attivazione formulate dal sig. T, in attesa che costui ottenesse l’iscrizione al R.E.C. o cedesse l’attività ad un soggetto in possesso dell’iscrizione: l’ultima proroga sarebbe scaduta il 30 settembre 2004, ma a quella data era già operativo (perché intervenuto il 27 settembre 2004) il passaggio del ramo di azienda in capo alla ricorrente, la quale legittimamente avrebbe fatto affidamento sulla proroga stessa.

Le doglianze ora riportate sono irrilevanti e comunque infondate.

Per un primo verso, si richiama la più recente giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, n. 7683 del 2007, cit.), la quale ha avuto modo di individuare con precisione la relazione che intercorre tra il trasferimento inter vivos dell’autorizzazione amministrativa ed il trasferimento del relativo ramo d’azienda.

In particolare, la licenza comunale per l’esercizio del commercio di vendita al pubblico ha carattere personale e non può essere trasmessa in forza di un semplice accordo fra soggetti privati, né può intervenire nei rapporti giuridici di carattere negoziale privato, che abbiano attinenza con l’attività dell’esercizio. Pertanto, la cessione della licenza per via negoziale, risultando contraria a norme imperative, è colpita da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., sebbene la licenza sia trasferita secondo l’intenzione delle parti come un elemento dell’azienda alla cui gestione si riferisce (Cass. Civ., Sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1918). Perciò, la cessione dell’autorizzazione amministrativa rilasciata per l’esercizio di un’attività commerciale, che intervenga senza la cessione contestuale dell’azienda, va giudicata inammissibile, così come parimenti non potrebbe configurarsi una cessione di un’azienda commerciale con esclusione della relativa autorizzazione (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 12 luglio 1995 , n. 618). In questo quadro – e secondo quanto si è già visto più sopra – nell’ipotesi di cessione dell’azienda per atto tra vivi, il sub-ingresso nell’autorizzazione, al quale ha diritto il cessionario, è subordinato al preventivo accertamento da parte della P.A., tra l’altro, dell’esistente iscrizione del subentrante al R.E.C. (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 216/1995, cit.). Anche alla stregua della riforma della disciplina del commercio, di cui al d.lgs. n. 114/1998 , affinché la novazione soggettiva nell’autorizzazione commerciale si realizzi ope legis, è necessario il verificarsi di una duplice condizione: una, di natura obiettiva, che riguarda il permanente rispetto dei regolamenti locali di polizia urbana, annonaria e igienico-sanitari, dei regolamenti edilizi, nonché delle norme urbanistiche e di quelle relative alle destinazioni d’uso, oltre alla prova dell’effettivo trasferimento dell’esercizio;
l’altra condizione è di natura soggettiva e concerne, oltre alla sussistenza degli altri requisiti ex art. 5 del d.lgs. n. 114 cit., l’iscrizione del subentrante nel R.E.C. (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, n. 7683/2007, cit.).

Ne discende l’infondatezza della tesi della ricorrente, secondo cui l’assenza di iscrizione al R.E.C. non incide sulla validità della cessione d’azienda, ma solo sulla possibilità di attivare l’esercizio commerciale. Infatti, la mancata iscrizione al R.E.C. non consente il perfezionarsi del trasferimento dell’autorizzazione amministrativa e, pertanto, rende inconfigurabile sotto il profilo pubblicistico (e nulla sotto quello civilistico, alla stregua della giurisprudenza sopra riportata) la cessione del ramo d’azienda, cui l’autorizzazione stessa si riferisce.

