TAR Firenze, sez. II, sentenza 2010-03-03, n. 201000594
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N. 00594/2010 REG.SEN.
N. 01275/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1275 del 2007, proposto dalla società
Tirrena S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. A D, rappresentata e difesa dall’avv. A P F e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P G, in Firenze, via Capponi, n. 26
contro
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, Ministero delle Attività Produttive, Conferenza dei Servizi presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Firenze, via degli Arazzieri, n. 4
Comune di Carrara, non costituito in giudizio
Regione Toscana, non costituita in giudizio
Provincia di Massa Carrara, non costituita in giudizio
A.R.P.A.T. – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana – Dipartimento di Massa, non costituita in giudizio
nei confronti di
Agenzia Sviluppo Industriale – A.S.I. S.p.A., non costituita in giudizio
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
- del verbale e delle determinazioni assunte dalla Conferenza dei Servizi decisoria svoltasi in Roma, presso il Ministero dell’Ambiente, in data 13 dicembre 2006, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara;
- del decreto direttoriale del Ministero dell’Ambiente–Direzione Generale per la Qualità della Vita, prot. n. 3623/QdV/DI/B del 18 maggio 2007, contenente il provvedimento finale di approvazione e di recepimento come definitive delle prescrizioni adottate nelle Conferenze di Servizi decisorie del 4 ottobre 2006 e del 13 dicembre 2006, relative al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara;
- del decreto direttoriale del Ministero dell’Ambiente–Direzione Generale per la Qualità della Vita, prot. n. 3622/QdV/DI/B del 18 maggio 2007, contenente il provvedimento finale di approvazione e di recepimento come definitive delle prescrizioni adottate nelle Conferenze di Servizi decisorie del 24 marzo 2005, 28 luglio 2005, 22 dicembre 2005, 30 marzo 2006 e 28 aprile 2006, relative al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara;
- di ogni altro atto e provvedimento preparatorio, presupposto, inerente, consequenziale o connesso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero della Salute, del Ministero delle Attività Produttive e della Conferenza dei Servizi presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati, formulata in via incidentale dalla ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 779/2007 del 7 settembre 2007, con cui è stata respinta la domanda incidentale di sospensione;
Visti la memoria ed i documenti depositati dalla ricorrente in vista dell’udienza pubblica;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 4 febbraio 2010, il dr. P D B;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
L’odierna ricorrente, Tirrena S.p.A., espone di avere acquistato dall’Agenzia Sviluppo Industriale – A.S.I. S.p.A un terreno (lotto n. 7A), distinto al catasto terreni del Comune di Carrara al foglio n. 99 con il mappale n. 322. Il terreno è situato all’interno della Zona Industriale Apuana denominata “Ex Italiana Coke”.
L’esponente evidenzia che tale area, inizialmente di proprietà della Italiana Coke S.p.a., passò poi a E.N.I. Risorse S.p.A., la quale provvide ad effettuare alcune opere di bonifica, ottenendo i relativi certificati, per gran parte dell’area e poi trasferendo il terreno interessato alla A.S.I. S.p.A., la quale avrebbe dovuto occuparsi della sua bonifica.
La Tirrena S.p.A. lamenta che ad essa, come mera nuova proprietaria del terreno e non responsabile dell’inquinamento, sarebbero state nondimeno indirizzate le prescrizioni in ordine agli interventi di messa in sicurezza di emergenza da adottarsi per il terreno in discorso, contenute nel verbale della Conferenza di Servizi decisoria svoltasi in data 13 dicembre 2006 presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Più in particolare, in esito alla predetta Conferenza, le cui conclusioni sono state poi recepite con il decreto direttoriale del Ministero dell’Ambiente, prot. n. 3623/QdV/DI/B del 18 maggio 2007, sono state dettate le seguenti prescrizioni (v. n. 2 dell’ordine del giorno):
a) ribadendo le richieste già formulate dalle Conferenze di Servizi decisorie del 24 marzo 2005 e del 28 aprile 2006, si è chiesto all’A.S.I. S.p.A. di adottare entro 10 giorni dal ricevimento del verbale, come prima fase della messa in sicurezza di emergenza, un intervento costituito dalla realizzazione di una barriera di almeno n. 5 pozzi di emungimento per ciascuno dei lotti 1 e 7A, nel rispetto delle prescrizioni dettate dall’A.R.P.A.T. e dalla Conferenza di Servizi istruttoria del 10 febbraio 2005;
b) alla Tirrena S.p.A., quale attuale titolare del lotto 7/A dell’area “Ex Italiana Coke”, alla luce dei superamenti riscontrati dall’A.R.P.A.T. nei suoli per i parametri concernenti un gruppo di sostanze nocive (arsenico, piombo, cadmio, rame, zinco e mercurio), di attivare entro 10 giorni dalla data di ricevimento del verbale misure di messa in sicurezza di emergenza tramite la rimozione della fonte inquinante.
Sul punto va precisato che già la Conferenza di Servizi istruttoria del 19 luglio 2006 aveva ribadito la richiesta all’azienda A.S.I. S.p.A., formulata dalle Conferenze di Servizi decisorie del 24 marzo 2005 e del 28 aprile 2006, di adottare, con riferimento alle acque di falda, la misura della messa in sicurezza di emergenza costituita dall’esecuzione dei n. 5 pozzi di emungimento nei lotti più sopra indicati.
Avverso la suddetta Conferenza di Servizi del 13 dicembre 2006, nonché il decreto ministeriale del 18 maggio 2007 che ne ha recepito le prescrizioni e l’ulteriore decreto ministeriale (di pari data) che ha recepito le prescrizioni delle altre Conferenze di Servizi decisorie attinenti al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara (quelle del 24 marzo 2005, 28 luglio 2005, 22 dicembre 2005, 30 marzo 2006 e 28 aprile 2006), è insorta la società esponente, impugnando tali atti con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione.
A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti censure:
- eccesso di potere per travisamento dei fatti e manifesta illogicità, violazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, nonché degli artt. 242, 244, 250, 252 e 253 del d.lgs. n. 152/2006, con riferimento alla richiesta di realizzazione delle opere di bonifica impartita ad un soggetto proprietario del terreno e non responsabile dell’inquinamento, eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione di legge, in quanto la P.A. non avrebbe rispettato il principio “chi inquina, paga”, addossando alla ricorrente, quale proprietaria incolpevole, l’ordine di bonifica;inoltre, la messa in sicurezza di emergenza non sarebbe stata preceduta da adeguata istruttoria e da contraddittorio;
- eccesso di potere con riferimento alla richiesta di messa in sicurezza delle acque di falda, giacché la misura della barriera idraulica sarebbe tecnicamente irrealizzabile, economicamente insostenibile, inefficace ed illogica, essendo illogico costruire pozzi nella stessa zona in cui si debbono rimuovere parecchi quantitativi di terra;
- eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento dei fatti, manifesta illogicità, con riferimento alla richiesta di messa in sicurezza effettuata da tutti i proprietari dei lotti, in quanto l’intervento che viene richiesto sarebbe inutile, mentre sarebbe più logica l’approvazione di un piano di bonifica che interessi l’area in esame nella sua globalità;
- eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento dei fatti, manifesta illogicità, nonché difetto di istruttoria, con riferimento alla richiesta di presentazione di un progetto di bonifica concernente tutto il terreno e non solo i cd. hot spot, in quanto la P.A. avrebbe imposto alla ricorrente la misura dell’eliminazione del terreno contaminato, senza tenere conto se vi sia stato o meno il superamento dei limiti di concentrazione in tutta l’area e senza che l’azienda conoscesse i punti contaminati e la profondità, ed inoltre senza considerare misure alternative, come il cd. capping;
- violazione degli artt. 240 e 242 del d.lgs. n. 152/2006, in quanto nel caso di specie sarebbe stato omessa l’indispensabile fase procedimentale dell’analisi di rischio sito specifica;
- violazione dell’art. 14-ter, commi 3, 6-bis e 9, della l. n. 241/1990, nonché dell’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 15, comma 4, del d.m. n. 471/1999, poiché i decreti di recepimento delle Conferenze di Servizi decisorie non sarebbero stati adottati dall’organo competente e cioè dal Ministro dell’Ambiente, previa intesa con il Ministro delle Attività Produttive (ora, dello Sviluppo Economico);
- eccesso di potere e violazione di legge con riferimento alla mancata trasmissione alla ricorrente del documento contenente i risultati dei rilevamenti dell’A.R.P.A.T. circa la messa in sicurezza del lotto n. 7/A, in quanto la documentazione dell’attività di rilevamento e campionamento effettuata dall’A.R.P.A.T. sarebbe stata trasmessa solo all’A.S.I. S.p.A. e non anche alla ricorrente.
Si sono costituiti il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, quello della Salute, quello delle Attività Produttive (ora Sviluppo Economico) e la Conferenza di Servizi presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con atto di mera costituzione formale.
Nella Camera di consiglio del 6 settembre 2007 il Collegio, ritenuto, ad un primo esame, di dover dare prevalenza, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, all’interesse pubblico alla bonifica del terreno contaminato da arsenico, piombo ed altre sostanze nocive alla salute umana ed attesa inoltre l’assenza del periculum in mora, per l’inesistenza di pregiudizi a carico della ricorrente, se davvero estranea all’inquinamento riscontrato, con ordinanza n. 779/2007 ha respinto l’istanza incidentale di sospensione.
In vista dell’udienza di merito, la ricorrente ha depositato una memoria conclusiva con allegata la relativa documentazione, dando conto dei successivi sviluppi della vicenda (nonché dei più recenti orientamenti giurisprudenziali) ed insistendo per l’accoglimento del ricorso.
All’udienza pubblica del 4 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
La ricorrente ha impugnato gli atti (il verbale ed il decreto ministeriale di approvazione) relativi alla Conferenza di Servizi decisoria tenutasi il 13 dicembre 2006 presso il Ministero dell’Ambiente ed avente ad oggetto gli interventi ambientali per il sito di interesse nazionale di Massa Carrara. Più in dettaglio, si duole delle prescrizioni impartite per il lotto n. 7/A, di cui è proprietaria, contenute nel punto n. 2 dell’ordine del giorno. Ha altresì impugnato il decreto ministeriale di approvazione delle precedente Conferenze di Servizi decisorie, in cui erano già state impartite analoghe prescrizioni in ordine al lotto n. 7/A, ed in particolare la richiesta di realizzare, quale misura di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda, una barriera costituita da n. 5 pozzi di emungimento.
In via preliminare, si deve dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Conferenza di Servizi presso il Ministero dell’Ambiente, atteso che, secondo il preferibile orientamento giurisprudenziale, la conferenza di servizi è solo un modulo procedimentale e non costituisce anche un ufficio speciale della P.A. autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano, limitandosi la conferenza a facilitare il coordinamento tra le singole P.A. interessate (C.d.S., Sez. V, 8 maggio 2007, n. 2107). Pertanto, il provvedimento finale deve imputarsi alla P.A. che lo adotta e, nel caso di conferenza decisoria, alle P.A. che, attraverso la stessa, esprimono la loro volontà provvedimentale: dunque, la legittimazione passiva in sede processuale spetta soltanto alle P.A. che abbiano adottato il provvedimento rilevante all’esterno (v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 28 febbraio 2002, n. 888;v. pure C.d.S., Sez. IV, 8 luglio 1999, n. 1193;T.A.R. Marche, 5 agosto 2004, n. 976). Orientamento, questo, che si rivela tanto più condivisibile dopo le modifiche apportate dalla l. n. 15/2005, con l’aggiunta del comma 6-bis all’art. 14-ter della l. n. 241/1990: in base a dette modifiche, infatti, all’esito della conferenza di servizi è necessario un atto conclusivo dell’Amministrazione procedente e, per questa, del dirigente competente. In tale ottica, sono stati, quindi, potenziati ruolo e responsabilità dell’Amministrazione procedente, cui si attribuisce la determinazione finale, previa valutazione delle specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede (T.A.R. Liguria, Sez. I, 11 luglio 2007, n. 1376).
Sempre in via preliminare, va, inoltre, rilevata l’inammissibilità del ricorso limitatamente al capo di domanda relativo alla prescrizione riguardante l’approntamento di n. 5 pozzi di emungimento “per ciascuno dei lotti 1 e 7/A)” (v. fine pag. 12 – inizio pag. 13 del verbale della Conferenza di Servizi decisoria del 13 dicembre 2006), perché si tratta di una prescrizione posta esclusivamente a carico dell’A.S.I. S.p.A., quindi la ricorrente non ha alcuna legittimazione ad invocarne l’annullamento. A conferma di ciò, si sottolinea che il verbale della Conferenza di Servizi in discorso, come si legge a pag, 13, ha valore di atto di formale messa in mora nei confronti dell’azienda inadempiente (l’A.S.I. S.p.A.), con il corollario, in caso di perdurante inadempimento, dell’attivazione dei poteri sostitutivi da parte della P.A. e perciò dell’esecuzione in danno nei confronti dell’A.S.I. S.p.A., in qualità, per l’appunto, di soggetto inadempiente.
Venendo all’esame di quella parte della Conferenza di Servizi decisoria contenente la prescrizione, indirizzata questa volta direttamente a Tirrena S.p.A., di realizzare misure di messa in sicurezza di emergenza sul lotto n. 7/A, atteso il rilevamento, in questo, di valori superiori alla soglia consentita per talune sostanze altamente nocive (arsenico, piombo, cadmio, rame, zinco e mercurio), e più in particolare, di provvedere alla rimozione della fonte inquinante, osserva il Collegio che, per questo capo di domanda, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Nello specifico, deve considerarsi fondato il primo motivo di ricorso, con cui, in estrema sintesi, si deduce la violazione del principio “chi inquina, paga”, di derivazione comunitaria, sancito dal d.lgs. n. 22/1997 e poi dal d.lgs. n. 152/2006, il quale, agli artt. 242 e 257, confermerebbe che l’obbligo di bonifica grava sul responsabile dell’inquinamento e non sul proprietario incolpevole, quale sarebbe, nel caso di specie, la ricorrente. Peraltro, quest’ultima non sarebbe stata chiamata a partecipare alle Conferenze di Servizi, con il corollario che le determinazioni assunte in esito a queste risulterebbero illegittime per violazione del contraddittorio;oltre a ciò, vi sarebbe difetto di istruttoria per assenza del piano di caratterizzazione, teso ad individuare lo stato dei luoghi in modo puntuale, allo scopo di consentire la presentazione di un adeguato progetto di bonifica.
Le doglianze devono essere integralmente condivise.
Va premesso, al riguardo che al caso di specie risulta pienamente applicabile la disciplina di cui agli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambiente). Come si è già visto, tale disciplina, al pari di quella previgente (art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22/1997), è ispirata al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, tanto urgenti che definitive, idonee a fronteggiare una situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere, invece, addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni responsabilità dello stesso (cfr., ex plurimis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665;T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). La P.A. non può, pertanto, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006, dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di eseguire gli interventi di recupero ambientale, anche di tipo emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che può benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.). Va precisato, sul punto, che il principio “chi inquina, paga” vale altresì per le misure di messa in sicurezza di emergenza – cui si riferisce la Conferenza di Servizi – come definite dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Anche l’adozione di dette misure emergenziali è, infatti, addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355;T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448).
Facendo applicazione dell’ora visto principio al caso di specie, emerge con tutta evidenza come in questo la P.A. non abbia proceduto ad alcuna verifica della sussistenza, in capo alla ricorrente, del requisito della responsabilità colpevole. Ed invero, non solo non si rinviene, né nella Conferenza di Servizi decisoria del 13 dicembre 2006, né tantomeno nel decreto ministeriale che l’ha approvata, alcun tentativo di ricostruire un qualche comportamento dell’odierna ricorrente, che possa aver dato luogo al superamento dei valori limite per le sostanze nocive accertato dall’A.R.P.A.T., ma, anzi, la P.A. mostra di prescindere (vien quasi da dire: volutamente) da ogni accertamento di responsabilità a carico della Tirrena S.p.A.: questa, infatti, è evocata come destinataria della prescrizione di messa in sicurezza di emergenza attraverso rimozione della fonte inquinante, quale “soggetto attualmente titolare del lotto 7/A” (pag. 14 del verbale della Conferenza di Servizi), quindi esclusivamente nella sua veste di proprietaria dell’area de qua. Donde la fondatezza della censura.
Risulta parimenti fondata la doglianza incentrata sul mancato rispetto, nella vicenda in esame, delle garanzie di partecipazione procedimentale di cui agli artt. 7 e segg. della l. n. 241/1990, senza che vi fossero (o siano state addotte) ragioni sufficienti per derogarvi. A riprova di ciò, si sottolinea il fatto della mancata richiesta alla ricorrente di eseguire il piano di caratterizzazione.
Invero, con una recente decisione (T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 maggio 2009, n. 762) questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che, nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la P.A. consenta ai soggetti destinatari delle prescrizioni dettate dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento (articolato in una o più Conferenze di Servizi, istruttorie e decisorie). Ciò, quantomeno, con riguardo alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell’area in esame e che poi sfociano nelle determinazioni assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria. È evidente, infatti, che l’onerosità degli obblighi imposti agli interessati impone di instaurare con questi ultimi un ampio contraddittorio. Del resto, è pacifica in giurisprudenza l’affermazione che l’attività istruttoria del procedimento di bonifica deve prevedere la partecipazione del soggetto interessato;in particolare, gli accertamenti analitici vanno eseguiti in contraddittorio (v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913;T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488).
Sotto quest’ultimo profilo, non si potrebbe ribattere che lo stato di contaminazione dei suoli forma oggetto di un accertamento tecnico, avente natura di attività vincolata, per il quale, quindi, non sono invocabili i principi in tema di giusto procedimento di cui alla l. n. 241/1990. Né potrebbe obiettarsi che incombe sulla ricorrente fornire un principio di prova per far ritenere che i rilevamenti effettuati dalla P.A. non siano stati corretti: principio di prova non fornito nel caso in esame.
In contrario, si richiama la giurisprudenza poc’anzi indicata, secondo cui, nell’attività istruttoria del procedimento di bonifica, il contraddittorio procedimentale si appalesa necessario in particolare per gli accertamenti analitici (v. T.A.R. Lombardia, Sez. I, n. 1913/2007, cit.): ciò, atteso che l’onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate risponde ad evidenti ragioni di trasparenza e pubblicità, principi del diritto vivente cui la P.A. si deve uniformare in ogni momento della propria azione, oltre che all’interesse pubblico all’imparzialità dell’azione amministrativa. Va poi rilevato che, ad avviso di altra giurisprudenza, in materia sarebbe applicabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., secondo cui, qualora, nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti, si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, l’organo procedente deve, anche oralmente, dare avviso all’interessato dell’ora e del luogo di effettuazione delle analisi, in funzione del diritto dello stesso di presenziare a queste, di persona o tramite persona di fiducia da lui designata, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico (cfr. T.A.R., Lombardia, Sez. I, 11 novembre 2003, n. 4982, che, in proposito, ricorda l’orientamento della Cassazione, per cui la disposizione è applicabile anche alle analisi di campioni finalizzate a verificare l’esistenza di illeciti puniti con sanzioni amministrative).
Nemmeno sarebbe fondata l’obiezione, in termini più generali, che nella vicenda de qua, trattandosi dell’imposizione di misure di messa in sicurezza di emergenza, vi sarebbero esigenze di celerità del procedimento, tali da giustificare, ai sensi dell’art. 7, comma 1, primo periodo, della l. n. 241/1990, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento e di tutta la fase della partecipazione al procedimento stesso. Invero, la tempistica dell’azione amministrativa smentisce già di per se stessa l’attendibilità di ogni giustificazione basata sull’urgenza del provvedere, all’uopo non potendo certo bastare la mera tipologia “emergenziale” dell’intervento prescritto: al riguardo è, infatti, sufficiente richiamare quella parte del verbale della Conferenza di Servizi, in cui sono elencati i risultati degli accertamenti svolti nel sottosuolo del lotto n. 7/A dall’A.R.P.A.T. (pag. 12). Si legge, in particolare, che detti accertamenti sono stati trasmessi dall’Agenzia con nota del 16 agosto 2006, pervenuta al Ministero dell’Ambiente il 23 agosto 2006: nonostante gli esiti di forte contaminazione evidenziati dalle misurazioni compiute, non soltanto le prescrizioni sono state impartite solo con la Conferenza di Servizi decisoria del 13 dicembre 2006 (a distanza di quattro mesi), ma, addirittura, il verbale di questa è stato recepito con decreto ministeriale del 18 maggio 2007, emanato, quindi, a circa dieci mesi di distanza. Ciò dimostra ex se l’insussistenza di motivi di urgenza tali da consentire di fare a meno dell’apporto procedimentale dei privati interessati e, perciò, della ricorrente.
Da ultimo non appare invocabile, sul punto, neppure l’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, non avendo la P.A. fornito in giudizio la prova che, anche con la partecipazione della controparte, il provvedimento finale non avrebbe potuto avere un contenuto differente da quello contestato (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 762/2009, cit.).
La fondatezza della censura ora analizzata comporta, per conseguenza, la fondatezza delle censure contenute nel quarto motivo di ricorso: motivo che è anch’esso da accogliere, dato che, in mancanza del prescritto contraddittorio procedimentale, non è stata possibile eseguire una compiuta istruttoria sui punti critici da dette censure evidenziati. In particolare:
- dal verbale della Conferenza di Servizi non si desume quale sia l’estensione dell’area interessata dall’intervento di messa in sicurezza di emergenza prescritto, se, pertanto, la rimozione della fonte inquinante riguardi l’intero lotto n. 7/A, o solo talune parti di esso e quali;
- nella Conferenza di Servizi non è stato possibile dibattere circa l’utilità della misura prescritta, in alternativa ad altre soluzioni, ad es. il cd. capping o impermeabilizzazione del terreno;ovviamente, in questa sede non si sindaca il profilo dell’opportunità della scelta dell’uno o dell’altro rimedio, o di un terzo, ma il fatto che non risulti alcuna discussione, né tantomeno alcun contraddittorio, sulle alternative ipotizzabili.
Per quanto sopra detto risulta, inoltre, fondato il settimo motivo, inerente alla mancata trasmissione – omissione non contestata dalla difesa erariale – alla ricorrente delle risultanze degli accertamenti analitici effettuati dall’A.R.P.AT..
In definitiva, il ricorso è inammissibile nella parte in cui è diretto a contestare la prescrizione della Conferenza di Servizi decisoria del 13 dicembre 2006 (realizzazione di n. 5 pozzi di emungimento) rivolta, per il lotto in discorso, all’A.S.I. S.p.A., con conseguente inammissibilità del secondo e del terzo motivo, recanti le censure specificamente rivolte avverso tale prescrizione. Il ricorso è invece fondato nella parte in cui è volto a contestare l’imposizione alla ricorrente, ad opera della suddetta Conferenza di Servizi, dell’intervento di messa in sicurezza di emergenza costituito dalla rimozione della fonte inquinante: sono, perciò, fondati e da accogliere il primo, il quarto ed il settimo motivo, con assorbimento dei restanti motivi (quinto e sesto). Al parziale accoglimento del ricorso consegue l’annullamento degli atti impugnati nella parte in cui impongono alla società l’intervento di messa in sicurezza di emergenza ora riportato.
Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, ai sensi del vigente testo dell’art. 92 c.p.c., in considerazione sia della fondatezza soltanto parziale del ricorso, sia della complessità delle questioni trattate.