TAR Milano, sez. III, sentenza 2022-11-10, n. 202202484
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 10/11/2022
N. 02484/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00043/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 43 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E P V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO U.T.G.-Prefettura di Como, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, Via Freguglia, n. 1;
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
per l'annullamento
del decreto della Prefettura di Como K10/0762703 emesso in data 14 ottobre 2021, con il quale veniva dichiarata inammissibile l’istanza volta al conseguimento della cittadinanza italiana presentata dal ricorrente il 7 settembre 2017 ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f ), della legge n. 91 del 1992.
per quanto riguarda i motivi aggiunti
per l’annullamento
del decreto della Prefettura di Como K10/0762703 datato 24 febbraio 2022 con il quale veniva confermata l'inammissibilità dell’istanza volta al conseguimento della cittadinanza italiana presentata dal ricorrente il 7 settembre 2017 ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f ), della legge n. 91 del 1992.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il dott. S C C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, viene impugnato il provvedimento emesso dalla Prefettura di Como in data 14 ottobre 2021 con cui è stata dichiarata inammissibile la domanda di concessione della cittadinanza italiana proposta dal ricorrente.
Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Ministero dell’Interno.
Con ordinanza n. 148 dell’1 febbraio 2022, la Sezione ha accolto ai fini del riesame l’istanza cautelare.
A seguito del riesame, l’Amministrazione ha emesso il provvedimento del 24 febbraio 2022 il quale, seppur con diversa motivazione, ha nuovamente dichiarato inammissibile l’istanza.
Questo provvedimento è stato impugnato mediante la proposizione di motivi aggiunti.
La Sezione, con ordinanza n. 587 del 24 maggio 2022, pronunciandosi sull’istanza cautelare proposta con i motivi aggiunti, ha fissato l’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza pubblica dell’11 ottobre 2022.
Preliminarmente deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo. Il ricorrente non ha infatti ormai alcun interesse ad ottenere l’annullamento dell’atto con esso impugnato essendo stato tale atto sostituito da quello impugnato con i motivi aggiunti il quale, come anticipato, ha nuovamente respinto, con diversa motivazione, la sua domanda di concessione della cittadinanza italiana.
Ciò stabilito si può passare all’esame dei motivi aggiunti.
Con il primo motivo dei motivi aggiunti, parte ricorrente sostiene che la Prefettura di Como, nel dichiarare l’inammissibilità della sua domanda per insufficienza del reddito, avrebbe esercitato un potere discrezionale riservato agli organi centrali del Ministero dell’Interno. Viene dunque dedotto il vizio di eccesso di potere e di incompetenza.
Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata per le ragioni di seguito illustrate.
L’istanza di concessione della cittadinanza italiana proposta dal ricorrente è stata, nel concreto, respinta in quanto l’Amministrazione ha ritenuto che non fosse soddisfatto il requisito relativo al minimo reddituale stabilito con apposite circolari ministeriali (si veda la circolare del Ministero dell’Interno del 5 gennaio 2007). Queste circolari fanno riferimento al parametro di cui all’art. 3 del d.l. n. 382 del 1989, convertito con legge n. 8 del 1990, costituito dal limite minimo di reddito per la partecipazione alla spesa sanitaria, pari ad euro 8.263,31.
Ciò permesso va osservato che, dalla lettura degli artt. 7, 8 e 9 della legge n. 91 del 1992, si ricava che la competenza a pronunciarsi sulle istanze di concessione della cittadinanza italiana è attribuita alle autorità centrali dello Stato: in base alle citate norme, il provvedimento di concessione della cittadinanza deve essere infatti emesso dal Ministro dell’Interno per il caso di cittadinanza richiesta dal coniuge del cittadino italiano, ovvero dal Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, per tutte le altre specifiche ipotesi previste dal citato art. 9.
Tuttavia, l’art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 362 del 1994 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana) prevede che il prefetto (autorità a cui la domanda deve essere materialmente presentata ed alla quale è attribuito il compito di effettuare attività istruttoria) può dichiarare inammissibile l’istanza qualora questa risulti incompleta o irregolare senza che l’interessato abbia provveduto alla regolarizzazione nel termine concessogli.
Come ha chiarito l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 13 del 13 luglio 2021, la dichiarazione di inammissibilità emessa dal prefetto non ha natura di provvedimento di diniego della cittadinanza, ma di decisione che si esaurisce sul piano procedimentale che non attribuisce né nega lo status di cittadino valido erga omnes.
La giurisprudenza ha altresì chiarito che il potere del prefetto di pronunciarsi in ordine all’ammissibilità dell’istanza sussiste anche con riferimento all’accertamento del requisito costituito dal possesso di idonea capacità reddituale. Questo requisito infatti – seppur frutto all’origine di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione e non di una specifica scelta legislativa –
non implica, in fase applicativa, alcun esercizio di discrezionalità, e ciò in quanto, come visto, la stessa Amministrazione, con apposite circolari emanate a livello centrale, ha individuato una volta per tutte il livello di minimo di risorse necessario per poter ottenere la cittadinanza, costituendo così un vincolo valevole per tutti i casi concreti. Il potere discrezionale è già stato quindi esercitato a monte e a livello centrale con la fissazione generale del livello reddituale minimo, con la conseguenza che, per l’attività che ne residua (di carattere, come detto, ormai vincolato), non è più necessario un ulteriore intervento degli organi centrali (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 4 maggio 2020, n. 529).
Si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che il provvedimento impugnato (con il quale, come ripetuto, è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza per ritenuto mancato superamento della soglia minima reddituale) sia stato correttamente adottato dalla Prefettura;ne consegue che deve essere ribadita l’infondatezza della censura in esame.
Con altra censura contenuta nel secondo motivo dei motivi aggiunti, parte ricorrente sostiene che l’Amministrazione avrebbe errato nel ritenere che i redditi prodotti all’estero non siano computabili ai fini della verifica del superamento della soglia minima individuata per l’ottenimento della cittadinanza italiana, e ciò in quanto l’art. 3 del d.l. n. 382 del 1989, richiamato dalle circolari ministeriali, non distinguerebbe tra le diverse tipologie di reddito.
Ritiene il Collegio che questa censura sia fondata per le ragioni di seguito esposte.
Si è detto in precedenza che l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata dal ricorrente è stata respinta in quanto l’Amministrazione ha ritenuto non soddisfatto il requisito relativo alla disponibilità di un reddito minimo, il cui ammontare è stato individuato da apposite circolari ministeriali. Si deve ora precisare che, in realtà, nel provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, si dà atto che il reddito complessivo del ricorrente supera la soglia minima prevista;tuttavia, poiché una parte di esso sarebbe esente dall’imposta sui redditi in quanto prodotta all’estero, di questa parte non si potrebbe tenere conto.
Al riguardo, va innanzitutto precisato che l’art. 165 del d.P.R. n. 917 del 1986 prevede che, per i redditi prodotti all’estero dai residenti in Italia, deve essere riconosciuta una detrazione corrispondente all’imposta scontata nel paese di produzione, e ciò al fine di evitare il fenomeno della doppia imposizione, fenomeno che si realizzerebbe qualora, per lo stesso reddito, il contribuente fosse tenuto a versare anche l’imposta italiana. In base a questo meccanismo, quindi, se l’ammontare dell’imposta italiana supera quello dell’imposta estera, la prima deve essere versata per la differenza.
Il fenomeno della doppia imposizione può essere evitato anche attraverso la stipulazione di apposite convezioni internazionali che stabiliscano se e in che misura deve essere sottoposto a tassazione italiana il reddito prodotto nell’altro Stato contraente.
Ciò precisato va ora osservato che l’istanza del ricorrente è stata proposta ai sensi dell’art. 9, primo comma, lett. f), della legge n. 91 del 1992, ai sensi del quale la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno, allo straniero che risiede legalmente in Italia da almeno dieci anni.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’utilizzo da parte del legislatore del verbo “può” lascia intendere che l’Amministrazione gode in materia di un potere altamente discrezionale: il periodo di residenza costituisce solo il presupposto minimo per poter proporre la domanda a cui segue una valutazione ampiamente discrezionale la quale deve estendersi anche all’accertamento della possibilità per il richiedente di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale. La stessa giurisprudenza ha quindi chiarito che la valutazione riguardante il buon inserimento nel contesto sociale italiano passa anche attraverso la dimostrazione di disponibilità di un reddito minimo che accresca le risorse della nazione sotto il profilo sia produttivo che contributivo e che consenta al richiedente di non gravare sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958;T.A.R. Lazio Roma, sez. V, 14 giugno 2022, , n.7916;id., sez. I, 22 ottobre 2020, n. 10750).
Ritiene il Collegio che tale esigenza possa ritenersi soddisfatta anche quando, come nel caso in esame, una parte dei redditi sia prodotta all’estero, e ciò nonostante per questi redditi il contribuente possa beneficiare della detrazione di imposta prevista dall’art. 165, primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986 o di altro regime di favore previsto da apposite convenzioni internazionali.
Invero, la disponibilità di un reddito lecito adeguato garantisce che lo straniero residente non gravi sui servizi di solidarietà sociale apprestati dalle autorità italiane e che il medesimo possa in ogni caso contribuire, anche attraverso la sua capacità di spesa esercitata sul territorio dello Stato, alla crescita della nazione. Inoltre, le scelte di politica fiscale prese dal legislatore riguardo all’assoggettamento ad imposizione di determinati redditi non possono influire sulle valutazioni da compiersi ai fini della concessione della cittadinanza italiana: queste decisioni vengono perlopiù assunte per ragioni di tecnica impositiva e, per questo motivo, assumono scarso significato in ambiti diversi da quello fiscale. Si è visto che le scelte assunte con riguardo ai redditi prodotti all’estero hanno la finalità di evitare il fenomeno della doppia imposizione;queste scelte sono peraltro bilanciate dalla sottoposizione ad imposta dei redditi prodotti in Italia da soggetti residenti in paesi stranieri i quali, quindi, pur contribuendo alla spesa pubblica nazionale possono, in ipotesi (proprio perché residenti in paesi stranieri) anche non beneficiarne in alcun modo. E’ dunque vero che per i redditi prodotti all’estero non viene versata in Italia l’imposta sui redditi o viene versata in maniera ridotta, ma il regime complessivo introdotto da queste scelte di tecnica impositiva è configurato in modo tale da non permettere di escludere in maniera assoluta il loro contributo alla spesa pubblica (dovendosi prospettare in caso contrario problemi di costituzionalità del regime per violazione dell’art. 53, primo comma, Cost.).
Si deve pertanto ritenere, in tale contesto, che l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto del reddito prodotto all’estero dal ricorrente al fine di verificare il superamento della soglia minima reddituale prevista per il conseguimento della cittadinanza italiana.
Va pertanto ribadita la fondatezza della censura in esame con assorbimento dei motivi non esaminati in quanto prospettanti vizi meno radicali.
In conclusione, per le ragioni illustrate, va dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo. I motivi aggiunti vanno invece accolti, con conseguente annullamento dell’atto con essi impugnato.
La parziale novità delle questioni affrontate induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese di giudizio.