Quanto, poi, al presunto affidamento che avrebbe avuto diritto di nutrire la ricorrente, alla luce delle proroghe (in realtà, solo una) concesse dal Comune, si osserva in contrario che la cessione del ramo d’azienda è assai sospetta, nel senso che essa reca i sintomi dell’espediente messo in piedi in data 27 settembre 2004 per eludere la scadenza irrimediabile, tre giorni dopo, della proroga concessa al sig. T, senza che questi avesse utilizzato il termine accordatogli per procurarsi l’iscrizione al R.E.C.;
come tale, trattasi di meccanismo di dubbia conformità all’art. 1344 c.c. e che conduce ad escludere la sussistenza di profili di affidamento meritevoli di tutela, salva la dimostrazione (ma in sedi diverse dalla presente) dell’essere la ricorrente caduta vittima di altrui raggiri (che comunque non inciderebbero ai fini del rapporto con la P.A.). In ogni caso, è destituita di qualsiasi fondamento l’asserzione della ricorrente, secondo cui la proroga della sospensione dell’attivazione dell’esercizio sarebbe stata concessa dal Comune allo scopo di consentire al sig. T di trovare altro soggetto in possesso dell’iscrizione al R.E.C.: invero, la nota comunale di concessione della proroga (prot. n. 50664 dell’8 agosto 2004) era in risposta alla richiesta del privato del 15 luglio 2004, motivata in tutt’altra guisa e cioè con riguardo: a) all’ampliamento dell’oggetto sociale della società di cui era socio;
b) al perdurare dei lavori di ristrutturazione dei locali in cui l’esercizio era ubicato.

Ne discende la complessiva infondatezza del ricorso R.G. n. 974/2005, che deve perciò, al pari di quello R.G. n. 741/2005, essere respinto.

Venendo all’esame dell’altra coppia di ricorsi (quello R.G. n. 742/2005 e quello R.G. n. 973/2005), osserva il Collegio che premessa comune ai provvedimenti attraverso essi impugnati è la mancata attivazione, da parte del dante causa sig. T, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande di tipo “A”, in ragione del mancato ottenimento, da parte dello stesso, dell’iscrizione al R.E.C.: dato di fatto – questo della mancata iscrizione al R.E.C. del proprio dante causa – che non viene contestato dalla società ricorrente.

Fatta questa necessaria premessa e cominciando l’analisi dal ricorso R.G. n. 742/2005, il Collegio osserva come questo abbia ad oggetto l’impugnazione del provvedimento comunale recante ordine di cessazione immediata dell’attività di pubblico esercizio di somministrazione di tipologia “A” (prot. n. 8131 del 14 febbraio 2005).

Il primo motivo riproduce, in buona sostanza, le identiche argomentazioni (sebbene adattate al caso di specie) già formulate con il primo motivo del ricorso R.G. n. 741/2005 circa il preteso formarsi del silenzio assenso sulla comunicazione di sub-ingresso presentata dalla BE.CA.TO. S.r.l. in data 30 settembre 2004. Per la loro confutazione si rinvia, quindi, a quanto più sopra esposto in sede di confutazione del primo motivo del ricorso R.G. n. 741/2005, con l’avvertenza che nella fattispecie ora in esame si deve parlare di “revoca” e quindi decadenza del sig. T dall’autorizzazione di tipo “A”, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a), seconda parte, della l. n. 287/1991, per sospensione dell’attività per un periodo superiore a dodici mesi. Non si tratta, quindi, del fatto che il suindicato sig. T non ha mai posseduto la relativa autorizzazione (come per l’esercizio di tipo “B”), ma del venir meno di quest’ultima per l’eccessivo protrarsi dell’inerzia dell’interessato. A ciò si deve aggiungere che l’ostacolo oggettivo – che impediva l’attivazione dell’autorizzazione – consisteva nella non iscrizione del sig. T al R.E.C.: ostacolo rimasto invero insuperato. Ed infatti, come correttamente rileva la difesa comunale, il T, al momento in cui è subentrato nella licenza di tipo “A” n. 2052 del 7 marzo 1995, non era iscritto al R.E.C., essendosi limitato a comunicare di avere in atto la costituzione di una nuova società, in esito alla quale avrebbe fornito al Comune il R.E.C. di quest’ultima (cfr. la sua lettera dell’8 agosto 2003, all. 5 del Comune, in cui comunicava il sub-ingresso e nel contempo dichiarava di sospendere temporaneamente l’esercizio): ma egli non ha mai ottemperato a siffatto impegno.

Vero è che, ai sensi dell’art. 4, comma 1, cit., per effetto di comprovate necessità l’interessato può ottenere una proroga all’attivazione dell’esercizio (T.A.R. Liguria, Sez. II, 20 ottobre 1995, n. 435), ma nel caso di specie alla scadenza della proroga non ha fatto seguito l’attivazione dell’esercizio da parte dell’unico soggetto legittimato (il sig. T), bensì da parte di altro soggetto (la ricorrente), non legittimato sotto il profilo pubblicistico e perciò operante abusivamente.

