TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2011-03-25, n. 201101733

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2011-03-25, n. 201101733
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201101733
Data del deposito : 25 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03599/2008 REG.RIC.

N. 01733/2011 REG.PROV.COLL.

N. 03599/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3599 del 2008, proposto da:
Frab Costruzioni S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. A R, A R, E R, con domicilio eletto presso A R in Napoli, p.zza Trieste e Trento, 48;

contro

Comune di Caserta, rappresentato e difeso dall'avv. U D V, con domicilio eletto presso U D V in Napoli, c.so Umberto,311 - St. della Rocca;

per l'annullamento

EDILIZIA : RISARCIMENTO DANNI A CAUSA DELL' ILLEGITTIMO ABBATTIMENTO DI OPERE GIA' REALIZZATE


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Caserta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 il dott. Renata Emma Ianigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 2008/3599 la Frab Costruzioni s.r.l. , in persona dell’amministratore unico p.t., esponeva che, con concessione edilizia n. 321 del 25.09.1992 era stata autorizzata dal Comune di Caserta ad edificare un complesso per civili abitazioni nonché la copertura di una villetta alla via Giardini, su suolo compreso in zona B3 del p.r.g. ove era imposta una altezza massima di 13 metri, che, non avendo completato i lavori nei termini, con atto prot. 049834 del 14.12.1999, aveva ottenuto il chiesto rinnovo della concessione edilizia con cui il Comune le aveva immotivatamente imposto la riduzione dell’altezza dei vari corpi di fabbrica in buona parte già realizzati, e che , impugnato il predetto provvedimento in parte qua, questo T.a.r. con sentenza n.7905/2003, non fatta oggetto di impugnazione, accoglieva il ricorso per difetto di motivazione.

Instava quindi per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti nella misura di euro 4.026.850,00 oltre interessi e rivalutazione sulla base dei seguenti motivi :

- la illegittimità delle determinazioni assunte dal Comune è stata accertata giudizialmente con sentenza passata in giudicato;

- la decisione di ridurre le altezze è stata adottata in carenza di qualunque motivazione sul punto, e senza che esistesse nella zona di intervento alcuna previsione che, a fronte di un’altezza massima di tredici metri sancita dal piano regolatore generale, giustificasse la imposizione di altezze comprese tra metri 6,50 e metri 8,40;

- in presenza di rinnovo di una concessione edilizia già rilasciata, si è reso necessario l’abbattimento di strutture già realizzate, e si è concretizzata l’impossibilità di realizzare l’intervento secondo quanto previsto nella concessione edilizia originaria, così rendendosi irrealizzabili 12 appartamenti del corpo A, un piano abitabile, e 4 sottotetti utilizzabili del corpo B.

Concludeva quindi per l’accoglimento del ricorso con ogni conseguenza di legge.

Si costituiva il Comune di Caserta ed eccepiva, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice adito in presenza di controversia devoluta al giudice ordinario, la inammissibilità del ricorso sotto un duplice profilo ossia , in primo luogo, per carenza assoluta di legittimazione attiva dal momento che la qualità di proprietari del fondo oggetto di edificazione spettava ai germani E, C ed I M, nonchè per non aver svolto riserva di danni nel giudizio culminato nella sentenza di annullamento n. 7509/2003, e, nel merito, deduceva la infondatezza della domanda stante la imputabilità a fatto della ricorrente della mancata ultimazione dei lavori nei termini, e la sopravvenienza di previsioni urbanistiche a tutela di beni ambientali, architettonici e storici incompatibili con la concessione originaria. Concludeva quindi per il rigetto del ricorso con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite.

Alla pubblica udienza di discussione del 23.02.20110, il ricorso veniva discusso ed introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Nel caso in esame si controverte in ordine alla domanda con cui la società ricorrente chiede la condanna dell’amministrazione intimata al ristoro del pregiudizio subito per effetto dell’annullamento giurisdizionale – intervenuto con sentenza n.7905/2003 di questo Tar Napoli passata in giudicato – della concessione edilizia prot. 049834 del 14.12.1999 e del nulla osta ambientale prot. n. 9418 del 27.08.1997 nella parte in cui le imponevano dati limiti di altezza nella realizzazione di immobili già autorizzati con una precedente concessione edilizia n.321/1992, nelle more scaduta per decorrenza dei termini.

1.2 Va in primo luogo disattesa poiché infondata la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune resistente. Sussiste nella specie la giurisdizione del giudice amministrativo adito, non solo in virtù dell’art. 30 di cui al c.p.a. approvato con d.lgs 104/2010, (che troverebbe comunque applicazione per effetto del principio della perpetuatio jurisdictionis), ma, in subiecta materia, anche sulla base della nella normativa vigente all’epoca della proposizione del ricorso, e precisamente degli artt. 34 e 35 del dlgs. n.80/1998 come modificati dalla legge n. 205 del 2000 e poi rimodulati in seguito all’intervento manipolativo di cui alla sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale. Ed infatti, come ampiamente chiarito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n.13028 dell’1.06.2006, nella materia edilizia ed urbanistica, la giurisdizione esclusiva sulle controversie aventi per oggetto gli atti ed i provvedimenti delle Amministrazioni pubbliche include altresì la cognizione degli aspetti risarcitori, per equivalente od in forma specifica, della lesione cagionata da atti o provvedimenti illegittimi. Ha precisato al riguardo la Corte che le sentenze della Corte Costituzionale 11/07/2000 n. 292, 06/07/2004 n. 204 e 28/07/2004 n. 281 non hanno “affatto investito anche la L. n. 205 del 2000, art. 7 nella parte in cui, con il sostituire il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, ha riconosciuto al giudice amministrativo, in via generale per tutte le controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto, per equivalente od in forma specifica, dacchè, in tale disposizione doveva essere ravvisata l'attribuzione non d'una nuova "materia", bensì d'uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), attraverso il quale realizzare la pienezza e la concentrazione della tutela del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione”.

Seguendo tale iter argomentativo la S.C. ha ulteriormente precisato che : “ il risarcimento può essere disposto dal giudice amministrativo non soltanto se investito della domanda di annullamento dell'atto amministrativo, quale effetto ulteriore della riscontrata illegittimità di esso, ma anche - purché ricorra la giurisdizione esclusiva o generale di legittimità - nel caso in cui la parte interessata si limiti ad invocare la sola tutela risarcitoria. Da un lato, infatti, il principio di precostituzione per legge del giudice naturale, di cui all'art. 25, comma 1, cost., non consente che la scelta del giudice resti rimessa alla parte;
dall'altro, deve escludersi che il precedente sistema della duplice tutela (dinanzi al giudice amministrativo e poi davanti al giudice ordinario) possa essere fatto rivivere quando l'interessato, anziché invocare annullamento e risarcimento, preferisca chiedere soltanto quest'ultimo”.

Alla luce di tali conclusioni viene meno anche il rilievo del profilo di inammissibilità della domanda sollevato dal Comune resistente per la mancata proposizione della domanda risarcitoria nel contesto del giudizio impugnatorio, non discendendo dal giudicato di annullamento alcuna preclusione in tal senso ( cfr circa l’ammissibilità di una domanda risarcitoria in via autonoma proponibile entro gli ordinari termini di prescrizione vd da ultimo C.d.S. sez. VI , 11.11.2010 n.8008).

1.3 Del pari destituita di fondamento è l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dal Comune poichè la impresa ricorrente non rivestirebbe la qualità di proprietaria del fondo interessato dalla concessione edilizia parzialmente annullata. Non può dubitarsi della legittimazione ad agire in capo alla società ricorrente per ottenere il risarcimento del danno invocato per effetto della illegittimità della concessione, quale soggetto titolare del permesso di costruire annullato, nonché quale parte ricorrente nel giudizio impugnatorio culminato nella sentenza di annullamento che, essendo passata in giudicato, copre il dedotto ed il deducibile anche con riguardo ad eventuali questioni di legittimazione non proposte in quella sede.

La impresa Frab Costruzioni s.r.l. ha agito altresì nel presente giudizio quale soggetto nella cui sfera giuridica si sono prodotte le lamentate conseguenze pregiudizievoli delle limitazioni imposte con il permesso di costruire annullato, avendo in un primo momento edificato secondo le altezze assentite con la concessione edilizia originaria n.321/1992, avendo altresì subito la compressione della complessiva volumetria edificabile per effetto delle minori altezze assentite, ed essendosi trovata ad adeguare la parte già realizzata alle minori altezze imposte con la concessione edilizia impugnata..

2. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto secondo quanto di seguito esposto.

Costituisce ormai ius receptum che il risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi pretensivi non può costituire un effetto automatico dell’'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato.

Un siffatto automatismo deve escludersi per due ordini fondamentali di ragioni.

Innanzitutto poiché, in caso di lesione di interessi legittimi pretensivi, giudizialmente accertata con sentenza passata in giudicato, il diritto al risarcimento del danno presuppone in ogni caso la concreta dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato all’interesse fatto valere in ( cfr da ultimo C.d.S. sez.V, 8.02.2011, n.854 Consiglio Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797).

Inoltre poiché l’accertamento della responsabilità civile per danni della pubblica amministrazione presuppone comunque la verifica positiva di specifici requisiti costituitivi della fattispecie illecita quali : l'accertamento dell'imputabilità dell'evento dannoso alla responsabilità dell'Amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l'illecito compiuto e il danno subito, e una condotta dell'Amministrazione caratterizzata dalla colpa.

2.1 Ciò premesso, occorre innanzitutto precisare, quanto al primo profilo sopra evidenziato , che la dimostrazione della spettanza del bene della vita sotteso all’interesse azionato presuppone la formulazione , ex ante, di un giudizio prognostico sull’esito favorevole del procedimento.

La formulazione di tale giudizio prognostico resta tuttavia preclusa, secondo la giurisprudenza formatasi sul punto, nei due seguenti casi.

In primo luogo, qualora ci si trovi in presenza di giudizi rientranti nell’ambito della c.d. riserva di amministrazione ossia che richiedano valutazioni connotate da profili di "merito amministrativo" o comunque di ampia "discrezionalità tecnica", o comunque “intrinsecamente aleatorie”, nel qual caso non è possibile provare "l'ingiustizia" del danno asseritamente sofferto che integra presupposto principale della domanda risarcitoria qui in esame (C.d.S. sez.V, 15.09.2010, n.6797)

La seconda ipotesi riguarda i casi in cui il provvedimento reiettivo sia stato annullato per vizi di natura formale, ivi incluso il difetto di motivazione, che consentano il riesercizio del potere da parte della pubblica amministrazione. In tali casi, la discrezionalità amministrativa rimane totalmente integra, e per tale ragione resta preclusa al giudice amministrativo una invasione nel campo della gestione dell’azione amministrativa che è e deve restare riservata all’amministrazione medesima. Ed infatti, non può escludersi, a priori, prima che l’amministrazione abbia rinnovato il procedimento e sia addivenuta alla adozione della determinazione finale, che il destinatario del provvedimento possa comunque restare soddisfatto attraverso la reintegrazione in forma specifica della pretesa azionata. Inoltre, la facoltà di rideterminazione che residua in capo al soggetto pubblico esclude il carattere di definitività del rapporto, quale necessario presupposto dell'azione risarcitoria ( cfr T.a.r. Liguria Genova, sez. I, 25 maggio 2004 , n. 815;
T.A.R. Veneto, sez. I, 14 gennaio 2005, n. 74;
Tar Catania, I, 17 luglio 2009, n. 1348).

La reintegrazione in forma specifica consentita dalla rimozione del provvedimento illegittimo, e dal successivo rilascio di un nuovo provvedimento emendato del vizio originario, consente al soggetto leso, in caso di esito favorevole, di conseguire il bene della vita cui aspira, ed è quindi una modalità di ristoro della lesione senza dubbio prioritaria e privilegiata rispetto al risarcimento per equivalente.

3. Tanto premesso, va innanzitutto precisato, quanto all’oggetto del presente giudizio, che la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente mira ad ottenere il ristoro del pregiudizio economico subito nella realizzazione del complesso edilizio autorizzato con la originaria concessione edilizia n. 321/1992 per la illegittima limitazione delle altezze imposta dalla concessione edilizia n. prot,. 49834 del 13.12.1999, ed il connesso nulla osta ambientale rilasciato con provv. sindacale n. 9418 del 27.08.1997, annullati con sentenza di questo T.a.r. n.7905/2003, passata in giudicato. Per effetto della concessione edilizia impugnata, secondo la prospettazione difensiva, alla Frab Costruzioni s.r.l. era restata preclusa la realizzazione di 12 appartamenti nel corpo A, di un piano abitabile e di 4 sottotetti utilizzabili del corpo B. In conseguenza di siffatte limitazioni la ricorrente ha dedotto di essere stata costretta a demolire le parti strutturali già realizzate, di aver dovuto redigere nuove progettazioni sia architettoniche che strutturali, e di aver subito ulteriori danni per il fermo del cantiere. Con la relazione tecnica di stima redatta dal consulente di parte ing. E F, ha altresì quantificato l’entità del pregiudizio patrimoniale subito in complessive euro 4.026.850,00.

3.1. Quanto alla natura del provvedimento impugnato occorre altresì puntualizzare che la concessione edilizia prot,. 49834 del 14.12.1999 oggetto di annullamento giurisdizionale, pur collegata alla concessione edilizia n. 321/1992 rilasciata per la costruzione del complesso edilizio, non ne costituisce una proroga né un rinnovo in senso tecnico, ma si configura quale nuovo ed autonomo provvedimento. In tal senso depone la stessa motivazione della sentenza di annullamento, da cui si evince che il provvedimento ivi impugnato doveva considerarsi un “nuovo provvedimento concessorio”, autonomo rispetto al precedente, in quanto adottato non su una istanza di proroga della concessione originaria, ma sulla base di una seconda istanza successiva alla scadenza del termine della concessione edilizia rilasciata in precedenza.

Tale particolare assume rilievo nella fattispecie de qua dal momento che l’autonomia del provvedimento , come precisato dal giudice “a quo”, ne determinava la sottoposizione alle disposizioni vincolistiche sopravvenute.

Nella specie il ricorso è stato accolto sul rilievo della fondatezza del vizio di motivazione del provvedimento impugnato dal momento che, come si legge nella motivazione della sentenza di annullamento, né dal provvedimento impugnato né dal connesso nulla osta ambientale potevano evincersi le motivazioni poste a base delle indicazioni limitative dell’altezza del fabbricato, né tali limitazioni risultavano palesi i dalla normativa di riferimento indicata negli atti impugnati che, facendo riferimento alla tutela dell’area interessata in quanto inserita “nell’anfiteatro naturale delle colline che coronano Caserta, denominate Monti Tifatini”, dichiara la stessa di notevole interesse pubblico senza tuttavia imporre alcun vincolo relativamente all’altezza dei fabbricati.

Tali essendo le ragioni poste a base della pronuncia di annullamento, deve inferirsene la natura esclusivamente formale del vizio che ha determinato l’accoglimento della domanda, e la impossibilità di valutare la sussistenza dei presupposti per il favorevole rilascio del titolo secondo le altezze ordinariamente assentite.

Trattasi evidentemente di una pronuncia che, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, non riconosce la spettanza del bene della vita cui aspira parte ricorrente, ma presuppone comunque il rinnovo del procedimento di rilascio della concessione edilizia.

Peraltro, l’affermata autonomia della concessione edilizia impugnata rispetto all’originario provvedimento concessorio, imponeva comunque all’amministrazione, in esecuzione della pronuncia giurisdizionale di annullamento, di dar conto nella motivazione della assentibilità o non assentibilità della istanza alla luce del sopravvenienze normative, specie per ciò che concerne la tutela dei beni ambientali, storici ed architettonici, la cui ponderazione e comparazione con gli interessi coinvolti attiene più strettamente al merito dell’azione amministrativa e non è quindi enucleabile sulla base delle sole risultanze normative.

3.2. Nella specie parte ricorrente , pur avendo impugnato la concessione in parte qua, si è spontaneamente adeguata alle prescrizioni limitative ivi imposte e contestate in sede giurisdizionale senza attendere l’esito del giudizio di annullamento, sicchè, con il passaggio in giudicato della sentenza, non si è attivata al fine di ottenere la riedizione del provvedimento. Sotto tale profilo è evidente che nella fattispecie in esame, il riesercizio del potere amministrativo non è stato attivato per fatto imputabile in via esclusiva al comportamento della impresa ricorrente che, pur avendo insistito nella impugnazione giurisdizionale del provvedimento, ha di fatto ultimato i lavori prestando acquiescenza alle limitazioni delle altezze oggetto di contestazione in sede giurisdizionale, sinanche attraverso la rimozione delle parti già realizzate rivelatesi difformi quanto alle altezze.

Ciò induce ad escludere in radice la configurabilità di un nesso eziologico tra il danno lamentato dalla ricorrente ed il comportamento provvedimentale dell’amministrazione, dovendo ricondursi le conseguenze pregiudizievoli lamentate ad una scelta individuale compiuta a proprio rischio dalla impresa ricorrente.

Del resto l’art. 1227 c.c. comma 2 , applicabile anche nei casi di illecito extracontrattuale, esclude la spettanza del risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando la ordinaria diligenza, e ciò implica l’onere per il creditore di attivarsi onde avvalersi di tutti gli strumenti approntati dall’ordinamento per realizzare l’interesse azionato.

Nella specie parte ricorrente, non ha dimostrato di essersi attenuta alle regole di ordinaria diligenza che le avrebbero consentito di avvalersi, in sede di presentazione del ricorso giurisdizionale, della sospensione cautelare del provvedimento impugnato in ragione del danno connesso alla esecuzione dei lavori in corso, ed ha optato spontaneamente per l’acquiescenza al provvedimento impugnato, senza attendere l’esito del giudizio impugnatorio, così assumendo a proprio carico gli oneri ed i rischi connessi all’esito del giudizio. Ciò anche considerando che, per effetto della ultimazione dei lavori e della consegna ai rispettivi acquirenti delle unità immobiliari realizzate, potrebbe sinanche trovarsi nella condizione giuridica di non giovarsi di una eventuale riedizione in senso a lei favorevole del procedimento di rilascio della concessione edilizia a suo tempo annullata, in termini di sopraelevazione degli immobili già realizzati .

In definitiva, per le ragioni esposte il ricorso va respinto, e quanto alle spese ricorrono giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti.

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