TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2014-06-09, n. 201406117

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2014-06-09, n. 201406117
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201406117
Data del deposito : 9 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04265/2010 REG.RIC.

N. 06117/2014 REG.PROV.COLL.

N. 04265/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4265 del 2010, proposto da:
Soc. P S, in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. L P, con domicilio eletto presso L P in Roma, viale delle Milizie, 114;

contro

Comune di Roma, rappresentato e difeso per legge dall'avv. R R, domiciliato in Roma, via Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

del divieto di prosecuzione attività di vendita settore non alimentare limitato al genere merceologico "calzature" in via Napoleone III, n. 54-56 angolo via Rattazzi n. 23/a.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame, la società ricorrente, per il tramite del suo legale rappresentante, ha chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 171 del 5 febbraio 2010, prot. 9644, con la quale Roma Capitale ha fatto divieto alla soc. Platino srl di proseguire l’attività di vendita per il settore non alimentare, limitatamente al genere merceologico delle calzature, nei locali siti in via Napoleone III, n. 54-56, angolo via Rattazzi 23/A, per la seguente motivazione: “Premesso che ... la soc. Platino srl ... ha presentato comunicazione di apertura per subingresso a seguito di compravendita dalla società VITTORIA srl nell’esercizio di vicinato settore non alimentare per i generi merceologici dell’abbigliamento, accessori e calzature ...;
Che il dante causa VITTORIA srl non risulta agli atti del Municipio in possesso del titolo autorizzatorio per l’attività di vendita del settore non alimentare nel genere merceologico delle calzature;
Che in data 14/7/2009 è stata notificata all’interessato la comunicazione del 28/5/2009, prot. CA/42291, di avvio del procedimento di divieto inizio attività del settore non alimentare limitatamente alle calzature;
Che con nota ... del 19/12/2009, il I Gruppo di P.M. ha segnalato che in data 19/12/2009 nel locale di cui trattasi, la Platino srl ... effettuava anche la vendita delle calzature;

Considerato che

agli atti di questo Municipio non sono pervenute osservazioni né chiarimenti e non sono emersi nuovi elementi da considerare;
Che ai sensi della deliberazione del C.C. n. 10/2009 è inibita nel rione Esquilino l’apertura di nuove attività di produzione e/o vendita di ogni tipo di calzature, anche sportive e pelletterie ... DETERMINA ... il divieto .... di proseguire l’attività di vendita settore non alimentare limitatamente al genere merceologico delle calzature ...”.

In punto di fatto, la società ricorrente espone che:

-successivamente alla nota di avvio del procedimento, Roma Capitale, con missiva del 16/9/2009, prot. 67494, ha comunicato alla Platino srl la procedura di archiviazione dell’avvio del procedimento e di divieto prosecuzione attività del 28/5/2009, prot. CA/42291;

-tuttavia, senza alcuna comunicazione preventiva circa la riapertura del procedimento medesimo, l’Amministrazione ha ritenuto di fare divieto dell’attività di vendita delle calzature sulla base della delibera di C.C. n. 10/2009.

Come seguono i motivi-vizi dedotti in ricorso:

1)eccesso di potere e violazione di legge:

1.1)la deliberazione di C.C. n. 10/2009 fa espressa menzione del divieto di apertura di nuove attività. Nel caso di specie, si è al di fuori dell’ipotesi prevista e vietata dalla citata deliberazione poiché la Platino srl è subentrata alla VITTORIA srl, in virtù di atto di cessione di ramo d’azienda, la quale già prima dell’adozione della deliberazione consiliare esercitava nei locali indicati attività di vendita del genere “calzature”. Non si configura, pertanto, l’apertura di una nuova attività bensì, per effetto del subentro, il proseguimento nell’esercizio di un’attività già svolta;

1.2)per effetto della liberalizzazione commerciale di cui al D.Lvo n. 114/1998, la distinzione tra categorie attiene esclusivamente al settore alimentare e non alimentare senza che vi sia ulteriore differenziazione in ordine al genere merceologico;

2)illegittimità dell’atto presupposto, violazione di legge e carenza di motivazione:

2.1)la deliberazione di C.C. n. 10 del 2009 è illegittima nella parte in cui pone un netto divieto per l’apertura di nuove attività di vendita di calzature, anche sportive, e pelletteria, poiché in contrasto con l’art. 6 del D.Lvo n. 33 del 1999 e gli artt. 2, 11 e 27 della L.R. n. 33 del 1999;

2.2)il divieto assoluto espresso nella delibera C.C. n. 10/2009 si pone in contrasto con i parametri normativi regionali e con i principi della libera concorrenza e della tutela delle attività commerciali;

3)difetto e/o insufficiente motivazione e difetto di istruttoria:

3.1)la delibera de qua pone il divieto di apertura di nuove attività mentre nel caso di specie non si tratta di nuova attività bensì di prosecuzione di un’attività già esercitata dalla dante causa della ricorrente;

4)violazione del principio dell’affidamento ed eccesso di potere:

4.1)è passato un tempo non trascurabile tra la presentazione della comunicazione di subingresso (7/5/2009) e la comunicazione della determinazione impugnata (31/3/2010), tale da consolidare una legittima pretesa del privato per silenzio assenso della p.a.;

5)omesso avviso di inizio procedimento ex art. 7 della L. n. 241 del 1990:

5.1)l’Amministrazione, con nota del 16/9/2009, n. 67494, aveva comunicato alla società ricorrente la procedura di archiviazione dell’avvio del procedimento di divieto prosecuzione attività del 28/5/2009, prot. CA/42291. L’archiviazione del procedimento è bastato per legittimare l’affidamento della ricorrente ad essere avvisata circa il riavvio del procedimento medesimo.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale depositando documenti e memoria del 14 gennaio 2014 con la quale chiede, in via preliminare, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse e, nel merito, il suo rigetto.