Quanto, poi, al secondo motivo, esso riproduce, anche in questo caso adattandolo al caso in esame, il secondo motivo del ricorso R.G. n. 974/2005 in relazione al “peso” rivestito nella vicenda dalla mancata iscrizione del sig. T al R.E.C.: anche a questo proposito, si rinvia pertanto a quanto detto a confutazione del secondo motivo del ricorso R.G. n. 974/2005, sottolineando in particolare l’impossibilità di configurare un legittimo affidamento dell’odierna ricorrente nei confronti della P.A. (altra cosa, ovviamente, sono i suoi rapporti con il proprio dante causa).

Ne discende la complessiva infondatezza del ricorso R.G. n. 742/2005, che deve essere, pertanto, respinto.

Passando, infine, al ricorso R.G. n. 973/2005, con lo stesso viene impugnato il provvedimento di “revoca” (rectius, decadenza) dell’autorizzazione per il pubblico esercizio di tipo “A”, n. 2052 del 7 marzo 1995, per due ordini di motivi (peraltro, tra loro a ben vedere connessi):

1) la sospensione dell’attivazione dell’esercizio per un periodo superiore a dodici mesi, ex art. 4, comma 1, lett. a), seconda parte, della l. n. 287/1991;

2) la mancata iscrizione dell’avente causa al R.E.C. (art. 4, comma 1, lett. b), della l. n. 287 cit.;
cfr. pure l’art. 31 della l. n. 426/1971).

Con il primo motivo vengono riproposte, con i necessari adattamenti, le censure già formulate con il primo motivo del ricorso R.G. n. 974/2005 e per la loro confutazione si rimanda a quanto si è prima detto a confutazione di quest’ultimo. Con il secondo motivo la ricorrente torna ancora una volta ad insistere sul valore dell’iscrizione al R.E.C. ed a questo proposito si rinvia, in contrario, a quanto si è diffusamente argomentato più sopra ed in particolare, ai precedenti giurisprudenziali che si sono riportati. Ciò, non senza aggiungere che, a stretto rigore, nel caso di specie non sembra trattarsi di vera e propria “revoca”, ossia decadenza, del sig. T dall’autorizzazione di tipo “A”, come si sarebbe verificato se egli, risultato in possesso dell’iscrizione al R.E.C., l’avesse poi per qualunque motivo persa (ad es. per cancellazione ex art. 31 della l. n. 426/1971). Poiché, però, il sig. T aveva già all’atto del sub-ingresso dichiarato che avrebbe successivamente trasmesso al Comune il R.E.C. della nuova società che stava andando a costituire (ma non lo ha mai trasmesso), si deve a rigore concludere che egli non sia mai legittimamente subentrato al proprio dante causa, cioè non abbia mai acquisito l’autorizzazione di tipo “A” (coi riflessi, sul piano civilistico, che si sono più sopra illustrati). Per conseguenza, non si vede come la BE.CA.TO. S.r.l. potesse subentrargli in un titolo di cui, a ben vedere, il predetto sig. T era sprovvisto. A rigore, anche in questo caso si dovrebbe perciò parlare non di “revoca” dell’autorizzazione, ma di “revoca” del diritto ad attivare un’autorizzazione mai effettivamente conseguita. Se ne desume in maniera ancora più lampante (e del tutto analoga a quella già vista nel ricorso R.G. n. 974/2005) l’infondatezza delle pretese della società ricorrente.

Anche il ricorso R.G. n. 973/2005, al pari dei tre precedentemente esaminati, risulta in definitiva infondato e, in quanto tale, deve essere respinto.

Considerata l’infondatezza di tutti i ricorsi epigrafati, debbono essere del pari respinte le domande di risarcimento dei danni a mezzo di essi proposte, poiché la domanda di risarcimento postula che sia coltivato con successo il giudizio di annullamento dei provvedimenti illegittimi (v. C.d.S., A.P., 26 marzo 2003, n. 4;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 febbraio 2009, n. 1345).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei confronti del Comune di Pistoia, mentre non si fa luogo alla loro liquidazione nei confronti del sig. T, non costituitosi in giudizio.

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