TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2024-05-09, n. 202400239

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2024-05-09, n. 202400239
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - L'Aquila
Numero : 202400239
Data del deposito : 9 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/05/2024

N. 00239/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00533/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 533 del 2017, proposto da
A P, rappresentato e difeso dall'avvocato P C, con domicilio eletto presso lo studio Danilo Avv. Iannarelli in L'Aquila, via Guido Polidoro, n. 01;

contro

Comune di Roseto degli Abruzzi (Te), non costituito in giudizio;

per l'annullamento

Ricorso per translatio iudicii del contenzioso presso il Tribunale di Teramo RG 25/2013 a seguito della sentenza n. 738 del 14.06.2016 relativa alla richiesta dei maggiori oneri di esproprio del lotto sito nella zona artigianale "autoporto" nel territorio di Roseto degli Abruzzi (Te) con richiesta di riunione al ricorso presso Tar L'Aquila Rg 688/2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2024 il dott. M G P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.§. Parte ricorrente è assegnataria di un lotto di terreno in virtù di convenzione stipulate nel 2004 con il Comune di Roseto degli Abruzzi, per insediamenti produttivi su area occupata dal medesimo Comune ai sensi dell’articolo 27 della legge 865 del 1971.

Il ricorrente afferma che, ai sensi dell’articolo 2 dell’atto notarile di trasferimento, tali terreni sono stati venduti liberi da pesi, canoni e altri oneri anche fiscali, mentre all’articolo 4 della succitata convenzione e degli atti di compravendita a valle è stabilito che il corrispettivo è determinato “salvo conguaglio per maggiori oneri espropriativi ed altro per eventuali nuovi e differenti lavori che si rendessero indispensabili durante la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”. Il Comune ha concluso il procedimento di esproprio nei confronti dei precedenti proprietari determinando l’indennità di esproprio sulla base della qualificazione dei terreni come agricoli ma, a seguito della soccombenza da parte del Comune nelle sentenze della Corte di Appello di L'Aquila n. 673/12 e 1071/12 i proprietari espropriati si vedevano riconoscere un maggiore indennizzo per circa 6.000.000,00 di Euro, a causa dell’erronea classificazione dei terreni oggetto di esproprio.

Il Comune di Roseto degli Abruzzi richiedeva il credito conseguente al maggiore indennizzo di esproprio ai proprietari dei lotti. Con atto di citazione del 21.12.2012, l’odierna ricorrente, ritenendo non dovuto il conguaglio, citava in giudizio innanzi al Tribunale di Teramo, il Comune di Roseto degli Abruzzi.

Con sentenza n. 1405 del 2016, pubblicata il 22.11.2016, il Tribunale di Teramo dichiarava il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario in favore del Giudice Amministrativo, compensando le spese di lite, in considerazione del fatto che nelle more del giudizio di primo grado era intervenuta la pronuncia della Cass. SS.UU., ordinanza n. 306/13, che reputava le questioni controverse nel giudizio R.G. 25/2013 comprese nelle materie di cui all'art. 113, comma 1, lettera a) punto 2 e lettera f) del Codice del Diritto Amministrativo.

Con il ricorso in epigrafe si riassume e si trasla il processo R.G. 25/2013 innanzi a questo T.A.R. chiedendo l'accoglimento delle conclusioni dell'atto di citazione del 21.12.2012 e successivi scritti difensivi.

Non si è costituita l’Amministrazione comunale.

All’udienza pubblica del 24 aprile 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2.§. Si rileva che questione del tutto analoga è stata già decisa da questo Tribunale con la sentenza 344 del 2021, dalle cui conclusioni il Collegio non ravvisa ragioni per doversi discostare, con la quale è stato affermato che “dunque, riprendendo quanto già esposto con il precedente analogo pronunciamento, si sottolinea innanzitutto che l’art. 35 della legge n. 865 del 1971- riferito ai piani per l’edilizia economica e popolare ma ritenuto applicabile anche ai P.I.P. di cui all’articolo 27 della medesima legge ( T.A.R. Piemonte, sez. I - 21/2/2014 n. 318) - esprime il principio generale del perfetto pareggio economico nei seguenti termini “I corrispettivi della concessione in superficie ... ed i prezzi delle aree cedute in proprietà devono, nel loro insieme, assicurare la copertura delle spese sostenute dal comune o dal consorzio per l'acquisizione delle aree comprese in ciascun piano approvato ...”;

