TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2020-05-15, n. 202000138

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2020-05-15, n. 202000138
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Campobasso
Numero : 202000138
Data del deposito : 15 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/05/2020

N. 00138/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00140/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 140 del 2013, proposto da
L L, M T, N C, D A, Luigi D’Onofrio, M C, S L M, A M P, O T, C D M, G D C, D F, G D R, L C, M M, G A, M B, L M, I S, F A, M A, F G, M A, L A, D E E B, M B, F N R, C A D I, N P, M P, A D L, D B, M D P, V B, M A D Z, R M, M D R, G R, Gianluca D’Addario, G S, A Z, G M, D S, R G, F C, A B, A D V, M G R, P F, G B, Mario Ciccotelli, Giuseppe Ciliberto, Lorenzo Antonio Curcelli, Salvatore Paolo Del Buono, Antonio Di Biase, Daniel Di Domenico, Nicolino Di Michele, Anna Di Niro, Bonifacio Antonio Di Palma, Giovanni Di Tota, Michele D’Amico, Marco Vincenzo D’Imperio, Pasquale D’Onofrio, Giovanni Finizio, Nicola Fratangelo, Mauro Gesualdi, Antonio Izzi, Francesco Izzi, Giovanni Lomma, Carmine Maglione, Mario Mancinelli, Francesco Paolo Manzi, Tonino Marchetta, Francesco Mascolo, Matteo Melillo, Bruno Matticoli, Giovanni Molinaro, Arcangelo Morea, Luigi Nista, Michele Palumbo, Michele Petti, Gaetano Petrella, Giuseppe Ricciardi, Francesco Santoro, Carmen Schiavone, Salvatore Pasquale Storto, Palmerino Stroia, Carmine Tana, Tonino Ursillo, Donatello Bavota, Lino Zoglio, rappresentati e difesi dagli avvocati Ennio Cerio e Nicola Bonaduce, con domicilio eletto in Campobasso, via Mazzini, 101;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via Insorti d’Ungheria, 74;

per l’accertamento

dell’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sull'istanza notificata dai ricorrenti avente ad oggetto la richiesta di corresponsione del compenso per lo straordinario effettuato per le ore eccedenti le 36 ore settimanali

e per l’accertamento e la declaratoria del diritto dei ricorrenti alla corresponsione del compenso spettante a ciascuno per ogni periodo di servizio svolto nell’ultimo quinquennio per ore di straordinario effettuate e non pagate;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2020 il dott. D B e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020;

I ricorrenti, tutti dipendenti del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e in forza al carcere di Larino, hanno esposto in fatto di aver prestato plurime ore di straordinario nei giorni di riposo spettanti, allegando il loro mancato pagamento da parte dell'Amministrazione;
a sostegno della correlata pretesa hanno richiamato gli artt. 11 e 19 della l. 395/1990, nonché l'art. 10 del D.P.R. 11 settembre 2007, n. 170.

Con istanza dell’8 dicembre 2012, trasmessa all’Amministrazione resistente a mezzo raccomandata a/r e ricevuta il 27 dicembre 2012, gli odierni ricorrenti hanno chiesto quindi il compenso spettante per le ore di straordinario, eccedenti le 36 ore settimanali.

Tale richiesta è rimasta priva di riscontro.

Con ricorso avverso il silenzio depositato il 2 maggio 2013 i ricorrenti hanno chiesto che venisse accertato l’obbligo dell’Amministrazione a provvedere sulla detta istanza.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Con sentenza non definitiva n. 580/13 del 25 luglio 2013, questo TAR ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso relativamente all’accertamento del silenzio-inadempimento serbato dalla P.A. e ha disposto il mutamento del rito per la trattazione della domanda di accertamento del diritto alla corresponsione del compenso spettante per ogni periodo di servizio svolto nell’ultimo quinquennio per ore di straordinario effettuate e non pagate.

All’udienza straordinaria del 21 novembre 2019, avvisate le parti di una eventuale inammissibilità del ricorso ex art. 73 c.p.a., il difensore della parte ricorrente ha chiesto e ottenuto il rinvio della causa all’udienza pubblica del 29 aprile 2020.

All’udienza del 29 aprile 2020 la causa è stata introitata per la decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020.

In via pregiudiziale, il Collegio ritiene di dovere dichiarare la perenzione del giudizio per L M, Anna Di Niro e Fracesco Paolo Manzi, i quali non hanno presentato rituale istanza di fissazione di udienza, debitamente sottoscritta come prescritto dall’art. 82, primo comma, d. lgs. n. 104/10. Il Tribunale rileva infatti che l’istanza di fissazione, costituendo manifestazione di interesse alla definizione del ricorso, deve essere sottoscritta da ogni singolo ricorrente di talché la sottoscrizione di alcuni non si estende, quanto al prodursi dell’effetto preclusivo della perenzione, agli altri ricorrenti non firmatari.

La domanda deve essere rigettata per tutti gli altri ricorrenti che hanno depositato tempestiva istanza di fissazione dell’udienza ex art. 82 c.p.a..

A sostegno del ricorso, gli interessati hanno esposto che:

a) il loro orario di lavoro è di 36 ore settimanali, con diritto a un giorno di riposo settimanale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 19 della L. 15.12.1990 n. 395 e dell’art. 10 del d.P.R. 11.09.2007 con il quale è stato recepito il contratto collettivo nazionale delle forze di polizia;

b) qualora esigenze di servizio lo richiedano gli agenti sono tenuti a svolgere lavoro straordinario oltre le 36 ore settimanali, con diritto al compenso maggiorato (art. 11 comma II, legge 395/1990);

c) l’agente può essere chiamato in servizio anche nel giorno destinato al riposo con diritto al recupero del riposo non fruito e alla corresponsione di un’indennità per il disagio ai sensi dell’art. 11 comma V, l. 395/1990 e art. 10 comma III, del d.P.R. 170/2007;

d) agli agenti non è stata corrisposta né l’indennità per il disagio subito previsto dall’art. 10 comma 3 del C.C.N.L. né la retribuzione maggiorata per lavoro straordinario.

In primo luogo occorre rilevare che la domanda è stata dedotta del tutto genericamente, come correttamente osservato dalla difesa erariale, da ultimo con la memoria depositata il 26 marzo 2020. Da un lato infatti, i ricorrenti omettono l’allegazione e la precisa indicazione del periodo temporale cui la richiesta di pagamento si riferisce, rimettendola inammissibilmente <<
a giustizia >>: non è puntualmente indicato nel ricorso, né nella successiva memoria (depositata l’11 giugno 2013) il periodo in cui i ricorrenti avrebbero svolto l’attività di lavoro straordinario.

Il riferimento al periodo di servizio svolto nell’ultimo quinquennio non chiarisce sufficientemente l’arco temporale da considerarsi (se decorrente dall’istanza presentata in via amministrativa, dalla notifica del ricorso o dal suo deposito presso la Segreteria del TAR). Né ciascun ricorrente si è premurato di indicare negli scritti difensivi il proprio monte ore di lavoro eccedente quello ordinario, in modo da consentire all’Amministrazione di difendersi in relazione a ciascuna posizione.

Non può sopperire a tale radicale deficit di allegazione la richiesta istruttoria formulata in ricorso e tesa ad ottenere un ordine di esibizione per l’acquisizione della documentazione attestante le ore di straordinario prestate dai ricorrenti. Da un lato infatti la richiesta è generica per l’assenza di una specifica individuazione dell’arco temporale del servizio straordinario svolto, dall’altro lato la stessa ha contenuto evidentemente esplorativo.

Neppure è invocabile al caso di specie il principio di vicinanza della prova, vuoi per la già richiamata genericità della richiesta, vuoi perché in materia – trattandosi di questioni di diritto soggettivo – vige l’applicazione rigorosa dell’onere della prova, che spetta al lavoratore in ordine alla sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi della domanda, con l’avvertenza che nell’azione in parola, il principio dispositivo in generale discendente dall'art. 2697, 1° co., c.c. opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento.

Il lavoratore che chiede in via giudiziale il compenso per il lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario normale e, quindi, di fornire la prova puntuale delle ore di lavoro svolte in eccedenza. Tale onere probatorio investe, dunque, sia la prova dello svolgimento della prestazione lavorativa nell'orario normale, sia quella dell'espletamento della prestazione lavorativa oltre tale orario, sia, infine, quella dell'articolazione di detta prestazione, con riferimento ad eventuali pause godute al fine di poter puntualmente ricostruire la prestazione resa. Infatti, il lavoratore-attore deve fornire non già genericamente la prova dell' an , di aver cioè svolto lavoro straordinario, ma anche la prova, sia pure in termini minimali, della collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro, ovvero non solo del quanto, ma anche del quando i limiti di orario di fatto siano stati superati, senza che il giudice possa ovviare a carenze probatorie facendo ricorso a valutazioni equitative (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 26/04/2019, n. 491).

Tale onere non può essere ritenuto assolto con la produzione documentale effettuata il 13 marzo 2014, essendo mancato il preliminare stadio dell’allegazione puntuale e, comunque, lo specchietto ivi riportato non indica la precisa collocazione temporale della prestazione lavorativa straordinaria, riportando, mese per mese, solo il monte ore asseritamente lavorate oltre le 36 ore settimanali.

Va da ultimo considerato altresì che nella pubblica amministrazione in generale esistono rigide norme sulla possibilità di riconoscere il pagamento di prestazioni straordinarie entro limiti precisi di compatibilità di spesa e di bilancio. Ciò comporta la necessità di atti formali di autorizzazione, adeguatamente motivati e coerenti con i limiti massimi consentiti, assenti nel caso di specie.

Dalla documentazione depositata dalla parte ricorrente, non emerge una specifica autorizzazione (neanche postuma) allo svolgimento di lavoro straordinario, in cui sia dato atto delle esigenze di servizio giustificatrici delle ulteriori prestazioni lavorative richieste. Infatti, tale non può ritenersi la già richiamata produzione degli specchi rappresentativi dell'attività svolta perché, da un lato, si tratta di documento non proveniente dall’Amministrazione e dall’altro lato non reca alcuna autorizzazione né motivazione dell'autorizzazione medesima allo svolgimento di attività lavorativa straordinaria.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la pretesa dei ricorrenti di ottenere il pagamento a titolo di lavoro straordinario delle ore lavorative prestate in eccedenza rispetto al normale orario, si dimostra infondata.

Per completezza, occorre precisare che la fattispecie oggi in esame si discosta in maniera significativa dal precedente di questo TAR (sent. n. 616/2013 del 17 ottobre 2013) – prodotto dai ricorrenti mediante deposito effettuato il 27 aprile 2020 - perché in quel giudizio, a differenza di questo, non vi è stata contestazione sul fatto che i ricorrenti abbiano svolto la loro attività lavorativa in giornate destinate invece al riposo ed in eccedenza alle 36 ore settimanali. Nel richiamato precedente, peraltro la sentenza dà conto del fatto che <<
l’Amministrazione, unica depositaria della documentazione idonea a comprovare il <fatto>
sopra descritto con vari pretesti ha sostanzialmente rifiutato l’accesso alla stessa>>,
circostanza quest’ultima che non emerge dall’esame degli atti processuali del presente giudizio.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste a carico delle parti ricorrenti, ad esclusione dei soggetti per i quali il ricorso è stato dichiarato perento.

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