TAR Napoli, sez. II, sentenza 2020-06-16, n. 202002448
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Pubblicato il 16/06/2020
N. 02448/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01461/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1461 del 2016, proposto da S B, M C, rappresentati e difesi dall'avvocato I I, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Vico Bianchi Allo Spirito Santo, 1;
contro
Comune di Mugnano di Napoli non costituito in giudizio;
per l'annullamento
delle ordinanze n. 8/2016 prot. 2179 e n. 10/2016 prot. 2753, adottate dal dirigente del settore iv del comune di Mugnano di Napoli, aventi ad oggetto ingiunzione di demolizione di opere abusive
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2020 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e trattenuta la causa in decisione, ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. 18/20, conv. dalla l. 27/20;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I ricorrenti, con il ricorso in epigrafe, impugnano due ordinanze di demolizione adottate dal comune di Mignano di Napoli. La prima, n. 8/2016, adottata il 10.2.2016, avente ad oggetto la contestazione della realizzazione di un frazionamento di un immobile sito in Mugnano di Napoli, alla via meglio indicata in atti, nonché di un manufatto di mq 26 e di altezza pari a m. 1,80, oltre alla ristrutturazione e pavimentazione dei suddetti locali.
La seconda, n. 10/2016, adottata il 18.2.2016, con la quale veniva contestato il rivestimento dei locali asseritamente abusivi a mezzo di piastrelle nel medesimo fabbricato.
Deducono, avverso i provvedimenti impugnati, le seguenti doglianze.
1) violazione dell’art. 3 della l. 241/91, per difetto di motivazione in quanto il Comune si è limitato a rilevare che le opere in questione erano state edificate senza permesso di costruire, senza specificare gli eventuali vincoli esistenti sull’area o le norme urbanistiche o di piano asseritamente violate.
2) violazione dell’art. 7 della l. 241/90, poiché la partecipazione procedimentale non è stata consentita e agli atti non si rinviene alcuna giustificazione della omissione della comunicazione di avvio del procedimento;
3) violazione dell’art. 22 DPR 380/2001, in quanto le opere comportanti una diversa distribuzione interna sono soggette solo alla comunicazione di inizio lavori e a sanzioni di natura pecuniaria.
Il comune di Melito di Napoli non si è costituito.
All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. 18/20, conv. nella l. 27/20.
Il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto.
Occorre premettere in punto di fatto che dalla lettura della ordinanza di demolizione n. 8/2016 risulta che il fabbricato in questione, costituito da un piano seminterrato e tre piani fuori terra, era stato edificato abusivamente e risultava all’epoca pendente una istanza di condono ai sensi della l. 47/85. Gli ulteriori abusi contestati nella ordinanza n. 8/2016 consistevano nel abusivo frazionamento in due appartamenti. Inoltre, si contestava l’edificazione di un manufatto di circa mq 26, con la funzione di costituire un balcone per i suddetti appartamenti. Veniva quindi riscontrata una prima violazione dei sigilli, come si legge nel di verbale del 1.2.2016, per la realizzazione di ulteriori lavori di pavimentazione, tinteggiatura e posa in opera del piatto doccia.
Con l’ordinanza n. 10/2016, a seguito di una seconda violazione dei sigilli, rilevata con il verbale del 13.2.2016, con la realizzazione di ulteriori lavori di piastrellatura e tinteggiatura, veniva ingiunta la demolizione anche delle ulteriori opere abusivamente realizzate.
Come è noto, in pendenza della domanda di condono, è precluso all'interessato operare qualsiasi modifica all'assetto del bene, a prescindere dalla tipologia delle opere. La possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono è specificamente disciplinata dall'art. 35, comma 14, l. n. 47 del 1985, che impone all'interessato l'onere di notificare al Comune il proprio intendimento, comprovando con perizia giurata o idonea documentazione la data certa sullo stato dei lavori abusivi, prima di intraprendere i lavori di completamento. (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 06/06/2017, n.3028)
Tenuto conto di ciò, va disattesa la tesi esposta nel terzo motivo di ricorso secondo cui non potrebbe ingiungersi la demolizione delle opere che (in quanto consistenti in mere opere interne) sarebbero assoggettate a mera denuncia di inizio attività.
Va infatti considerato che, in pendenza della domanda di condono, è precluso all'interessato operare qualsiasi modifica all'assetto del bene, a prescindere dalla tipologia delle opere (cfr. ex multis la sentenza di questa Sezione del 3/1/2017 n. 63, con ulteriori diffusi richiami: " in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del comune di ordinarne la demolizione . .").
Come si è detto, la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono è specificamente disciplinata dall'art. 35, comma 14, della legge n. 47 del 1985. Qualora tale specifico procedimento non venga seguito, si giustifica l’assoggettamento delle ulteriori opere abusive alla medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono (cfr. la citata sentenza della Sez. II del 3/1/2017 n. 63;v. inoltre, T .A.R. Latina, (Lazio) sez. I, 20/03/2015, n.260;T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 20 marzo 2014 n. 1606).
A ciò si aggiunga che comunque, nel caso di specie, si rinviene anche una abusiva edificazione di un nuovo manufatto, di mq 26, destinato alla realizzazione di balconi a servizio dell’immobile, per la quale la sanzione demolitoria è prevista, trattandosi di intervento volto a modificare il prospetto dell’edificio, cosicché esso deve essere autorizzato con permesso di costruire (T.A.R. Bari, (Puglia) sez. III, 01/04/2019, n.470).
Anche le rimanenti censure vanno respinte.
Per quanto riguarda la dedotta violazione dell’art. 3 della l. 241/90, si rileva che le ordinanze impugnate, come si è detto, recano la puntuale e dettagliata elencazione delle opere abusive e della pendenza del condono relativa alla edificazione dell’intero immobile, pertanto l’obbligo motivazionale appare assolto mediante la mera contestazione degli illeciti che, come sopra detto, sono sanzionabili con la demolizione, né occorreva una speciale motivazione sull'interesse pubblico o sulle norme di piano violate.
Infatti, "i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali, per cui è da escludere la necessità di una puntuale motivazione sull'interesse pubblico alla demolizione ovvero una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che non può di norma essere sanata dal mero trascorrere del tempo” (cfr. Cons. St., sez. IV, 29/4/2014, n. 2228)").
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 7 l. 241/90, va rilevato che, per giurisprudenza pacifica, la mancata previa comunicazione di avvio del procedimento non determina, ai sensi dell'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, l’annullabilità dei provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, finalizzati al ripristino dell'assetto urbanistico violato e applicanti la sanzione prevista ex lege , aventi pertanto carattere vincolato, cosicché, l'esito del procedimento avrebbe potuto essere in alcun modo diverso (cfr. la sentenza della Sezione del 27/2/2017 n. 1169, cit., ed altresì Cons. Stato, sez. IV, 12/10/2016 n. 4204).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Nulla spese, non essendosi costituito l’intimato comune.