- l’art. 16 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 786 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 51), stabilisce, del resto, che “i comuni sono tenuti ad evidenziare con particolari annotazioni gli stanziamenti di bilancio relativi all'acquisizione, urbanizzazione, alienazione e concessione di diritto di superficie di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie ai sensi delle leggi 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, 22 ottobre 1971, n. 865, e 5 agosto 1978, n. 457. Il prezzo di alienazione o di concessione in diritto di superficie delle aree e dei fabbricati, di cui al comma precedente, deve essere determinato in misura tale da coprire le spese di acquisto, gli oneri finanziari, gli oneri per le opere di urbanizzazione eseguite o da eseguire ad eccezione di quelli che la legislazione vigente pone a carico delle amministrazioni comunali”;

- il quadro normativo sopra illustrato nel quale si iscrive la presente controversia – adozione di un accordo di programma, pianificazione urbanistica attuativa, procedura di esproprio e successiva assegnazione di aree a scopi produttivi – consente ai Comuni di utilizzare i poteri autoritativi per pianificare interventi di sviluppo territoriale proponendo agli imprenditori interessati di acquistare i siti produttivi anche a prezzi inferiori di quelli correnti, a condizione che non ne derivino oneri per il bilancio dell’ente;

- in relazione al sopra richiamato art. 35 il Consiglio di Stato ha avuto modo di rilevare – con considerazioni estensibili anche all’art. 16 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 786, stante l’identità di ratio – la natura inderogabile della disposizione, con conseguente idoneità «ad inserirsi automaticamente nel contenuto della convenzione, ai sensi dell'art. 1339 c.c., al quale si collega l'art. 1419 c.c., comma 2, in base al meccanismo della cosiddetta "eterointegrazione del contenuto del contratto", che pone a carico degli acquirenti delle aree tutte le spese sostenute dal Comune per la realizzazione del piano produttivo» (Cons. St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3809);

- si è quindi ritenuto che, anche nelle ipotesi in cui le convenzioni di cessione prevedano clausole di determinazione del prezzo in misura "fissa" e non comprensiva dell'eventuale conguaglio derivante dai maggiori costi effettivamente sostenuti per le procedure espropriative, il Comune può pretendere legittimamente il rimborso anche delle ulteriori somme relative alle maggiori spese pagate, per effetto della definitiva determinazione dell'indennità di espropriazione (Cons. St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3809);

- pertanto, poiché la disposizione impone il pareggio sul piano economico tra la spesa relativa all’acquisizione e il prezzo di cessione delle aree e mira a evitare che ne derivi un indebito esborso di risorse finanziarie pubbliche, le convenzioni stipulate con i concessionari che non prevedessero l’adeguamento dei costi, dovrebbero comunque ritenersi integrate dalle richiamate disposizioni che esigono la completa copertura delle spese sostenute dal Comune per l’acquisizione delle aree e per la relativa urbanizzazione (in termini Consiglio di Stato sez. IV - 14 marzo 2016 n. 1018;
Consiglio di Stato, sez. V - 17 luglio 2014 n. 3809);

- nella fattispecie oggi in questione, peraltro, non emergono lacune ovvero difformità della convenzione rispetto alle previsioni sopra richiamate e al principio del quale le stesse costituiscono espressione, atteso che nel caso di specie l’art. 4 della convenzione, riproposto anche nel contratto di vendita, ha espressamente previsto il conguaglio in relazione, tra l’altro, proprio ai maggiori oneri espropriativi;

- sulla base di tale suo fondamento normativo, e dunque non solo alla luce della sua inequivoca formulazione (che non prevede alcun limite espresso a tale conguaglio), tale previsione della convenzione non si presta ad essere interpretata nel senso limitato preteso dai ricorrenti, essendo la stessa ricordata previsione di legge ad imporre direttamente l’intero recupero della effettiva indennità di espropriazione pagata dal Comune, sia che essa venga determinata in sede procedimentale sia in sede giurisdizionale;

- si tratta in altri termini di una disposizione sottratta all’autonomia privata e dunque non sottoposta ai controlli e limiti cui quest’ultima soggiace;

- avendo tale previsione una fonte legale tipica, non può dunque ravvisarsi neanche alcun dovere di particolare informazione in capo al Comune sulla sua portata né conseguentemente alcuna condotta dolosa o contraria a buona fede di quest’ultimo per non aver informato gli acquirenti della sua effettiva e potenziale ampiezza;

- come appena evidenziato, la tipicità legale della funzione perseguita impedisce una valutazione negativa di meritevolezza della causa, anche con riferimento all’alea della pattuizione che diventa normale proprio perché collocata all’interno di una cornice legale con potenzialità eterointegrativa;

- essendo dunque la rideterminazione della indennità di espropriazione un evento rientrante nella normale alea di tali pattuizioni, in virtù della richiamata previsione di legge che ne impone la previsione, mancano in radice i presupposti per invocare istituti quali la eccessiva onerosità sopravvenuta o la base negoziale o presupposizione, che appunto postulano squilibri imprevisti ma anche imprevedibili al momento della negoziazione (Consiglio di Stato sentenza 3653 del 2016);

- si osserva inoltre che la giurisprudenza costante interpreta le disposizioni degli artt. 27 e 35 della legge n. 865 del 1971 nel senso che esse sono intese ad assicurare il “perfetto pareggio” dell’operazione espropriativa complessivamente sostenuta dall’Amministrazione, cioè l’esatta corrispondenza fra i costi sopportati dal Comune per l’acquisizione delle aree e i corrispettivi dovuti dai privati beneficiari (cfr. Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2012, n. 50;
Id., sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2213;
Id., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3809);

- ne consegue che nessun danno può aver comunque causato ai ricorrenti l’errore dell’Amministrazione nella determinazione iniziale della indennità, atteso che costoro sono comunque tenuti per espressa disposizione di legge a riversare all’Ente i maggiori costi effettivamente sostenuti;

- se ciò attiene all’aspetto materiale del danno, quanto all’elemento soggettivo, con la richiamata pronuncia 126 del 2021, si è già sottolineata la difficoltà di determinazione degli importi sussistenti all’epoca della quantificazione operata dall’Amministrazione, dovuta alla evoluzione normativa e giurisprudenziale, e dunque la scusabilità dell’errore in cui la medesima è incorsa;

- come pure già rilevato nella sentenza 126 del 2021, l’Amministrazione si è comunque difesa nei giudizi innanzi alla Corte d’Appello”

Appare opportuno il richiamo anche a un precedente specifico di questo TAR, sezione staccata di Pescara, in cui si è affermato che: “A tal fine, è sufficiente richiamare quanto statuito da recente giurisprudenza (cfr. Tar Salerno, sentenza n. 1939 del 2012), secondo cui l’Ente locale ha diritto a ripetere dai singoli acquirenti l’importo pro quota di quanto effettivamente speso per l’acquisizione delle aree e per le spese di urbanizzazione, anche nell’ipotesi in cui nessuna riserva in tal senso fosse contenuta nella convenzione urbanistica di assegnazione delle aree PIP, dovendosi ritenere operante il meccanismo di inserzione automatica di clausole per l’integrazione del contenuto del contratto prevista dall’art. 1339 del codice civile, in relazione alla natura inderogabile della disposizione legislativa di cui agli articoli 27 e 35 della legge n. 865 del 1971, in tema di copertura delle spese sostenute dall’Ente pubblico per gli scopi in questione, in virtù dei quali i prezzi delle aree cedute in proprietà devono, nel loro insieme, assicurare la copertura delle spese sostenute dal Comune per l'acquisizione delle aree comprese in ciascun piano.

Se c’è inserzione automatica di clausole per legge, tali obbligazioni rientrano nel contenuto tipico e quindi nell’alea normale del contratto, a prescindere dalla previsione contrattuale o regolamentare predisposta dall’ente locale, sicchè vengono meno anche tutte le questioni prospettate nel ricorso in ordine alla interpretazione secondo buona fede del contenuto dell’accordo secondo la sua funzione tipica o l’affidamento degli acquirenti” (TAR Pescara, sent. 512/2013).

La predetta pronuncia, oggetto di impugnazione, è stata confermata dal Consiglio di Stato che ha affermato che: “In sostanza, i privati si dolgono di ciò, che il Comune, facendo gravare su di loro i maggiori costi di esproprio, ne avrebbe alterato l’originario calcolo economico e trascurato la funzione di incentivazione tipica del P.I.P., alla quale dovrebbero corrispondere prezzi politici per l’acquisizione delle aree.

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