L’improcedibilità eccepita dalla resistente si fonda sulla circostanza che la società Platino srl ha ceduto l’attività di vendita nei locali di via Napoleone alla “Y e J srl” (certificazione inizio attività del 20 gennaio 2011) e successivamente il legale rappresentante della cessionaria, in data 24 marzo 2011, ha eliminato dalla certificazione di inizio attività il genere merceologico “calzature”.

Con ordinanza n. 2667/2010, la Sezione ha respinto l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 4327/2010, il Consiglio di Stato ha confermato il provvedimento cautelare di prime cure.

All’udienza del 26 febbraio 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è improcedibile.

All’udienza del 26 febbraio 2013, il difensore della ricorrente ha dichiarato a verbale che la propria assistita non ha più interesse alla decisione del ricorso.

Ai soli fini della pronuncia sul regime delle spese processuali, il Collegio ritiene comunque utile farsi carico di appurare la soccombenza virtuale.

In limine, il Collegio ritiene che non sia fondata l’eccezione di improcedibilità sollevata da parte resistente.

Ed invero, la circostanza che la società Platino abbia ceduto l’attività di vendita esercitata nei locali di via Napoleone alla “Y e J srl” e che successivamente il legale rappresentante della cessionaria abbia eliminato dalla certificazione di inizio attività il genere merceologico “calzature”, non priva l’originaria ricorrente dell’interesse strumentale ad una pronuncia sul merito del ricorso nella prospettiva risarcitoria (art. 34, c. 3, c.p.a.), quanto meno nel tratto temporale 5 febbraio 2010-20 gennaio 2011 in cui il provvedimento impugnato ha avuto efficacia nei suoi confronti.


Nel merito, le censure della ricorrente non hanno pregio.

Nell’ordine della loro trattazione, il Collegio ritiene di muovere, prioritariamente, dall’esame di legittimità della deliberazione di C.C. n. 10/2009, richiamata nel provvedimento impugnato a motivo dell’opposto divieto, che la società ricorrente ha censurato per violazione del D.Lvo n. 114/1998 in tema di liberalizzazione commerciale nonché per violazione della normativa e dei principi in tema libera concorrenza e della tutela delle attività commerciali (motivi di ricorso sopra indicati sub 1.2 e 2 che, stante la loro connessione, possono essere trattati unitariamente).

Giova premettere – sulla base del principio tempus regit actum - che la questione oggetto di controversia si colloca temporalmente in epoca anteriore all’adozione del D.L. 6/12/2011, n. 201 convertito in L. 22/12/2011, n. 214 (c.d. decreto “Salva Italia), entrato in vigore il 25 marzo 2012.

La questione in esame è stata già affrontata dalla Sezione (v. per tutte Tar Lazio, Roma, sez. II ter, n. 28504/2010) con motivazioni dalle quali il Collegio non ravvede motivi per cui discostarsene.

Con il provvedimento impugnato – datato 5 febbraio 2010 - il Comune di Roma ha disposto il divieto dell’attività di vendita “calzature” da parte della società ricorrente nei locali di via Napoleone, in esecuzione della deliberazione di C.C. n. 10/2009 con la quale è stato approvato il “ Piano di intervento per la tutela e la riqualificazione del commercio e dell’artigianato nel Rione Esquilino ed aree adiacenti”.

La detta presupposta deliberazione di C.C. n. 10/2009 è stata impugnata congiuntamente e ne è stata dedotta l’illegittimità- nella parte in cui si è voluto, nel Rione Esquilino, inibire l’apertura di un preciso tipo di attività commerciale (produzione e/o vendita di tipo di calzature, anche sportive, e pelletteria) senza tenere conto dei parametri legati al territorio o al numero di attività similari già in essere nuove, ponendosi altresì in contrasto con la disposizione di cui al d.Lvo n. 114 del 1998 e della legge regionale Lazio n. 33 del 1999 nonché delle norme e principi in tema di libera concorrenza, tutela delle attività commerciali e liberalizzazione del settore.

È stato, altresì, dedotto che è passato un notevole lasso di tempo tra la presentazione della comunicazione di subingresso (7 maggio 2009) e la comunicazione della determinazione impugnata (31 marzo 2010) tale da consolidare una legittima pretesa e, comunque, superiore al termine stabilito per il silenzio assenso (ovvero 30 giorni).

In relazione al primo motivo di censura si osserva quanto segue.

Il D.L. 4 luglio 2006, n.223, recante le “ Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.”, all’art. 3, nel testo risultante dalle legge di conversione n. 248/2006, rubricato “ Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”, dispone testualmente che “ 1. Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: ... c) le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali;
…”.

Si premette che è stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 D.L. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modif., in legge 4 agosto 2006, n. 248, nella parte in cui stabilisce che le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 sono svolte senza una serie di limiti e prescrizioni espressamente individuati, in riferimento agli art. 117 e 118 Cost., in quanto la norma avrebbe ad oggetto la disciplina del "commercio", materia attribuita alla competenza legislativa residuale, alla quale sarebbero riconducibili anche le materie concernenti lo sviluppo dell'economia, atteso che, invece, le prescrizioni recate dall'art. 3 sono coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, e in quanto tali riconducibili alla materia di competenza esclusiva "tutela della concorrenza" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., risultando proporzionate allo scopo di garantire che le attività di distribuzione dalle stesse considerate possano essere svolte con eguali condizioni ( Corte cost., 14-12-2007, n. 430).

Pertanto, “ La "ratio" dell'art. 3 della legge n. 248 del 2006 è nel senso di precludere misure regolamentari che incidano direttamente o indirettamente sull'equilibrio tra domanda e offerta, che deve essere invece determinato dalle sole regole del mercato.” ( T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 12-11-2007, n. 6259).

Tanto premesso, parte ricorrente sostiene che la deliberazione di C.C. n. 10/2009 sia illegittima sulla base del combinato disposto del D. L.gs. n. 114/1998 e della L.R. n. 33/1999, nella parte in cui consentirebbero di introdurre a livello di pianificazione locale un divieto assoluto ed indiscriminato all’esercizio di determinate e precise attività commerciali in alcune aree della Città.

In ordine all’evoluzione nella materia specifica delle diverse tipologie merceologiche si può osservare quanto segue.

Per quasi 30 anni la normativa nazionale di riferimento nella materia del commercio è stata rappresentata dalla legge n. 426/1971.

Tra i fondamentali capisaldi della legge in questione vi fu l’introduzione delle tabelle merceologiche, determinate dal Ministro per l’industria, il commercio e l’artigianato;
ed infatti, secondo quanto sancito dall’art. 37 della predetta legge, le tabelle merceologiche dovevano prevedere il massimo raggruppamento delle voci salvo, per il settore alimentare, le limitazioni previste dalle disposizioni igienico-sanitarie. Ai Comuni, era data la facoltà, previo consenso del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di introdurre parziali modifiche alle tabelle stesse in relazione alle esigenze e alle tradizioni locali, sentito il parere delle associazioni locali dei commercianti.

Nell'ambito della gamma merceologica consentita, l'autorizzazione rilasciata dal sindaco permetteva l'impiego di qualsiasi organizzazione di vendita, sia specializzata che a libero servizio.

Tuttavia tra i limiti della predetta legge vi era proprio l’incapacità di favorire lo sviluppo della rete distributiva, per modernizzarla e per aprirla a nuove esperienze più vicine alle esigenze del mondo delle imprese e di quelle dei consumatori.

Ciò costituì la premessa per la successiva emanazione del decreto legislativo del 31 marzo 1998, recante la «Riforma della disciplina relativa al commercio» che ha costituito, nell’ambito della regolamentazione di questo settore, un’importante innovazione legislativa.

La riforma del commercio introdotta con il cd. decreto Bersani ha, infatti, abrogato la precedente normativa basata sulla L. n. 426/71 ed ha rappresentato un decisivo passo avanti verso la liberalizzazione del settore.

L’elemento principale introdotto dalla riforma era dato certamente dalla rimozione di una serie di disposizioni che costituivano barriere all’entrata nel settore di nuovi operatori ed alle modifiche delle situazioni esistenti.

Il d.lgs. 114/98 riduceva, inoltre, per quanto interessa nello specifico in questa sede, le tabelle merceologiche da quattordici a due: alimentare e non alimentare ( ponendo fine ad un vincolo all’entrata nel settore ancora di natura corporativa, atteso che le tabelle merceologiche consentivano, infatti, di contingentare l’entrata nel mercato di negozi specializzati in merceologie particolarmente richieste ed allo stesso tempo impedivano agli esercizi già presenti di operare estensioni dell’assortimento).

Ed infatti, ai sensi dell’art. 5, rubricato “ Requisiti di accesso all'attività.”, “ 1. … l'attività commerciale può essere esercitata con riferimento ai seguenti settori merceologici: alimentare e non alimentare.” E, ai sensi del successivo art. 25, rubricato “ Disciplina transitoria.”, “ 1. I soggetti titolari di autorizzazione per l'esercizio dell'attività di vendita dei prodotti appartenenti alle tabelle merceologiche di cui all'allegato 5 al decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375 , e all'articolo 2 del decreto ministeriale 17 settembre 1996, n. 561, hanno titolo a porre in vendita tutti i prodotti relativi al settore merceologico corrispondente, fatto salvo il rispetto dei requisiti igienico-sanitari, e ad ottenere che l'autorizzazione sia modificata d'ufficio con l'indicazione del settore medesimo a partire dalla data di pubblicazione del presente decreto ….”.

La logica consecuzione nel progetto riformista nella materia è rappresentata dal D.L. n. 223/06 e, in merito al settore delle attività commerciali, genericamente inteso, è utile prendere in esame proprio il richiamato art. 3.

Ed infatti, nel rispetto dei principi comunitari di tutela della concorrenza e di libera circolazione delle merci e dei servizi, l’articolo 3 sancisce una serie di interventi che coadiuvano la liberalizzazione del commercio.

In particolare, le attività economiche, secondo quanto previsto dalla lettera c) del richiamato art. 3 del decreto, devono essere, svolte senza il rispetto “di limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare”.

La disposizione non può essere interpretata nel senso prospettato nelle difese da parte del Comune, secondo cui la limitazione di cui trattasi opererebbe sul piano meramente e squisitamente quantitativo e non invece su quello qualitativo, ossia riferito alle diverse tipologie merceologiche.

E’ evidente, infatti, anche alla luce della ratio della norma in cui si inserisce la richiamata disposizione intesa nel suo complesso, che il dato quantitativo si riferisce proprio alla assenza di una limitazione certamente di tipo numerico ma alle diverse tipologie merceologiche.

La disposizione definisce, pertanto, incompatibile con il principio di tutela della concorrenza, la previsione di limiti quantitativi all’offerta merceologica presente negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare.

L’obiettivo della norma è, infatti, evidentemente quello di evitare che, tra i due settori in cui siano suddivisi i prodotti, siano poste limitazioni con riferimento ai prodotti vendibili.

E’ consentito, quindi, al singolo operatore commerciale diversificare liberamente l’offerta merceologica, all’interno del settore di appartenenza (alimentare o non alimentare), nel rispetto comunque dei requisiti igienico-sanitari.

Scompare, pertanto, ogni forma di limitazione, fissata per legge o per via amministrativa, alla libera scelta dell’imprenditore di determinare l’assortimento merceologico del proprio esercizio commerciale, ritenuto più idoneo a soddisfare le esigenze dei consumatori.

Tuttavia la richiamata disposizione si presta a facili incomprensioni ed infatti, a tal proposito, è intervenuto il Ministero dello sviluppo economico con una apposita circolare che chiarisce, tra le altre cose, anche in merito alla corretta interpretazione da darsi al principio di cui trattasi introdotto dal decreto in questione.

Con la circolare n. 3603/c del 28 settembre 2006, predisposta dalla Direzione Generale per il Commercio, le Assicurazioni e i Servizi, il Ministero dello sviluppo economico ha, infatti, provveduto a dare chiarimenti sulle norme disciplinate dagli articoli 3, 4 e 11 del decreto Bersani (DL n. 223/06, convertito in legge n. 248/06), in tema di commercio.

Premesso che “ Il provvedimento è inerente alla legislazione statale da applicarsi in quelle Regioni che non hanno provveduto ad adottare una propria disciplina nel campo della somministrazione di alimenti e bevande;
le altre Regioni che hanno adottato leggi nuove, esse continuano ad essere vigenti con l'obbligo di adeguarsi ai principi del decreto Bersani entro il 1° gennaio 2007.”, al punto n. 4 viene testualmente rilevato che “ 4. Art. 3, comma 1, lett. c).

"(..) le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza (..): c) le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare (..)"

4.1 La disposizione sancisce l'incompatibilità con il principio di tutela della concorrenza della prescrizione di limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare.

In conseguenza dell'utilizzo, nel contenuto testuale della norma, dei termini "esercizi commerciali" e "settore alimentare e non alimentare" si ritiene che la disposizione sia riferita agli esercizi di vendita in sede fissa e che non comporti conseguenze sulla programmazione del territorio nel caso di esercizio dell'attività sulle aree pubbliche.

Il principio introdotto intende impedire che all'interno del settore alimentare o non alimentare siano posti obblighi, riserve o limitazioni con riferimento ai prodotti esitabili, fatto salvo, ovviamente, il rispetto, ove sussistano, dei requisiti igienico sanitari previsti.

La prescrizione va riferita, quindi, anche ai casi di eventuale programmazione territoriale caratterizzata dalla previsione di ulteriori suddivisioni all'interno del settore merceologico alimentare o non alimentare, con riferimento a categorie merceologiche.

Si ritiene che il principio enunciato a tutela della concorrenza non sia applicabile nel caso in cui prescrizioni relative a limitazioni dell'assortimento merceologico siano emanate per finalità di valorizzazione e salvaguardia delle aree o degli edifici aventi valore storico, archeologico, artistico o ambientale e, pertanto, per finalità costituzionalmente garantite.”.

Con la richiamata circolare, pertanto, il Ministero per lo sviluppo economico ha fatto esplicitamente e senza alcun dubbio presente che la norma non si applica ed il principio in questione, potrà essere derogato nel caso di disposizioni limitative all’assortimento merceologico finalizzate alla valorizzazione e/o salvaguardia di aree ed edifici di pregio storico, archeologico, artistico, ambientale e pertanto fa salva la programmazione comunale che limita le merci esitabili in certe zone od edifici di pregio.

Il Collegio ritiene che le indicazioni interpretative fornite nella richiamata circolare debbano essere condivise.

Ed infatti, nel caso in cui vi sia la necessità della salvaguardia di aree di particolare pregio, deve ritenersi che vengano in rilievo principi di matrice costituzionale che debbano essere posti sul medesimo piano del principio della iniziativa economica di cui all’art. 41 e del principio della libera concorrenza tra gli operatori commerciali e con questi contemperati;
i detti ultimi principi, pertanto, devono arretrare dinanzi all’insorgenza di contrapposte esigenze che trovano il proprio fondamento in principi che possono essere valutati in termini di prevalenza.

Indubbiamente nelle dette aree di pregio vi rientrano i centri storici delle città, ed in particolare, per quanto interessa in questa sede, il centro storico della città di Roma.

E la salvaguardia del centro storico, o meglio della cd. città storica, od almeno di una sua parte, passa anche attraverso la limitazione all’assortimento merceologico, come inteso ai sensi del richiamato art. 3, co. 1, lett. c), del D. Lgs. n. 223/2006, qualora proprio l’apertura, in modo massiccio, continuo ed apparentemente inarrestabile, di esercizi commerciali aventi ad oggetto la vendita di determinate tipologie merceologiche sia in grado di determinare lo snaturamento dell’area stessa ( con profonda modifica del tessuto commerciale ivi in precedenza esistente) e la sua inarrestabile modificazione e di incidere negativamente sulla vivibilità del quartiere da parte della stessa popolazione ivi residente, non più in grado di rinvenire all’interno dello stesso gli esercizi commerciali cd. di vicinato necessari alla soddisfazione delle diverse e variegate esigenze del vivere quotidiano.

D'altronde, in esecuzione del Decreto Legislativo n. 114/98, della legge regionale n. 33/99 e della legge regionale n. 22/2001, con la deliberazione n. 41 del 27 marzo 2002 il Consiglio Comunale aveva approvato “Indirizzi per il programma di tutela e riqualificazione del commercio, dell’artigianato e delle altre attività di competenza della Città Storica”, con la quale furono stati indicati i criteri direttivi e gli indirizzi generali per la progettazione del programma di tutela e qualificazione del commercio, dell’artigianato e delle altre attività all’interno della cd. città storica e, sulla base dei predetti indirizzi, vennero azionate le attività propedeutiche per la predisposizione di un organico programma di salvaguardia e riqualificazione delle attività produttive riferite al commercio, ai pubblici esercizi ed all’artigianato “ compatibili con le caratteristiche tipiche degli ambiti territoriali”;
ed anche il Consiglio Regionale del Lazio ha adottato, con deliberazione n. 131 del 22 novembre 2002, il documento programmatico delle attività commerciali su aree private ai sensi dell’art. 11 della legge regionale 18 novembre 1999 n. 33 e l’art. 20 della legge regionale n. 33/99 ed il punto 8 del documento programmatico dettano norme per la riqualificazione e la salvaguardia del tessuto urbano.

In particolare il richiamato punto n. 8 dispone testualmente che “8. CENTRI STORICI. Nei piani di intervento per la riqualificazione e la salvaguardia del tessuto urbano dei centri storici, i Comuni possono escludere l'insediamento di attività che non siano tradizionali e/o qualitativamente rapportabili ai caratteri storici, architettonici ed urbanistici dei centri medesimi, ferme restando le facoltà di cui all'articolo 20, comma 3, della legge.”.

Si è ritenuto, pertanto, che in attuazione del D. lgs. n. 114/1998 e della L.R. n. 33/1999 sia consentito individuare, all’interno degli ambiti territoriali, luoghi caratterizzati da particolari tessuti insediativi e da particolari dinamiche della rete di vendita per i quali prevedere piani di intervento di valorizzazione.

D'altronde già in precedenza, ai fini di un opportuno chiarimento del portato delle norme di cui al D.Lgs. n. 114/1998, con la circolare n. 3446, “ Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114 recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59”. Art. 25, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6. Disciplina transitoria.”, è stato specificato che “ … 1.5 Resta fermo il rispetto dei provvedimenti eventualmente adottati dai comuni in applicazione dell’art. 4 della legge 6 febbraio 1987, n. 15, il quale prevede che “al fine di tutelare le tradizioni locali e le aree di particolare interesse del proprio territorio i comuni possono stabilire voci merceologiche specifiche nell’ambito delle tabelle (...)”.

Quanto sopra, considerato che il predetto art. 4 resta vigente nel periodo transitorio e che le disposizioni programmatorie e attuative da emanare ai sensi del decreto legislativo devono tenere conto dell’obiettivo di “salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale” (cfr. art. 6, comma 1, lett. d), e la possibilità di prevedere “i limiti (...) ai quali sono sottoposte le imprese commerciali nei centri storici” (cfr. art. 6, comma 2, lett. b).

Il rispetto delle disposizioni emanate ai sensi del citato art. 4 della legge 15 resta fermo anche in tutti i casi di trasferimento ed ampliamento della superficie di vendita. …”.

