TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-12-31, n. 202423870
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Testo completo
Pubblicato il 31/12/2024
N. 23870/2024 REG.PROV.COLL.
N. 10486/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10486 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Suela Fani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via San Petronio Vecchio 23;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del diniego dell’istanza di concessione della cittadinanza -OMISSIS-;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2024 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente impugna il decreto n. -OMISSIS- del 19.03.2019 con cui il Ministero dell’Interno ha respinto la sua istanza, presentata in data 12.12.2012, volta alla concessione della cittadinanza italiana per residenza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge n. 91/1992.
L’Amministrazione, in particolare, a seguito della comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis , legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per le seguenti vicende penali emerse a suo carico:
- notizia di reato emessa dal Commissariato di Imola in data 25.10.2013 dalla quale è scaturito il procedimento penale recante RGNR 163/2013 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per il reato di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia);
- ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito del procedimento penale recante RGNR 14602/2015 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, per il reato di cui all’art. 73 comma 1 DPR 309/90 e 110 c.p. (traffico internazionale di sostanze stupefacenti in concorso).
Il diniego risulta motivato, inoltre, per la ritenuta insufficienza del reddito.
Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessato, deducendo i seguenti motivi di diritto:
I. “ Illegittimità del provvedimento amministrativo per violazione dell'articolo 3 del D.P.R. n.362 del 1994 sotto il profilo del completamento dell'iter istruttorio e procedimentale ”, in quanto il diniego è stato adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, con conseguente consumazione del potere di provvedere;
II. “ Illogicità e contraddittorietà delle motivazioni del provvedimento di diniego cittadinanza per violazione di legge, eccesso di potere per difetto, carenza ed insufficienza di istruttoria e di motivazione, errata ed illogica valutazione, insussistenza degli elementi ostativi all'emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana. Violazione e errata applicazione dell'art. 6, comma lett. B L.91/92 ”, atteso che gli asseriti precedenti penali non sarebbero idonei a sorreggere il diniego impugnato poiché, quanto alla notizia di reato del 2013 per maltrattamenti in famiglia, il procedimento si è concluso con sentenza di assoluzione “ per non aver commesso il fatto ” pronunciata dal Tribunale di Bologna in data 15.09.2016, e parimenti il procedimento penale per il reato in materia di stupefacenti si è concluso con sentenza di assoluzione “ per non aver commesso il fatto ” pronunciata dalla Corte di Appello di Bologna del 31.05.2019 (in riforma, sul punto, della sentenza di primo grado). Eccepisce l’illegittimità del diniego anche in relazione alla ritenuta carenza reddituale, producendo la dichiarazione fiscale del 2018 da cui risulta un reddito annuo di € 17.160,00. Lamenta, inoltre, che il gravato decreto risulta affetto anche da un grave difetto di istruttoria, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto in concreto della complessiva condotta del richiedente nell'arco dell'intero periodo di permanenza sul territorio nazionale, essendosi ormai compiutamente integrato nel tessuto economico e sociale.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha depositato gli atti del procedimento nonché la relazione ministeriale.
All’udienza pubblica del 27 novembre 2024 il ricorso è stato introitato per la decisione.
2.- Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Deve essere disatteso, innanzitutto, il primo profilo di censura, riguardante l’asserita illegittimità del diniego in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento.
Infatti, allorché venga presentata un’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, come nel caso in esame, l’Amministrazione conserva senza dubbio il potere di provvedere anche dopo la scadenza del termine di conclusione del procedimento, trattandosi di termine pacificamente ordinatorio e non perentorio, il cui inutile decorso, come ripetutamente chiarito anche da questa Sezione, può semmai legittimare il richiedente a proporre il ricorso avverso il silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a. (TAR Lazio, sez. V bis, n. 3620/2022, 5130/2022, 6604/2022, 6254/2022, 16216/2022) nonché, eventualmente, un’azione di risarcimento per il danno da ritardo, sebbene in presenza di tutti gli altri necessari presupposti.
D’altronde, la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 06/06/2017, n.2718) ha precisato che un termine procedimentale non può rivestire carattere perentorio - tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all'Amministrazione in caso di suo superamento - se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso: detti presupposti non sono evidentemente ravvisabili nel caso in esame.
Sulla scorta dei suddetti rilievi, acclarata la conservazione del potere di provvedere in capo all’Amministrazione anche dopo la scadenza del termine ordinatorio previsto dalla legge, la doglianza in esame va disattesa.
3.- Ciò posto, quanto al merito della controversia, giova premettere, con riferimento agli elementi ostativi costituiti dalle vicende penali emerse a carico del richiedente, un richiamo alla giurisprudenza formatasi in questa materia, ricostruita dalla Sezione in recenti pronunce (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018, 3471, 4280 e 5130 del 2022), anche in ragione del fatto che nel ricorso risulta contestata la violazione dell’art. 6 della legge n. 91 del 1992, il cui richiamo appare evidentemente inconferente nell’odierno giudizio poiché tale disposizione disciplina la diversa fattispecie dell’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’art. 5, ovvero la cittadinanza “per iuris communicatio” (vale a dire per matrimonio con cittadino italiano), mentre nel caso in esame l’istante ha domandato la concessione della cittadinanza “per residenza” ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della citata legge n. 91/1992.
3.1- Ebbene, è appena il caso di ricordare che, ai sensi del menzionato articolo 9 comma 1 lettera f), la cittadinanza italiana " può " essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la