TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-07-01, n. 202413172

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-07-01, n. 202413172
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202413172
Data del deposito : 1 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/07/2024

N. 13172/2024 REG.PROV.COLL.

N. 15119/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15119 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero dell’Interno prot. n. -OMISSIS- del 4 luglio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 7 agosto 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2024 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento del Ministero dell’Interno prot. n. -OMISSIS- del 4 luglio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata in data 7 agosto 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, essendo risultati sul conto dell’istante i seguenti pregiudizi di carattere penale:

- a carico di un figlio, decreto del Questore n. 69/16 per condanne definitive in materia si stupefacenti;
lo stesso, più volte denunciato e arrestato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini dello spaccio, è stato ritenuto socialmente pericoloso;
attualmente è ristretto presso la locale Casa circondariale con fine pena al 3 maggio 2020;
nel 2015 e nel 2016 risulta aver riportato varie condanne per detenzione e trasporto illecito di sostanze stupefacenti;
a suo carico si rileva un’ulteriore condanna emessa nel 2018 per reati inerenti gli stupefacenti;

- a carico di altro figlio, denuncia del 28 febbraio 2018 effettuata dalla Polizia postale di -OMISSIS- per diffamazione on-line, art. 595 c.p.;

- a carico del coniuge, una denuncia nel 2016 per i reati di cui agli artt. 609 bis e 609 ter c.p., ai danni di una bambina di 3 anni;
il procedimento penale, corrispondente n. PM -OMISSIS-, è ad oggi carico pendente con sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” in attesa della irrevocabilità.

L’impugnativa è stata affidata ai motivi di diritto che di seguito si riportano:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992 in combinato disposto con l’art. 6 della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti , avendo il Ministero desunto un giudizio di inaffidabilità in modo automatico solo sulla base dell’equazione rapporto ricorrente-famigliari, ignorando completamente la regolarità dello stile di vita della ricorrente.

II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per insufficiente motivazione , atteso che il provvedimento di diniego impugnato risulta basato solo sul dato che un figlio dell’istante ha avuto condanne penali e altri due famigliari denunce penali (e non sentenze di condanna) tramite un meccanismo automatico senza provare l’incidenza delle condotte contestate ai famigliari sulla quotidianità della ricorrente tale da far conseguire da ciò la sussistenza di vulnus per le condizioni di sicurezza dello Stato, secondo una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole.

III. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Costituzione ed eccesso di potere per disparità di trattamento , dimostrando la storia della ricorrente che la stessa è ben integrata nel tessuto sociale sotto il profilo della irreprensibilità della propria condotta, delle condizioni lavorative, economiche e sotto il profilo dei famigliari con i quali quotidianamente si relaziona.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.

All’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2024 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Osserva sul punto il Collegio, alla luce della giurisprudenza in formatasi in materia di concessione della cittadinanza, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;
il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3226/2021, sez. II quater, n. 5665/2012).

Applicando le coordinate tracciate al caso in esame, ritiene il Collegio infondate le censure formulate con il ricorso, alla luce dei precedenti penali a carico dei figli dell’odierna ricorrente - per diffamazione on-line ex art. 595 c.p. (il secondo figlio) e per detenzione, spaccio e trasporto illecito di sostanze stupefacenti (il primo figlio) - ben potendo quest’ultima vedersi indotta ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti contrastanti con l’ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale.

Come ripetutamente chiarito da questa Sezione, tali elementi negativi, emersi a carico dei figli, il primo dei quali risultava iscritto nello stato di famiglia della richiedente (cfr., rapporto Questura della Spezia 1 giugno2018) vanno considerati non nel loro valore isolato, bensì inseriti nel complesso della valutazione del nucleo familiare personalità della richiedente, nei cui confronti il giudizio prognostico compito dall’Autorità è frutto appunto di una valutazione complessa, che non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti e nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, nn. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).

In senso contrario, può valere l’invocato principio della personalità della responsabilità penale, in quanto, nel caso di specie, il diniego impugnato non estende all’interessato le conseguenze dei precedenti a carico degli altri componenti del proprio nucleo familiare, impedendo soltanto che la concessione della cittadinanza (sebbene a persona diversa da quella responsabile penalmente) possa comunque recare danno alla comunità nazionale, per effetto dell’estensione ai familiari della richiedente delle previsioni relative ai parenti del cittadino italiano (cfr., da ultimo T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis n. 11825, 4253 e 3673 del 2023;
nn. 3018 e 8307/22).

È noto, infatti, che l’acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta non solo, come comunemente si ritiene, benefici indiretti anche per gli altri membri del nucleo, tra i quali l’impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado (cfr. art. 19, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 286/1998).

D’altra parte gli addebiti contestati vanno considerati particolarmente rilevanti ai fini della formulazione del giudizio prognostico relativo all’utile inserimento dell’aspirante cittadino, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza in materia, condivisa dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, nn. 4236/2022, 4704/2022, 6522/17, in cui è stato ribadito che i precedenti penali per cessione illecita di sostanze stupefacenti denotano scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano alla concessione della cittadinanza, trattandosi di condotte indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, divisibile anche alla luce delle connesse emergenze sociali che assumono maggiore disvalore e allarme nella nostra comunità nazionale;
basti pensare all’automatismo espulsivo che il legislatore fa scaturire per i cittadini extracomunitari dalle condanne in materia di stupefacenti, ex art. 4 D.lgs. 286 del 1998 (Consiglio di stato, sez. III, 21/10/2019 n. 7122/2019).

Tale orientamento è stato recentemente condiviso dalla Sezione ribadendo appunto che il reato di spaccio e detenzione di stupefacenti rientra fra quelli che destano particolare allarme sociale in quanto colpiscono beni giuridici primari riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nei confronti di tutte le persone, quale la salute dei cittadini nonché la sicurezza pubblica.

Inoltre il fatto è punito con la reclusione da sei a venti anni e che anche se nella sua forma più lieve, di cui al comma 5 del D.P.R. 309/1990 è prevista la pena ridotta della reclusione da sei mesi a quattro anni, il massimo edittale stabilito è comunque superiore alla soglia individuata dall’art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 91/1992, superata la quale si entra nell’area dei reati immediatamente ostativi.

Sul punto, si specifica che detta norma definisce espressamente l’ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza richiesta per matrimonio con cittadino italiano, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992 - che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) - persino a chi è coniuge del cittadino italiano (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 4236/2022, nonché n. 4704/2022;
n. 6522/2022, 6554/2022, nonché, da ultimo, n. 16216/2022).

Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine alla situazione familiare e ai precedenti penali valutati come ostativi alla concessione della cittadinanza, di cui la ricorrente neppure contesta la sussistenza, limitandosi ad invocare il possesso della residenza in Italia da oltre un decennio e l’asserito inserimento nel contesto sociale, ritenendo che tali circostanze siano sufficienti al rilascio della cittadinanza.

Tali ulteriori argomentazioni difensive non appaiono idonee tuttavia idonee a scalfire il giudizio svolto dall’Amministrazione, non offrendo d’altra parte l’istante elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.

Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone infatti l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

Del resto la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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