TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2019-12-16, n. 201905976
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Testo completo
Pubblicato il 16/12/2019
N. 05976/2019 REG.PROV.COLL.
N. 03710/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3710 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in N, alla via Tino di Camaino n. 23, presso l’avvocato F E;
contro
Ministero della Difesa, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comitato di verifica per le cause di servizio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico
ex lege
in N, alla via A. Diaz n. 11;
per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo
- del decreto -OMISSIS-del Ministero della Difesa - Direzione generale della Previdenza militare e della Leva - II Reparto - 5a Divisione - 4a Sezione;
- del parere del Comitato di verifica per le cause di servizio n. 13813/2015 espresso nell’adunanza n. 228 del 17 settembre 2015;
- di ogni altro atto presupposto, collegato, conseguente e connesso;
quanto ai motivi aggiunti
- del parere del Comitato di verifica per le cause di servizio -OMISSIS-espresso nell’adunanza -OMISSIS-dell’11 aprile 2017, comunicato al ricorrente mediante atto prot. n. -OMISSIS-del 23 maggio 2017, notificato via PEC in pari data;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 la dott.ssa V I e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Espone l’odierno ricorrente:
- di aver prestato servizio nell’Esercito Italiano nell’ambito della missione internazionale di pace Joint Enterprise in Kosovo dal 7 novembre al 23 dicembre 2008;
- di avere attraversato, in tale periodo, diversi teatri di operazioni belliche (in particolare, bombardamenti), nel corso delle quali veniva utilizzato munizionamento pesante, contenente tra l’altro uranio impoverito;
- di essere stato esposto, senza mezzi di protezione (quali tute, maschere e guanti) sia ad ambienti altamente inquinati da esalazioni e residui chimici e radioattivi – derivanti dalla combustione e ossidazione dei metalli pesanti, causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni oltre che dall’esplosione di fabbriche, carri armati ed edifici – sia alle esalazioni dei gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi utilizzati per la pulizia e la manutenzione delle armi;
- di avere utilizzato l’acqua e consumato gli alimenti del luogo;
- di essere stato fisicamente debilitato da massicce somministrazioni vaccinali;
- di essere stato ricoverato per un’affezione intestinale emorragica;
- che, nel novembre 2011, gli è stato riscontrato un « carcinoma papillifero della tiroide con interessamento ai linfonodi loco regionali », per il quale ha subito un intervento di tiroidectomia totale e linfoadenectomia periricorrenziale destra;
- di avere, pertanto, in data 2 maggio 2012, presentato domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e di attribuzione del corrispondente equo indennizzo.
Con decreto n. 1372/N - posizione 671887/B del 23 maggio 2016, notificato il 6 giugno 2016, il Ministero della Difesa - Direzione generale della Previdenza militare e della Leva - II Reparto - 5a Divisione - 4a Sezione ha negato all’odierno ricorrente il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della predetta infermità e ha, conseguentemente, respinto l’istanza di concessione dell’equo indennizzo, sulla scorta del parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio n. 13813/2015, espresso nell’adunanza n. 228 del 17 settembre 2015, secondo il quale « l’infermità: “Carcinoma papillare della tiroide con metastasi linfonodali latero cervicali trattato con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica” non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto nei precedenti di servizio dell’interessato, non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica. Pertanto è da escludere ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo, altresì nel caso di specie, precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in seno metaplastico.
Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti ».
Avverso tale determinazione, l’interessato ha proposto ricorso, notificato il 12 luglio 2016 e depositato il 3 agosto successivo, chiedendone l’annullamento e la dichiarazione di dipendenza da cause di servizio dell’infermità maturata, per i seguenti motivi: violazione dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990;eccesso di potere per sviamento e violazione del principio del giusto procedimento;violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;difetto d’istruttoria e di motivazione;eccesso di potere per erronea interpretazione della situazione di fatto;violazione del rischio tipizzato dall’art. 2, co. 78, della legge n. 244/2007 e nei d.P.R. n. 37/2009, n. 90/2010 e n. 40/2012;violazione del criterio di riparto dell’onere della prova.
