TAR Bari, sez. II, sentenza 2017-08-22, n. 201700933

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2017-08-22, n. 201700933
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201700933
Data del deposito : 22 agosto 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/08/2017

N. 00933/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00137/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 137 del 2011, proposto da:
-O-, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e M L C, domiciliato ex art. 25 del codice del processo amministrativo presso la Segreteria del T.A.R. Puglia in Bari, alla piazza Massari, n. 6;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze e Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa domiciliati in Bari, alla via Melo, n. 97;

per l'annullamento parziale

- del decreto n.839, emesso dal Ministero dell'Economia e delle Finanze-Comando Generale della Guardia di Finanza-VI Reparto-Ufficio Trattamento economico personale in quiescenza - II Sezione-equo indennizzo ed indennità speciali, in data 12.5.2010 n.104601/pos;

- tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e conseguenziali;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2017 la dott.ssa G S e uditi per le parti i difensori avv. Letizia Clemente e avv. dello Stato Lucia Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- L’odierno ricorrente, arruolato nel corpo della Guardia di finanza sin dal 1° ottobre 1979, ha adito questo Tar per ottenere l’annullamento del decreto –in epigrafe meglio indicato- con cui è stato revocato in autotutela il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “cervicoartrosi con discopatia C6-C7”.

Premette che, con istanze in data 8.7.1999 e 7.2.2001, aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio in relazione ad alcune patologie dalle quali era risultato affetto e che il Ministero, con decreto n. 5784/A del 1° ottobre 2007, aveva accolto la richiesta con riferimento a quattro delle patologie stesse, tra cui –per quel che qui rileva- la “cervicoartrosi con discopatia C6-C7”, in dichiarata adesione al parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio n. 26643/2006 del 12 febbraio 2007.

In verità, il Comitato non si sarebbe espresso in favore della dipendenza di causa di servizio della suddetta cervicoartrosi;
tant’è che il Ministero, tre anni dopo, con il decreto 839 -in epigrafe meglio specificato- ha rettificato le precedenti determinazioni, al preciso scopo di uniformarsi al sotteso parere del Comitato competente.

È insorto il sig. -O- con il presente gravame, articolando due motivi di doglianza.

Si è costituito in giudizio il Ministero della giustizia, con atto prodotto in data 24 aprile 2012, chiedendone il rigetto.

Alla pubblica udienza del 6 giugno 2017, la causa è passata in decisione.

2.- Il gravame non può trovare accoglimento.

Il ricorrente –come anticipato sub

1- articola due motivi di ricorso, chiedendo in particolare l’annullamento del sopravvenuto decreto ministeriale in parte qua.

Più in dettaglio, con il primo motivo contesta la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, lamentando che l’Amministrazione intimata avrebbe disatteso le regole del contraddittorio, non comunicando il preavviso di rigetto e privando, pertanto, il ricorrente della possibilità di fornire un proprio apporto procedimentale;
con il secondo motivo, il presunto difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione al decreto conclusivo del procedimento, il quale avrebbe mancato di rappresentare circostanziate ragioni che possano giustificare la disposta rettifica. Non sarebbe all’uopo sufficiente l’adeguamento al sottostante parere del Comitato di verifica poiché lo stesso sarebbe da ritenersi non vincolante in quanto pronunziato oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 11 D.P.R. n. 461/2001.

Le doglianze non sono condivisibili.

Deve rilevarsi, prima di passare all’esame delle singole censure, che il parere formulato dal Comitato di verifica non è stato oggetto di espressa impugnazione;
ma poiché è a tale parere che il decreto di rettifica rinvia a sostegno delle determinazioni assunte in autotutela è su tale atto che deve precipuamente appuntarsi l’indagine in ordine alla verifica dei vizi di difetto di motivazione e carente istruttoria dedotti con il secondo motivo.

2.1..- Prendendo poi le mosse dal primo motivo di doglianza, si esamina la questione inerente all’omessa comunicazione del preavviso di rigetto che –nella ricostruzione di parte ricorrente-avrebbe impedito al deducente di far valere le proprie ragioni in sede procedimentale.

2.1.1.- Al riguardo il Collegio conferma l’adesione all’indirizzo –peraltro costante- della giurisprudenza che ne esclude la necessità, ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990, in ragione del fatto che trattasi di attività vincolata agli esiti del giudizio del Comitato di verifica della cause di servizio (cfr. precedente sentenza di questa Sezione n. 355/2017;
in termini, C.d.S., Sez. II, 29 aprile 2015 n. 748).

La giurisprudenza è invero concorde nel sostenere la vincolatività del parere reso dal Comitato di verifica sulla causa di servizio dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461, diversamente da quello in precedenza reso dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie ritenuto solo obbligatorio (in termini, da ultimo, T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 25.5.2017, n. 980;
T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, 21.11.2016, n. 2260;
C.d.S., Sez. III, 10.2016, n. 4452 ).

Quanto al rilievo, pure contenuto –come detto- nel ricorso introduttivo, della non vincolatività del parere nel caso in esame, in quanto pronunziato oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 11 del D.P.R. n. 461/2001, non si ritiene di condividerlo.

Per cogliere invero l’esatta valenza del termine di sessanta giorni previsto dal richiamato art. 11, comma 2, D.P.R. n. 461/2001, in assenza di una previsione testuale che ne sanzioni espressamente l’inosservanza con la decadenza dall’esercizio del potere, si impone una lettura logico-sistematica della disposizione, che tenga conto del contesto normativo delineato dallo stesso decreto n. 461 oltre che del quadro generale dei principi desumibili dall’ordinamento;
e, in particolare, dalla legge generale sul procedimento (legge n. 241/1990).

Orbene, già una lettura coordinata dell’art. 11 del più volte menzionato decreto 462/2001 con il successivo art. 14, che scandisce i tempi complessivi del procedimento di concessione dell’equo indennizzo, suggerisce la tendenziale imprescindibilità del parere stesso nella misura in cui intervenga prima dell’adozione delle definitive determinazioni;
a maggior ragione se queste ultime vi si debbano adeguare.

Ma un’interpretazione di tal segno trova altresì conforto nell’ottica dei principi generali destinati a disciplinare il rapporto tra attività amministrativa consultiva e attività amministrativa decisoria, quali si ricavano dagli artt. 16 e 17 della legge generale sul procedimento (n. 241/90). Tali disposizioni pongono le regole del suddetto rapporto, stabilendo i casi e le modalità per ovviare all’eventuale inerzia dell’organo consultivo.

Dal tenore complessivo delle due disposizioni si ricava, invero, che il rimedio contemplato dal legislatore a fronte dell’inerzia nell’adozione di un parere che deve esprimere valutazioni tecniche normativamente imprescindibili (come –per quanto detto- il parere tecnico che viene qui in rilievo) è l’audizione di altro organo dell’Amministrazione, giammai l’aggiramento della consultazione;
sicché, non può essere posta in dubbio la rilevanza di un’attività consultiva tempestiva rispetto all’adozione delle determinazioni finali, conclusive del procedimento.

Inoltre, allargando ulteriormente la prospettiva, nel senso indicato depone anche il principio generale e tendenziale dell’inesauribilità del potere amministrativo, che si trae dall’ordinamento complessivamente considerato (cfr. C.d.S., Sez. IV, 24.10.2016, n. 4421).

2.1.2.- In ogni caso e sempre sul piano dei principi generali, la valutazione della rilevanza del vizio formale ai fini della soluzione della concreta controversia non può essere sganciata –ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies della stessa legge generale sul procedimento- dalla considerazione delle ragioni sostanziali che hanno indotto all’adozione delle determinazioni gravate;
ragioni che, nella fattispecie, sono oggetto di censura nel richiamato secondo motivo.

È ben noto che, ai sensi e per gli effetti del richiamato art. 21 octies , le violazioni procedimentali non possono condurre all’annullamento dell’atto impugnato ove –in concreto- l’interessato non abbia dimostrato che attraverso la partecipazione al procedimento avrebbe –verosimilmente- potuto incidere sul relativo esito.

Nella fattispecie, le ragioni sostanziali prospettate dal ricorrente non appaiono meritevoli di condivisione, sicché l’eventuale accoglimento del primo motivo non apporterebbe al ricorrente stesso alcuna utilità.

2.2.- Il secondo motivo è, infatti, infondato.

Venendo invero al merito della questione, deve rimarcarsi che i giudizi medico-legali, alla luce di altrettanto consolidati principi giurisprudenziali, sono connotati da discrezionalità tecnica e che il sindacato esperibile su di essi dal giudice amministrativo deve intendersi limitato ai soli profili di palese irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti.

Sempre sul piano dei principi generali e venendo più specificamente al riconoscimento della "causa di servizio" in relazione all'equo indennizzo, l'attività lavorativa deve potersi ritenere almeno concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendosi, nella specifica materia, fare riferimento a presunzioni di sorta. Inoltre, la prova grava sul lavoratore che ha l’onere di dimostrare -secondo i principi generali (art. 2697 c.c.) – la dipendenza della malattia da specifici fatti di servizio, non potendo operare nella fattispecie presunzioni di derivazione dall’attività lavorativa, come nel caso di malattie professionali tabellate (Cass. SS.UU., 17.6.2004 n. 11353).

Applicando alla presente controversia i principi sopra enucleati, deve quindi affermarsi che la motivazione – per relationem- posta a fondamento della rettifica gravata sia congrua;
dalla documentazione allegata, non emergono elementi tali da far ravvisare un palese travisamento dei fatti ovvero una manifesta illogicità del giudizio espresso né la patologia di cui risulta affetto ricorrente è contemplata tra le malattie professionali per le quali il legislatore abbia ex ante stabilito una presunzione di derivazione causale da una determinata prestazione lavorativa.

Il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infermità avrebbe dovuto essere dimostrato secondo le regole ordinarie mediante l’allegazione di fatti storici determinati, indicativi della relazione causale fra la prestazione lavorativa e la patologia stessa, quali una storia clinica attestante episodi patologici in coincidenza con periodi di intenso impegno lavorativo, non riconducibile alle normali mansioni di un pari grado dello stesso corpo.

Nella fattispecie nulla di tutto questo si rinviene dagli atti di causa poiché il ricorrente ricollega l’insorgenza della lamentata patologia sostanzialmente allo "stress" lavorativo collegato alle normali mansioni per il profilo considerato;
né vengono sottoposti all’attenzione del Collegio dati aggregati o misurazioni statistiche dai quali desumere che il personale della Guardia di Finanza, addetto alle mansioni dell’istante, potrebbe essere soggetto alle stesse infermità (cfr. in termini, T.A.R. Bari, Sez. III, n. 105/2016).

Non può, pertanto, ritenersi provato che l’ordinario servizio da questi svolto sia stato, in concreto, una concausa scatenante della patologia in questione;
il Comitato di verifica ha –in particolare- rilevato proprio che “…non risultano provate come avvenute nel servizio prestato dall’interessato”

le addotte condizioni di “micreotraumatismi ripetuti e continuati nel tempo”.

Manca, dunque, anche soltanto un mero principio di prova (non è stata esibita neanche una consulenza tecnica di parte);
né parte ricorrente formula richiesta di consulenza tecnica d’ufficio che, in ogni caso, per quanto detto, sarebbe inammissibile (cfr., sul punto, T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, 24 febbraio 2016 n. 259).

Tanto meno la rettifica può ritenersi fondata su di una motivazione insufficiente posto che –come su chiarito- contiene un espresso rinvio al sottostante parere del Comitato di verifica, evidentemente condiviso e fatto proprio dall’Amministrazione procedente;
e -giova rammentarlo-l’Amministrazione può discostarsi dal giudizio negativo del Comitato solo ove vi ravvisi un’evidente carenza istruttoria ovvero un palese travisamento dei fatti e/o illogicità (C.d.S., Sez. IV, 14 aprile 2015 n. 2989).

Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso va dunque respinto.

3.- In considerazione della materia del contendere e della natura degli interessi coinvolti, le spese di lite possono tuttavia essere compensate fra le parti.

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