Proprio in questa ottica rientrano i provvedimenti comunali, succedutisi nel tempo fino al 2009, finalizzati alla tutela ed alla valorizzazione del Rione Esquilino.

I detti provvedimenti sono pertanto riconducibili al disposto di cui all’art. 6 del D. Lgs n. 114/1998, rubricato “ Programmazione della rete distributiva.”, il quale dispone testualmente che “1. Le regioni, entro un anno dalla data di pubblicazione del presente decreto definiscono gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali, perseguendo i seguenti obiettivi:

d) salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale;

2. Le regioni, entro il termine di cui al comma 1, fissano i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, affinché gli strumenti urbanistici comunali individuino:

b) i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonché dell'arredo urbano, ai quali sono sottoposte le imprese commerciali nei centri storici e nelle località di particolare interesse artistico e naturale;

3. Le regioni, nel definire gli indirizzi generali di cui al comma 1, tengono conto principalmente delle caratteristiche dei seguenti ambiti territoriali:

c) i centri storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali;

…”.

Pertanto, sebbene “ I precetti contenuti nell’art. 6 del D.Lgs. n. 114/1998 vanno collegati con il principio di libera concorrenza che costituisce il parametro di riferimento dell'intera materia e vanno interpretati nel senso di vietare qualsiasi misura che inibisca l'applicazione generale e coerente del principio stesso.” ( Cons. Stato Sez. V Sent., 28-11-2008, n. 5912”, tuttavia, “ L'art. 6, terzo comma, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, prevede espressamente, come uno degli obbiettivi da perseguire sia quello di salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti ed il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ambientale;
del pari le Regioni, nel definire gli indirizzi generali dovranno tener conto principalmente della caratteristiche dei centri storici al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attività commerciali ed artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato ed evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali più radicate nel tessuto sociale.” ( T.A.R. Veneto, Sez. III, 20-02-2006, n. 380).

Lo scopo da perseguire, pertanto, è quello di mantenere, rivitalizzare e incentivare la struttura commerciale nelle aree di centro storico quale funzione concorrente alla aggregazione del contesto sociale, nonché quale elemento primario della riqualificazione, salvaguardia e decoro del tessuto urbano di antica origine.

E’ evidente, dunque, che la salvaguardia e la valorizzazione delle aree del centro storico della città di Roma passa anche e proprio attraverso la tutela del tessuto commerciale esistente che deve assicurare alla popolazione residente la fruizione di ogni tipologia di esercizio di vicinato.

La norma richiamata, pertanto, pur valorizzando i principi e i valori della concorrenza quali strumenti di tutela fondamentali dell’efficienza del commercio e del benessere del consumatore, rileva l’esigenza di intervenire, tramite adeguati incentivi, laddove essa non funzioni affatto oppure appaia distorsiva dell’interesse della comunità locale;
in altri termini, secondo tale orientamento, il mercato deve poter agire liberamente al fine di generare i suoi positivi effetti economici e sociali, ma in aree come i centri storici, dove si possono generare effetti negativi, il soggetto pubblico deve poter intervenire, tramite adeguati strumenti di incentivazione, al fine di contenerli. Inoltre, assai positivamente, questa normativa invita le Regioni ad assumere un approccio integrato sul piano territoriale, urbanistico e commerciale rispetto al problema della valorizzazione dei centri storici, evitando regolamentazioni regionali e municipali differenziate nei metodi, nelle logiche e nei contenuti.

Il D.Lgs.114/98 ha, peraltro, abrogato l’art. 4 della Legge n.15/1987 (che disponeva “misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione”), attribuendo ai Comuni maggiori poteri in tema di apertura e localizzazione di esercizi di vendita nei centri storici , conformemente agli indirizzi dettati dalle normative regionali ( la legge n.15/1987, ha introdotto per la prima volta, in riferimento alle problematiche del commercio, una tutela specifica per i centri storici e per le aree di particolare pregio ambientale, culturale e monumentale).

Per quanto attiene all’aspetto della concorrenza deve rilevarsi che la Sezione ha già avuto modo di rilevare come una disciplina limitativa del commercio ai fini della valorizzazione e tutela di determinate aree del territorio comunale non sia illegittima per violazione del principi della concorrenza (v. sent. n. 28504/2010;
n. 6523/2008).

La impugnata deliberazione comunale n. 10/2009, nella parte contestata, si limita a statuire che:

“ b) E’ inibita l’apertura di nuove attività nei seguenti generi merceologici:

- produzione e/o vendita di ogni tipo di calzature (anche sportive) e pelletteria;

Ad esclusione dei casi di sfratto dell’operatore commerciale per finita locazione, non è consentito il trasferimento di sede all’interno del Rione Esquilino e aree adiacenti di attività nel settore merceologico di abbigliamento e accessori, calzature (anche sportive), pelletteria e bigiotteria, compresa la vendita di pietre dure non preziose e la vendita esclusiva di “souvenir”. …”.

Ed è vero che le tipologie merceologiche ivi indicate sono numerose e soprattutto rilevanti dal punto di vista qualitativo e determinano indubbiamente una compressione della iniziativa economica privata, tuttavia, la loro esclusione é finalizzata alla salvaguardia di valori che si ritengono costituzionalmente protetti e prevalenti ( tutela delle aree di pregio delle città e salvaguardia dei diritti dei cittadini).

Peraltro la compressione alla iniziativa privata che ne consegue è limitata ad una determinata zona del territorio comunale ed è motivata dalla esistenza di condizioni particolari di sviluppo del tessuto commerciale dell’area stessa nella direzione in precedenza rilevata.

Dalle considerazioni tutte che precedono deriva la infondatezza nel merito dei motivi di ricorso sopra rubricati sub 1.2) e 2), trattati unitariamente per connessione.

Con i motivi di ricorso 1.1) e 3), parte ricorrente ha censurato l’impugnato provvedimento perché, a suo dire, l’attività di calzature esercitata nei locali di via Napoleone non costituirebbe nuova attività, vietata ai sensi della deliberazione di C.C. n. 10/2009, bensì mera prosecuzione di quella già esercitata dalla dante causa, società “Vittoria srl”.

L’assunto non ha pregio.

Dall’esame della documentazione versata in giudizio si evince, per tabulas, che la dante causa della ricorrente era stata legittimata al “commercio dettaglio articoli di abbigliamento” (v. allegato 2 alla produzione documentale depositata dall’Amministrazione in data 17 giugno 2010).

Con certificazione datata 7 maggio 2009, la soc. Platino srl ha comunicato a Roma Capitale il subingresso nell’attività precedentemente esercitata dalla cessionaria, aggiungendo però al genere merceologico dell’abbigliamento quello degli “accessori e calzature”, quest’ultimo tuttavia non contemplato nell’originaria comunicazione di inizio attività (vedi documento 4 della produzione documentale 17 giugno 2010).

Immediatamente l’intimata Amministrazione, con nota 28 maggio 2009, ha avviato il procedimento di divieto inizio attività in relazione alla inefficacia della comunicazione di voltura nella parte relativa alla vendita di calzature “in quanto il dante causa ... era autorizzato per la sola vendita di articoli abbigliamento e, ai sensi della deliberazione del C.C. n. 10 del 5/2/2009, nel Rione Esquilino ad aree adiacenti è inibita la l’apertura di nuove attività di produzione e/o vendita di ogni genere di abbigliamento e accessori;
ogni tipo di calzature (anche sportive) e pelletteria ...” .

E’ del tutto evidente, dunque, che la società cedente svolgesse soltanto attività di vendita abbigliamento e non anche di calzature.

Quest’ultima attività di vendita, aggiunta successivamente dalla ricorrente in sede di comunicazione inizio attività per subingresso, costituisce, sotto il profilo del genere merceologico posto in vendita, una nuova attività commerciale che, siccome avviata dopo l’entrata in vigore della deliberazione di C.C. n. 10 del 2009, non è conforme alle sue prescrizioni.

Altrettanto infondato nel merito è anche il quarto motivo di censura, con il quale è stata dedotta, sostanzialmente, la violazione dell’art. 7 del D. Lgs. n. 114/1998, per essere intervenuto il provvedimento di diniego successivamente al decorso del termine dei 30 gg. decorrenti dalla comunicazione di avvio dell’attività, ed a seguito della formazione del cd. silenzio assenso sulla istanza.

Al riguardo si rileva (in conformità ai propri precedenti: v. come il richiamato art. 7, rubricato “ Esercizi di vicinato.”, nel testo in vigore alla data di adozione dell’impugnato provvedimento ( prima di essere abrogato dall'articolo 85, comma 5, lettera b), del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 e dall'articolo 65 del D.Lgs. 26 marzo 2010 n.59), disponesse testualmente, al c. 1, che “ 1. L'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie fino ai limiti di cui all'art. 4, comma 1, lettera d ), di un esercizio di vicinato sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.”.

Analogamente l’art. 25 della L.R. n. 33/1999, rubricato “Esercizi di vicinato”, dispone che “ 1. L'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie di vendita degli esercizi di vicinato, entro i limiti fissati nell'articolo 24, comma 1, lettera a), numero 1), sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati dal trentesimo giorno e non oltre il centottantesimo giorno dal ricevimento della comunicazione, fermo restando il rispetto delle determinazioni dei comuni ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lettera f). …”.

E nonostante vi sia un orientamento nella materia secondo cui “ Ai sensi dell'art. 7 d.lg. 31 marzo 1998 n. 114, il silenzio del comune successivo alla decorrenza di trenta giorni dalla comunicazione per l'apertura di un esercizio commerciale di vicinato implica la formazione del silenzio assenso in ordine all'attività oggetto della comunicazione medesima, con conseguente perdita del potere autorizzatorio al riguardo ed acquisizione, ove ne sussistano i presupposti, del potere di procedere in autotutela.” ( T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 13 aprile 2005 , n. 814), deve rilevarsi che, recentemente, lo stesso è stato motivatamente superato, atteso che si è ritenuto che “ Ai sensi degli artt. 7, comma 1, 8 e 9, ultimo comma, del d.lg. 31 marzo 1998 n. 114, mentre per le domande di trasferimento di sede delle medie e delle grandi strutture di vendita è previsto l'istituto del silenzio assenso per la conclusione dell'iter procedurale amministrativo di valutazione, il trasferimento degli esercizi di vicinato, nonché l'apertura e l'ampliamento di superficie dei medesimi, sono subordinati alla sola comunicazione del gestore all'Amministrazione locale e possono avere luogo decorsi i trenta giorni dalla stessa “ ( Consiglio Stato , sez. V, 10 maggio 2010, n. 2758).

