TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-01-10, n. 201700306

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-01-10, n. 201700306
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201700306
Data del deposito : 10 gennaio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/01/2017

N. 00306/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00591/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 591 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M P, rappresentato e difeso dagli avvocati proff. V F e A P, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, piazza San Bernardo, 101;

contro

- Scuola Nazionale dell'Amministrazione e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- Ministero della Semplificazione Pubblica, non costituito in giudizio;

nei confronti di

M G, non costituita in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

1) quanto al ricorso:

- del D.P.C.M. del 25/11/2015, n. 202, Regolamento recante determinazione del trattamento economico dei docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione (SNA);

- della nota del Presidente della Scuola Nazionale dell'Amministrazione del 30.12.2015, prot. SNA_PRE 0014746P;

nonché

per l'accertamento del diritto alla conservazione del trattamento economico in godimento con la conseguente condanna al pagamento delle somme che a tale titolo risulteranno dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria e per l'accertamento del diritto alla prosecuzione dell'attività professionale da esso esercitata nonché per la condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni derivanti dagli atti illegittimi impugnati;

2) quanto ai primi motivi aggiunti:

della nota del Presidente della S.N.A., prot. n. SNA-P 0000555 P, pervenuta il 30 gennaio 2016, con la quale si chiede al ricorrente la rimozione della situazione di incompatibilità consistente nell’esercizio dell’attività libero professionale entro 15 gg. dalla data di ricevimento pena l’avvio “dell’iter per la pronuncia di decadenza dall’ufficio di professore”;

3) quanto ai secondi motivi aggiunti:

a) del decreto n. 19/2016 del Dirigente amministrativo della Scuola Nazionale dell’Amministrazione in data 16.2.2016, con il quale è stato rideterminato il trattamento economico spettante al Prof. M P ai sensi del DPCM del 25 novembre 2015, n. 202;
b) del provvedimento n. SNA-3378 P del 5 aprile 2016 della Scuola Nazionale dell’Amministrazione con il quale è stato disposto il computo e il recupero delle maggiori somme erogate (euro 27.476,42) sino ad aprile 2016 mese dal quale è divenuta operante la nuova retribuzione.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, con la relativa documentazione;

Visto il decreto cautelare monocratico di questa Sezione n. 152/16 del 14.1.2016;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 647/16 dell’11.2.2016;

Vista l’ordinanza cautelare della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 1407/16 del 22.4.2016;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 21 dicembre 2016 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, il prof. M P evidenziava di essere stato già Consigliere di Stato e poi nominato quale professore ordinario, dal luglio 2004, nel ruolo (ad esaurimento) della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (SSEF), con mantenimento del trattamento economico goduto nell’amministrazione di provenienza e relative progressioni stipendiali e di carriera nonché possibilità di svolgimento di attività professionale, in virtù dell’opzione esercitata ai sensi dell’art. 3, comma 3, d.m. 28.9.2000, n. 301 (recante regolamento della SSEF).

Il prof. P, quindi, ricordava di essere stato autorizzato all’esercizio della professione notarile con provvedimento dell’11.1.2013 del Rettore della SSEF e di essersi iscritto nel ruolo dei Notai dei Distretti notarili riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia, esercitando tale professione ininterrottamente.

Premettendo la ricostruzione del quadro normativo concernente i professori della SSEF (ora confluita nella Scuola Nazionale dell’Amministrazione – SNA, istituita ex art. 21, d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014), il prof. P chiedeva quindi l’annullamento, previe misure cautelari, del d.p.c.m. in epigrafe, adottato in attuazione dell’art. 21, comma 4, d.l. cit., nella parte in cui interveniva sulla rideterminazione del suo trattamento economico nonché sul suo stato giuridico, stabilendo l’incompatibilità per i professori della Scuola Nazionale dell’Amministrazione allo svolgimento della libera professione analogamente a quanto previsto per i docenti universitari “a tempo pieno”, con decorrenza pressoché immediata e nonostante due pareri espressi in senso difforme dal Consiglio di Stato in sede consultiva.

Il ricorrente, in sintesi, lamentava quanto segue.

1. Violazione di legge. Violazione dell’art. 21, comma 4, del d.l. n. 90/2014. Violazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988 .”.

In relazione all’estensione del regime di incompatibilità, il prof. P evidenziava che tale misura non era prevista nella norma primaria di riferimento, la quale non indicava alcuna facoltà di intervento sullo stato giuridico dei docenti ma si limitava a prevedere che un adottando d.p.c.m. si occupasse soltanto della determinazione del trattamento economico relativo, facendo mero richiamo allo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari “di ruolo”.

2. Violazione di legge. Violazione dell’art. 4 delle preleggi del codice civile nonché dello stesso art. 21 citato. Violazione dell’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 ”.

Il riferimento ai docenti “a tempo pieno” contenuto nel secondo periodo del comma 4 dell’art. 21 d.l. n.90/14 era da intendersi esclusivamente in relazione ai criteri di rideterminazione del trattamento economico e non già dello stato giuridico, con conseguente possibilità per il regolamento di rideterminare solo il trattamento economico prendendo a riferimento, come parametro di massima, il trattamento stipendiale spettante ai docenti a tempo pieno ma non di escludere una facoltà – quella di esercitare la libera professione - che le norme primarie attribuiscono allo stato giuridico del docente universitario.

3. Violazione di legge. Incompetenza. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità ”.

La nota del presidente della SNA impugnata era affetta anche da illegittimità autonoma in quanto conteneva l’applicazione di una norma regolamentare ancora non vigente, senza che fosse stato dato luogo a un avvio del procedimento conforme alla normativa di cui alla l. n. 241/90.

4. Violazione di legge. Violazione dell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio di tutela del legittimo affidamento. Eccesso di potere ”.

La scelta del regolamento impugnato di escludere per i docenti della SNA la facoltà di esercitare la libera professione si presentava illegittima anche in quanto in aperto contrasto con il principio della tutela del legittimo affidamento, riconosciuto anche dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, che aveva portato il ricorrente a lasciare da tempo i ruoli della magistratura ordinaria e ad assumere i gravosi impegni che comporta l’esercizio della professione notarile.

5. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità, di certezza del diritto, di imparzialità, di ragionevolezza, di equità e di eguaglianza nonché sotto il profilo dello sviamento di potere e della disparità di trattamento. Violazione del principio di legalità ”.

La scelta censurata si poneva in contrasto anche con i principi di proporzionalità, di certezza del diritto e di ragionevolezza, dando luogo a disparità di trattamento tra i professori universitari “di ruolo” e i docenti della SNA nel consentire solo ai primi lo svolgimento di attività professionale.

6. In via subordinata, illegittimità costituzionale e comunitaria dell’art. 21 citato ”.

In estremo subordine, il ricorrente chiedeva che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 21 cit., nella parte in cui avrebbe consentito al Presidente del Consiglio dei Ministri di innovare, con norma regolamentare, il regime giuridico riconosciuto ai professori a tempo indeterminato della SNA (ex SSEF), ovvero di rimettere alla Corte di Giustizia UE questione pregiudiziale relativa alla conformazione ai principi sopra ricordati dell’art. 21 in questione.

7. Violazione di legge. Violazione dell’art. 31 del d.lg. n. 165 del 2001 ”.

Per quanto riguardava la rideterminazione del trattamento economico, il prof. P evidenziava che si poneva in contrasto con l’art. 31 d.lgs. n. 165/2001 sulla c.d. “mobilità obbligatoria”. I docenti “ex SSEF” erano stati inquadrati “ex lege” nella SNA ma non era stata considerata, dal d.p.c.m. impugnato, alcuna ipotesi di “assegno ad personam” che avrebbe garantito il medesimo trattamento economico ex art. 31 cit., da considerarsi vigente nonostante l’intervenuta abrogazione dell’art. 202 t.u. n. 3/1957, dato che tale ultima norma si riferiva alla diversa fattispecie della c.d. “mobilità volontaria”.

8. Violazione di legge. Violazione della legge n. 240 del 2010 e del D.P.R. n. 232 del 2011 ”.

La disposizione impugnata non aveva considerato che la disciplina di settore sul trattamento economico dei docenti universitari, di cui alla normativa in rubrica, garantiva ai docenti in servizio alla data del 15.1.2011 il mantenimento del trattamento economico in godimento.

9. Violazione di legge ed eccesso di potere per contrasto con i principi comunitari, costituzionali e dell’ordinamento giuridico nazionale ”.

Il ricorrente richiamava un “ordine del giorno” approvato dalla Camera dei Deputati nella seduta del 19.12.2015, ove il Governo si impegnava ad adottare un’interpretazione delle norme in questione conforme ai principi costituzionali che consentisse il mantenimento di un assegno “ad personam”, secondo quanto prospettato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva nella presente fattispecie.

Il ricorrente, inoltre, lamentava che la norma primaria prevedeva che quello dei professori “ex SSEF” dovesse essere soltanto reso “omogeneo” a quello degli altri docenti della SNA, a sua volta determinato sulla base di quello spettante ai corrispondenti professori (o ricercatori) universitari “a tempo pieno” con corrispondente anzianità, secondo le relative osservazioni del Consiglio di Stato in sede consultiva, di cui erano riportati stralci del relativo parere.

Nel caso di specie si era dato luogo invece ad una effettiva “omologazione” e non a una mera “omogeneizzazione” dei trattamenti economici.

10. Eccesso di potere per sviamento ”.

Il ricorrente individuava profili di sviamento nel potere nella decorrenza del nuovo trattamento economico dal 1.1.2016, anteriore all’entrata in vigore del regolamento stesso.

Inoltre, risultava incisa negativamente l’attività di formazione dei funzionari e dirigenti pubblici perché risultavano ora poco appetibili le mansioni di docente della SNA per i dipendenti pubblici di elevatissima qualificazione professionale.

11. Eccesso di potere per irragionevolezza e sviamento sotto altro profilo ”.

I docenti SNA (ex SSEF) subivano un radicale e unilaterale peggioramento del loro “status” giuridico ed economico senza vedere innovare minimamente il contenuto della propria prestazione lavorativa, con conseguente induzione alle dimissioni.

12. In via subordinata illegittimità comunitaria e incostituzionalità delle disposizioni legislative in questione. Violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della proporzionalità. Violazione dell’articolo 36 della Costituzione ”.

Il ricorrente, nuovamente in via subordinata, eccepiva l’incostituzionalità dell’art. 21 cit. e la sua illegittimità comunitaria per i profili relativi alla censurata rideterminazione del trattamento economico, per violazione dei principi generali sopra richiamati.

Con decreto cautelare monocratico presidenziale era respinta la domanda avanzata dal ricorrente ai sensi dell’art. 56 c.p.a.

Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso, come illustrato in memoria per la camera di consiglio del 10.2.2016, in prossimità della quale anche il ricorrente depositava una breve memoria illustrativa.

All’esito della camera di consiglio, la Sezione, con l’ordinanza in epigrafe, respingeva la domanda cautelare ma la statuizione era riformata dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato con l’ordinanza pure in epigrafe richiamata.

Con due distinti atti recanti motivi aggiunti, ritualmente notificati e depositati, il prof. P chiedeva nelle more anche l’annullamento di atti conseguenziali a quelli impugnati con il ricorso introduttivo, recanti rispettivamente diffide a rimuovere, a pena di avvio del procedimento di decadenza, la situazione di incompatibilità consistente nell’esercizio dell’attività libero-professionale, nonché la rideterminazione del trattamento economico e la richiesta di corresponsione di differenze retributive a “credito” della SNA.

In reazione ai primi motivi aggiunti, il ricorrente, oltre a dedurre motivi di illegittimità derivata da quelli esposti in precedenza, lamentava anche – come autonomo motivo – l’incompetenza del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, che aveva esercitato un potere del Presidente del Consiglio dei Ministri, potere a sua volta delegato dalla norma primaria e quindi non sub-delegabile.

Analogamente, in relazione agli ulteriori motivi aggiunti, era lamentata illegittimità derivata dagli atti in precedenza impugnati, nonché eccesso di potere per irragionevolezza, disparità di trattamento, illogicità e travisamento dei fatti, in quanto risultavano accorpate situazioni diverse che contraddistinguevano i professori “ex SSEF”, come il ricorrente, e quelli “ex SSPA”, che – a differenza dei primi – non erano di ruolo nella SNA e sarebbero tornati a prestare servizio presso le amministrazioni di appartenenza.

Era lamentata, infine, anche la violazione dell’art. 7 l. n. 241/90 e dell’art. 36 Cost., in quanto le somme oggetto di recupero erano state già consumate dal ricorrente per esigenze familiari, nonché incompetenza perché il provvedimento relativo doveva essere emanato dal direttore amministrativo.

In prossimità della pubblica udienza le parti costituite depositavano memorie (il ricorrente “di replica”) ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi e, alla data del 21.12.2016, la causa era trattenuta in decisione per il merito.

DIRITTO

Al non più sommario esame di cui alla presente fase di merito, il Collegio ritiene la fondatezza del gravame.

Sulla fattispecie, non può che richiamarsi una recente pronuncia di questa Sezione con la quale è stata definita fattispecie del tutto analoga riguardante altro docente della SNA “ex SSEF” (TAR Lazio, Sez. I, 15.9.16, n. 9758), dalla quale non si rinvengono elementi contenuti nelle ultime difese delle Amministrazioni costituite per discostarsi.

Valga, dunque, anche ai sensi dell’art. 74 c.p.a., riportare i punti salienti di tale decisione, perfettamente adattabili al caso di specie.

L’art. 21 d.l. n. 90/14, conv. in l. n. 114/14, rubricato “ Unificazione delle Scuole di formazione ”, prevede testualmente, al comma 4 qui rilevante che: “ I docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della Scuola Superiore dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 4-septies, comma 4, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, sono trasferiti alla Scuola nazionale dell'amministrazione e agli stessi è applicato lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari. Il trattamento economico è rideterminato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione, che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica .”.

Il d.p.c.m. di cui alla seconda parte della disposizione in questione (e impugnato in questa sede “in parte qua”) è stato adottato il 25.11.2015 e il relativo art. 2 prevede che: “ Ai docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, nonché ai docenti a tempo indeterminato si applica il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno, come fissato dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni.

Ai docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia si applica, rispettivamente, il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno o quello dei professori universitari di seconda fascia a tempo pieno come fissati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni.

Per i docenti a tempo pieno scelti tra dirigenti di amministrazioni private o tra soggetti, anche stranieri, in possesso di elevata e comprovata qualificazione professionale, il trattamento economico annuo lordo è stabilito, tra quelli di professore universitario di prima fascia a tempo pieno o di professore universitario di seconda fascia a tempo pieno, dal Presidente della Scuola, sentito il Comitato di gestione, sulla base della valutazione del curriculum accademico e professionale, in applicazione dei criteri di valutazione fissati dallo stesso Comitato, comunque nel rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni.

Il trattamento economico dei docenti a tempo pieno e a tempo indeterminato, come definito dal presente articolo, è correlato all'espletamento degli obblighi istituzionali e delle attività didattiche e scientifiche, previsti per i professori universitari a tempo pieno e all'impegno didattico fissato dall'articolo 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e dall'articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Ai suddetti docenti si applica la disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni prevista per i professori e ricercatori universitari a tempo pieno dallo stesso articolo 6. Il Presidente, sentito il Comitato di gestione, determina le modalità per la verifica dell'effettivo svolgimento delle attività didattiche e scientifiche da parte dei predetti docenti. Il compenso per le ulteriori attività è determinato, nei limiti delle disponibilità di bilancio, in applicazione dei criteri di cui al decreto previsto dall'articolo 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230 e, fino all'adozione del suddetto decreto, in misura pari al settantacinque per cento dell'importo individuato ai sensi dell'articolo 4.

Ulteriori criteri per la determinazione del trattamento economico sono poi posti all’art. 5 d.p.c.m. cit., laddove è indicato che “ Ai fini della determinazione del relativo trattamento economico, i docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia o tra ricercatori universitari, mantengono l'anzianità di servizio già maturata.

Ai fini della determinazione del trattamento economico dei docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, e dei docenti a tempo indeterminato, i periodi di servizio prestato nelle suddette qualifiche vengono computati come anzianità di servizio nel ruolo dei professori universitari di prima o di seconda fascia a tempo pieno, in coerenza con i criteri di determinazione del trattamento economico previsti dall'articolo 2, applicando le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni.

Ai fini del comma 2, in applicazione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni, la progressione per classi e scatti è biennale fino alla data di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, e triennale a decorrere dall'entrata in vigore della predetta legge.

Ai fini del computo dell'anzianità, i periodi di servizio presso la Scuola dei docenti a tempo pieno, dei docenti a tempo indeterminato e dei ricercatori a tempo indeterminato vengono valutati in applicazione della disciplina generale relativa ai professori e ai ricercatori universitari .”

Alla luce del dato testuale della norma di rango primario, che non richiede particolare interpretazione ermeneutica, il Collegio trova fondato quanto lamentato dal ricorrente nei primi motivi di ricorso (e dei correlati motivi aggiunti), laddove è evidenziato che l’art. 21, comma 4, d.l. cit. non faceva alcun riferimento alla modifica dello “status giuridico” e in particolare all’introduzione – perché di novità di fatto si tratterebbe in quanto in precedente era assente – di un regime di incompatibilità, compreso quindi quello di cui all’art. 6 l. n. 240/2010, come d’altro canto già osservato – sia pure in sede di sommaria delibazione cautelare – dal Consiglio di Stato nell’ordinanza richiamata in epigrafe che, a sua volta, richiamava precedenti in termini.

La norma di rango primario in questione, nel quadro della disciplina che aveva portato alla unificazione nella SNA di tutte le scuole di formazione della p.a., si era limitata, in relazione ai docenti del ruolo ad esaurimento della “ex SSEF”, a prevedere il loro inserimento nella neo istituita Scuola, con previsione normativa necessaria proprio perché in precedenza inseriti in “ruolo ad esaurimento”, che poteva essere considerato legato unicamente alla permanenza in esistenza della SSEF. In tale inserimento l’art. 21, comma 4, cit. si è limitato a richiamare che lo stato giuridico doveva considerarsi quello dei professori universitari ma da ciò non può dedursi che era stato implicitamente introdotto “ex lege” il regime di incompatibilità proprio dei professori ordinari “a tempo pieno”. A conferma di tale interpretazione si palesa proprio il medesimo art. 21, comma 4, il quale solo nel demandare al Governo l’adozione di un decreto per determinare il trattamento economico – fermo quanto sarà in prosieguo specificato – ha fatto riferimento al regime del “tempo pieno”, confermando che tale regime semmai poteva essere considerato come parametro di riferimento a fini economici, cui era delegato l’esecutivo, ma non al fine di modificare lo “status” giuridico dei professori del ruolo ad esaurimento della “ex SSEF” di cui alla prima parte del comma in esame.

Valga inoltre ricordare che presso la Scuola in questione i docenti c.d. “stabili” o “a tempo pieno” non corrispondono a quelli della terminologia “classica” universitaria, in quanto sono quelli che svolgono attività didattica in sostituzione dei compiti di istituto propri del ruolo di provenienza, conservando il trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza/provenienza, ma senza che sia formalizzato un divieto di svolgimento di attività libero-professionale.

Vi sono, poi, presso la Scuola, docenti incaricati, c.d. “temporanei”, cui è affidata un’attività di insegnamento che non si sostituisce ma si affianca con quella svolta comunque presso l’amministrazione di provenienza.

In sostanza, sussistono professori “stabili” o “a tempo pieno” presso la Scuola, secondo il regime del d.lgs. n. 178/2009, che provenendo dai ruoli universitari hanno un regime di impegno (lì individuato “a tempo definito”) retribuito in tal senso dall’Università di provenienza e compatibile, in quanto tale, con la svolgimento di attività libero-professionale.

Ne consegue che il richiamo generico allo stato giuridico dei professori (o dei ricercatori) universitari di cui all’art. 21, comma 4, d.l n. 90/14, prima parte, non implicava in alcun modo l’automatico vincolo allo svolgimento di didattica con incompatibilità alle attività libero-professionali, secondo quanto previsto per i professori “a tempo pieno” di cui alla l. n. 240/2010, dovendo –come detto - il richiamo al “tempo pieno” in questione essere preso in considerazione dall’Esecutivo, in sede di adozione del previsto d.p.c.m., solo nel regolare il trattamento economico.

Pertanto l’innovazione importata dal decreto impugnato, che ha introdotto senza alcuna delega in tal senso il regime delle incompatibilità di cui all’art. 6 l. n. 240/2010 cit. per i soli professori del ruolo ad esaurimento “ex SSEF”, si palesa illegittima.

Né in senso contrario possono rilevare le difese delle Amministrazioni costituite, che si sono nella sostanza limitate a confermare – anche nell’ultima memoria - che la portata del d.p.c.m. impugnato era in effetti innovativa sul punto nel riorganizzare sotto l’egida della SNA le precedenti Scuole dell’amministrazione e la specifica posizione dei docenti “ex SSEF”, evidenziando che non era più possibile in generale far valere un’eventuale opzione per il tempo definito (anche se già esercitata presso Università di provenienza, pur non essendo questo il caso del ricorrente, proveniente dalla magistratura ordinaria).

In realtà, come detto, non è rinvenibile in alcuna parte della norma di cui all’art. 21, comma 4, cit. una portata innovativa di tal genere per i docenti “ex SSEF” comprensiva di tale limite di esercizio – inteso come vincolo di incompatibilità ex art. 6 l. n. 240/10 - e ciò è confermato dalle stesse Amministrazioni costituite le quali precisano che l’attuale assetto organizzativo del personale docente della SNA – secondo quanto già sopra rappresentato - prevede: 1) docenti a tempo indeterminato trasferiti dalla “ex SSEF”;
2) docenti a tempo pieno nominati ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 178/2009, con incarico a tempo determinato;
3) docenti incaricati, anche a tempo determinato, ai sensi dell’art. 10, comma 3, d.lgs. cit.

Non si rinviene quindi alcuna figura di docente che già rechi con sé l’equiparabilità a quella del professore ordinario “universitario” che svolge attività “a tempo pieno”, con conseguente regime di incompatibilità ex art. 6 cit., per cui è evidente la portata “innovativa” sullo “status” dei docenti “ex SSEF” che il decreto impugnato ha apportato, senza alcuna margine a ciò concesso però, come detto, dalla normativa primaria di cui all’art. 21, comma 4, d.l. n. 90/14.

Questa norma, infatti, non considerava l’introduzione di alcun regime di incompatibilità in tal senso, limitandosi a prevedere che tali docenti fossero “trasferiti” alla SNA e provvedendo a richiamare l’applicabilità ad essi dello stato giuridico dei professori universitari (genericamente indicati), senza che per questo possa riconoscersi una delega implicita al Governo a introdurre regimi di incompatibilità precedentemente non previsti presso la SSEF e propri di una sola “categoria” di professori universitari (quelli “a tempo pieno). La stessa rubrica della norma – “Unificazione delle Scuola di formazione” – sta a indicare che la stessa è stata adottata per pervenire ad una semplificazione e riduzione degli organismi formativi della pubblica amministrazione, senza intenzioni di dare luogo a una riforma sostanziale, la quale risulta – coerentemente – demandata, invece, alla previsione dell’art. 1, comma 657, l. n. 216/2015 nel frattempo adottato.

La norma in questione di cui all’art. 21 d.l. cit., anzi, si è premurata – nel considerare al comma 4 i soli docenti “ex SSEF” - che costoro conservassero lo “status” di professori universitari secondo quanto già riconosciuto dalla regolazione, anche di rango primario, che aveva istituito il “ruolo ad esaurimento”, in tal senso dando luogo ad un effetto meramente “ricognitivo”, per cui ogni innovazione sul medesimo punto da parte di norma di rango secondario, come nel caso di specie, appare anche sotto questo profilo illegittima.

Inoltre, l’introduzione della modifica sostanziale comportante il regime di incompatibilità più volte richiamato - oltretutto in tempi pressoché immediati, obbligando il ricorrente ad una scelta “di vita” di rilevantissimo spessore in pochi giorni - ha dato luogo, sotto tale profilo, anche alla violazione dei principi generali di “legalità”, “legittimo affidamento” e “proporzionalità”, come lamentati nel quarto e quinto motivo di ricorso.

Parimenti fondati sono anche gli ulteriori motivi con i quali si censura la modalità di determinazione del trattamento economico, secondo l’unico oggetto di delega rinvenibile, in astratto, nell’art. 21 cit.

In disparte ogni considerazione – comunque dirimente, ad opinione del Collegio, cui si applica il principio “Iura novit Curia” – sull’entrata in vigore dell’art. 11, comma 1, lett. d), l. n. 124/2015, posteriore al d.l. n. 90/2014 ma anteriore all’adozione del d.p.c.m. impugnato, secondo il quale è affidata a decreto delegato la “…ridefinizione del trattamento economico dei docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione in coerenza con le previsioni di cui all'articolo 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ferma restando l'abrogazione dell'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 1º dicembre 2009, n. 178, senza incremento dei trattamenti economici in godimento e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, il Collegio rileva la fondatezza delle doglianze del ricorrente anche sullo stesso d.p.c.m. impugnato.

L’art. 21, comma 4, d.l. cit., infatti, afferma che la rideterminazione in questione del trattamento economico dei docenti provenienti dai ruolo “ad esaurimento” della SSEF – sempre nell’ambito della volontà di mera semplificazione e “Unificazione delle scuole di formazione” di cui alla rubrica della norma – doveva avvenire “…al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione, che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità”.

L’impugnato decreto, invece, ha dato luogo ad una sostanziale ”omologazione” del trattamento in questione, nel senso di renderlo del tutto coincidente a quello dei professori “a tempo pieno”, senza considerare la peculiarità della posizione dei professori “ex SSEF”, inseriti a suo tempo in un “ruolo ad esaurimento” in virtù del processo di riorganizzazione delle scuole di formazione della p.a. (nelle more legato anche alla istituzione della SSPA), con procedimento sostanzialmente coincidente a quello di “mobilità obbligatoria ex lege” dei pubblici dipendenti, che prevede però il godimento del medesimo trattamento economico garantito al dipendente e su cui non opera(va) l’abrogato art. 202 t.u. n. 3/1957, secondo lo stesso “principio ispiratore” del d.lgs. n. 178/2009, come d’altronde riconosciuto più volte dallo stesso Consiglio di Stato nei pareri espressi in sede consultiva sulla fattispecie (nn. 533/2015 e 2157/2015).

Con logica e coerenza l’Organo consultivo aveva evidenziato che la disposizione di cui al decreto esaminato, come congegnata, avrebbe comportato disparità di trattamento a danno dei soli docenti “ex SSEF” cui la norma era rivolta, non consentendo solo a loro, in alternativa alla permanenza nella SNA, il rientro in un determinato periodo intermedio nelle amministrazioni di provenienza ovvero senza consentire almeno la permanenza con incarichi di durata ma con trattamento economico di base commisurato a quello delle amministrazioni di provenienza.

Del tutto illogica e immotivata, invece, è stata la mancata considerazione di tali suggerimenti, dato che il d.p.c.m. impugnato ha ritenuto di mantenere la struttura originaria, senza neanche prevedere un congruo termine di “preavviso” agli interessati, che nel tempo di meno di quindici giorni si sono visti obbligati a prendere decisioni “vitali” e irreversibili legate ad un’unica alternativa prospettata, quale la permanenza nella SNA o la continuazione della (sola) attività libero-professionale, laddove la stessa non era rinvenibile in capo agli altri docenti della Scuola e quindi senza che potesse configurarsi quella “omogeneizzazione” del trattamento economico richiesta dalla norma primaria - intesa come tendenziale conformazione di assimilabilità ma non di perfetta equiparazione e sovrapponibilità indipendentemente dallo “status” di provenienza - e senza neanche una approfondita valutazione di tale trattamento idonea a sostenere che lo stesso potesse considerarsi assunto sulla mera “base” di quello dei professori universitari “a tempo pieno”, come richiesto nella delega di cui all’art. 21, comma 4, cit.

Valgano ad ulteriore sostegno di quanto osservato, le valutazioni del ricorrente di cui alla sua ultima memoria di replica, ove si evidenzia che tale drastica riduzione – individuata in concreto con i provvedimenti impugnati con i secondi motivi aggiunti tra il 50 e il 60% del precedente trattamento stipendiale - non opera soltanto per l’avvenire ma influisce anche su interessi consolidati e sulla posizione economica relativa al trattamento pensionistico, dato l’utilizzo in materia del metodo “misto contributivo-retributivo” ai sensi dell’art. 13, lett. a), d.lgs. n. 503/1992 applicabile alla fattispecie, con conseguente riduzione della pensione nonché dello stesso T.F.R. calcolato anch’esso sull’ultima retribuzione.

Si palesano dunque anche effetti “retroattivi” - come lamentati dal ricorrente ma negati nelle difese dell’Amministrazione quando fa riferimento ad una incisione solo “pro futuro” della nuova regolamentazione - che non trovano giustificazione alcuna nell’impostazione della norma primaria, orientata sì a risparmi di spesa ma nell’ambito della generale ristrutturazione delle scuole di formazione e non certo a discapito di una sola categoria di docenti, quali quelli “ex SSEF”.

In particolare, risulta anche la violazione del principio del legittimo affidamento e di garanzia della continuità giuridica del rapporto di lavoro alle dipendenza della p.a., recentemente riconosciuto a livello generale dalla recente giurisprudenza della Corte Sovrana (sent. n. 108/2016) e della Corte Suprema (Cass.civ., sez. VI, 8.3.16, n. 4545), che ha considerato irragionevole l’incisione “in pejus”, finanche da parte di una fonte normativa sopravvenuta, incidente sul diritto acquisito mediante la sottoscrizione di un regolare contratto di lavoro secondo la disciplina vigente “pro tempore”.

Sotto tutti questi profili, quindi, appare ben saggia la revisione successiva del legislatore che ha ritenuto di rideterminare l’intera riorganizzazione della SNA e il trattamento economico dei docenti con fonte primaria, ai sensi dei su richiamati art. 1, comma 657, l. n. 216/2015 (legge di stabilità 2016) e art. 11, comma 1, lett. d), l. n. 124/2015.

L’illegittimità dei provvedimenti impugnati sotto i profili sopra esposti relativi ai primi motivi di ricorso comporta l’assorbimento delle questioni di costituzionalità e di compatibilità comunitaria prospettate nei motivi subordinati, per la loro irrilevanza nel presente giudizio, nonché l’accoglimento dei due atti di motivi aggiunti, fondati principalmente su illegittimità derivata, con assorbimento delle ulteriori censure.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il gravame deve essere accolto.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per intero, per la novità della fattispecie, ferma restando l’applicazione al caso di specie dell’art. 13, comma 6 bis.1, del dpr n. 115/2002 sul contributo unificato, da porsi a carico della P.C.M. costituita.

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