A seguito della notifica del ricorso, la Direzione generale della Previdenza militare e della Leva ha richiesto al Comitato di verifica di riesaminare il fascicolo medico-legale del ricorrente. Il Comitato si è quindi nuovamente pronunciato, con il parere n. 732042016 - posizione 671887 CON, espresso nell’adunanza -OMISSIS-dell’11 aprile 2017, nel quale si legge che « per l’infermità: carcinoma papillare della tiroide con metastasi linfonodali latero cervicali trattato con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica si conferma il precedente parere negativo, in quanto nelle osservazioni presentate dall’interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti ».
Tale parere è stato comunicato al ricorrente dal Ministero della Difesa - Direzione generale della Previdenza militare e della Leva con atto prot. -OMISSIS-- pos. 671887 del 23 maggio 2017.
Avverso tale secondo parere, il ricorrente ha proposto motivi aggiunti, movendo le seguenti censure: eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza, erronea valutazione e/o travisamento della situazione di fatto, errore sul presupposto;difetto d’istruttoria;manifesta illogicità, incongruità, inattendibilità, irragionevolezza, insufficienza e apoditticità della motivazione.
Il secondo parere risulta adottato a seguito di una nuova istruttoria – nella quale sarebbero stati esaminati e valutati « le osservazioni presentate dall’interessato » e « tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio » – e una nuova ponderazione degli interessi, sicché non può considerarsi “meramente” confermativo del precedente (in tal senso, Cons. di Stato, IV, sent. n. 1398/2017).
Giova precisare che « a far data dall’entrata in vigore del DPR 29 ottobre 2001 n. 461, il parere del Comitato di verifica sulla causa di servizio è vincolante per l’amministrazione, diversamente da quello in precedenza reso dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, che invece era solo obbligatorio;... il Comitato di verifica ... è chiamato ad esprimere un parere sulla dipendenza da causa di servizio, al quale l’amministrazione è tenuta a conformarsi, salva soltanto la facoltà di richiedere, motivatamente, un ulteriore parere allo stesso Comitato, al quale è poi tenuta comunque a adeguarsi » (Cons. di Stato, IV, sent. n. 5822/2018).
Ciò premesso, il Collegio condivide e fa proprio il consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale:
- nell’ipotesi di atti di natura vincolante, quali pareri o proposte, i quali non determinano alcun arresto procedimentale e tuttavia sono « tali da esprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva », permane una ineliminabile « relazione dialettica – non meramente formale – tra organo che esprime il parere ed organo dotato di potere provvedimentale che, se non giunge a concretizzarsi in un esercizio di potere in dissenso motivato dal parere (posto che ciò è escluso dalla norma che qualifica il detto parere come vincolante), tuttavia postula la distinzione dei ruoli, delle funzioni e dei poteri il cui conferimento è ad esse connesso »;
- ne deriva che « se è vero che l’organo dotato di potere provvedimentale (e, in primis, di concreta gestione del procedimento) non può discostarsi, nell’esercizio concreto del potere amministrativo, dalle conclusioni cui è giunto l’organo consultivo, nondimeno tale organo – proprio perché è e rimane il titolare ex lege del potere provvedimentale – resta il dominus della identificazione in concreto del potere amministrativo esercitabile e della sussistenza dei presupposti per il suo esercizio ... ciò richiede, necessariamente, che l’amministrazione titolare del potere provvedimentale, che ha (in particolare su istanza di parte) avviato il procedimento amministrativo, lo concluda, perché è nella funzione del provvedimento amministrativo anche la identificazione (e manifestazione) della tipicità del potere esercitato »;
- « Affermare, quindi, che, in via generale, un parere vincolante, una volta espresso, può (anzi deve) essere oggetto di immediata ed autonoma impugnazione entro il termine decadenziale previsto per il ricorso giurisdizionale: in primo luogo, nega la distinzione tra funzione di amministrazione attiva e funzione consultiva, pur mantenuta dalla norma; in secondo luogo, determina un “trasferimento” di potestà provvedimentale che, per un verso, annulla la categoria stessa dei pareri vincolanti (rendendo questi atti sostanziale espressione di amministrazione attiva);per altro verso, svuota programmaticamente di contenuto il potere provvedimentale, di fatto trasferendolo in capo ad organi diversi da quelli individuati dalla legge, in evidente contraddizione con il principio di legalità (in senso formale) »;
- « Ovviamente, diverso è il caso in cui l’amministrazione procedente:
a) non avanzi oltre nel procedimento amministrativo, non [ri-] provvedendo sull’istanza di parte, alla luce di un parere vincolante contrario. In questo caso, si verificherebbe di fatto un arresto procedimentale, tale da rendere impugnabile – non diversamente da quanto accade per qualunque atto che determina un arresto procedimentale – il parere vincolante. Ma ciò dipende non già dalla inevitabile conformità del provvedimento (una volta che fosse emanato) al parere vincolante reso, bensì dal fatto concreto di arresto procedimentale;
b) comunichi all’interessato il parere vincolante contrario reso dall’organo consultivo. In questo caso – corrispondente alla fattispecie oggetto del presente ricorso per motivi aggiunti – l’amministrazione procedente e dotata di potere provvedimentale (salvo diversa prova in concreto) manifesta la volontà di “fare proprio” il parere, e quindi l’atto di (apparente) mera comunicazione del parere stesso costituisce concreta espressione di potere provvedimentale da parte dell’organo che ne è titolare. In questa seconda ipotesi, dunque, solo apparentemente oggetto dell’impugnazione è il parere, poiché, in sostanza, oggetto di impugnazione è l’atto di comunicazione (recte: provvedimento amministrativo) » (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1829/2012).
Ne deriva, pertanto, l’improcedibilità del ricorso introduttivo, per sopravvenuto difetto d’interesse, dovendosi ritenere che attraverso la comunicazione del parere n. 732042016, con atto prot. -OMISSIS-- pos. 671887 del 23 maggio 2017, il Ministero della Difesa abbia sostituito e superato il precedente decreto n. 1372/N - posizione 671887/B del 23 maggio 2016.
Ciò premesso, la questione rimanda agli artt. 603 e 1907 del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66/2010), che disciplinano il « riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi » al personale italiano che, in occasione o a seguito dell’impiego in missioni di qualunque natura entro e fuori i confini nazionali, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, abbia contratto infermità o patologie tumorali « per le particolari condizioni ambientali od operative ».
Al riguardo, giova precisare e che la maggiore ampiezza della formulazione più recente del citato art. 603 (modificato dall’art. 5, co. 3- bis , del decreto-legge n. 228/2010, convertito in legge n. 9/2011) – che non fa più espresso riferimento « all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico » – non vale di per sé a precludere il riconoscimento della concreta incidenza e rilevanza di tali specifici fattori nella fattispecie esaminata.
Del resto, l’art. 1079 del d.P.R. n. 90/2010, Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare , come modificato dal d.P.R. n. 40/2012, enumera tra le « condizioni comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto », anche « l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico ».
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, « gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio, anche in relazione all’equo indennizzo, rientrano nella discrezionalità tecnica … del Comitato per la Verifica per le Cause di Servizio, che perviene alle relative conclusioni assumendo a base le cognizioni di scienza medica e specialistica con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale su tali decisioni è ammesso esclusivamente nelle ipotesi di vizi logici desumibili dalla motivazione degli atti impugnati dai quali si evidenzi la inattendibilità metodologica delle conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione (Cons. Stato sez. IV 8 giugno 2009 n. 3500) ovvero nelle ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale (Cons. Stato Sez. IV 15 maggio 2008 n. 2243) nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del proseguimento seguito (Cons. Stato sez. IV 9 aprile 1999 n. 601) » (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1454/2014).
Dalle numerose pronunce in materia è altresì emerso quanto segue:
- « in materia di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, [la Cassazione] ha affermato la diretta applicazione della regola contenuta nell’art. 41 c.p., di modo che il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa (che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, può escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. civ., nn. 17958/2015, 5174/2015, 23990/2014, 23207/2014) »;
- « in tema di responsabilità dell’imprenditore, [la Cassazione] ha affermato (Cass. Civ., nn. 10425/2014, 2491/2008, 644/2005) che questa, ex art. 2087 c.c., pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non è tuttavia circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma sanziona l’omessa disposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico » (Cons. di Stato, IV, sent. n. 5822/2018, cit.).
Ne deriva che, ferma restando la non sindacabilità, in questa sede, delle valutazioni di ordine tecnico-discrezionale di pertinenza del Comitato, è compito di questo Collegio valutare se esso, nell’adozione del nuovo parere, e segnatamente nella rinnovazione dell’istruttoria (come richiesto dalla Direzione generale), abbia adeguatamente tenuto conto dei possibili cofattori della patogenesi desumibili dalle circostanze di svolgimento del servizio e rappresentati nelle osservazioni prodotte dall’interessato, dando evidenza in motivazione del percorso argomentativo inerente alla valutazione della concreta incidenza di essi nello specifico caso in esame.
Al riguardo, il Collegio rileva che dalle Relazioni, approvate in data 12 febbraio 2008, 9 gennaio 2013 e 7 febbraio 2018, delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico (istituite con deliberazioni del Senato dell’11 ottobre 2006 e del 16 marzo 2010, e della Camera dei deputati del 30 giugno 2015, modificata con successiva delibera del 15 novembre 2017), è emerso che:
- « le attuali conoscenze scientifiche non consentono di affermare con certezza il ruolo causale dei fattori di malattia esaminati rispetto agli effetti denunciati ma, allo stesso tempo, non consentono di escludere che una concomitante e interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi possa essere alla base delle patologie e dei decessi osservati […]»;
- « il verificarsi di situazioni caratterizzate dall’esposizione a uno o più dei diversi fattori potenzialmente nocivi sopra elencati, nel caso in cui risultino associati all’insorgenza di malattie, in specie tumorali, non altrimenti motivabili, [deve] orientare le valutazioni mediche e medico-legali nel senso che queste ultime considerino “altamente probabile” una correlazione effettiva tra il contesto specifico caratterizzato da una multifattorialità di fattori eziologici e quadri clinici diagnosticati […] anche tenendo nella dovuta considerazione la necessità di una valutazione puntuale e rigorosa del tipo di patologie osservate dal punto di vista clinico, con un inquadramento eziologico ed epidemiologico correlato alle specifiche situazioni ambientali, organizzative e operative nelle quali esse si manifestano »;
- « le reiterate sentenze della magistratura ordinaria e amministrativa hanno costantemente affermato l’esistenza, sul piano giuridico, di un nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari o, per essi, dai loro superstiti. La patogenicità dell’uranio impoverito è stata altresì riconosciuta sul piano scientifico, dal momento che la tabella delle malattie professionali, approvata con decreto ministeriale del 9 aprile 2008, su proposta dell’apposita commissione scientifica, elenca al numero 15 le malattie causate da effetti non radioattivi dell’uranio e suoi composti. Vero è che l’unica patologia nosologicamente definita è la nefropatia tubulare, ma altrettanto vero è che la voce 15 della tabella contiene anche una dizione aperta, così formulata: “altre malattie causate dall’esposizione …”. Ciò dimostra che gli effetti patogenetici dell’uranio impoverito sono multiformi e che a dieci anni di distanza dall’emanazione della predetta tabella, i progressi della scienza medica e i risultati delle indagini epidemiologiche imporrebbero un aggiornamento della tabella stessa, con l’inclusione di altre patologie nosologicamente definite, con particolare riguardo a talune forme tumorali del sistema emolinfopoietico … È da notare che le patologie a genesi multifattoriale, per la maggior parte delle quali non è possibile esprimersi in termini di certezza scientifica, sono valutate e definite nel pieno rispetto dei principi di diritto dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. La prova del nesso di causalità tra l’agente patogeno e la malattia si ritiene raggiunta quando sussista una probabilità qualificata, fondata sulle risultanze di accreditate indagini epidemiologiche e di studi condivisi dalla comunità scientifica. Se concorrono cause lavorative con fattori eziologici extra lavorativi, in forza del principio di equivalenza causale di cui all’articolo 41 c.p., la malattia si considera professionale. Ai fini della corretta applicazione della regola contenuta nell’articolo 41 c.p. in tema di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, deve, pertanto, escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni ».