Nella specie, prima del decorso del termine stabilito dalla legge (30 giorni a decorrere dal 7 maggio 2009, data di presentazione al Comune della comunicazione di apertura del nuovo esercizio di vicinato da parte del legale rappresentante della società) è intervenuta la tempestiva nota comunale del 28 maggio 2009 recante una puntuale indicazione delle ragioni ostative all'intrapresa dell'attività denunciata.

La detta nota, per un verso, ha interrotto i termini per la definizione del procedimento, alla stregua della regola sottesa all'art. 10 bis della legge n. 241/1990, estensibile, per identità di ratio, anche alla fattispecie della denuncia di inizio attività oltre che al silenzio assenso;
sotto altro, assorbente, profilo, ha impedito la maturazione del legittimo affidamento in ordine alla possibilità di esercitare l'attività comunicata.

Ne deriva, alla stregua di tali considerazioni, che, con il provvedimento adottato il successivo 5 febbraio 2010, l'Amministrazione comunale ha fatto uso del generale potere di controllo concessole dall'ordinamento giuridico sulle attività denunciate, senza neppure incontrare i limiti che derivano, sul piano di una puntuale valutazione comparativa degli interessi in gioco, dalla maturazione di un affidamento legittimo in base ai principi comunitari oggi recepiti dall'art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990, alla luce delle modifiche apportate dall'art. 21, comma 1, lett. a, della legge 11 febbraio 2005, n. 15.

Con il quinto motivo di gravame, l’interessata deduce violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 nonché difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.

Ed invero, con nota del 16/9/2009, n. 67494, l’Amministrazione le avrebbe comunicato la procedura di archiviazione dell’avvio del procedimento di divieto prosecuzione attività.

Tale comunicazione sarebbe bastata, a suo dire, a fondare il legittimo affidamento a ricevere l’avviso di riavvio del procedimento medesimo.

La censura non ha pregio.

E’ stato sopra chiarito che, appena venti giorni dopo la comunicazione di inizio attività del 7 maggio 2009, l’intimata Amministrazione, con nota 28 maggio 2009, aveva avvisato la ricorrente sul divieto di inizio attività relativa alla vendita delle calzature, esponendole le ragioni del diniego.

L’interessata non ha fatto pervenire agli Uffici capitolini osservazioni e/o controdeduzioni in proposito.

Il successivo 8 agosto 2009, la Polizia Municipale ha accertato (con rapporto VA2009/147887) che “in data 14/7/2009 nel locale ... non veniva svolta la vendita di calzature”.

Sulla scorta di tale accertamento, il responsabile del procedimento, con nota 16 settembre 2009, n. 67494, ha invitato la società ricorrente “a presentarsi entro il termine di 10 giorni ... presso lo Sportello Unico Attività Produttive ... con la copia originale della comunicazione di subingresso in suo possesso per la correzione e la conseguente archiviazione dell’avvio del procedimento di divieto di prosecuzione attività del 29/5/2009 ...”.

Rimasto l’invito senza seguito, l’Amministrazione ha licenziato il divisato provvedimento.

L’incedere dei fatti - alla luce della condotta palesata dalla ricorrente e tenuto conto del contenuto della sopra riferita nota - induce, in primo luogo, a ribadire l’insussistenza di ogni forma palusibile di affidamento e/o legittima pretesa che si voglia ingenerato dal comportamento dell’Amministrazione.

L’istante, come sopra anticipato, fonda le proprie ragioni sulla nota del 16/9/2009, n. 67494.

Ebbene, come si evince de plano dalla sua lettura, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, Roma Capitale non ha affatto comunicato alla società Platino srl l’archiviazione del procedimento di divieto prosecuzione attività di vendita calzature, bensì ha solo invitato, senza esito, l’interessata a presentarsi per la correzione della comunicazione di inizio attività, all’evidente scopo di rendere la stessa conforme alle prescrizioni della deliberazione di C.C. n. 10 del 2009. Soltanto a seguito di tale correzione ci sarebbe stata la “archiviazione dell’avvio del procedimento”.

E’ stato, dunque, il comportamento inadempiente serbato dalla ricorrente a generare il successivo provvedimento di divieto e non certo la riapertura del procedimento che mai, invero, era stato chiuso.

Anche l’ultimo motivo di gravame s’appalesa, dunque, infondato.

In definitiva, il ricorso in esame va dichiarato improcedibile, mentre le considerazioni tutte che precedono inducono a concludere per la soccombenza virtuale della società ricorrente sulla quale, pertanto, gravano le spese del presente giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi