TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-12-05, n. 201301675

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-12-05, n. 201301675
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201301675
Data del deposito : 5 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01872/2012 REG.RIC.

N. 01675/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01872/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1872 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Wind Telecomunicazioni s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. G S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L P in Firenze, via Emanuele Repetti n. 11;

contro

Comune di Arezzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R R e S P, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli n. 40;

per l'annullamento

- dell'ordinanza n. 790 del 12.9.2012, notificata in data 23.10.2012, con cui il Comune di Arezzo ha ingiunto l'immediata disattivazione dell'antenna del settore 1 dell'impianto WIND entro 30 (trenta) giorni dalla notifica dell'ordinanza;

- di tutti gli atti ad essa preordinati, connessi e/o consequenziali ivi incluse, per quanto possa occorrere:

1) la deliberazione del Consiglio comunale n. 171 del 25.9.2008, con l a quale il Comune di Arezzo ha approvato il "Regolamento comunale per la realizzazione, gestione e controllo delle infrastrutture per telecomunicazioni", con particolare riferimento all'art. 14 che stabilisce che "l'Amministrazione comunale adotta il Piano Territoriale entro sei mesi dall'approvazione del presente regolamento";

2) la delibera del Consiglio comunale n. 33 del 29.2.2011, con la quale è stato adottato il Piano Territoriale delle Installazioni, ove essa dovesse risultare ostativa al mantenimento dell'impianto WIND realizzato ed attivato in località Talzano.

nonché per l’annullamento (chiesto con motivi aggiunti depositati in giudizio in data 11 aprile 2013):

del provvedimento n. 694 del 14.03.2013, recante il diniego dell'istanza di accertamento di conformità ai sensi del combinato disposto dell'art. 36 del T.U. edilizia e dell'art. 87 del D.Lgs n. 256/2003, presentata in data 12.11.2012 limitatamente al 1° settore dell'impianto Wind realizzato giusta autorizzazione comunale prot. 3347 del 14.11.2011 su impianto esistente di altro gestore.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Arezzo;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 novembre 2013 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente ha concluso un accordo con la Rete Ferroviaria italiana s.p.a. che prevede, per la copertura radio totale dell’infrastruttura ferroviaria e per consentire agli utenti della ferrovia di fruire del segnale telefonico, la realizzazione di impianti di telecomunicazione lungo la tratta dell’alta velocità.

Nel Comune di Arezzo risultava, quale zona idonea ad erogare il segnale telefonico nelle due direzioni (nord e sud) della tratta ferroviaria Firenze – Roma, un’area posta in località Talzano, ricadente nella particella 553 del foglio 16.

Pertanto la parte istante ha presentato al Comune istanza di autorizzazione ex art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, al fine di posizionare 3 antenne e 3 parabole su palo nel terreno individuato dal PRG come pertinenza ferroviaria.

L’Amministrazione, con provvedimento del 14.11.2011 (documento n. 9 allegato all’impugnativa), ha autorizzato temporaneamente, fino all’entrata in vigore del piano territoriale adottato, la modifica della postazione esistente idonea a fornire servizi di telefonia nelle ferrovie lenta e veloce che attraversano il territorio comunale, ha prescritto la non attivazione degli apparati del settore 1 ed ha previsto la decadenza dell’autorizzazione qualora, a seguito dell’approvazione del piano territoriale già adottato con deliberazione consiliare n. 33 del 28.2.2011, la postazione in argomento risultasse in contrasto o non prevista dal medesimo.

Il Comune, con nota del 20.7.2012, ha comunicato l’avvio del procedimento di rimozione delle difformità rispetto all’autorizzazione, dipendenti dall’avvenuta attivazione dell’antenna del settore 1.

L’istante ha replicato che tale antenna era stata attivata per consentire il completo collaudo e garantire la piena funzionalità del sistema telefonico.

Con ordinanza n. 790 del 12.9.2012 il Direttore del Servizio pianificazione urbanistica ha ordinato la disattivazione della predetta antenna del settore 1, assegnando il termine massimo di 30 giorni.

Avverso tale provvedimento e gli atti connessi la ricorrente è insorta deducendo:

1) violazione del d.lgs. n. 259/2003 e della L.R. n. 35/2011;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

2) sotto altro profilo: violazione del d.lgs. n. 259/2003 e della L.R. n. 35/2011;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

3) violazione del d.lgs. n. 259/2003violazione dell’art. 2933, comma 2, c.c. e dell’art. 34 del d.p.r. n. 380/2001;
violazione e falsa applicazione della L.R. n. 35/2011;
difetto di motivazione e di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

4) violazione del d.lgs. n. 259/2003, dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 e della L.R. n. 35/2011;
sopravvenuta inefficacia dell’ingiunzione di disattivazione;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

5) violazione di legge;
illegittimità derivata;
violazione dell’obbligo di disapplicazione del piano territoriale delle installazioni;
violazione della L.R. n. 35/2011;
sopravvenuta inefficacia dell’ingiunzione di disattivazione;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

6) sotto altro profilo: violazione di legge;
illegittimità derivata;
violazione dell’obbligo di disapplicazione del piano territoriale delle installazioni;
violazione della L.R. n. 35/2011;
sopravvenuta inefficacia dell’ingiunzione di disattivazione;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

Si è costituito in giudizio il Comune di Arezzo.

Dopo l’adozione della contestata ordinanza l’esponente ha presentato, in data 12.11.2012, domanda di accertamento di conformità avente ad oggetto l’antenna non autorizzata, in applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001.

Il Comune, con missiva del 24.1.2013, ha comunicato le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, ex art. 10 bis della legge n. 241/1990, precisando che l’attivazione dell’antenna 1 poteva considerarsi legittima solo se finalizzata ad esperire le operazioni di collaudo richieste dall’ARPAT, mentre invece l’attivazione è avvenuta ben prima e dopo il collaudo stesso, effettuato il 18.8.2012 (documento n. 3 depositato in giudizio l’11.4.2013);
con la suddetta nota l’Ente ha altresì evidenziato che l’inserimento dell’apparato di connessione relativo al settore 1 avrebbe potuto essere valutato nell’ambito della definizione del programma di piano di sviluppo della rete di telefonia per l’anno 2013, ai sensi della L.R. n. 49/2011.

L’Amministrazione, con determinazione datata 14.3.2013, ha quindi disposto “di non rilasciare l’accertamento di conformità”, adducendo a presupposto l’impossibilità di accogliere la richiesta di inserire la postazione de qua in sede di definitiva approvazione del Piano territoriale, essendo decaduti i termini di presentazione delle osservazioni, opponendo l’inapplicabilità dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 e facendo presente che, comunque, l’accertamento di conformità avrebbe esito negativo per contrasto col piano territoriale adottato, in applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 61 della L.R. n. 1/2005 e dell’art. 12, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001.

Il predetto diniego è stato impugnato con motivi aggiunti, deducendo:

1) violazione del d.lgs. n. 259/2003;
violazione e omessa applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001;
violazione della L.R. n. 35/2011 e dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

2) violazione del d.lgs. n. 259/2003;
violazione e omessa applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001;
violazione della L.R. n. 35/2011;
sopravvenuta inefficacia dell’ingiunzione di disattivazione;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

3) violazione di legge;
illegittimità derivata;
violazione dell’obbligo di disapplicazione del piano territoriale delle installazioni;
violazione della L.R. n. 35/2011;
incompetenza;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

Il Comune di Arezzo si è costituito in giudizio anche in relazione ai motivi aggiunti.

Con ordinanze n. 16 del 9.1.2013, n. 101 del 6.2.2013 e n. 170 del 20.3.2013 è stata accolta in via provvisoria l’istanza cautelare introdotta con il ricorso principale;
con ordinanza n. 237 dell’8.5.2013 è stata accolta l’istanza cautelare presentata con il ricorso principale e con i motivi aggiunti.

All’udienza del 6 novembre 2013 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

La deducente ha impugnato con il ricorso introduttivo l’ingiunzione di disattivazione del manufatto non autorizzato, mentre con i motivi aggiunti ha impugnato il diniego pronunciato sulla richiesta di sanatoria edilizia presentata, ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, dopo la notifica del provvedimento repressivo.

Il Collegio deve quindi preliminarmente valutare se la sopravvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria abbia o meno prodotto effetti sul ricorso originario, ovvero se ne abbia determinato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

Invero, secondo una cospicua parte della giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 22.8.2013, n. 4241;
TAR Lombardia, Milano, IV, 8.9.2010, n. 5159), la presentazione della domanda di accertamento di conformità o sanatoria, a fronte di un provvedimento repressivo dell’opera abusiva in precedenza emesso, ne farebbe venire meno l’efficacia, dovendo il medesimo essere sostituito o dal titolo rilasciato in sanatoria o, in caso di diniego, da un nuovo provvedimento sanzionatorio.

Secondo un altro indirizzo giurisprudenziale, invece, la presentazione dell’istanza di sanatoria pone l’ordine di rimozione dell’intervento abusivo in uno stato di temporanea quiescenza, con la conseguenza che, in caso di reiezione della suddetta istanza, il provvedimento repressivo riacquista efficacia (Cons. Stato, IV, 26.9.2013, n. 4818;
TAR Umbria, I, 1.8.2013, n. 405;
TAR Campania, Napoli, II, 27.5.2005, n. 7305).

Orbene, il Collegio ritiene di aderire a questa seconda opzione ermeneutica, secondo cui la presentazione della domanda ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 non costituisce un fatto idoneo a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio e, quindi, non determina di per sé l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento stesso, ma comporta solo un arresto temporaneo dell’efficacia della pregressa misura ripristinatoria, che dunque, riacquistando efficacia in caso di rigetto dell’istanza, deve essere eseguita entro il termine decorrente dalla conoscenza del diniego di sanatoria.

Infatti quest’ultimo non dà luogo ad alcuna modificazione sostanziale della preesistente realtà giuridica e quindi costituisce un tipico atto confermativo del precedente provvedimento sanzionatorio (Cons. Stato, IV, 26.9.2013, n. 4818).

Passando alla trattazione del merito del ricorso principale, si osserva quanto segue.

Con il primo motivo la ricorrente deduce che la competenza ad adottare l’ordinanza in questione appartiene al Ministero delle Comunicazioni, e non al dirigente comunale;
aggiunge che mancherebbe un’adeguata motivazione, non avendo il Comune dato contezza di accertamenti circa la sussistenza di pericoli per la pubblica incolumità e della possibilità di adottare una misura di salvaguardia in alternativa all’ordine di disattivazione;
l’esponente lamenta altresì il difetto di una compiuta ponderazione degli interessi in gioco ed invoca l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il potere di ordinanza extra ordinem ha come presupposto l’impossibilità di affrontare esigenze contingibili e urgenti con gli ordinari mezzi giuridici.

I rilievi sono infondati.

L’ordinanza in argomento assume a presupposto la mancanza di una preventiva autorizzazione legittimante il manufatto in questione e si pone come atto consequenziale rispetto al provvedimento del 14.11.2011 (peraltro non impugnato), con il quale il Comune accoglieva solo parzialmente la domanda di autorizzazione dell’interessata e disponeva la non attivazione degli apparati del settore n. 1.

A fronte di quest’ultima intangibile determinazione, costituente sostanzialmente un diniego di autorizzazione ad installare il manufatto oggetto della contestata ordinanza, l’ordinanza stessa, quale atto vincolato ai sensi dell’art. 14 della L.R. n. 49/2011, trova adeguata motivazione nell’evidenziato contrasto con la prescrizione dettata dal citato provvedimento del 14.11.2011.

Inoltre, l’art. 14, comma 1, della L.R. n. 49/2011 demanda espressamente al Comune la potestà di adottare l’ordine di cessazione dell’esercizio dell’impianto di radiocomunicazione, in caso di accertata assenza del titolo abilitativo.

Pertanto non ha pregio il riferimento espresso nel gravame alla competenza del Ministero o a principi valevoli per le ordinanze contingibili e urgenti, alle quali non è riconducibile l’impugnato atto repressivo, il quale non è finalizzato alla tutela della pubblica incolumità o al soddisfacimento di esigenze contingibili e urgenti, ma si inquadra nell’ambito della disciplina legislativa regionale in materia di impianti di radiocomunicazione, che vede il Comune come amministrazione legittimata alla programmazione, al rilascio delle necessarie autorizzazioni, al controllo sul corretto inserimento territoriale delle antenne ed all’attività repressiva.

Né potrebbe essere addotta la competenza del Sindaco, trattandosi non di atto di indirizzo politico amministrativo, ma di atto di gestione ex art. 107 del d.lgs. n. 267/2000, la cui emanazione è vincolata, una volta accertata la mancanza del prescritto titolo abilitativo ovvero la sussistenza dei presupposti indicati dal legislatore regionale, e rientra quindi nelle attribuzioni dirigenziali.

Con la seconda censura l’esponente sostiene che l’adozione dell’ordine di disattivazione è prevista dalla normativa regionale (L.R. n. 35/2011 - rectius: L.R. n. 49/2011-) solo a compimento di un lungo iter procedurale e solo in caso di superamento dei limiti di emissione;
aggiunge che il gravato provvedimento è illegittimo anche in ragione della brevità del termine assegnato (30 giorni) ai fini della sua esecuzione e che il legislatore non prevede lo spegnimento dell’impianto ma semmai la delocalizzazione;
il deducente evidenzia che il piano degli impianti non è stato ancora definitivamente approvato, e che quindi sarebbe irragionevole disporre la disattivazione di un’antenna che potrebbe poi risultare compatibile con lo strumento programmatorio definitivo.

Le doglianze non possono essere accolte.

L’impugnata ordinanza trova una puntuale previsione nell’art. 14, comma 1, della L.R. n. 49/2011, il quale sanziona l’attivazione di un impianto privo del necessario titolo abilitativo con l’ordine di cessazione immediata del suo esercizio.

Pertanto, sia la brevità del termine assegnato, sia l’ordine di disattivazione dell’impianto sono chiaramente legittimati dalla predetta norma legislativa.

Privo di pregio è il richiamo, da parte della ricorrente, all’art. 4, lett. b, della L.R. n. 35/2011 (rectius: L.R. n. 49/2011), in quanto tale norma disciplina il diverso caso delle azioni di risanamento necessarie a garantire il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi ad impianti autorizzati, mentre il caso delle antenne abusivamente installate trova la propria rigorosa disciplina sanzionatoria nel citato art. 14 comma 1.

Né potrebbe rilevare il profilo di irragionevolezza scaturente, secondo l’interessata, dalla possibile compatibilità con il piano definitivamente approvato.

Tale censura è infatti inammissibile.

Invero la ricorrente aveva presentato, in data 5.3.2011, domanda di autorizzazione di un impianto costituito da 3 settori trasmittenti (documento n. 5 allegato all’impugnativa), dei quali il n. 2 e 3 orientati verso la linea ferroviaria, ed il n. 1 verso l’abitato di Indicatore, e tale domanda ha trovato accoglimento solo per i settori n. 2 e 3, mentre il settore n. 1 è stato oggetto di prescrizione di non attivazione espressa con il provvedimento del 14.11.2011, come risulta dall’ordinanza oggetto di gravame.

Orbene, la dedotta censura incentrata sull’illogicità costituisce un profilo di illegittimità derivata dalla suddetta autorizzazione parziale (che però non è stata impugnata ed è ormai inoppugnabile), con la quale il Comune ha assentito (peraltro in via provvisoria) la realizzazione della sola parte di impianti riferita alla strada ferrata e ha disposto contestualmente la non attivazione dell’apparato del settore 1, ovvero del manufatto oggetto della contestata ordinanza, la cui adozione scaturisce quindi dall’inosservanza della suddetta autorizzazione (o diniego) parziale.

Il rapporto di stretta consequenzialità tra quest’ultimo atto e l’ingiunzione oggetto di gravame, comunque, fa sì che la stessa costituisca provvedimento vincolato e quindi non possa essere inficiata da vizi che, come il dedotto profilo sintomatico di eccesso di potere, attengono invece alla discrezionalità dell’azione amministrativa.

Con il terzo motivo la società istante lamenta che l’Ente non ha considerato che, alla luce delle osservazioni da essa presentate, risultava che l’antenna del settore n. 1 era stata attivata per consentire il completo collaudo di quanto previsto nel parere positivo dell’Arpat, con conseguente violazione dell’art. 2933 c.c. (che vieta la distruzione del bene che sia di pregiudizio all’economia nazionale) e dell’art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 (il quale, oltre a prevedere il maggior termine di 120 giorni per la demolizione dell’opera abusiva, prescrive l’irrogazione di una sanzione pecuniaria qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte conforme al titolo edilizio), essendo mancata la valutazione della possibilità che la porzione abusiva sia demolita senza pregiudizio per la restante struttura.

L’assunto è infondato.

La disciplina sanzionatoria dell’abuso realizzato dalla deducente è sancita dalla legislazione speciale sugli impianti di telefonia, ovvero dall’art. 14 della L.R. n. 49/2011, il quale non distingue tra difformità totale o parziale dal titolo abilitativo e ammette che l’ordine di messa in pristino assegni al destinatario un termine esiguo (immediato) di esecuzione e quindi inferiore a 120 giorni.

Inoltre, l’art. 34 del d.p.r. n. 380/2001 citato nel ricorso non prevede l’invocato termine di 120 giorni per l’esecuzione dell’ordine di demolizione, ma, a differenza del previgente art. 12 della legge n. 47/1985, si limita a sancire un termine “congruo”, la fissazione della cui durata è rimessa alla valutazione discrezionale del dirigente comunale.

Peraltro i tre settori trasmittenti sono ben distinti tra loro, in quanto due sono orientati parallelamente alla ferrovia, mentre l’altro (quello interessato dall’antenna abusiva) è orientato verso l’abitato della località denominata Indicatore (si veda l’autorizzazione temporanea parziale, assunta a presupposto dell’atto impugnato –documento n. 5 annesso all’impugnativa-). Ne discende che l’antenna in questione, distinta e possibile oggetto di autonoma autorizzazione, è rimovibile o disattivabile senza incidere sull’assetto statico edilizio della parte conforme (né avendo, del resto, la ricorrente dedotto alcunché in senso contrario).

Invero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale al quale il Collegio ritiene di aderire, il pregiudizio recato dall’eliminazione della porzione abusiva alla parte coerente con il titolo edilizio, ex art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, va inteso come pregiudizio alla stabilità della struttura, e non anche come nocumento causato alla funzionalità (Cons. Stato, VI, 9.4.2013, n. 1912;
Cass. pen., III, 15.10.2003, n. 44420), e la prova di tale pregiudizio fa carico non all’Amministrazione ma all’interessato (TAR Toscana, III, 1.7.2013, n. 1006).

Con la quarta doglianza l’esponente deduce che la contestata ordinanza è superata dalla sopraggiunta presentazione, in data 7.11.2012, della domanda di accertamento di conformità, la quale determinerebbe l’improcedibilità del ricorso avente ad oggetto l’ordinanza stessa o comunque la renderebbe illegittima.

Il rilievo non è condivisibile.

Vale al riguardo quanto osservato preliminarmente dal Collegio.

Con il quinto motivo la ricorrente contesta la parte dell’atto impugnato nella quale il Comune esclude, stante la difformità dal piano territoriale adottato, che sia percorribile il procedimento di sanatoria;
a tal proposito l’istante obietta che sussiste comunque la possibilità di adeguare il piano esistente e che non è opponibile uno strumento pianificatorio in itinere.

Le censure sono inammissibili.

Poiché il contestato provvedimento si sottrae alle censure finora esaminate, la sua legittimità trovando fondamento nel diniego di autorizzazione e nell’art. 14, comma 1, della L.R. n. 49/2011, la censura in esame, ove pure fosse accolta, non comporterebbe la caducazione dell’atto impugnato. Pertanto, non sussiste interesse alla proposizione della stessa.

In ogni caso l’aspetto su cui si sofferma l’interessata con il motivo in esame è superato dal successivo diniego di sanatoria, fondato anche su una valutazione che prescinde dalla pregiudiziale dichiarazione di non accettabilità della domanda di sanatoria.

Con la prima parte della sesta censura la ricorrente, nel proseguire la sua contestazione della inammissibilità della domanda di sanatoria dichiarata nell’atto impugnato, invoca l’art. 86, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 259/2003, che consentirebbe l’installazione degli impianti di telefonia cellulare, parificati alle opere di urbanizzazione primaria, su aree pubbliche o private idonee alle esigenze di funzionamento della rete.

La doglianza è inammissibile.

Valgono al riguardo le considerazioni espresse dal Collegio nella trattazione del precedente motivo di gravame e, comunque, il contestato profilo della gravata ordinanza è superato dalla successiva determinazione, oggetto di motivi aggiunti, assunta sull’istanza di sanatoria.

Con la seconda parte della sesta censura l’istante, nel soffermarsi ancora sulla inammissibilità della domanda di sanatoria preannunciata nell’atto impugnato, sostiene che, qualora il Comune avesse adottato il piano delle antenne allo scopo di imporre l’installazione prioritariamente sulle aree in esso individuate, il responsabile avrebbe dovuto procedere alla sua disapplicazione, alla luce dell’art. 3 della legge n. 36/2001 e dell’art. 86 del d.lgs. n. 259/2003.

Il rilievo è inammissibile.

Il primo atto applicativo del censurato piano delle antenne è l’autorizzazione parziale del 14.11.2011, non impugnata. Pertanto, poichè il dedotto vizio di violazione dell’art. 86 comma 1 del d.lgs. n. 259/2003 riguarda il suddetto inoppugnabile provvedimento, da cui deriva quale atto consequenziale l’ingiunzione oggetto di gravame, sotto tale aspetto la doglianza è inammissibile per difetto di interesse;
inoltre, pur prescindendo da tale constatazione, varrebbero comunque le valutazioni espresse nella trattazione del quinto motivo.

Entrando nella trattazione del merito dei motivi aggiunti, si osserva quanto appresso.

Con la prima censura l’istante contesta la motivazione dell’impugnato diniego nella parte in cui il Comune oppone l’avvenuta decadenza dei termini di presentazione delle osservazioni sul piano territoriale adottato;
al riguardo l’esponente replica che in realtà sarebbe possibile adeguare il piano con la previsione dell’installazione dell’antenna in argomento.

L’assunto non è condivisibile.

Il piano territoriale per la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici può essere aggiornato sulla base di sopravvenute esigenze e, stante la propria funzione programmatoria, deve precedere, e non seguire, l’installazione degli impianti di telefonia o radiocomunicazione.

In ogni caso resta decisiva l’altra motivazione del gravato provvedimento, incentrata sul ravvisato contrasto dell’istanza con il piano adottato.

Con la seconda censura l’istante lamenta la violazione dell’art. 10, comma 4, della L.R. n. 49/2011, il quale ammette, in caso di urgenza, il rilascio del titolo abilitativo per impianti non inseriti nel programma comunale delle installazioni e, quindi, consente il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria, giacché il settore n. 1 sarebbe indispensabile per la copertura di parte rilevante del territorio comunale;
aggiunge che è illegittima la delibera che impone l’installazione di impianti di telefonia esclusivamente su alcune aree e rimarca la compatibilità dell’impianto con la disciplina edilizia, urbanistica e sanitaria prescritta, in quanto esso ricade in area di pertinenza ferroviaria ed è stato valutato, dall’organismo preposto ai controlli ex art. 14 della legge n. 36/2001, come compatibile rispetto ai limiti di emissione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità.

Le doglianze non sono condivisibili.

L’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, in applicazione del quale la ricorrente ha presentato la propria istanza, prevede come unico parametro di riferimento lo strumento di pianificazione territoriale, senza che rilevi l’astratta possibilità di realizzare il manufatto in forza di apposito provvedimento autorizzatorio ed in deroga alle previsioni dell’atto generale di programmazione.

Invero tale eccezionale titolo abilitante, ammesso in via d’urgenza, riguarda necessariamente un manufatto di futura realizzazione, mentre invece gli interventi già realizzati trovano la propria unica fonte di regolarizzazione nell’eccezionale istituto dell’accertamento di conformità o titolo edilizio in sanatoria ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 ed art. 140 della L.R. n. 1/2005.

Con la prima parte del terzo motivo l’esponente contesta la parte dell’atto impugnato in cui il Comune dichiara di ritenere inapplicabile l’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001.

La censura non può essere accolta, nei sensi appresso precisati.

Se è vero che anche per gli impianti di telefonia è applicabile l’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 (TAR Campania, Napoli, I, 2.2.2005, n. 705;
TAR Puglia, Lecce, II, 5.1.2008, n. 13), è altrettanto vero che il Comune, pur ritenendo che la sanatoria edilizia non possa attagliarsi agli impianti di telefonia, nel gravato provvedimento precisa che facendo applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 l’accertamento di conformità avrebbe esito negativo, alla luce dell’acclarato contrasto con il piano territoriale adottato.

Pertanto, il diniego di accoglimento dell’istanza trae ragione anche dalla ravvisata valenza ostativa del citato art. 36, sulla quale si sofferma infatti la ricorrente con il successivo rilievo.

Con la seconda parte del terzo motivo l’istante, nel contestare il riferimento, espresso nell’atto impugnato, all’esito negativo dell’accertamento di conformità, lamenta l’omessa considerazione della normativa di legge avente rango superiore alla disposizione pianificatoria.

La censura è infondata.

L’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, su cui si basa l’istanza dell’interessata, costituisce norma eccezionale, di stretta interpretazione (TAR Campania, Napoli, VII, 26.11.2012, n. 4796), che assume a necessario presupposto dell’autorizzazione in sanatoria la coerenza dell’intervento rispetto allo strumento di pianificazione, essendo riferita ai soli abusi formali.

I parametri di raffronto della valutazione della domanda di regolarizzazione non possono essere colti nella legislazione speciale in materia di installazione di impianti di telefonia cellulare, in quanto quest’ultima non contempla in alcun modo il rilascio in sanatoria di titoli abilitanti, cosicché è solo nell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 che è dato rinvenire la fonte di legittimazione del procedimento di accertamento di conformità;
tale norma, dettando una disciplina esaustiva e circoscritta agli abusi formali, non può recepire i principi di semplificazione e accelerazione sanciti con riguardo alla diversa fattispecie del rilascio della preventiva autorizzazione all’installazione di impianti di telefonia.

In conclusione, il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti vanno respinti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

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