TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2018-10-17, n. 201800612
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Pubblicato il 17/10/2018
N. 00612/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00256/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
S
sul ricorso numero di registro generale 256 del 2014, proposto da
Zeta Costruzioni Due S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M S e A G con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Termoli in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato V C, con domicilio eletto presso il suo studio in Campobasso, corso Umberto I^, n. 43;
per la condanna al risarcimento del danno
derivante dall’illegittima ed illecita condotta tenuta dal Comune di Termoli nell’ambito del procedimento di riesame in autotutela dei titoli edilizi n. 174/2003 e n. 210/2006, culminato nell’atto di annullamento di ufficio, prot. n. 39897 del 21 dicembre 2009, a sua volta annullato con sentenza del TAR Molise, n. 756/11, passata in giudicato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Termoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 20 settembre 2018 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 9 giugno 2014 e depositato il successivo 30 giugno, la Zeta Costruzioni Due s.r.l. ha premesso che con provvedimento del 21 dicembre 2009 (prot. n. 39897), il Comune di Termoli ha disposto l’annullamento in autotutela dei titoli edilizi nn. 174/2003 e 210/2006 precedentemente rilasciati per la realizzazione di un immobile destinato dalla società esponente alla vendita a terzi.
L’immobile realizzato è un fabbricato ad uso civile abitazione servito da due scale, composto da tre piani interrarti adibiti a garage e cantine e quattro piani fuori terra.
L’intervento in autotutela sarebbe stato disposto, a distanza di sei anni dal rilascio dell’originario permesso e di tre anni da quello in variante, sul presupposto della ravvisata falsità della dichiarazione resa a corredo dell’istanza di rilascio dei titoli edilizi in relazione ad una porzione di sedime di appena 17 mq, risultata poi di proprietà comunale.
Con sentenza 16 novembre 2011, n. 756 questo Tribunale ha annullato il provvedimento in autotutela, rilevando in particolare che << l'ente civico ha omesso di prendere nella dovuta considerazione l'entità del pregiudizio patrimoniale per la ricorrente derivante dal provvedimento adottato >>.
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la Zeta Costruzioni chiede ora la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni asseritamente subiti nel periodo dal 21 dicembre 2009, data di adozione del provvedimento di autotutela, fino al 16 novembre 2011, data di pubblicazione della sentenza di annullamento del ripetuto atto di ritiro.
Con riferimento a tale periodo, la vendita degli appartamenti nel fabbricato sarebbe stata resa assai più difficoltosa determinando un pregiudizio patrimoniale alla società composto da un danno emergente (consistente in interessi passivi sul mutuo ipotecario per un importo di euro 159.829,82 e deprezzamento degli immobili per un importo pari ad euro 248.325,00) ed un lucro cessante (consistente nella differenza negativa tra il prezzo di vendita pattuito in sede di preliminare e quello poi concretamente conseguito nel caso delle vendite eseguite nel corso dell’anno in cui è stato efficace l’atto di ritiro, per un importo di euro 85.000).
La condotta tenuta dall’Amministrazione intimata, poi, presenterebbe tutti i requisiti dell’illecito, in quanto deriverebbe da un provvedimento illegittimo adottato con colpa, in quanto nella sentenza si afferma che il Comune avrebbe dovuto tenere in conto l’entità del pregiudizio e la percorribilità di soluzioni alternative, come previsto dall’art. 21-nonies della l. n. 241/1990.
Con atto depositato in data 3 novembre 2014 si è costituito il Comune di Termoli, chiedendo il rigetto del ricorso e della domanda di risarcimento e contestando, in particolare, la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa.
Alla udienza pubblica straordinaria del 20 settembre 2018 per lo smaltimento dell’arretrato la causa è stata introitata per la decisione.
Il ricorso è infondato.
Nel caso di lesione arrecata all’interesse legittimo, gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. sono i seguenti:
a) l’elemento oggettivo;
b) l’elemento soggettivo (la “colpevolezza” o “rimproverabilità”);
c) il nesso di causalità materiale o strutturale;
d) il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo.
Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati. In sostanza, non è sufficiente che l’Amministrazione emani un atto illegittimo perché possa ritenersi anche responsabile dei danni subiti dal privato destinatario dell’atto. Devono, pertanto, essere mantenute separate le regole di validità dell’atto dalle regole di responsabilità.
Pertanto quando sia proposta una domanda risarcitoria a seguito dell’emanazione di un provvedimento autoritativo risultato illegittimo, il suo accoglimento resta, comunque, subordinato alla verifica circa la rimproverabilità dell’Amministrazione.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha contribuito a tipizzare alcune situazioni la cui ricorrenza può indurre a ritenere che l’emanazione dell’atto illegittimo sia stata determinata da un errore scusabile.
In particolare, si ritiene (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452;id., sez. V, 17 febbraio 2013, n. 798;id., sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114) che integri gli estremi dell’esimente da responsabilità l’esistenza di:
a) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma;
b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore;
c) una rilevante complessità del fatto;
d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
Tale premessa consente, ad avviso del Collegio, di correttamente calibrare le vicende dedotte nel giudizio in funzione della domanda di risarcimento proposta nei confronti del Comune di Termoli.
Non costituisce oggetto di contestazione che il fabbricato assentito dai titoli edilizi annullati in autotutela sia stato costruito, sia pure in una parte minima (17 mq), su di un terreno di proprietà del Comune e che per questo motivo l’ente convenuto abbia adottato l’intervento in autotutela poi annullato con la citata sentenza 756/2011 di questo Tribunale.
Prendendo le mosse dalla pronuncia declaratoria dell’illegittimità dell’annullamento in autotutela con essa il Tribunale ha evidenziato che il Comune: << ha omesso non solo di prendere nella dovuta considerazione l’entità del pregiudizio patrimoniale per la ricorrente derivante dal provvedimento adottato - che appare oggettivamente sproporzionato rispetto al valore economico della predetta area di sedime - ma ha anche omesso di valutare la possibilità di tutelare gli interessi patrimoniali del Comune attraverso la messa a punto di soluzioni alternative idonee a realizzare un equo contemperamento dei contrapposti interessi, come invece prescritto dall’art. 21 nonies della legge 241 del 1990;ciò a fortiori se si considera che nel caso di specie non può ritenersi sussistente una dichiarazione mendace circa il titolo di proprietà dell’area oggetto dell’intervento in quanto lo stesso Comune ammette nelle premesse in fatto del provvedimento impugnato che restava “intestata, per omessa formalità, agli eredi Cieri l’area (pure permutata) in catasto al fg. 13 p.lla 182 di mq 189 (quella poi parzialmente occupata dalla Zeta Costruzioni Due) sicchè era oggettivamente non conoscibile l’intervenuto trasferimento per permuta in favore del Comune del terreno di cui la ricorrente assumeva in buona fede di essere proprietaria in forza di intervenuto usucapione, poi oggetto di accertamento in sede giudiziale. In conseguenza del rilascio dei permessi di costruire ed in assenza di dichiarazioni mendaci era quindi configurabile una situazione di affidamento meritevole di considerazione che doveva pertanto essere necessariamente ponderata secondo le regole generali di esercizio del potere di annullamento d’ufficio, rispondenti al canone generale di ragionevolezza >>.
In sintesi questo Tribunale ha ritenuto che la proprietà comunale della striscia di terreno in questione non potesse comportare l’annullamento dei titoli edilizi, verificandosi altrimenti una lesione del principio di proporzionalità, trattandosi di un’area di sedime limitata rispetto a quella occupata dal fabbricato.
Altro elemento di criticità del provvedimento in autotutela è stato ravvisato nell’essere stato attuato a distanza di sei anni dal titolo originario e di tre anni da quello in variante, determinandosi così una violazione del termine ragionevole entro il quale adottare l’atto di ritiro, secondo la disciplina vigente all’epoca (art. 21nonies della l. n. 241/1990).
Pertanto i profili di illegittimità risiedono nella violazione del principio di proporzionalità e del termine ragionevole.
Al riguardo il Collegio rileva che entrambi questi principi, all’epoca dei fatti, non erano dettagliati nel contenuto, nel senso che era lasciato all’interprete la determinazione del contenuto caso per caso, posto che l’articolo 21nonies così recitava: << il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge >>.
Come correttamente rilevato dall’Amministrazione, il Consiglio di Stato ha rilevato che nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 (per come introdotto dalla l. 15 del 2005) in caso di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve ritenersi:
1) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
Orbene, come già chiarito, l’amministrazione - in sede di rilascio e di variante del progetto stesso - non era a conoscenza della proprietà comunale dell’area, che è stata scoperta con successive verifiche da parte dell’Ente.
2) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati;
L’occupazione di un’area di terreno di proprietà comunale potrebbe in astratto rappresentare l’interesse pubblico che sottende l’atto di ritiro.
3) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 17 ottobre 2017, n. 8).
La dichiarazione dell’istante di avere la proprietà dell’intera area di sedime, in sede di richiesta di rilascio del titolo, poteva escludere sul piano astratto la configurabilità di un affidamento legittimo in dipendenza del decorso del termine.
A ciò si aggiunga che nella vigenza della precedente versione dell’art. 21-nonies, prima che esso fosse novellato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2), della l. 7 agosto 2015, n. 124, non vi era una definizione univoca del termine “ragionevole” entro il quale poteva essere disposto l’annullamento in autotutela, lasciando così all’interpretazione dell’Amministrazione la determinazione di esso caso per caso, anche in relazione all’interesse pubblico di volta in volta preso in considerazione.
Stesso discorso vale per l’apprezzamento dell’interesse pubblico e del principio di proporzionalità che non può non fondarsi su di una valutazione di tipo approssimativo non fondata su di un dato di carattere oggettivo.
Ne consegue che a fronte di un’oggettiva occupazione di una porzione sia pure limitata del suolo comunale, non dichiarata nell’istanza di rilascio del titolo edilizio, l’Amministrazione una volta accortasi della circostanza abbia potuto nutrire il ragionevole dubbio di poter adottare un provvedimento in autotutela, escludendo l’affidamento del privato, e che anzi tale atto fosse dovuto, in presenza di una circostanza non dichiarata dall’istante.
Sotto questo aspetto l’Amministrazione intimata avrebbe dovuto rilevare:
1) che la mancata dichiarazione poteva dipendere da un errore in buona fede del dichiarante;
2) che la quantità di terreno dell’Amministrazione occupata dal privato fosse troppo limitata per giustificare il ritiro dei provvedimenti edilizi;
3) che era decorso un lasso temporale troppo ampio per adottare un intervento in autotutela.
Tali valutazioni non erano di immediata evidenza al momento in cui l’amministrazione comunale è intervenuta annullando i titoli edilizi, tenuto soprattutto conto, come visto, la mancanza di prescrizioni sulle soglie temporali massime (inserite solo dalla legislazione successiva) e di univoci elementi da cui desumere che la dichiarazione resa dall’istante in sede di richiesta di rilascio dei titoli edilizi fosse connotata da buona fede.
A tale ultimo riguardo la buona fede dell’istante che ha dichiarato di proprietà l’intera area di sedime è stata desunta solo in sede di accertamento giurisdizionale, laddove l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere un ulteriore sforzo di accertamento dell’intenzione soggettiva, dopo aver accertato la proprietà pubblica della porzione di terreno, che non era concretamente esigibile, con ciò dovendosi escludere la colpa dell’Amministrazione.
In definitiva il ricorso e la domanda di risarcimento del danno devono essere respinte per difetto del requisito soggettivo della colpa da parte dell’Amministrazione comunale.
In considerazione dell’obiettiva illegittimità dell’annullamento d’ufficio e dell’obiettivo pregiudizio patito da parte ricorrente, le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate.