TAR Napoli, sez. III, sentenza 2017-06-27, n. 201703500
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Pubblicato il 27/06/2017
N. 03500/2017 REG.PROV.COLL.
N. 02936/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2936 del 2000, proposto da:
Del Barone M C, rappresentata e difesa dagli avvocati O A, S C, A C, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli, viale Gramsci 16;
contro
- Comune di S. Giuseppe Vesuviano, in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
- Ente Parco Nazionale Vesuvio (di seguito: Ente Parco), in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;
per l'annullamento:
a) dell’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999, notificata il successivo 6 gennaio 2000, con la quale l’Ente Parco ha ingiunto la demolizione di alcune opere abusive realizzate dalla ricorrente;
b) per quanto occorra, della lettera informativa del comune di San Giuseppe Vesuviano prot. n. 8607, richiamata nel provvedimento sub a);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato per conto dell’Ente Parco;
Viste le memorie difensive;
Vita l’ordinanza cautelare n. 2031 del 19 aprile 2000;
Visto il decreto decisorio n. 26130 del 15 novembre 2012 di dichiarazione della perenzione del ricorso;
Vista l’ordinanza collegiale n. 5178 del 9 settembre 2016 per la ricostruzione del fascicolo;
Vista l’ordinanza collegiale n. 421 del 19 gennaio 2017 di revoca del decreto decisorio n. 26130 del 2012
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2017 il dott. Gianmario Palliggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso notificato il 3 marzo 2000 e depositato il successivo 31, originariamente incardinato presso la Quarta Sezione di questo TAR, Del Barone M C ha impugnato n. 213 del 10 dicembre 1999, con la quale l’Ente Parco le aveva ingiunto, quale responsabile dell’abuso rilevato, la demolizione del manufatto realizzato in via Telese.
L’Ente Parco si è costituito in giudizio per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato che, con memoria, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Comune di San Giuseppe Vesuviano non si è costituito in giudizio.
Con ordinanza n. 2013 del 19 aprile 2000, il Tar ha accolto la richiesta di sospensione cautelare dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
2.- Con decreto decisorio n. 26130 del 15 novembre 2012, del Presidente della Quarta Sezione è stata dichiarata la perenzione del ricorso, ai sensi dell’art. 1, comma 1, All. 3, norme transitorie del d. lgs. n. 104 del 2010, recante il nuovo codice del processo amministrativo.
Con istanza notificata il 18 dicembre 2013 e depositata il successivo 22 febbraio 2014, la ricorrente, nel dichiarare di avere ancora interesse alla trattazione della causa, ha chiesto la revoca del decreto di perenzione, ai sensi dell’art. 1, co. 2, all. 3 del c.p.a., rappresentando che lo stesso, non essendole stato comunicato nel domicilio eletto, non sarebbe stato concretamente conosciuto.
Il fascicolo del ricorso in epigrafe, riassegnato a questa Sezione in applicazione dell’art. 5 del decreto del Presidente del TAR Campania n. 13/2016.
Relativamente alla richiesta di revoca del decreto di opposizione, questa Sezione, con ordinanza collegiale n. 5178 del 13 settembre 2016 – nel rilevare la sussistenza di dubbi in ordine all’estinzione del giudizio, posto che, a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di perenzione n. 26130/2012, avvenuta col depositato in Segreteria il 15 novembre 2012, non era stato comunque compiuto alcun atto di procedura, come previsto dall’art. 81 cod. proc. amm. – ha assegnato alle parti venti giorni decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa dell’ordinanza medesima, per presentare memorie vertenti sulla questione indicata;sul punto, parte ricorrente ha presentato memoria il 23 novembre 2016.
In seguito, con ordinanza n. 421 del 19 gennaio 2017 ha preso atto che, avuto riguardo alla data di pubblicazione del decreto di perenzione, vi era la materiale impossibilità, alla luce di istruttorie condotte per casi analoghi, di svolgere una specifica ricerca per conoscere la data esatta di consegna alla ricorrente del decreto medesimo, in quanto nulla più risulta agli atti del vettore, Poste Italiane che, dopo tre anni dall’insorgenza del rapporto con il mittente, inoltra al macero i documenti relativi alla spedizione, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 156 del 1973.
Pertanto, in assenza della prova certa circa il ricevimento della comunicazione del decreto di perenzione, ha disposto la revoca del decreto di perenzione e la nuova iscrizione della causa sul ruolo di merito, reputando che il termine previsto dal citato art. 1, co. 2, all. 3 del c.p.a non decorre se non è dimostrabile la conoscenza del decreto di perenzione e, quindi, la data in cui la relativa comunicazione giunge a destinazione.
Nel contempo, con la citata ordinanza collegiale n. 421 del 2017, la Sezione ha ribadito che, dalla pubblicazione in data 15 novembre 2012 del citato decreto di perenzione non si è rilevato, per oltre un anno, alcun compimento di atti di procedura, ragion per cui si è ribadita alle parti, come questione di rito rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., l’eventualità della causa di estinzione del giudizio, prevista dall’art. 81 c.p.a..
Parte ricorrente ha presentato - in data 25 febbraio 2017 - ulteriore memoria con la quale ha ribadito le proprie posizioni.
4.- All’udienza del 28 marzo 2017 il ricorso è stato discusso ed introitato per la decisione
DIRITTO
1.- Va preliminarmente verificato - d’ufficio ai sensi dell’art. 83 c.p.a. e previa contestazione alle parti effettuata con le ordinanze collegiali n. 5178/2016 e n. 421/2017 - se, nonostante la revoca del decreto di perenzione adottato nel 2012 ai sensi dell’art. 1, all. 3, cod. proc. amm. - si è comunque verificata l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 81 c.p.a..
2.- Giova premettere che il nuovo codice del processo amministrativo disciplina le cause estintive del processo contemplando una perenzione annuale (art. 81, derivante dagli artt. 23 e 25 della legge n. 1034 del 1971 che prevedeva all’epoca un termine biennale), una perenzione quinquennale (art. 82, derivante dall’art. 9, co. 2, della legge n. 205 del 2000, modificato dall’art. 54 del decreto-legge n. 112 del 2008) ed una perenzione eccezionale rapportata all’entrata in vigore del nuovo codice (art. 1 delle norme transitorie).
2.1.- Il fondamento comune dell’istituto – pur nelle sue diverse tipologie - consiste nell’esigenza di non lasciare nell’incertezza la sorte dei rapporti e delle situazioni giuridiche per un lungo ed indefinito lasso di tempo. A questo scopo il trascorrere del tempo congiunto all’inattività delle parti porta ad una sorta di presunzione assoluta di abbandono del ricorso per effetto dell’inerzia, giustificando l’estinzione del processo (cfr. Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2004, n. 6).
2.2.- Nel contempo la perenzione, attraverso un meccanismo generalizzato di verifica della sussistenza dell’interesse alla decisione, assolve anche al compito essenziale di decongestionare le aule nonché gli archivi degli organi giurisdizionali da una massa di contenzioso obsoleto (cfr. Ad. plen. cit.) che non solo appesantisce ed ostacola il normale svolgimento del servizio, ma che determina anche un rilevante onere per le risorse pubbliche, per l’operare della L. 89/2001, cd. legge Pinto. Ed infatti l’Adunanza Plenaria ha puntualizzato, con una decisione risalente ma attuale ancora oggi, che “la perenzione nel giudizio amministrativo, essendone espressamente prevista la rilevabilità d'ufficio, non può considerarsi istituto di mero interesse privato … ma risponde all'esigenza di una rapida definizione dei processi, esigenza particolarmente avvertita in giudizi che riguardano necessariamente interessi pubblici” (cfr. Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1983, n. 6).
2.3.- E’ da aggiungere che il processo amministrativo è di norma dominato dal principio dell’impulso e dell’iniziativa di parte e le parti stesse sono altresì vincolate a cooperare con il giudice per la realizzazione di una ragionevole durata del processo (art. 2 c.p.a).
In questo contesto l’art. 81 c.p.a. prevede che: “Il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. Il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 71, comma 1, e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall'articolo 82”.
La sopra menzionata disposizione assegna dunque alle parti l’onere di compiere un qualsiasi atto processuale idoneo a manifestare l’interesse al processo e quindi a coltivare il giudizio.
A fronte di tale onere, che può essere agevolmente osservato con un minimo di diligenza, vi è il rilevante interesse pubblico dell’amministrazione della giustizia a mantenere sul ruolo controversie per le quali permanga e sia manifestato un interesse, evitando che ingenti risorse organizzative e finanziarie (che sono ovviamente limitate) siano assorbite da cause che risultano sostanzialmente abbandonate dalle parti.
Siffatto onere, previsto dall’art. 81 c.p.a., rimane quiescente se vi è una tempestiva domanda di fissazione d’udienza ex art. 71, co. 1, c.p.a. (da presentare nel termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo), fino a quando “non si sia provveduto su di essa”.
In definitiva, la disposizione esclude la decorrenza del termine per la perenzione annuale “quando il rapporto processuale è sottratto alla disponibilità delle parti ed è assoggettato al diretto impulso d’ufficio” (cfr. Cons. St., Ad. plen., 28 settembre 1984, n. 19), prevedendo nel contempo che, una volta che siano esauriti gli effetti dell’istanza di fissazione d'udienza, si riattiva l'onere assegnato alle parti di dare impulso al processo per mantenerlo in vita.
2.4.- Resta da chiarire in cosa consiste il provvedere su una domanda di fissazione d’udienza.
Senza dubbio il giudice (Presidente o collegio ex art. 55 c.p.a.) provvede su una domanda di fissazione d’udienza, in primo luogo, fissando l’udienza stessa;tant’è che lo stesso art. 71, co. 1, c.p.a. dispone che, qualora dall’udienza fissata non sortisca un esito conclusivo del processo, gli interessati hanno l’onere di presentare una ulteriore domanda di fissazione d’udienza (DFU).
Tuttavia, posto che non è ammessa la revoca della DFU, la cancellazione della causa dal ruolo non è comunque l’unico caso in cui il ricorrente ha l’onere, espressamente previsto dalla legge, di attivarsi per manifestare espressamente il proprio perdurante interesse alla decisione della controversia.
Tale formalità è, infatti, espressamente contemplata, in via transitoria, dall’art. 1, all. 3, c.p.a. e più in generale, a regime, dall’art. 82 c.p.a. per tutti i ricorsi ultraquinquennali. Le richiamate disposizioni disciplinano una sequenza procedurale specifica che conduce alla prosecuzione ovvero all’estinzione del giudizio.
Nondimeno non v’è dubbio che, una volta dichiarata l’estinzione del processo per perenzione quinquennale ovvero ai sensi delle norme transitorie, sia pure con il decreto presidenziale previsto dall’art. 85 c.p.a., il giudice amministrativo ha definitivamente provveduto sull’originaria domanda di fissazione d’udienza, la quale ha completamente esaurito la propria funzione, ragion per cui nessun ulteriore effetto può residuare al fine di bloccare la decorrenza del termine per l’applicazione della perenzione annuale ex art. 81 c.p.a..
3.- Se dunque il decreto di perenzione è per qualsiasi ragione annullato o revocato, sia pure per un difetto di procedura dell’iter relativo alla pronuncia della perenzione ex art. 82 c.p.a. ovvero ai sensi dell’art. 1 allegato 3 c.p.a., occorre verificare se per altro verso si è verificata l’estinzione del giudizio per perenzione annuale, ai sensi dell’art. 81 c.p.a., e quindi, in concreto, se sia stato compiuto un atto di procedura nel corso di un anno, con decorrenza dalla pubblicazione del decreto di perenzione.
3.1.- In tale quadro normativo, l’art. 81 c.p.a., nel fare espressamente “salvo quanto previsto dall'articolo 82”, reca un riferimento sistematico alla disposizione che a regime trova applicazione per tutti i ricorsi pendenti da oltre cinque anni, nel senso che la perenzione ultraquinquennale è una causa estintiva che si aggiunge a quella annuale. Il che non significa che la perenzione ultraquinquennale, ulteriore rispetto a quella ordinaria annuale, deroga o esclude l’applicazione dell’art. 81.
Infatti, come sancito dal massimo organo di giustizia amministrativa, “il sistema postula manifestamente una norma ‘di chiusura’ tale da permettere, in ogni caso, la conclusione del procedimento, e detta norma è ravvisabile, in concreto, in quella relativa alla perenzione … la perenzione dei ricorsi non deve essere guardata con sfavore, quasi si trattasse di una disfunzione della giustizia amministrativa;essa, invece, sempreché consegua ad un effettivo abbandono debitamente accertato, appartiene alla fisiologia dei rapporti fra privato e pubblica amministrazione. Non è né anormale, né insolito, che l'ininterrotto fluire dell'attività amministrativa e lo svolgersi delle circostanze determinino se non la cessazione della materia del contendere o l'improcedibilità del ricorso in senso proprio, l'esaurirsi delle ragioni sostanziali della controversia e il venir meno dell'interesse a coltivare i ricorsi” (cfr. Cons. St., Ad. plen., 18 aprile 1986, n. 3).
3.2.- Non sarebbe per contro ammissibile che, in presenza di parti che rimangano del tutto inerti per un significativo periodo di tempo, il processo possa continuare ad essere pendente, senza essere soggetto alla disposizione che regola in via ordinaria la perenzione. Infatti “questo effetto non è solo un inconveniente (peraltro tanto più rilevante, quanto crescente e il fenomeno che gli dà origine) ma una vera e propria rottura del sistema, che senza dubbio è stato razionalmente costruito con 1'intento di evitare (grazie alla norma ‘di chiusura’ relativa alla perenzione) che un ricorso possa sfuggire ad arbitrio delle parti ad una qualunque pronuncia conclusiva” (cfr. Cons. St., Ad. plen. ult. cit.).
Sennonché, se per un verso appare contrastare con il sistema che il giudizio possa rimanere indefinitamente pendente, neppure sarebbe ammissibile che un processo, dopo essersi concluso con un decreto di perenzione, sia soggetto senza alcun limite temporale all’alea di essere riaperto, contrariamente a quanto avviene per una sentenza che, come noto, può essere appellata al massimo nel termine lungo, che decorre dalla data della sua pubblicazione, indipendentemente dalla comunicazione alle parti.
Al riguardo il giudice delle leggi (cfr. Corte cost., 25 luglio 2008, n. 297) ha espressamente escluso che questo assetto normativo (con riferimento in particolare all’art. 327 c.p.c.) sia in contrasto con la tutela del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., in quanto:
- “opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa”;
- “l'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis”;
- “la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte”.
4.- Corrispondentemente, le stesse ragioni possono e devono valere per escludere che l’art. 81 c.p.a. - così come interpretato nel senso che l’onere di impulso della parte sussiste anche dopo la pubblicazione di un decreto di perenzione suscettibile di annullamento o di revoca - comporti una lesione dei principi del giusto processo o dell'integrità del diritto di difesa, con riferimento non solo agli artt. 24 e 111 della Costituzione, ma anche all'art. 6 della CEDU.
Del resto è appena il caso di soggiungere che una diversa interpretazione renderebbe virtualmente precari tutti i decreti di perenzione, senza eccezione e senza alcun limite di tempo, posto che i fascicoli processuali sono normalmente soggetti allo scarto di archivio, per effetto del quale vengono distrutti tutti gli atti ed i documenti del processo, ivi compresa la prova documentale – se esistente – della comunicazione cartacea di segreteria del decreto di perenzione, prova che non sarebbe possibile reintegrare neppure con la ricostruzione del fascicolo ex art. 5, all. 2, c.p.a..
5.- Orbene, nella specie, il decreto presidenziale di perenzione 26130 è stato pubblicato in data 15 novembre 2012 senza che sia stato compiuto alcun atto di procedura per oltre un anno, pur tenendo conto della sospensione feriale dei termini processuali, fino al 22 febbraio 2014, data del deposito, da parte della ricorrente, dell’atto di opposizione al decreto dichiarativo della perenzione.
Ne consegue che il ricorso in questione va considerato perento ai sensi dell’art. 81 c.p.a..
6. Le spese di giudizio, ai sensi dell’art. 83 c.p.a., sono compensate nei confronti dell’Ente Parco, mentre in considerazione della mancata costituzione dell’amministrazione comunale, non vi è luogo a pronuncia nei confronti della medesima.