TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-07-11, n. 201708243
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Pubblicato il 11/07/2017
N. 08243/2017 REG.PROV.COLL.
N. 15148/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 15148 del 2015, proposto da:
M D, rappresentato e difeso dagli avvocati E M, D S, domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Comune di Tarquinia non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dei provvedimenti dell’8 giugno 2015 e del 22 settembre 2015 di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di opere edilizie abusive e relativa area di sedime nonché dell’area ulteriore identificata al catasto al foglio 111 particella 495;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2017 la dott.ssa Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Comune di Tarquinia con provvedimento dell’8 giugno 2015 disponeva l’acquisizione delle opere abusivamente realizzate sul terreno di proprietà dei ricorrenti identificato al catasto al foglio 11 particella 495 costituite da: fabbricato in legno delle dimensioni di metri quadri 8,60 per 8,40;forno in muratura;cancello scorrevole;cancello pedonale. Per tali opere era stata ordinata la demolizione con provvedimento 20 maggio 2014 e accertata l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione il 25 febbraio 2015. Il provvedimento di acquisizione riguardava l’area di sedime (138 metri quadri) e l’area ulteriore quantificata nella misura di 1380 metri quadri pari alla intera particella.
A seguito di istanza dei ricorrenti del 28 luglio 2015, con cui essi facevano presente che sia l’area di sedime che l’area ulteriore erano state erroneamente quantificate (e facevano altresì riferimento all’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità, nonchè della richiesta di autorizzazione paesaggistica in sanatoria), con provvedimento del 22 settembre 2015 è stata rideterminata sia l’area di sedime delle opere abusive in 76,2 metri quadri sia l’area ulteriore quantificata in 762 metri quadri.
Avverso entrambi i provvedimenti è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi:
- nullità;difetto assoluto di attribuzione;
- eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà della motivazione;violazione degli articoli 3, 21 octies, 21 nonies della legge n. 241 del 1990;violazione dell’art. 15 comma 5 della legge regionale n. 15 del 2008;difetto di istruttoria e di motivazione.
Nessuno si è costituito per il Comune di Tarquinia.
A seguito della camera di consiglio del 1 marzo 2016 è stata accolta la domanda cautelare ai fini del riesame sotto il profilo della applicazione della misura massima prevista dall’art. 31 del d.p.r. 380 del 2001. Il Comune di Tarquinia, l’8 luglio 2016, ha depositato in giudizio una nota di chiarimenti (prot. 1884 del 6 luglio 2016), da cui non risulta effettuata la rivalutazione della situazione con riferimento al punto oggetto dell’ordinanza cautelare, ma sono stati indicati nuovi elementi in fatto e diritto sostanzialmente integrativi della motivazione del provvedimento impugnato. Con ordinanza n. 4137 del 2016 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato e fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso alla data del 13 giugno 2017 alla quale il ricorso è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità della impugnazione proposta avverso il provvedimento comunale dell’8 giugno 2015 (che sarebbe peraltro comunque tardiva trattandosi di provvedimento notificato il 17 giugno 2015 mentre il ricorso è stato notificato il 2 dicembre 2015), in quanto, alla data di proposizione del ricorso, il 2 dicembre 2015, era stato integralmente sostituito dal successivo provvedimento del 22 settembre 2015. Infatti tale provvedimento, pur denominato rettifica del precedente, e richiamandone in parte il contenuto, ha disposto nuovamente lo sgombero dell’immobile assegnando un nuovo termine, e quindi disponendo una nuova acquisizione.
L’inammissibilità della impugnazione proposta avverso il provvedimento dell’8 giugno, in quanto integralmente sostituito dal provvedimento successivo, comporta l’infondatezza delle seconda censura di ricorso con cui si contesta la legittimità del secondo provvedimento, in quanto avrebbe erroneamente salvato gli effetti della prima acquisizione.
Con la prima censura i ricorrenti sostengono la nullità per assoluto difetto di attribuzione del provvedimento di acquisizione impugnato in quanto ha previsto l’acquisizione in favore del Comune, mentre l’art. 15 comma 6 della legge regionale n. 15 del 2008 prevede per opere realizzate su terreni sottoposti a vincolo paesaggistico 1’acquisizione a favore dell’ente cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo. La censura è inammissibile non avendo alcun interesse i ricorrenti a contestare il destinatario degli effetti favorevoli dell’acquisizione. Tale censura è, comunque, infondata in relazione alla espressa previsione dell’ultima parte dell’art. 15 comma 6 della legge regionale n. 15 del 2008, che riproducendo l’art. 31 comma 6 del d.p.r. 380 del 2001, prevede che nell'ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifichi comunque a favore del patrimonio del Comune.
Infondata è altresì la censura con cui si lamenta l’illegittimità del provvedimento di acquisizione in quanto i ricorrenti non sarebbero gli autori dell’abuso, che sarebbero stati commessi dai precedenti proprietari. In primo luogo, tale assunto dei ricorrenti non trova conferma nel contratto di acquisto del terreno del 20 giugno 2006, depositato tra i documenti allegati al ricorso, che ha ad oggetto solo un appezzamento di terreno.
In ogni caso, la circostanza dedotta dai ricorrenti non rileverebbe, nel caso di specie, rispetto alla legittimità del provvedimento di acquisizione, in relazione al costante orientamento giurisprudenziale, per cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non è comminata solo come conseguenza dell'edificazione senza titolo da parte del responsabile, ma anche come conseguenza dell'inottemperanza all'ordine di ripristino impartito (Consiglio di Stato Sez. VI, 29/1/16, n. 358). La misura non costituisce, infatti, sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l'esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, che integra un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell'abuso stesso, del quale può rendersi responsabile sia l'esecutore dell'abuso sia il proprietario, che, pur non responsabile dell'abuso, ne sia venuto a conoscenza e non si sia adoperato per il ripristino, pur avendone la possibilità ed essendo stato destinatario dell'ordine di demolizione. (Consiglio di Stato Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1951;T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 8 gennaio 2016, n. 14;T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 1 settembre 2016, n. 4141).
Nel caso di specie, l’ordinanza di demolizione è stata adottata il 20 maggio 2014 e non ottemperata dai ricorrenti come accertato con verbale del 25 febbraio 2015, quando i ricorrenti erano proprietari dall’immobile già da molti anni.
E’, invece, fondata l’ulteriore censura relativa all’acquisizione dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime nella misura massima consentita dalla legge.
L’art. 31 del d.p.r. 380 del 2001 prevede che “se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
L’area ulteriore rispetto a quella di sedime può quindi essere acquisita solo se necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, in base alla prescrizioni urbanistiche vigenti.
Mentre per l'area di sedime l'automatismo dell'effetto acquisitivo, che si verifica ope legis a seguito dell'inottemperanza all'ordine di demolizione, rende superflua ogni motivazione sul punto relativo alla semplice identificazione dell'abuso, l'individuazione dell'ulteriore area va motivata, volta per volta, con l'esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, proprio perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l'ulteriore area acquisibile, ma ha indicato un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso;viene, dunque, delineato un procedimento di determinazione della c.d. pertinenza urbanistica da condurre di volta in volta sulla base di criteri di individuazione che tengano conto di quanto previsto dalle vigenti disposizioni urbanistiche per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1881;Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3097).
La normativa edilizia non è stata assolutamente presa in considerazione dal Comune nel provvedimento impugnato.
Nè può essere sufficiente ad integrare la carenza di motivazione sul punto la successiva nota di chiarimenti (prot. 1884 del 6 luglio 2016) depositata in giudizio dal Comune di Tarquinia, a seguito dell’ordinanza di questo Tribunale che disponeva il riesame sul punto;in tale nota, infatti, l’Amministrazione fa riferimento alle previsioni di piano regolatore che comportano la inedificabilità dell’area in assenza dell’approvazione di un piano attuativo. Come già evidenziato la nota di chiarimenti del Comune ha indicato ulteriori elementi in fatto ed in diritto senza effettuare il riesame disposto dal Tribunale, che avrebbe consentito con la rivalutazione di tale profilo anche una nuova motivazione.
La nota depositata dal Comune di Tarquinia configura, quindi, una integrazione postuma della motivazione inammissibile in base alla consolidata giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III, 9 gennaio 2017, n. 24;III, 10 luglio 2015, n. 3488, per cui è inammissibile la integrazione postuma
della motivazione di un atto amministrativo, realizzata nel corso del giudizio mediante gli scritti difensivi dell'Amministrazione resistente che specifichino elementi di fatto o presentino giustificazioni del provvedimento impugnato non evincibili nemmeno implicitamente dalla sua motivazione, ciò costituendo un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, come tale non consentita in quanto non inserita nell'ambito di un procedimento amministrativo).
La motivazione, infatti, deve precedere e non seguire il provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento della P.A. e dell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario.
In particolare, la norma contenuta nell'art. 3 della legge n. 241/1990, che prescrive che ogni provvedimento amministrativo sia motivato, non è riconducibile a quelle sul procedimento o sulla forma degli atti", poiché la motivazione non ha alcuna attinenza né con lo svolgimento del procedimento né con la forma degli atti in senso stretto, riguardando, più precisamente, l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria;tant'è che nella stessa giurisprudenza comunitaria la motivazione viene configurata come requisito di forma sostanziale (cfr. di recente T.A.R. Campania Napoli sez. II, 15 febbraio 2017, n. 933).
Alla carenza di motivazione del provvedimento non è dunque applicabile la disciplina della cd. sanatoria processuale prevista dell’art. 21 octies comma 2 della legge n. 241 del 1990.
Ne consegue la illegittimità del provvedimento di acquisizione impugnato nella parte relativa all’area ulteriore a quelle di sedime dell’immobile abusivo, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato in parte qua.
Il ricorso è quindi, limitatamente a tale profilo, fondato e deve essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato nella parte in cui ha acquisito una area superiore a quella di sedime dell’immobile abusivo, limitata alla superficie di 72,6 metri quadri, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali.