TAR Potenza, sez. I, sentenza 2012-02-08, n. 201200048
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 00048/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00443/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 443 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
V S, R S e R S, rappresentati e difesi dagli avv. G S e R V (il quale in data 26 maggio 2010 ha depositato atto di rinunzia al mandato) con domicilio eletto presso Arturo Andriuolo, Avv. in Potenza, corso XVIII Agosto, 8;
contro
Comune di Tolve in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. S F, con domicilio eletto presso il suo studio in Potenza, alla via N. Sauro, 112;
Comune di Tolve - Responsabile dell'Area Tecnica;
nei confronti di
L V, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Di Giuseppe, con domicilio eletto presso il suo studio in Potenza, alla via Vaccaro, 113;
per l'annullamento della determina dirigenziale n. 115 del 3/7/2009, di rettifica precedente determina n. 107 del 23/6/2009 che dichiara l’inefficacia della d.i.a. relativa ai lavori di completamento delle opere di urbanizzazione al terreno situato alla contrada “Querce del grillo” e ingiunge la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dell’area;
nonché con ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento
- determina dirigenziale 14 gennaio 2010, n. 3, recante l’acquisizione gratuita dell’area di sedime individuata nell’ordinanza di demolizione 23 giugno 2009, n. 107;
nonchè con ulteriore ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento
-della determina 18 marzo 2010, n. 60, con la quale il responsabile dell’area tecnica del Comune di Tolve, provvedeva a rettificare e integrare la determina dirigenziale n. 3/2010 con l’individuazione dell’area da acquisire e confermava la mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire, avvisando che la mancata ottemperanza costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita in favore del Comine dell’area di sedime;
nonché per la condanna del Comune alla reintegrazione“nel possesso delle opere e dell’area pertinenziale …e a risarcire i danni ad essi eventualmente cagionati…”;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Tolve in persona del Sindaco p.t. e di L V;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 la dott.ssa Paola Anna Gemma Di Cesare e uditi per le parti i difensori G S, S F e Giuseppe Di Giuseppe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con denunzia di inizio di attività in data 22 ottobre 2008 V S comunicava al Comune di Tolve l’esecuzione di lavori sull’area di sua proprietà, individuata in catasto al foglio di mappa n. 58, part. 638, <<per il completamento delle opere di urbanizzazione al terreno sito in Tolve alla contrada Querce del Grillo>>, così rappresentate:
a) realizzazione di un accesso che dalla proprietà di V S si immette nella strada statale 96 Barese;
b) realizzazione di una recinzione metallica con paletti in cemento infissi ai limiti dei confini con altra proprietà;
c) sistemazione dei parcheggi all’interno dell’area di proprietà Straziuso;
d) installazione sbarra di accesso alla proprietà.
Con nota 10 febbraio 2009, n. 800, recante l’intestazione“preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990”, il Comune di Tolve avvertiva l’interessato che “i lavori non sono da ritenersi autorizzati” perché le opere di urbanizzazione di completamento oggetto di D.i.a. non erano previste nel piano di lottizzazione convenzionata di cui alla convenzione n.4492/1985 e perché la citata convenzione di lottizzazione, all’art. 4, subordina la realizzazione di tali interventi al rilascio di concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Successivamente con nota del 17 febbraio 2009 il responsabile dell’area tecnica del Comune inibiva l’inizio dei lavori.
Con determina dirigenziale 23 giugno 2009, n. 107 e poi con determina dirigenziale 3 luglio 2009, n.115, adottata in sostituzione e rettifica della prima ( perché per mero errore alla prima non era stata allegata la pagina contenente gli ulteriori punti del dispositivo), il comune di Tolve disponeva nei confronti di V S: a) l’inibizione alla prosecuzione dell’attività edilizia intrapresa con denunzia di inizio di attività del 22 ottobre 2008;b) l’applicazione della sanzione pecuniaria di Euro 516,00 per la realizzazione di opere in assenza di titolo abilitativo;c) la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Con i predetti provvedimenti il Comune precisava di non poter autorizzare gli interventi edilizi sull’assunto che:
a) le opere di completamento progettate non riflettono le previsioni progettuali del piano di lottizzazione convenzionata n.4492/85, in quanto in detto è prevista:
- la destinazione di una minore superficie a parcheggi ed una diversa dislocazione planimetrica degli stessi;
- la mancata destinazione a verde di una porzione di superficie in prossimità del confine di lottizzazione;
- la creazione di un varco di accesso con sbarra metallica dalla s.p. ex s.s. “Barese” nei sub lotti S 25 e S 35 e quindi anche alle aree soggette ad uso pubblico, ancorché di proprietà privata;
b) la rappresentazione dei terreni interessati dalle opere non corrisponde alle risultanze dell’Agenzia del territorio, in quanto la particella n.362, del foglio 58, risulta essere stata soppressa, generando le particelle 617, 618, 619 del foglio di mappa 58;
c) la rappresentazione grafica dei terreni interessati dalle opere edilizie non riflette l’effettivo stato dei luoghi, posto che lo stralcio planimetrico ( tav.3 “lottizzazione C ed altri- stato di fatto” non riporta la porzione di fabbricato (foglio 58, part. 619) posta sul limite del confine con la particella di terreno ( foglio 58, part. 846) di altra proprietà come risulta dall’estratto di mappa dell’Agenzia del territorio;ed inoltre, trattandosi di un’area in comproprietà con R S e R S, la D.i.a. non poteva essere inoltrata dal solo comproprietario V S;
4) <<lo stralcio planimetrico tav.3 “lottizzazione C ed altri- stato di progetto riporta l’esecuzione di una recinzione metallica posta sul limite del confine catastale, coincidente con il confine della lottizzazione di cui trattasi>>, tuttavia tale rappresentazione non potrebbe essere veritiera, perché <<così come risultante dall’estratto di mappa derivato dall’Agenzia provinciale del territorio, il confine catastale della porzione di fabbricato non rappresentato nei grafici coincide con il confine catastale della particella di terreno limitrofa ( foglio 58, part. 846) in proprietà di altro soggetto. Ne deriva…che limitatamente al perimetro del fabbricato non rappresentato nei grafici, la recinzione dovrebbe essere allocata su terreni altrui…>>.
2.- Con ricorso notificato in data 15 ottobre 2009 e depositato in data 21 ottobre 2009 V S, R S e R S hanno chiesto l’annullamento delle citate determine dirigenziali, oltre che il risarcimento del danno.
Il ricorso introduttivo è affidato ai seguenti motivi di gravame:
I) violazione art. 10, 22, 23, del d.p.r. n. 380 del 2001, poiché le opere oggetto della D.I.A. erano soggette a disciplina autorizzatoria e per le stesse, alla data di adozione del provvedimento di inibizione dei lavori, il titolo si sarebbe già perfezionato. L’inibizione dei lavori sarebbe quindi illegittima in quanto disposta a distanza di quattro mesi dal deposito della D.I.A. a lavori già in corso ed in violazione del termine assegnato all’istante per contro dedurre nel procedimento. In particolare, ad avviso di parte ricorrente sia la realizzazione della recinzione che dell’accesso rientrerebbero nell’ambito dell’attività edilizia sottoposta a regime autorizzatorio ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 380 del 2001 e non avrebbero richiesto, pertanto, il rilascio di alcun permesso di costruire ed inoltre il varco per l’accesso, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, era già previsto nella convenzione di lottizzazione e comunque la realizzazione dell’accesso alla strada provinciale avrebbe dovuto essere ritenuta implicitamente autorizzata con la licenza di costruzione del fabbricato rilasciata nel 1999;
II) violazione dell’art. 2 bis, 29, 10 bis, 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990;
III) violazione della convenzione di lottizzazione ed eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, falsa motivazione, difetto di istruttoria, nonché violazione dei principi di buona fede ed imparzialità. La parte ricorrente contesta la fondatezza di tutte le motivazioni poste alla base delle impugnate ordinanza, che sarebbero, peraltro, viziate da eccesso di potere per disparità di trattamento, poiché il Comune avrebbe consentito al controinteressato Venezia di realizzare una recinzione con opere di muratura, nonostante la relazione tecnica asseverata facesse riferimento ad “una recinzione in pali di ferro e rete metallica”.
3.-Si è costituito in giudizio il Comune di Tolve, eccependo l’infondatezza del ricorso poiché l’amministrazione era stata indotta in errore dalla falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, dovuta, per un verso, ad una divergenza tra le mappe allegate alla D.i.a. e quelle risultanti presso l’Agenzia del territorio e, per altro verso, ad una erronea indicazione dei dati catastali dell’area sulla quale avrebbe dovuto essere realizzato l’intervento edilizio. Riferisce l’amministrazione intimata che la presentazione di un esposto da parte del sig. L V ha indotto l’amministrazione a più approfondite verifiche sullo stato dei luoghi anche mediante acquisizione di documentazione ufficiale presso l’Agenzia del territorio, il che, ad avviso dell’ente locale, avrebbe impedito il perfezionamento dell’iter di approvazione della D.i.a.
4.- Per resistere al ricorso si è costituito anche il controinteressato L V, proprietario di un fondo attiguo (individuato in catasto al foglio 58, part. 846 e 847) a quello oggetto della D.i.a. di cui si discute e che sarebbe occupato dalle opere progettate dal ricorrente, le quali, oltre a determinare la chiusura di un’area pubblica, provocherebbero anche l’interdizione all’utilizzo del suo garage pertinenziale all’abitazione. Ad avviso del controinteressato, dunque, il provvedimento impugnato sarebbe legittimo, avendo il Comune, nell’esercizio del potere di vigilanza sull’attività edilizia attribuito dall’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001, impedito la realizzazione di interventi edilizi sulla base della assorbente motivazione della erronea rappresentazione dello stato dei luoghi interessati dagli interventi e della incompletezza della D.I.A. contenente dichiarazioni inesatte ed incomplete.
5.- Con ordinanza collegiale 5 novembre 2009 la domanda cautelare è stata respinta.
6.- Con successivo ricorso per motivi aggiunti notificato in data 16 febbraio 2010 e depositato in data 22 febbraio 2010 V S, R S e R S hanno chiesto l’annullamento della determina dirigenziale 14 gennaio 2010, n.3, con la quale era accertata l’inottemperanza dei ricorrenti all’ordine di demolizione (impartito con provvedimento 3 luglio 2009, n. 115, confermativo e adottato in rettifica del provvedimento 23 giugno 2009, n. 107) della recinzione e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi con riferimento allo sbancamento di terreno finalizzato alla creazione di un accesso sulla strada pubblica ed erano avvisati i ricorrenti che l’accertamento avrebbe costituito “titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari del bene, dell’area di sedime già individuata nella predetta ordinanza di demolizione n. 107 del 23/06/2009”.
I ricorrenti deducono l’illegittimità derivata della determina dirigenziale n. 3/2010 per i motivi di gravame già formulati con il ricorso introduttivo, nonché per i seguenti ulteriori motivi:
I) violazione dell’articolo 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, perché l’acquisizione di diritto al patrimonio comunale andrebbe comminata soltanto nell’ipotesi di interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire o in assenza dello stesso e non nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie, le opere realizzate risultano prive di autonomia, ma strutturalmente e funzionalmente collegate alla costruzione immobiliare assentita con concessione edilizia n. 22/1999. Ad avviso dei ricorrenti sarebbe semmai ravvisabile l’applicazione dell’art.34 del d.p.r. n. 380/2001;
II) violazione dell’art. 31, commi 1 e 2 del d.p.r. n. 380 del 2001, poiché nell’ingiunzione alla demolizione non è contenuto l’avvertimento che, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, l’area sarebbe stata acquisita al patrimonio del Comune, né è stata individuata la superficie da acquisire al patrimonio del Comune.
I ricorrenti concludono, quindi, per l’annullamento della determina, nonché per la condanna del Comune a reintegrarli “nel possesso delle opere e dell’area pertinenziale …e a risarcire i danni ad essi eventualmente cagionati…”.
7.- Sia il Comune sia il controinteressato con memorie in data 8 marzo 2010 hanno puntualmente contestato la fondatezza delle censure contenute nel ricorso per motivi aggiunti, affermando la natura di atto dovuto dell’impugnato accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, sostenendo, altresì, che l’individuazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale non deve essere necessariamente contenuta nell’ingiunzione, ma può essere specificata con qualunque atto successivo.
8.- Con ordinanza cautelare 11 marzo 2010, n. 86, questo Tribunale, ritenendo assistita da sufficienti profili di “fumus” la censura relativa alla mancata indicazione da parte del Comune dell’area di sedime da acquisire, ha accolto la domanda cautelare e per l’effetto ha disposto la sospensione dell’efficacia della determina dirigenziale 14 gennaio 2010, n. 3, facendo salva l’ulteriore attività dell’amministrazione.
9.- Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 21 maggio 2010 e depositato in data 24 maggio 2010 V S, R S e R S hanno chiesto l’annullamento della nuova determina dirigenziale 18 marzo 2010, n.60 con la quale il responsabile dell’area tecnica del Comune di Tolve, anche in ottemperanza all’ordinanza cautelare di questo Tribunale, accertava e confermava la mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire e individuava specificamente l’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale, costituita dalla recinzione realizzata in prossimità del confine con i terreni di proprietà di L V ( foglio 58, partt.617-618) pari a mq 3, 25 e dall’accesso realizzato sulla strada provinciale (foglio 58, part. 617), pari a mq 32,90.
I ricorrenti reiterano la richiesta di condanna del Comune a reintegrarli “nel possesso delle opere e dell’area pertinenziale …e a risarcire i danni ad essi eventualmente cagionati…”.
Ad avviso dei ricorrenti tale nuova determina n.60/2010 sarebbe stata adottata “in capziosa interpretazione del dictum giudiziale” espresso dal T.a.r. con ordinanza sospensiva n. 86/2010, perchè la illegittimità della determina n. 3/2010 avrebbe dovuto ravvisarsi nella mancata indicazione nelle ordinanze n. 107/09 e n.115/09 dell’area di sedime da acquisire. Né l’amministrazione avrebbe adottato alcun atto (presupposto all’adozione della citata determina n.3/2010) recante tali indicazione. La nuova determina n.60/2010 sarebbe, peraltro, illegittima per gli stessi motivi già formulati avverso la determina n.3/2010 ovvero per non aver l’amministrazione indicato né nelle ordinanza n. 107/09 e n. 115/09 né in alcun atto successivo l’area di sedime da acquisire, in violazione dall’art. 31, commi 2 e 3, del d.p.r. n. 380/2001. Inoltre, secondo la prospettazione dei ricorrenti il nuovo atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione integrerebbe una inammissibile “sanatoria retroattiva” del precedente atto di accertamento di inottemperanza adottato con determina n. 3/2010.
10.- Il controinteressato con memoria depositata in data 31 maggio 2010 deduce la infondatezza delle censure proposte, affermando che, pur accedendo alla tesi di parte ricorrente, le doglianze sarebbero irricevibili per tardività, in quanto la censura della mancata indicazione dell’area di sedime da acquisire avrebbe dovuto essere rivolto contro le ordinanze di demolizione n.107/2009 e n. 115/2009. Rileva, inoltre, che l’inottemperanza all’ordine di demolizione, determina automaticamente l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, sicchè il provvedimento di accertamento della inottemperanza costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione dell’acquisto nei registri immobiliari, che può essere adottato senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, potendosi a tale individuazione procedere, come avvenuto nella specie, anche con successivo e separato atto.
10.- Il Comune di Tolve con memoria depositata in data 7 giugno 2010 eccepisce l’infondatezza della prospettazione di parte ricorrente contenuta nel nuovo ricorso per motivi aggiunti.
11.- Con ordinanza T.a.r. Basilicata 10 giugno 2010, n.176, è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia della determina n.60/2010.
12.- All’udienza pubblica del 2 dicembre 2011 il ricorso è trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1.- In rito, occorre innanzitutto rilevare la tardività dei documenti allegati da parte ricorrente alla memoria conclusiva del 29 ottobre 2011.
Infatti, a decorrere dal 16 settembre 2010 (data di entrata in vigore del Codice del processo amministrativo) i documenti per l'udienza di discussione vanno depositati nel rispetto del termine stabilito dall'art. 73, comma 1, del codice medesimo e quindi nel termine di quaranta giorni liberi prima dell'udienza pubblica. Né, nella specie, vige l'ultrattività della disciplina previgente, poiché a norma dell'art. 2 delle disposizioni transitorie del codice del processo amministrativo le norme previgenti possono trovare applicazione solo per i termini già in corso alla data di entrata in vigore del codice (T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 05 novembre 2010 , n. 930).
2.- Nel merito, la parte ricorrente afferma che gli interventi edilizi oggetto di denunzia di inizio di attività (d.i.a.) presentata in data 22 ottobre 2008, al momento dell’adozione delle impugnate ordinanze n.107/09 e n. 115/09, rispettivamente in data 23 giugno 2009 e 3 luglio 2009, il titolo autorizzatorio doveva ritenersi già perfezionato, essendo ormai trascorso il termine di trenta giorni previsto dall’art. 23 del d.p.r. n. 380 del 2001.
Sotto un secondo profilo, tali ordinanze, sarebbero, inoltre, illegittime perché adottate oltre il termine di trenta giorni previsto per la conclusione del procedimento di formazione del titolo edilizio autorizzatorio.
2.1.- Osserva il Collegio che il modello della d.i.a., come disciplinato dall’art. 23 del d.p.r. 6 giugno 2001, n.380, prima delle modifiche apportate dalla legge n. 122 del 2010 contempla una legittimazione differita all’inizio dei lavori, nel senso che gli interventi possono essere effettuati, previa comunicazione, al trascorrere di almeno trenta giorni dalla data di presentazione della d.i.a. senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Al riguardo, occorre precisare che se è vero che la scadenza del termine di trenta giorni pone fine al procedimento che consente all’amministrazione di adottare il provvedimento inibitorio, configurando, quindi, la formazione di un silenzio significativo equiparabile ad un provvedimento espresso di diniego all’adozione di atti inibitori, è altresì vero che decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, resta impregiudicato il potere dell’amministrazione di disporre del potere di autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (Adunanza plenaria Consiglio di Stato, 29 luglio 2011, n.15).
Pertanto, l'inutile decorso del termine di trenta giorni, assegnato dall'art. 23, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di mancanza dei presupposti per la formazione della d.i.a., consistenti, nella specie, nella mancata rispondenza alle norme di legge e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Resta, infatti, impregiudicato il potere di controllo dell’amministrazione comunale, che può legittimamente estrinsecarsi attraverso una attività di secondo grado di esercizio dei poteri di vigilanza e sanzionatori ( ex multis : Consiglio di Stato, sez. VI, n. 717 del 2009), la quale, se interviene entro un periodo temporale ragionevole, non necessita neanche dell’estrinsecazione delle ragioni di interesse pubblico che giustificano il sacrificio imposto al privato.
Di qui l’infondatezza della doglianza con la quale i ricorrenti lamentano l’insufficienza e l’inattendibilità del richiamo all’interesse pubblico, identificato con il contrasto con le prescrizioni recate dall’art. 4 della convenzione di lottizzazione, nonché con l’inosservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal d.p.r. n.380/2000.
2.1.1.- Ne consegue, alla stregua delle considerazioni svolte, l’infondatezza della doglianza con la quale parte ricorrente deduce l’illegittimità delle ordinanze n.107/09 e n. 115/09, con le quali il Comune, facendo espresso riferimento al potere di autotutela di cui all’art. 21 nonies della legge 7 agosto, rilevando l’illegittimità del titolo edilizio formatosi per effetto della d.i.a., ne annullava gli effetti giuridici, ingiungeva il pagamento di sanzioni pecuniarie e ordinava la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
2.1.2.- Parimenti infondata è la doglianza con la quale parte ricorrente lamenta il mancato rispetto del termine di trenta di giorni per la conclusione del procedimento amministrativo perché le ordinanze impugnate non sono qualificabili come provvedimenti inibitori conclusivi del procedimento iniziato ad istanza di parte con la presentazione della d.i.a., ma rappresentano i provvedimenti conclusivi del nuovo e diverso procedimento di secondo grado in autotutela diretto all’annullamento del titolo edilizio illegittimamente formatosi. Alcuna rilevanza può, pertanto, attribuirsi, nel presente giudizio, alla circostanza con la quale parte ricorrente lamenta l’erronea indicazione nella impugnata ordinanza n.115/09 della data di protocollazione da parte del Comune della comunicazione di inizio lavori che, ad avviso di parte ricorrente, sarebbe stata depositata in data 10 febbraio 2009 e non, come indicato nella citata ordinanza, in data 11 febbraio 2009.
3.- Con riferimento alle restanti doglianze con la quale parte ricorrente contesta specificamente tutte le motivazioni poste a fondamento delle ordinanza n.107/09 e n.115/09 con le quali il Comune, rilevata la illegittimità del titolo edilizio formatosi per effetto della d.i.a., ordina la demolizione e la rimessione in pristino, il Collegio ritiene di doversi soffermare solo sulla assorbente motivazione (in quanto da sola sufficiente a precludere la legittima formazione della d.i.a.) con la quale il Comune rileva la mancanza dei presupposti necessari per la formazione del titolo edilizio a causa della erronea rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati progettuali allegati.
Il Comune, in particolare, nell’ordinanza n.115/2009, confermativa dell’ordinanza n.107/09, rileva una erronea indicazione dei terreni interessati dalle opere, individuati nella d.i.a. con la particella n. 362 del foglio di mappa n.58, la quale, invece, alla luce della documentazione acquisita dall’Agenzia del territorio, risulta essere stata soppressa in data 28 febbraio 2000, generando le particelle nn.617, 618, 619, che, quindi, erano quelle oggetto degli interventi edilizi e le quali, peraltro, risultavano in comproprietà di R S, R S, V S e quindi non erano di esclusiva proprietà del denunziante V S.
Ad ulteriore fondamento della illegittima formazione del titolo autorizzatorio, il Comune nell’ordinanza n.115/2009, evidenzia che: <<la rappresentazione grafica dei terreni interessati dalle opere edilizie non riflette l’effettivo stato dei luoghi in quanto lo stralcio planimetrico- Tav. 3 “lottizzazione C ed altri- stato di fatto”, non riporta la porzione di fabbricato (foglio 58, part.619) posta sul limite di confine con la particella di terreno (foglio 58, part. 846) in proprietà di altro soggetto, così come invece risultante dall’estratto di mappa derivato dall’Agenzia provinciale del territorio;lo stato di progetto, laddove riporta l’esecuzione di una recinzione metallica posta sul limite del confine catastale, coincidente con il confine della lottizzazione in discorso, contiene una rappresentazione non veriteria, in quanto, così come rilevato dall’estratto di mappa derivato dall’Agenzia provinciale del territorio, il confine catastale della porzione di fabbricato non rappresentato nei grafici coincide con il confine catastale della particella di terreno limitrofa (foglio 58, part.846) di proprietà di altro soggetto>>. A tale ultimo riguardo, il Comune conclude rilevando che “limitatamente al perimetro del fabbricato non rappresentato nei grafici”, “la recinzione dovrebbe essere allocata in terreni altrui, salvo diversa valutazione tecnica, allo stato non possibile, data la carente ed infedele rappresentazione grafica dello stato di fatto”.
Sul punto- osserva il Collegio- parte ricorrente non contesta l’erronea rappresentazione dello stato dei luoghi, anzi conferma esplicitamente tale circostanza nella memoria del 29 ottobre 2011 (pag. 14) affermando testualmente: <<è vero, peraltro, che vi è una parziale divergenza tra le risultanze in stralcio planimetrico di lottizzazione allegato alla d.i.a. e la planimetria catastale che individua la proprietà…>>.
In particolare, con riferimento alla erronea individuazione catastale dell’area oggetto dell’intervento, non può convenirsi- come dedotto da parte ricorrente- che si tratterebbe di una “irregolarità di carattere formale pacificamente sanabile con una mera rettifica documentale”, perché l’art. 23, comma 6 d.p.r. n. 380 del 2001, laddove fa salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia, intende pacificamente escludere che nell'esercitare il potere di inibizione dell'attività edilizia conseguente alla presentazione di una denuncia di inizio attività sussista un obbligo di soccorso ed integrazione procedimentale attivabile da parte del Comune. Ciò in ragione della natura giuridica della d.i.a., che sostituisce il tradizionale modello provvedimentale autorizzatorio con un nuovo schema ( il modello generale è stato introdotto dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, rispetto al quale la d.i.a. in materia edilizia costituisce una specie) ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, che attribuisce al denunziante una situazione giuridica soggettiva ad intraprendere una determinata attività, che rinviene il suo fondamento direttamente nella legge, ma realizzabile solo allorquando sussistano i presupposti fattuali e di diritto per l’esercizio dell’attività denunciata. L’amministrazione, pertanto, non ha alcuna incidenza sulla formazione del titolo autorizzatorio, ma ha solo un potere di controllo ed interviene qualora rilevi la mancanza dei presupposti normativamente previsti per l’esercizio dell’attività attraverso l’esercizio del potere inibitorio nel termine di legge oppure, una volta scaduto il termine per l’esercizio di tale potere inibitorio, attraverso il potere di autotutela.
Ne consegue che la errata o insufficiente rappresentazione dello stato dei luoghi nella denunzia di inizio di attività non consente la formazione della d.i.a., che è idonea a sostituire l’atto autorizzativo dell’amministrazione, solo allorquando la denunzia ed i suoi allegati siano completi di tutti gli elementi necessari ad individuare con esattezza l’area di intervento, lo stato di fatto e di progetto e risponda, quindi, ai requisiti e presupposti normativamente previsti, la cui sussistenza l’amministrazione è tenuta ad accertare a valle (l’Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, con decisione n. 15 del 2011 cit., riconduce la d.i.a. ad un modello definito di “liberalizzazione temperata”, che sostituisce il modello dell’assenso preventivo dell’amministrazione espresso con apposito provvedimento con un sistema di controllo successivo sfociante o con l’adozione di un provvedimento tacito di diniego all’esercizio dei poteri inibitori o con l’adozione di un provvedimento inibitorio).
Diversamente, la incompletezza e lacunosità della documentazione allegata alla denunzia di inizio di attività, impedisce la configurabilità dello schema di cui all’art. 23 del d.p.r. n. 380 del 2001, mancando il presupposto minimo per cui la denunzia del privato possa sostituirsi al provvedimento autorizzatorio e costituisce ex se ragione sufficiente per giustificare l’intervento successivo di autotutela con il quale l’amministrazione dispone l’inefficacia della d.i.a. ed ordina conseguentemente la rimessione in pristino e la demolizione degli interventi realizzati, in quanto non sorretti da alcun titolo autorizzatorio.
4.- Con riferimento, infine, alle restanti censure dedotte e dirette a contestare le ulteriori motivazioni poste alla base delle impugnate ordinanze (la destinazione di una minore superficie a parcheggi;la mancata destinazione a verde di una porzione di superficie in prossimità del confine di lottizzazione;la creazione di un varco di accesso alla s.p. “Barese” con l’apposizione di una sbarra metallica limitante l’accesso ad aree private e ad aree ad uso pubblico), è appena il caso di osservare che la circostanza che il provvedimento impugnato sia fondato su di una pluralità di autonomi motivi, implica che il rigetto del principale ed assorbente motivo, quello relativo alla infedele rappresentazione dello stato dei luoghi, che preclude di per sé la configurabilità della d.i.a., comporta la sopravvenuta carenza di interesse all'esame delle ulteriori doglianze proposte volte a contestare le ulteriori motivazioni poste alla base dell’impugnata ordinanza n.115/09 confermativa dell’ordinanza n.107/09. Ed infatti, anche qualora tali censure dovessero essere accolte, esse non sarebbero comunque idonee a determinare l'annullamento del provvedimento impugnato, in quanto validamente sorretto dalla assorbente e logicamente prioritaria motivazione relativa alla carenza delle condizioni per la formazione della d.i.a.
5.- Con ulteriore censura i ricorrenti contestano la contraddittorietà del richiamo operato nella determina dirigenziale n.115/09 alla sussistenza dei presupposti sanzionatori recati dall’art. 37, comma 1, del d.p.r. n.380/2001 e dall’art. 44, comma 2 bis del medesimo d.p.r. sia perchè non sarebbe possibile che uno stesso intervento integri contemporaneamente gli estremi dell’illecito amministrativo e dell’illecito penale sia perché i lavori realizzati (recinzione e rampa di accesso) erano stati preceduti da d.i.a. ed erano stati realizzati in conformità a tale d.i.a.
La censura è priva di pregio, posto che è proprio il comma 2-bis del citato art. 44 a specificare che le sanzioni penali previste nello stesso articolo “si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell'articolo 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa”. Per altro verso, la non fedele ed erronea rappresentazione dello stato dei luoghi nella d.i.a., aveva impedito la formazione del titolo abilitativo, sicché gli interventi realizzati, come correttamente specificato nella determina dirigenza n.115/2009, erano da ritenersi eseguiti in assenza di titolo edilizio, perché a norma dell’art.21, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n.241, in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni contenute nella d.i.a. “non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge …”.
6.- Con ulteriore doglianza parte ricorrente lamenta una disparità trattamento con riferimento alla d.i.a. 6 novembre 2007 del controinteressato L V avente ad oggetto la realizzazione di una recinzione, di due cancelli d’ingresso e l’allargamento di un marciapiede, perché in tale circostanza l’amministrazione, in violazione dei principi di buona fede, correttezza, imparzialità e trasparenza, avrebbe manifestato una sospetta benevolenza nei confronti del sig. Venezia, non contestandogli la difformità della recinzione, eseguita non, come previsto, “con pali di ferro e rete metallica”, ma con opere di muratura, la installazione di due “cancelli a libro” e di cancelli pedonali con pensiline e consentendo allo stesso di realizzare rampa di accesso alla strada pubblica.
La censura è infondata poiché, come eccepito dal Comune resistente e dal controinteressato ( e non contestato dai ricorrenti) l’area di proprietà del Venezia fa parte di altro piano di lottizzazione “Matteo Rocco ed altri” e pertanto non è effettuabile alcun parallelismo tra le due situazioni. In ogni caso, l’ infondatezza della doglianza di disparità di trattamento risulta smentita “per tabulas” dall’allegazione del Comune (all.14), il quale dimostra, proprio con riferimento alla d.i.a. di L V del 6 novembre 2007, di aver adottato nei suoi confronti con determina dirigenziale 1 agosto 2008, n. 113 un provvedimento sanzionatorio in virtù della difformità dei lavori di recinzione eseguiti rispetto a quanto previsto nella d.i.a.
7.- Il rigetto delle doglianze contenute nel ricorso introduttivo determina l’infondatezza della censura di illegittimità derivata formulata con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 febbraio 2010, con il quale è impugnata la determina dirigenziale n. 3/2010 recante l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e l’avviso dell’immissione in possesso e della trascrizione gratuita nei registri immobiliari in favore del Comune dell’area di sedime interessata dai lavori abusivi. Avverso tale determina sono infatti riproposti i medesimi motivi del ricorso introduttivo.
8.- Con una nuova censura diretta contro la determina dirigenziale n. 3/2010 i ricorrenti contestano l’erroneo richiamo all’ art.31 del d.p.r. n. 380 del 2001, perché l’acquisizione di diritto al patrimonio comunale andrebbe comminata soltanto nell’ipotesi di interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire o in assenza dello stesso e non nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie, le opere realizzate risultano prive di autonomia, ma strutturalmente e funzionalmente collegate alla costruzione immobiliare già assentita con concessione edilizia n. 22/1999.
La censura non ha pregio.
L’amministrazione, infatti, accertata la realizzazione di opere eseguite in assenza di titolo autorizzatorio (recinzione e sbancamento per la costruzione dell’accesso alla s.p. “Barese”)- perché la d.i.a. era risultata priva dei requisiti di legge per la sua ammissibilità- ha fatto corretta applicazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, il quale prevede che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso…ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione…” e, in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, dispone che “…il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”, previa notifica all’interessato dell'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, che costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari.
Né alcun rilievo può attribuirsi alla circostanza che gli interventi edilizi di sbancamento per la creazione dell’accesso alla strada provinciale e di recinzione inerivano ad un fabbricato già assentito, posto che si tratta di opere- cosi come dichiarato nella d.i.a. presentata da V S- inerenti ad un “progetto per il completamento di opere di urbanizzazione”, le quali, alterando comunque lo stato dei luoghi, avrebbero necessitato di permesso di costruire o perlomeno, limitatamente alla recinzione, di d.i.a. a norma dell’art. 22, comma 3 del d.p.r. n.380 del 2001. Va infatti precisato che la convenzione di lottizzazione del 15.5.1985, all’art.4, subordinava esplicitamente la costruzione di strade residenziali e parcheggi al rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Ne consegue che, nella fattispecie, la mancata formazione del titolo autorizzatorio, stante la non veritiera rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dei ricorrenti, rende corretta l’applicazione da parte Comune del regime sanzionatorio previsto dall’art. 31 del d.p.r. n.380 del 2001 (demolizione e rimessione in pristino con acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, in caso di inottemperanza) atteso che il comma 6 bis dell’art. 31 cit. specifica che “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 22, comma 3, eseguiti in assenza di denuncia di inizio attività o in totale difformità dalla stessa”.
9.-Con l’ultima doglianza del ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 31, commi 1 e 2 del d.p.r. n. 380 del 2001, poiché il Comune non avrebbe adottato alcun atto contenente l’avviso agli interessati che, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, l’area sarebbe stata acquisita al patrimonio del Comune, né sarebbe stata individuata la superficie da acquisire al patrimonio del Comune.
Al riguardo, va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il provvedimento di acquisizione al patrimonio del comune di un'opera abusivamente realizzata (art. 31 d.p.r. n.380 del 2001) ha come unico presupposto l'accertamento dell’ inottemperanza ad un ordine di demolizione di opere abusive. Si tratta pertanto di un atto dovuto avente natura dichiarativa e meramente consequenziale all’inottemperanza all’ordine di demolizione, che trova il suo diretto fondamento nella legge che indica le conseguenze dell'inottemperanza alla disposta ingiunzione. Pertanto, la mancata indicazione delle conseguenze derivanti dall’inottemperanza all’ordine di demolizione, non infirma il procedimento preordinato alla demolizione delle opere abusive, in quanto concernente effetti automatici ex lege (ossia ex art. 31 comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), come tali presuntivamente conosciuti dai destinatari (ex multis: T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 03 settembre 2010 , n. 17302).
E’, di conseguenza, infondato il motivo d'impugnazione con il quale si lamenta che l’ordinanza di demolizione non contiene il preannuncio di “spoglio” delle opere e dell’area di sedime da acquisire nell’ipotesi di inottemperanza.
Difatti, l’art. 31 del d.p.r. non impone al dirigente, nel momento in cui ingiunge la rimozione e la demolizione di interventi abusivi, di preavvisare che, in caso di inottemperanza l’area sarà acquisita gratuitamente al patrimonio del comune, ma si limita a prescrivere, l’ indicazione dell'area che verrà acquisita di diritto.
Per quanto riguarda, invece, la mancata indicazione dell’area di sedime da acquisire la sua in corretta individuazione, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti, può avvenire anche con un atto successivo ovvero dopo il rituale accertamento, da parte del Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione, allorché sarà avviato, nell'ambito del procedimento sanzionatorio di cui all'art. 31 t.u., un sub-procedimento specificamente finalizzato alla precisa individuazione delle aree da acquisirsi gratuitamente ai sensi del comma 3.
Correttamente, quindi, il Comune, nella specie, con la determina n.3/2010, dopo aver richiamato i criteri previsti dalla legge (art. 31 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), ha avvisato che l’accertamento dell’inottemperanza costituisce titolo per l’immissione in possesso ed ha quindi con tale atto avviato il sub-procedimento finalizzato all’acquisizione delle aree, le quali sono state poi individuate con la successiva determina dirigenziale n. 60/2010.
Ne deriva, alla stregua delle considerazioni svolte, l’infondatezza del primo ricorso per motivi aggiunti.
10.- A quanto sopra consegue, peraltro, l’infondatezza anche del secondo ricorso per motivi aggiunti notificato in data 22 maggio 2010 e con il quale i ricorrenti, formulando lo stesso motivo di censura esaminato al paragrafo precedente (violazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, in quanto adottata senza la previa informativa dell’acquisizione gratuita ed indicazione dell’area che verrà acquisita in caso di inottemperanza), hanno impugnato la determina dirigenziale n. 60/2010, con la quale il Comune ha confermato la mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire, avvisando che la stessa costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari e, facendo proprie le indicazioni recate nell’ordinanza collegiale di questo Tribunale n. 86 del 2010, ha individuato compiutamente (anche attraverso allegazione di planimetria catastale) l’area di sedime da acquisire.
E’ sufficiente rilevare che tale nuova determina, lungi dal costituire una inammissibile “sanatoria retroattiva” del precedente atto di accertamento di inottemperanza adottato con determina n. 3/2010, costituisce l’atto conclusivo del sub-procedimento finalizzato alla precisa individuazione delle aree da acquisirsi gratuitamente ai sensi dell’art. 31, comma 3 del d.p.r. n. 380 del 2001.
11.- Dall’ infondatezza delle doglianze dirette a caducare sia l’ingiunzione alla demolizione sia i successivi atti di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione consegue l’infondatezza anche della domanda reintegratoria e risarcitoria, stante la loro accessorietà alle domande impugnatorie e comunque l’assenza del necessario requisito dell’ingiustizia del danno, quale elemento costitutivo dell’illecito civile, non essendosi realizzata alcuna lesione dell’interesse legittimo.
12.- Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo secondo l’ordinario criterio della soccombenza, vanno riconosciute solo in favore del Comune intimato.
Sussistono, invece, gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di lite tra parte ricorrente e parte controinteressata.