TAR Catania, sez. II, sentenza 2011-12-07, n. 201102911
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N. 02911/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01220/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1220 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da M C, rappresentato e difeso dall'avv. A G, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Crociferi, 60;
contro
il Comune di Randazzo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via E. A. Pantano, 118;l’Assessorato alla Presidenza della Regione siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso la quale ope legis domicilia in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per il risarcimento
dei danni derivanti dalla occupazione acquisitiva di terreno sito nel Comune di Randazzo, foglio 57, particelle 4 e 341 in parte (oggi totalmente particelle 866 e 870),
nonché
- con primi motivi aggiunti: per l’annullamento del decreto del Comune di Randazzo 24 febbraio 2010, n. 4, con cui è stata pronunciata espropriazione dei terreni di cui si tratta;
- con secondi motivi aggiunti: per l’annullamento della determina del Comune di Randazzo 26 febbraio 2009, n. 7, con cui è stato prorogato il termine finale di espropriazione.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Randazzo e della Presidenza della Regione siciliana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2011 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 8 maggio 2009 e depositato in data 13 maggio 2009, il ricorrente esponeva che il Comune di Randazzo, in seguito a procedura espropriativa si era immesso nel possesso di terreni di sua proprietà, siti in Randazzo, Contrada Camporè, censiti al foglio 57, particelle 341 e 4 (quest’ultima poi modificata in particella 798) e li aveva irreversibilmente trasformati, lasciando però scadere sia il termine finale per la conclusione delle espropriazioni sia il termine finale per l'occupazione d’urgenza senza emettere il decreto di esproprio.
Esponeva inoltre di aver essersi reso disponibile alla cessione bonaria degli immobili, percependo anche, a titolo di anticipo, l'importo di euro 37.308,92, ma che la scadenza del termine per la conclusione della procedura di espropriazione senza che il Comune avesse adottato un idoneo atto di trasferimento dei beni avrebbe travolto l'intero procedimento espropriativo, con la conseguenza che il passaggio della proprietà si sarebbe realizzato per effetto della illecita trasformazione del terreno.
Facendo derivare la perdita della proprietà dei fondi dalla loro irreversibile trasformazione, chiedeva quindi il risarcimento dei danni per equivalente, da liquidarsi nella misura del valore venale del bene alla data di scadenza dei termini di pubblica utilità o, in subordine, alla data di scadenza del periodo di occupazione legittima, oltre interessi legali e rivalutazione da tale data fino al soddisfo;chiedeva anche, in via subordinata, la condanna dell'amministrazione alla restituzione del terreno e il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima, oltre interessi legali e rivalutazione fino al soddisfo.
Si costituiva il Comune di Randazzo con comparsa di mera forma.
Nelle more del giudizio, veniva emesso dal Comune di Randazzo il decreto 24 febbraio 2010, n. 4, con cui è stata pronunciata espropriazione del terreno «…Foglio 57 part. 866 (ex part. 798), mq 2.295,00 – part. 870 (ex part. 341) mq 189,00…» . Tale decreto veniva impugnato con ricorso per motivi aggiunti, notificato, oltre che al Comune resistente, anche alla Regione siciliana.
Il ricorso era affidato ai seguenti motivi: 1) illegittimità derivata per gli stessi vizi denunciati con il ricorso introduttivo;2) violazione dell’art. 13 della legge 2359/1865, essendo stato emesso dopo lo spirare del termine finale per la conclusione delle espropriazioni.
Si costituivano sia la Presidenza della Regione siciliana che nuovamente il Comune di Randazzo, entrambi con comparsa di mera forma;successivamente, sia la Presidenza della Regione siciliana che il Comune di Randazzo depositavano documentazione in data 27 gennaio 2011;quindi, con atto depositato il 4 febbraio 2011, il Comune di Randazzo spiegava difese in rito e nel merito.
A seguito del deposito, fra gli altri atti, della determina del Comune di Randazzo 26 febbraio 2009, n. 7, di proroga del termine finale per l’espropriazione, il ricorrente proponeva avverso tale determina un secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il ricorso era affidato ai seguenti motivi: 1) violazione degli articoli 8 e seguenti della LR 10/1991, per non essere stata la determina impugnata preceduta da alcuna comunicazione di avvio del procedimento;2) errore sul presupposto: la determina impugnata non inciderebbe sul termine finale del periodo di occupazione, con il risultato che il comune resistente avrebbe già acquisito il bene per accessione invertita alla scadenza del termine di occupazione legittima;3) falsa applicazione dell'articolo 13 del DPR 327/2001 - erroneità del presupposto: alla data di adozione della determina impugnata il termine finale per le espropriazioni sarebbe già scaduto;4) violazione dell'articolo 13, comma 5, del DPR 327/2001- difetto ed insufficienza della motivazione e incompetenza: il dirigente che aveva adottato la determina sarebbe stato incompetente dal momento che la proroga avrebbe dovuto essere adottata dalla giunta municipale, e non vi sarebbe alcuna motivazione in ordine alle ragioni che abbiano impedito il rispetto dei termini.
Con ordinanza 16 maggio 2011, n. 1233 Reg. Prov. Coll., questa Sezione ha disposto il compimento di istruttoria ed ha rinviato per il prosieguo della trattazione alla udienza pubblica del 5 ottobre 2011, nel corso della quale il ricorso è stato trattato e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, devono essere delibate le eccezioni proposte dalla difesa del Comune di Randazzo.
Il Comune eccepisce il suo difetto di legittimazione passiva «…in quanto ha agito in nome e per conto della Pubblica Amministrazione delegante e non ha posto in essere alcuna attività che sia direttamente riferibile al Comune stesso…» (memoria depositata il 4 febbraio 2011, pag. 4): il progetto, inerente la realizzazione di una sede per un distaccamento dei Vigili del Fuoco, sarebbe stato approvato dall’Ufficio regionale di protezione civile che, con nota prot. n. 9528 del 6 ottobre 1999, avrebbe comunicato l’inserimento dell’intervento fra quelli di cui alla legge 433/1991.
L’eccezione è agevolmente superabile sulla base della condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana secondo cui, in subiecta materia , sussiste la responsabilità solidale dell’ente delegante e di quello delegato «…Il Consiglio richiama in proposito quanto rilevato in controversia analoga dalla V Sezione del Consiglio di Stato (decisione 12 giugno 2009, n. 3677): “la Sezione ritiene che l'occupazione appropriativa delle aree integri un fatto illecito di cui sono corresponsabili l'ente delegante e quello delegato, in quanto entrambi interessati all'acquisizione delle aree…» (CGARS, 19 aprile 2011, n. 305).
L’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti per difetto di interesse, in quanto non sarebbero stati impugnati i provvedimenti comunali 8/2004 e 1/2004, è anch’essa agevolmente superabile.
Secondo la difesa del Comune, da tali provvedimenti si evincerebbe che la procedura espropriativa avrebbe avuto inizio in data 4 marzo 2004, data della immissione nel possesso dei terreni, con la conseguenza che il decreto di esproprio, datato 24 febbraio 2010, tenendo conto della proroga dei termini operata con determina 7 del 26 febbraio 2009, sarebbe stato emanato tempestivamente.
Secondo quanto si vedrà in prosieguo, diversamente da quanto sostenuto dal Comune, non si può ritenere che i citati provvedimenti 8/2004 e 1/2004 individuino la data di inizio della procedura espropriativa nel 4 marzo 2004;peraltro, la difesa del Comune sul punto afferisce al merito della vicenda, non potendo dare luogo alla inammissibilità degli atti impugnatori, ma – semmai – al loro rigetto;inoltre, gli argomenti difensivi del Comune contrastano con una lettura piana dei due provvedimenti, in entrambi i quali si legge «…è stato avviato il relativo iter procedurale in data 14/11/2003 (…) le operazioni di esproprio dovranno concludersi entro anni cinque dalla data di inizio delle stesse» ;in ultimo, la citata ordinanza 1/2004 si riferisce alla occupazione di urgenza e non al procedimento di esproprio.
In definitiva, poiché il ricorrente sostiene la tesi che i termini per la definizione del procedimento espropriativo sarebbero scaduti il 14 novembre 2008, così concordando con il contenuto dei due provvedimenti non aveva l’onere di impugnarli, trattandosi di atti per lui non lesivi.
Parimenti agevolmente superabile è l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti per difetto di interesse, in quanto non sarebbero stati impugnati né la nota 166/UT del Comune di Randazzo, né «… la determinazione n. 7 del 26 febbraio 2009, provvedimento con cui il termine di ultimazione della procedura espropriativa è stato prorogato al 3 marzo 2010…» (memoria depositata il 23 settembre 2011, p. 5;eccezione già sollevata anche nella memoria depositata il 4 febbraio 2011).
Con riferimento a tale ultimo provvedimento, quanto dedotto dalla difesa del Comune appare contraddetto dagli atti;il ricorrente risulta infatti aver notificato (in particolare, per il Comune resistente, al domicilio eletto presso il difensore) in data 7 febbraio 2011, anteriormente alla riproposizione della eccezione di inammissibilità, e depositato in data 15 febbraio 2011, un secondo ricorso per motivi aggiunti, con cui chiede l'annullamento della determinazione 7/09 di cui si tratta.
Con riferimento alla nota 166/UT del 25 febbraio 2009, con cui, a detta della difesa del Comune «…è stato chiaramente comunicato che il termine ultimo per la procedura di espropriazione era da considerarsi il 4 marzo 2009…» , non si rinviene, nel corpo del documento alcun passaggio atto a sostenere la tesi difensiva citata, né esplicitamente, né implicitamente.
Nella citata nota non vi è infatti alcun riferimento espresso al termine del 4 marzo 2009;anzi, da una sua lettura, si deve escludere che il Comune potesse ritenere che tale data fosse quella entro cui avrebbe dovuto essere emanato il decreto di esproprio;si legge infatti nell’atto che «…qualora, entro 45 giorni dalla notifica della presente la S.V. non dovesse far pervenire la documentazione richiesta, si procederà all’emissione del decreto definitivo di esproprio…» ;poiché la nota è datata 25 febbraio 2009, il termine di 45 giorni sarebbe scaduto al minimo il giorno 11 aprile 2009, ben oltre il 4 marzo 2009.
Ancora preliminarmente, è opportuno individuare la data della dichiarazione di pubblica utilità, anche al fine di determinare quale sia la normativa applicabile al caso di specie.
In base agli artt. 57 e 59 del TU espropriazioni, esso non si applica ai progetti per i quali, prima del 30 giugno 2003 (data della sua entrata in vigore), sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità. Nel caso di specie, la dichiarazione di pubblica utilità deve essere ricondotta alla delibera del Consiglio comunale di Randazzo n. 74 del 16 settembre 2002, con cui è stato deciso «...Di approvare, per le finalità di cui all’art. 1 della L. n. 1/78, così come recepita dall’art. 4 della L.R. n. 35/78, il progetto per l’approvazione di una caserma dei Vigili del Fuoco in contrada San Lorenzo...» ;delibera che, a tenore di quanto attestatovi in calce dal Segretario comunale, è divenuta esecutiva il giorno 23 ottobre 2002.
Secondo il disposto dell’art. 1, comma 1, della LR 10 agosto 1978, n. 35 (abrogata dalla LR 12 luglio 2011, n. 12, ma applicabile al caso di specie ratione temporis ) «…Per tutte le opere pubbliche di competenza della Regione, dei comuni (…) l'approvazione dei progetti da parte dei competenti organi dei rispettivi enti equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere stesse a tutti gli effetti…» ;tale disposizione è analoga a quella contenuta nell'articolo 1, comma 1, della legge statale 1/1978: «…L'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse…» .
La disposizione statale, in seguito all'introduzione del comma 13 all'articolo 14 della legge 109/94, operata con l'articolo 4, comma 1, legge 415/98 ( «…L'approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori…» ), viene interpretata nel senso che «…è l'approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori…» (Cons. Stato, AP, 15 settembre 1999, n. 14;analogamente, Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1668);progetto definitivo la cui approvazione, insieme con quella del progetto esecutivo, ai sensi dell’art. 1, comma 4, legge 1/78 (sul punto, TAR Veneto, Sez. I, 7 luglio 2004, n. 2266), è rimessa alla competenza della Giunta comunale, essendo invece rimessa alla competenza del Consiglio comunale l’approvazione del solo progetto preliminare.
Diversamente, però, deve ritenersi accadere nel territorio della Regione Siciliana;in tale ambito, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha avuto modo di statuire che «…la dichiarazione di pubblica utilità delle opere si riconnette implicitamente, anche, all'approvazione dei progetti da parte del Consiglio comunale ai sensi dell'art. 1 comma 1 l. reg. 10 agosto 1978 n. 35 (cfr. Cons.giust.amm. Sicilia sez. giurisd., 27 maggio 1997)…» (decisione 27 settembre 2002, n. 579);tale orientamento deve essere condiviso, sulla base della circostanza che la norma di cui al citato articolo 14, comma 13, legge 109/94, che impedisce che all'approvazione del progetto preliminare possa essere ricondotta valenza di dichiarazione implicita di pubblica utilità, non è stata riprodotta nel testo dell'articolo 14 della citata legge 109/94, come recepita in ambito regionale dalla LR 2 agosto 2002, n. 7.
Pertanto, la data della dichiarazione implicita di pubblica utilità deve essere fatta risalire alla data di esecutività della citata delibera 74/02, ciò da cui deriva l’applicabilità alla fattispecie della normativa previgente al TU espropriazioni.
Nel merito, i ricorsi sono fondati.
Il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti possono essere trattati congiuntamente, essendo censura fondamentale quella secondo cui il decreto di esproprio sarebbe stato emesso, in violazione di quanto disposto dall’art. 13 della legge 2359/1865, dopo la scadenza del termine previsto per la definizione del procedimento espropriativo, fissato dalla citata determinazione 8/2004 che, sul punto, così si esprime: «…Le operazioni di esproprio, iniziati in data 14.11.2003, dovranno concludersi entro cinque anni dall'inizio delle stesse…» .
Le parti processuali hanno, con dovizia di atti, dibattuto su quale fosse la data di avvio della procedura espropriativa.
Come si è visto, secondo la difesa del Comune, dalla citata determina 8/2004 e dalla ordinanza 10 febbraio 2004, n. 1 (con cui viene ordinata l'occupazione d'urgenza degli immobili) si evincerebbe che la procedura espropriativa avrebbe avuto inizio in data 4 marzo 2004, data della immissione nel possesso dei terreni, con la conseguenza che il decreto di esproprio, datato 24 febbraio 2010, tenendo conto della proroga dei termini operata con determina 7 del 26 febbraio 2009, sarebbe stato emanato tempestivamente;sostiene in proposito il Comune che «… è evidente che il procedimento di espropriazione può dirsi effettivamente iniziato solo con l'immissione in possesso del 4 marzo 2004 (…) Pertanto, è solo da tale giorno che possono essere computati i cinque anni entro i quali il medesimo procedimento avrebbe dovuto concludersi…» (memoria depositata il 4 febbraio 2011, e riprodotta, in relazione a quanto qui riportato, con memoria depositata il 23 settembre 2011).
La tesi non è condivisibile;l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha infatti avuto modo di statuire che la dichiarazione di pubblica utilità «…è l'atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce al tempo stesso origine funzionale della successiva attività, giuridica e materiale, di utilizzazione dello stesso per scopi pubblici previamente individuati» (Cons. Stato, AP 30 luglio 2007, n. 9);ne deriva quindi che essa costituisce il primo atto della procedura espropriativa, connotando la successiva attività in senso pubblicistico e, sotto altro aspetto, radicando la giurisprudenza di questo Giudice Amministrativo (sul punto, ex plurimis , TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 426).
Sul punto, analogamente, altra condivisibile pronuncia ha affermato che «… È pacifico in giurisprudenza che la partecipazione del privato al procedimento ablatorio deve essere assicurata con la comunicazione di avvio del procedimento sin dal primo atto dello stesso, e cioè da quello recante la dichiarazione di pubblica utilità, che presenta ampi momenti di scelte discrezionali ( cfr., per tutte C.G.A. 21 gennaio 2005, n. 6;Cons. Stato Sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8261)…» (TAR Campania – Salerno, sez. II, 16 novembre 2010, n. 12641).
Inoltre, l'autorizzazione alla occupazione d'urgenza degli immobili non è atto necessariamente presente nella procedura espropriativa, potendo anche mancare, e presuppone l’esistenza della dichiarazione di pubblica utilità (Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8261), così collocandosi in un momento logicamente e temporalmente successivo ad essa.
In base a tali considerazioni, e sulla base di quanto visto in tema di data della dichiarazione di pubblica utilità, le operazioni di esproprio, secondo quanto previsto dalla citata determinazione 8/2004, avrebbero dovuto concludersi, al più, entro il 23 ottobre 2007 (cinque anni dalla data di inizio delle operazioni di esproprio, decorrenti dalla data di esecutività della citata delibera 74/02).
Tuttavia, anche accogliendo l'impostazione data alla questione dalla citata determinazione 8/2004, ripresa dal ricorrente, le operazioni di esproprio avrebbero dovuto concludersi entro il 14 novembre 2008;secondo tale impostazione, il primo atto della procedura espropriativa, nel caso di specie, andrebbe individuato nella richiesta di pubblicazione sulla GURS dell'avviso di deposito degli atti della procedura, effettuata in data 14 novembre 2003.
Ed anche a voler seguire quanto dedotto dalla difesa dall'amministrazione comunale, secondo cui la dichiarazione implicita di pubblica utilità dovrebbe essere ricondotta alla riapprovazione del progetto effettuata in data 28 novembre 2003 dalla conferenza di servizi competente ai sensi delle ordinanze di protezione civile numero 2436 del 9 maggio 1996 e 2768 del 25 marzo 1998 (cui l'articolo 2, comma 2, DL 130/97, convertito con legge 298/97, aveva affidato il compito di snellire le procedure «… Al fine di evitare situazioni di pericolo incombente e per la realizzazione degli obiettivi di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 1991, n. 433…» ), le operazioni di esproprio avrebbero dovuto concludersi entro il 28 novembre 2008.
In ogni caso, il decreto di esproprio risulta essere stato emesso tardivamente, in quanto emanato in data 24 febbraio 2010, ciò da cui consegue che esso, secondo l’orientamento al riguardo del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana «…si configura pertanto come un post factum del tutto irrilevante…» (CGARS, 10 novembre 2010, n. 1410).
Il secondo ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto in base all’assorbente profilo che i termini per la conclusione della procedura espropriativa, alla data di adozione della loro proroga, disposta con provvedimento n. 7 del 26 febbraio 2009, erano già scaduti;sul punto, è sufficiente richiamare quanto già espresso in analoga fattispecie da questa Sezione, secondo cui «… è infatti orientamento del giudice amministrativo, da cui questo collegio non ritiene vi siano motivi di discostarsi, quello secondo cui il prolungamento dell'efficacia di un termine presuppone che questo non sia ancora scaduto (Cons. Stato, Sez. IV, 22 febbraio 2006, n. 3025;Cons. Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2003, n. 8462;TAR Sardegna, Sez. II, 9 giugno 2009, n. 919)…» (TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 23 febbraio 2010, n. 373);in merito, secondo l’orientamento al riguardo del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, la tardività delle proroghe dei termini di definizione dei procedimenti di esproprio le rende «…ininfluenti ai fini del decidere sull’azione risarcitoria…» (CGARS, sentenza 1410/2010 citata).
Dall'accoglimento dei ricorsi deriva la fondatezza della domanda risarcitoria, ai sensi e nei limiti di quanto appresso.
Fino a non molto tempo fa, la giurisprudenza riconduceva situazioni analoghe a quella oggetto del presente giudizio all'istituto della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, che determinava l'acquisizione della proprietà del fondo a favore della Pubblica Amministrazione per “accessione invertita”, allorché si fosse verificata l'irreversibile trasformazione dell'area;come noto, tale istituto, di origine pretoria, è sorto con la sentenza della Corte di cassazione del 26 febbraio 1983, n. 1464.
Tale istituto, pur essendo stato ampiamente utilizzato per quasi un ventennio, è stato criticato (si vedano in proposito TAR Campania – Napoli, Sez. V, 29 aprile 2009, n. 2212 e TAR Puglia – Bari, Sez. III, 22 settembre 2008, n. 2176);in particolare, in seguito alle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a partire dall'anno 2000, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in mancanza di un atto adottato nelle forme di legge, non si verifica l'acquisizione dell'area da parte della pubblica amministrazione;tanto che oggi si ritiene che l’attuale contesto ordinamentale «…non prevede più l’istituto dell’occupazione appropriativa... » (CGARS, 18 febbraio 2009, nn. 49, 51 e 52).
Pertanto, l'irreversibile trasformazione del fondo, per la giurisprudenza prevalente, non produce più l'effetto di trasferire la proprietà, e l'occupazione del fondo, al termine dell'eventuale periodo di occupazione legittima, si configura come illecito permanente (Cass., Sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25983).
In particolare, questa Sezione ha, con alcune pronunce, accolto l’orientamento secondo cui il privato potesse chiedere il risarcimento per equivalente, in alternativa alla restituzione del bene, «…in presenza di una evidente volontà dell'amministrazione di acquisire l'area, concretizzatasi in atti concludenti quali l'avvio alla procedura espropriativa, l'occupazione del suolo alla realizzazione dell'opera pubblica, nonché in presenza di altrettante inequivoca volontà dei privati di non volere la restituzione dell'area ma l'equivalente in denaro…» ( ex plurimis , 2 febbraio 2011, n. 231).
Tale orientamento però, anche in conseguenza della introduzione dell’art. 42- bis nel TU espropriazioni, deve essere sottoposto a revisione critica, nel solco di un orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, sentenze 28 gennaio 2011, n. 676, 29 agosto 2011, n. 4834, e 2 settembre 2011, n. 4970), che ha da ultimo condivisibilmente affermato che «…La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta (…) l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie…» (sentenza 4970/2011).
Pur avendo quindi il ricorrente chiesto, in sede di risarcimento per equivalente, la corresponsione del valore venale dell’immobile sul presupposto del suo passaggio nella proprietà dell’Amministrazione, ai fini dell’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ente espropriante, è invece necessaria un’ulteriore attività della Amministrazione che potrebbe esplicarsi, sussistendone i presupposti, nell’utilizzo dello strumento di cui all’art. 42- bis del d. P. R. 8 giugno 2011, n. 327 (TAR Campania – Salerno, Sez. II, 7 novembre 2011, n. 1763), o nella conclusione di un accordo fra le parti teso al trasferimento della proprietà, essendo comunque obbligo dell’Amministrazione porre fine all'occupazione senza titolo (TAR Sicilia – Catania, Sez. III, 10 febbraio 2011, n. 290).
Conseguentemente, perché possa essere soddisfatto l’interesse primario della parte lesa, volto alla restituzione o al risarcimento per equivalente del valore dell’immobile, sempre salva la possibilità per le parti di concludere un accordo teso al trasferimento della proprietà, deve imporsi all’Amministrazione di rinnovare, nel termine di giorni novanta dalla notificazione, a cura di parte, della presente sentenza (ovvero, se anteriore, dalla sua comunicazione in via amministrativa), la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo per cui è causa, adottando, all’esito, un provvedimento con cui lo stesso sia, alternativamente:
A) acquisito non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale;
B) restituito in tutto od in parte al legittimo proprietario, previo ripristino dello stato di fatto, esistente al momento dell’apprensione, e tanto nel termine di giorni novanta, di cui sopra.
La domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione del terreno deve invece essere dichiarata inammissibile.
L’azione risarcitoria, benchè proposta dinanzi al giudice amministrativo, sul piano probatorio è comunque soggetta non alla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì al principio dell’onere della prova, ex art. 2697 c.c., applicabile anche al processo amministrativo, con conseguente inammissibilità per genericità della domanda risarcitoria per la quale non sia stata neppure allegata la misura del danno da risarcire (Cons. Stato, Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3380;TAR Lazio – Roma, Sez. III, 1 agosto 2008, n. 7803;TAR Sicilia – Catania, ex plurimis , Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 426);né la richiesta di CTU può supplire alla carenza probatoria della parte ( ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967;TAR Liguria, Sez. II, 15 ottobre 2010, n. 9501).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha quantificato il danno subito, essendosi limitato a richiedere «…il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima, quest’ultima con interessi legali e rivalutazione fino al soddisfo…» , formulando, in via istruttoria richiesta di «...disporre C.T.U. al fine di determinare: l’effettiva estensione occupata (mq.