Nelle predette Relazioni, si tiene conto della copiosa documentazione prodotta dagli studi e dalle inchieste svolti con riferimento alla morbilità dei militari impegnati in missione in determinate località ed esposti a determinati agenti chimici: Conferenza di Bagnoli del 1995;risoluzione ONU n. 1996/16 per la messa al bando dell’uranio impoverito;direttiva del Ministero della Difesa 26 novembre 1999;risoluzione ONU n. 62/30 approvata il 5 dicembre 2007 sugli “ Effects of the use of armaments and ammunitions containing depleted uranium ”;risoluzione del Parlamento europeo, in data 22 maggio 2008, verso un divieto globale dell’uso delle armi all’uranio impoverito;dati dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa e dell’Istituto Superiore della Sanità;dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla potenziale tossicità, sia radiologica sia chimica, dell’esposizione all’uranio impoverito ( Depleted uranium Sources, Exposure and Health Effects , 2001).
Anche la Corte di cassazione ha affermato che « nelle patologie aventi carattere comune ad eziologia c.d. multifattoriale », ai fini della prova del nesso di causalità fra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico – peraltro ravvisabile nel caso in esame, stante l’ormai riconosciuta pericolosità dei menzionati fattori – sia sufficiente « una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio » (sez. lavoro, ord. n. 12/2018).
Alla luce degli elementi scientifici raccolti, la giurisprudenza – in una prospettiva costituzionalmente orientata alla tutela del diritto alla salute, garantito dall’art. 32 Cost. – si è dunque andata consolidando, con riferimento ai principali teatri operativi (Balcani, Iraq, Afghanistan e Libano), nel senso di ritenere sufficiente, ai fini del riconoscimento delle misure indennitarie previste dalla legge, la dimostrazione in termini probabilistico-statistici della rilevanza concausale della permanenza in contesti fortemente degradati e inquinati, nello sviluppo di malattie aventi (come il cancro) una eziopatogenesi multifattoriale, ogni qualvolta l’Amministrazione non riesca a dimostrare che la malattia dipende da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.
Nel caso in esame, il ricorrente ha prodotto i risultati della « valutazione di reperto biologico tramite indagine nanodiagnostica di microscopia elettronica a scansione e microanalisi a Raggi X », di cui al rapporto n. 45/2016 del Laboratorio Nanodiagnostics, dal quale emerge, tra l’altro, quanto segue:
- « all’interno del piccolo campione un numero importante di particelle di ridotta dimensione, in più casi submicroniche: da circa 0,1 a qualche decina di micron e vaste aree interessate da calcificazioni »;
- « Le polveri identificate testimoniano di un’esposizione del paziente ad un inquinamento ambientale molto particolare per dimensione, per forma e per composizione »;
- « Sono anomale le particelle di Titanio-Silicio-Alluminio e quelle di Rame-Argento. Queste combinazioni, inesistenti nei testi di materiali, potrebbero essere ragionevolmente dovute a combustioni casuali e non controllate nel corso delle quali i materiali presenti nel centro della combustione fondono o volatilizzano per l’alta temperatura, liberando così gli elementi che le compongono i quali poi si ricombinano casualmente dando origine a nuovi composti, composti, come sottolineato, non registrati nei testi di letteratura tecnica e scientifica »;
- « Le vie d’ingresso abituali per le polveri sono quella inalatoria e quella per ingestione. Sia che le particelle siano state accumulate per inalazione sia che lo siano state per ingestione di cibo a sua volta contaminato, le particelle sono state trasportate dal sangue presumibilmente in tutti gli organi, tiroide compresa »;
- « Le polveri in questione non sono biodegradabili, quindi sono biopersistenti, e non sono biocompatibili. Per questo sono inevitabilmente patogene ... Le particelle di dimensione ridotta possono anche essere state incamerate da cellule ed avere interagito direttamente con il DNA danneggiandolo »;
- « Per la loro tossicità le polveri di dimensione pari o inferiore ai 2,5 micron, una grandezza rappresentata dal maggior numero di particelle trovate, sono già state definite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) cancerogeni di classe 1, vale a dire induttori sicuri di malattie tumorali ».
Nelle conclusioni del predetto rapporto si legge, dunque, che « La reazione biologica alla presenza dei corpi estranei identificati ha con ogni probabilità indotto la patologia di cui il paziente è stato affetto ».
Ciò premesso, a parere del Collegio – alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali sopra esposti – la valutazione espressa dal Comitato di verifica non è sorretta da un corredo motivazionale congruo quanto alla completezza dell’esame dei profili di eziopatogenesi sopra evidenziati.
Di nuovo, infatti, il Comitato si limita ad affermare in modo apodittico che, in ordine all’infermità maturata dal ricorrente, « si conferma il precedente parere negativo, in quanto nelle osservazioni presentate dall’interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso », senza che vengano indicati « tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti » asseritamente esaminati e valutati, e senza che vengano esplicitate le ragioni per le quali le caratteristiche del servizio prestato impongano di escludere qualunque nesso di concausalità rispetto alla patologia riscontrata, anche alla luce dell’anamnesi dell’interessato (dalla quale non risultano, in atti, elementi di “familiarità” della malattia maturata).
Sotto il profilo del “cattivo uso” della discrezionalità tecnica, esistono – come sopra riportato – ampi riscontri nella letteratura scientifica (ancorché il dibattito sia ancora aperto), nella giurisprudenza e nelle stesse scelte del Legislatore, in ordine agli effetti gravemente nocivi per la salute derivanti dall’esposizione dei militari in zone di guerra e, in particolare, alla potenzialità cancerogena delle nanoparticelle di minerali pesanti rilasciate nell’aria a seguito di esplosioni nei teatri di guerra.
A fronte di ciò, il parere in questa sede impugnato contiene affermazioni generiche e stereotipate, che – secondo l’ampia casistica in materia – vengono ripetutamente usate. Sul punto, si è osservato che il Comitato di verifica, anche per la qualità della sua composizione, « dovrebbe assicurare al cittadino il massimo grado di rispetto dei fondamentali canoni di buona azione amministrativa di carattere discrezionale, in termini di motivazione, adeguatezza istruttoria, logicità, imparzialità e trasparenza » (T.A.R. Toscana, I, sent. n. 462/2016).
Ne deriva la necessità, dunque, che « il Comitato di verifica, prima di riprodurre la burocratica formula di stile della non dipendenza dell’infermità da causa di servizio, [proceda a] considerare i potenziali fattori di rischio associati alla tipologia dell’impiego cui è stato sottoposto il ricorrente, valutare in modo analitico e compiuto l’incidenza causale (peraltro, come riportato, chiaramente affermata già sul piano del fatto notorio) di tali fattori rispetto all’infermità diagnosticata, potendo ragionevolmente e logicamente escludere una dipendenza da causa di servizio solo qualora fosse in grado di dimostrare l’esistenza di fattori specifici, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica, determinanti per l’insorgere dell’infermità » (T.A.R. Sicilia, I, sent. n. 649/2014, e precedenti ivi citati).
Rispetto a tale quadro scientifico e giurisprudenziale, la motivazione contenuta nel parere del Comitato, impugnato con motivi aggiunti, si rivela, in ultima analisi, del tutto insufficiente.
Il ricorso per motivi aggiunti deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento del parere del Comitato di verifica per le cause di servizio n. -OMISSIS-espresso nell’adunanza -OMISSIS-dell’11 aprile 2017, comunicato al ricorrente mediante atto prot. n. -OMISSIS-del 23 maggio 2017.
Restano, evidentemente, salve le future determinazioni dell’Amministrazione, peraltro rigorosamente condizionate dalla portata conformativa della presente sentenza, in punto di ampiezza e struttura dell’ordito motivazionale.
Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, sono poste a carico del Ministero della Difesa, atteso che il Comitato di verifica – benché incardinato nel Ministero dell’Economia e delle Finanze – ha agito funzionalmente come organo del Ministero della Difesa.