TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-01-08, n. 201300106

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-01-08, n. 201300106
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201300106
Data del deposito : 8 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03652/2012 REG.RIC.

N. 00106/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03652/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2012, proposto da:
SOC POSTESHOP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. D L, F S, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Lipani &
Partners sito in Roma, Via Vittoria Colonna, 40;

contro

- l’AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO - ANTITRUST, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Soc Poste Mobile S.p.a.;

per l'annullamento

- del provvedimento assunto dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell'adunanza del 22 febbraio 2012 e comunicato in data 6 marzo 2012, relativo alla pratica commerciale scorretta riguardante la promozione di una particolare tariffa associata all'acquisto dell'apparecchio "PM

SMART

1107", procedimento n. PS7688;

- di ogni altro eventuale atto preparatorio, presupposto, connesso e conseguenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2012 il Consigliere E S e uditi per le parti l’Avv. D L in delega per la parte ricorrente e l’Avv. dello Stato Giustina Noviello per la resistente Autorità, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Ripercorre preliminarmente parte ricorrente il procedimento confluito nell’adozione della gravata delibera, con la quale l’Autorità ha accertato la scorrettezza della pratica commerciale relativa alla promozione di una particolare tariffa associata all’acquisto dell’apparecchio “PM

SMART

1107” diffusa attraverso il catalogo Poste Shop “Primavera 2011”, posta in essere dalla società ricorrente e da Poste Mobile S.p.a., ed ha irrogato alla società ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di € 30.000.

Nell’affermare la propria estraneità alla pratica sanzionata, essendosi limitata ad un’attività di mera elaborazione editoriale e distribuzione del catalogo senza alcun coinvolgimento nella determinazione del contenuto del messaggio relativo alla promozione del prodotto, di esclusiva competenza della società Poste Mobile S.p.a., deduce parte ricorrente, avverso la gravata delibera, i seguenti motivi di censura:

- Violazione e falsa applicazione degli art. 18, lettera b), 20, comma 2, 22 e 27, comma 9, del D.Lgs. n. 206 del 2005. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, travisamento, sviamento.

Nell’affermare come l’illecito sia imputabile alla sola Poste Mobile S.p.A., ne contesta parte ricorrente l’avvenuta imputazione nei suoi confronti, affermando la propria estraneità in quanto priva di competenze in ordine al contenuto del messaggio pubblicitario ed essendosi limitata alla sola attività di elaborazione editoriale e distribuzione del catalogo Poste Shop Primavera 2011, senza alcun coinvolgimento nella predisposizione del contenuto del messaggio.

A sostegno dell’affermata propria estraneità rispetto al contenuto del messaggio ricorda parte ricorrente come i rapporti con Poste Mobile S.p.A. siano regolati sulla base di un contratto di compravendita di spazi del catalogo, e che una volta impaginate le immagini e i testi, gli stessi sono stati trasmessi a Poste Mobile per l’approvazione e il consenso.

Lamenta, quindi, parte ricorrente l’illegittimità dell’avvenuta attribuzione, nei propri riguardi, della qualifica di operatore del settore della telefonia, con travisamento delle risultanze dell’istruttoria, sulla cui base il proprio ruolo è risultato limitato alla vendita di spazi pubblicitari.

Né sussisterebbe un interesse economico della ricorrente nella diffusione del messaggio, ulteriore rispetto alla vendita di spazi pubblicitari, non potendo quindi configurarsi alcun dovere di diligenza, di cui possa ritenersi l’intervenuta violazione, rispetto al messaggio, non potendo la ricorrente verificare la corrispondenza dei messaggi pubblicizzati alla effettività di quanto offerto.

Contesta, sotto altro profilo, parte ricorrente, il giudizio di ingannevolezza del messaggio sanzionato, nel dettaglio illustrando le modalità descrittive della promozione, come contenute nella copertina e alle pagine 43, 47 e 48 del Catalogo, di cui afferma l’esaustività e la completezza con riferimento, in particolare, alle condizioni per la fruizione dell’offerta, tenuto conto del mezzo di comunicazione impiegato.

Evidenzia, inoltre, parte ricorrente, come non sia riscontrabile il carattere di lesività del messaggio, tenuto conto che su 700 clienti che hanno aderito alla promozione, solo uno ha sollevato lamentele.

Si è costituita in giudizio l’intimata Autorità sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha contro dedotto a quanto ex adverso sostenuto, ulteriormente argomentando.

Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la delibera – meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic inde Autorità), ha riscontrato la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, comma 2 e 22 del Codice del Consumo, della pratica commerciale relativa alla promozione di una particolare tariffa associata all’acquisto dell’apparecchio “PM

SMART

1107” contenuta nel catalogo Poste Shop “Primavera 2011”, ed ha irrogato alla società ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di 30.000 €.

Avverso tale delibera, sviluppa parte ricorrente due distinte trame difensive, l’una volta a contestare la propria imputabilità per la pratica sanzionata, e l’altra volta a confutare il carattere ingannevole della stessa.

Sotto il primo profilo, nell’affermare come la responsabilità per la pratica dovrebbe essere imputata unicamente a Poste Mobile S.p.A., afferma parte ricorrente la propria estraneità in ordine al contenuto del messaggio, essendosi asseritamente limitata alla sola attività di elaborazione editoriale e distribuzione del catalogo Poste Shop Primavera 2011, senza alcun coinvolgimento nella predisposizione del contenuto del messaggio, precisando come i rapporti con Poste Mobile S.p.A. siano regolati sulla base di un contratto di compravendita di spazi del catalogo, e che una volta impaginate le immagini e i testi, gli stessi sono stati trasmessi a Poste Mobile per l’approvazione e il consenso.

La censura in esame coinvolge la più generale e complessa tematica relativa alla responsabilità per le pratiche commerciali scorrette in caso di concorso di più soggetti nella loro realizzazione, la quale va affrontata e risolta alla luce della nozione di professionista rilevante in materia di illeciti consumeristici.

Sulla base delle previsioni recate dal Codice del Consumo, per professionista deve essere intesa “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”, dovendo tale nozione essere letta unitamente alla definizione di “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori”, riferite a qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La definizione adottata dal legislatore è dunque estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa “finalizzata” alla promozione o commercializzazione di un prodotto o di un servizio (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 21 gennaio 2010 n. 648;
23 febbraio 2011 n. 1691).

Nell’ambito di tale cornice di riferimento dell’illecito c.d. consumeristico, è possibile configurare, alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della legge 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo, ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente allorché risulti, in concreto, che un soggetto abbia in realtà con il suo contegno contribuito a porre in essere la condotta sanzionata.

In adesione a tali coordinate interpretative, deve pertanto essere considerato professionista qualunque soggetto che partecipi alla realizzazione della pratica, traendone uno specifico e diretto vantaggio economico o commerciale, e ciò al fine di garantire l’effetto utile della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette.

Interpretazione che si pone in un rapporto di continuità rispetto alla giurisprudenza ed alla prassi applicativa sviluppatasi nell’ambito della previgente disciplina della pubblicità ingannevole, che riconosceva nel vantaggio diretto proveniente da un’iniziativa promozionale un elemento idoneo alla qualificazione di operatore pubblicitario.

Il quadro di riferimento si completa attraverso il richiamo alla diligenza professionale cui parametrare la responsabilità per pratiche commerciali scorrette, richiedendo ai professionisti, le norme in materia di tutela dei consumatori, l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili dalle norme e dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, purché, ovviamente, siffatte condotte siano da loro concretamente esigibili in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale (in tal senso, opera soprattutto il modello, di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio).

E’ possibile configurare, al riguardo, una “posizione di garanzia” o “dovere di protezione”, con ciò volendo significare non già l’esistenza di una forma di responsabilità oggettiva, quanto di uno standard di diligenza particolarmente elevato, non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase ben antecedente rispetto all’eventuale conclusione del contratto.

Con riferimento alla responsabilità del professionista va ulteriormente osservato che l’obbligo di diligenza, desumibile dal corpus normativo in materia, richiede che in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale e con riferimento alle richiamate fonti contrattuali (che prevedono una forma di controllo preventivo sui messaggi predisposti, che risulta quindi anche concretamente esigibile), il professionista eserciti adeguatamente la propria attività di verifica ex ante (cui consegue la relativa responsabilità in caso di cattivo esercizio) e di controllo ex post, anche attraverso un adeguato sistema di monitoraggio, solo in presenza delle quali la responsabilità può essere esclusa essendosi l’operatore economico diligentemente attivato.

In altri termini, se non è possibile ritenere che l’immanente obbligo di diligenza gravante su coloro che dalla pratica commerciale traggono comunque dei benefici (sia in termini economici che pubblicitari), determini sempre e comunque una loro responsabilità, una omissione rilevante ai fini della ascrizione di una responsabilità a titolo soggettivo sussiste allorquando l’operatore economico non dimostri di avere posto in essere un sistema di controllo effettivo sui contenuti delle iniziative promo – pubblicitarie realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch’essi interessati alla pratica commerciale.

In sostanza, non è necessario, ai fini dell’imputazione della responsabilità per l’illecito amministrativo, la partecipazione alla ideazione, realizzazione e diffusione della pratica, potendo configurarsi un concorso di persone che si estende, oltre che al committente ed all’autore del messaggio, anche a chiunque concorra attivamente a porre in essere la condotta (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 27 luglio 2009, n. 7558;
16 giugno 2011 n. 5388).

E’ in corretta applicazione delle illustrate coordinate ricostruttive della corresponsabilità nella realizzazione degli illeciti consumeristici che deve ritenersi – con ciò mutando avviso, melius res perpensa, rispetto a quanto dalla Sezione affermato in sede cautelare - che l’Autorità abbia imputato l’illecito anche alla società ricorrente per avere la stessa realizzato e distribuito il catalogo Poste Shop “Primavera 2011”, ove è contenuto il messaggio sanzionato, ed in ragione dell’interesse economico immediato nella diffusione della pratica, alla luce del rapporto di co-marketing e di vendita di spazi pubblicitari intercorrente con Poste Mobile S.p.A., risultando tali elementi idonei a qualificare la ricorrente come professionista ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera b), del Codice del Consumo.

Al riguardo, deve rilevarsi, per come evidenziato dall’Autorità, che nell’ambito dei rapporti fra la società ricorrente e PosteMobile, la prima svolge un’attività di commercializzazione di prodotti e servizi a marchio “Poste”, in cui rientrano anche i servizi e beni di PosteMobile.

Le due società intrattengono relazioni commerciali sulla base di un accordo che prevede l’acquisto di spazi pubblicitari da parte di PosteMobile e il messaggio sanzionato è regolato da un ordine di acquisto e dalle Condizioni Generali di Fornitura di Poste Mobile.

Particolare rilievo deve, inoltre, tributarsi alla circostanza che, nella fase di redazione del catalogo, la ricorrente richiede agli acquirenti delle inserzioni nel catalogo un contributo di co-marketing a parziale condivisione delle spese di realizzazione, ai quali, prima della pubblicazione, vengono inviate le bozze delle immagini e dei testi relativi alle comunicazioni commerciali che devono essere approvati dalle società inserzioniste prima della pubblicazione dei cataloghi.

Correttamente, quindi, l’Autorità ha individuato nel vantaggio economico derivante alla società ricorrente dalla pratica commerciale indagata uno degli indici sulla cui base individuare la figura del professionista, coerentemente con la disciplina dettata dal Codice del Consumo, fondando – anche - su tale indicatore la responsabilità nella realizzazione della pratica commerciale scorretta, responsabilità che non è circoscritta ai soli soggetti che direttamente la realizzano, dovendo la stessa estendersi anche ai soggetti che a titolo diverso prendono parte alla condotta e che assumono la qualità di professionisti nella ricorrenza di due elementi essenziali costituiti dalla responsabilità e dal vantaggio economico (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 27 luglio 2009 n. 7558;
20 novembre 2008 n. 10465;
16 giugno 2011 n. 5388).

Aggiungasi che, secondo quanto già rilevato dalla Sezione (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 20 novembre 2008 nn. 10464, 10465, e 10468;
27 luglio 2009 n. 7558;
21 gennaio 2010 n. 648), anche nell’ambito dell’illecito c.d. consumeristico è possibile configurare, alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della legge 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo, ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente allorché risulti che il soggetto abbia in concreto, con il suo contegno, contribuito a porre in essere la condotta sanzionata e ben potendo, conseguentemente, la responsabilità essere addebitata sulla base di diversi titoli di imputazione e di coinvolgimento nella pratica.

Non meritano, quindi, condivisione le argomentazioni con cui parte ricorrente tende a negare il proprio coinvolgimento nella pratica commerciale sanzionata in qualità di professionista.

Ed infatti, tenuto conto della ampia nozione di professionista adottata dal Legislatore, come dianzi illustrata, e della definizione di pratica commerciale tra professionisti e consumatori, è sufficiente, ai fini dell’imputazione di responsabilità, che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa “finalizzata” alla promozione o commercializzazione di un prodotto o di un servizio.

Non risulta, quindi, censurabile, alla luce della disciplina dettata dal Codice del Consumo, l’attribuzione, di cui alla gravata determinazione, alla società ricorrente della qualità di professionista in ragione della sua cointeressenza diretta ed immediata all’interno del rapporto negoziale esistente con l’inserzionista, acquirente di spazi pubblicitari.

Né risulta rispondente alla ratio della disciplina recata dal Codice del Consumo la tesi di parte ricorrente volta a negare l’imputabilità alla stessa della responsabilità della pratica, dovendo al riguardo rilevarsi, ribadito quanto già sopra affermato, che non è desumibile dalla nuova disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette, come introdotta dal D.Lgs. n. 146 del 2007, una sua contrapposizione rispetto al previgente sistema sulla pubblicità ingannevole, dovendosi piuttosto affermare la contiguità e continuità tra le due discipline e persistente validità dei criteri di imputazione fondati sul vantaggio economico derivante per il professionista dalla pratica commerciale, dovendo quindi riconoscersi nel vantaggio diretto proveniente da un’iniziativa commerciale – che nella previgente disciplina della pubblicità ingannevole qualificava l’operatore pubblicitario - un elemento idoneo all’attribuzione della qualifica di professionista (in senso conforme: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 gennaio 2010 n. 648;
27 luglio 2009 n. 7558;
n. 8334 del 2008).

L’illustrata linea interpretativa si rivela, inoltre, coerente con il raggio di tutela del Codice del Consumo, ben più ampio di quello consentito dal precedente quadro normativo in materia di contrasto alla pubblicità ingannevole, comprendendo esso tutte “le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti” (considerando n. 7 della direttiva 2005/29/CE).

Il nuovo quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo, viene infatti ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale e, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione, come desumibile dall’art. 19 del Codice.

Con la conseguenza che le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali scorrette richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice.

Al riguardo, la ricordata posizione di garanzia o dovere di protezione che incombe sui professionisti, che non coincide con una forma di responsabilità oggettiva, quanto di uno standard di diligenza particolarmente elevato, non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase ben antecedente rispetto all’eventuale conclusione del contratto, consente, come accennato, di ricomprendere tra le pratiche commerciali oggetto di disciplina, “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”.

Il recepimento nell’ordinamento interno della Direttiva comunitaria 2005/29/CE ha, dunque rafforzato il ruolo dell’Autorità nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa. Per tale ragione, del resto, il D.Lgs. n. 146 del 2007, ha, contestualmente, rafforzato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Fermo, quindi, il rilievo da annettersi all’indicatore di corresponsabilità costituito dal vantaggio economico che il professionista ricava dalla pratica commerciale, ritiene il Collegio che la posizione della società ricorrente non si traduca nella pura e semplice messa a disposizione di spazi pubblicitari, ma integri una volontaria partecipazione alla redazione del messaggio, nell’ambito del ricordato modello di co-marketing, attraverso l’elaborazione delle bozze e delle immagini, nonché delle modalità di presentazione della promozione, ferma restando l’approvazione delle stesse da parte di Poste Mobile.

Aggiungasi che il formulato giudizio di scorrettezza del messaggio deve essere ricondotto anche alle concrete modalità di presentazione dello stesso, come contenute nel catalogo, laddove le condizioni di fruibilità dell’offerta sono indicate in modo frammentato e non contestuale, con una scelta di impaginazione di tipo editoriale cui la ricorrente non può dirsi estranea, tenuto conto di quanto dalla stessa affermato in ordine alle attività di propria competenza, riferite alla elaborazione editoriale, tra cui la grafica e l’impaginazione.

Ne consegue che l’attribuzione alla società ricorrente della qualifica di professionista, con imputazione alla stessa della corresponsabilità della condotta in virtù della sua partecipazione e cointeressenza nella pratica, non risulta in contrasto con la disciplina di riferimento e con i criteri di imputazione dell’illecito di cui trattasi, con refluente infondatezza delle corrispondenti censure proposte.

L’imputazione della condotta alla società ricorrente è dunque correttamente avvenuta, previo riscontro degli elementi fondanti la possibilità della sua qualificazione quale professionista, tra cui l’attività editoriale e di impaginazione ed il vantaggio economico derivante dalla condotta, idonei ad incardinare il coinvolgimento della stessa nella condotta e la sua corresponsabilità.

Delibata, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, l’infondatezza delle esaminate censure, rivolte avverso l’imputazione della responsabilità per la condotta sanzionata, vengono in rilievo, nella gradata elaborazione delle questioni sottoposte al vaglio del Collegio, le censure ricorsuali volte a contestare le valutazioni espresse con riferimento al carattere di scorrettezza della pratica.

L’esame delle concrete modalità di presentazione del messaggio, unitamente all’onere di diligenza gravante sul professionista, non consente di positivamente delibare in ordine a tali censure.

Giova al riguardo soffermarsi sulla descrizione della pratica, come realizzata attraverso il messaggio contenuto nel catalogo, sulla cui base il rilevato carattere di scorrettezza trova inconfutabile conferma.

In tale direzione, va precisato che il messaggio si riferisce alla promozione di una particolare tariffa associata all’acquisto dell’apparecchio “PM

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