TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-09-18, n. 201304338

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-09-18, n. 201304338
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201304338
Data del deposito : 18 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06856/2009 REG.RIC.

N. 04338/2013 REG.PROV.COLL.

N. 06856/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6856 del 2009, proposto da: L S, rappresentato e difeso dagli Avvocati M C A e O C presso cui è elettivamento domiciliato in Napoli, Calata S. Marco n. 4, come da procura a margine del ricorso;

contro

Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, autorizzato a stare in giudizio come da deliberazione della Giunta Municipale n. 1964 del 4 dicembre 2009, rappresentato e difeso dagli Avvocati G T, Barbara Accattatis Chalons d’Oranges, A A, E C, B C, A C, A I F, G P, A P, Bruno Ricci, Gabriele Romano, con i quali è elettivamente domiciliato in Napoli, piazza Municipio - Palazzo S. Giacomo, presso l’Avvocatura Municipale, come da procura a margine dell’atto di costituzione in giudizio;

per l'annullamento

della disposizione dirigenziale n. 201 del 2 marzo 2009, recante l’ordine di demolizione di opere realizzate in Napoli, via San Domenico n. 120.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2013 il consigliere A S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. – Con ricorso notificato il 16 novembre 2009 e depositato il successivo 9 dicembre, il sig. Salvatore Liccardi ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento in epigrafe, con cui il competente Dirigente del Comune di Napoli gli ha ordinato di demolire un manufatto in muratura esteso circa 100 metri quadrati ed alto 2 metri e settanta centimetri, diviso in sette ambienti e con un terrazzo a livello di circa 30 metri quadrati, pavimentato e delimitato da un muretto di circa un metro dia altezza, oltra a d altro manufatto esteso curca 45 metri quadrati per due metri e mezzo di altezza dotato di copertura e suddiviso in tre vani ad uso abitativo.

Le opere, erette senza permesso di costruire, si trovano in via San Domenico n. 120, in zona vincolata sotto il profilo paesaggistico.

2. – Il ricorso è affidato ai seguenti motivi, sulla scorta dei quali il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato previa sospensione cautelare:

1) Violazione dell’art. 7 L. 241\1990 e difetto d’istruttoria;

2) Violazione degli articoli 3 e 22 del DPR n. 380\2001, difetto d’istruttoria e travisamento dei fatti, difetto di motivazione, posto che il fabbricato esisterebbe da epoca di gran lunga antecedente all’accertamento;

3) Violazione dell’art. 27 DPR n. 380\2001, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, in quanto la demolizione ad horas in zona vincolata potrebbe applicarsi solo in caso di vincolo di inedificabilità assoluta, e non relativa;

4) Violazione degli articoli 31 e 36 DPR n. 380\2001, non avendo il Comune valutato la sanabilità in astratto delle opere;

5) Violazione dell’art. 31 DPR n. 380\2001, non avendo il Comune indicata l’area di sedime da acquisire in caso d’inottemperanza all’ordine impartito;

6) Ulteriore violazione dell’art. 31 DPR n. 380\2001, difetto di motivazione, in quanto la disposizione non contiene notizie delle numerose costruzioni abusive esistenti nella zona;

7) Ancora violazione dell’art. 31 DPR n. 380\2001, difetto d’istruttoria, non avendo il Comune tenuto conto dell’elevato grado di urbanizzazione della zona.

3. – Il Comune di Napoli ha resistito al ricorso con memoria, eccependone l’infondatezza.

Alla pubblica udienza del 26 giugno 2013 il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato, e va respinto.

Va disatteso il primo motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio.

Per consolidata regola giurisprudenziale, ampiamente condivisa da questo TAR, i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dal suddetto avviso, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all'esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (Cons. Stato, sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1814;
T.A.R. Campania, sez. IV, 28 marzo 2001, n. 1404, 14 giugno 2002, n. 3499, 12 febbraio 2003, n. 797).

È poi stato precisato che la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non costituisce un motivo idoneo a determinare l'annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l'assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all'edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", sicché sussiste la condizione prevista dall'art. 21 octies, comma 2, della L.n. 241 del 1990 per determinare la non annullabilità del provvedimento impugnato (Consiglio di stato, sez. IV, 15 maggio 2009 , n. 3029).

2. – Non possono essere accolte neppure le censure di difetto di motivazione svolte, sotto vari profili, nei motivi secondo, quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo, esaminabili congiuntamente per comodità espositiva e in ottemperanza all’obbligo di sinteticità degli atti (art. 3 c.p.a.).

L'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva si configura come atto dovuto per il quale non esiste uno specifico obbligo di motivazione oltre la descrizione dell'abuso commesso e la sua identificazione oggettiva.

In caso di ordinanze di demolizione l'obbligo di motivazione è da intendere assolto con l'indicazione dei meri presupposti di fatto che valgono, di per se stessi, a giustificare l'applicazione delle corrispondenti misure sanzionatorie previste direttamente dal legislatore (T.A.R. Campania Napoli sez. IV 8 aprile 2013 n. 1821).

Inoltre, i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, salvo ipotesi particolari delle quali non ricorrono gli estremi nella fattispecie in esame, non necessitano di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza dell'interesse pubblico, perché la repressione degli abusi edilizi costituisce un preciso obbligo dell'Amministrazione, che non gode di alcuna discrezionalità al riguardo (Consiglio di Stato, Sezione IV, 1.10.2007 numero 5049).

Pertanto, non rileva neppure il lungo lasso di tempo asseritamente trascorso tra l’abuso e la sua repressione: su tale circostanza, peraltro, il ricorrente non fornisce neppure un principio di prova, venendo anzi smentito dal verbale di sequestro del 27 agosto 2008 allegato al ricorso, per cui almeno uno dei due fabbricati non appare di recente realizzazione.

Quanto alla mancata individuazione dell’area di sedime da avocare al patrimonio comunale in caso di inottemperanza, essa è irrilevante, in quanto tale dato deve essere contenuto nel successivo atto di acquisizione, a pena di illegittimità di quest'ultimo, che costituisce titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (T.A.R. Campania Napoli sez. III 16 aprile 2008 n. 2207);
sicchè la giurisprudenza ritiene costantemente che non costituisce vizio di un'ordinanza di demolizione la mancata precisa indicazione delle pertinenze del terreno abusivamente edificato da acquisire al patrimonio comunale, in caso d'inottemperanza all'ordine di demolizione (Cons. di Stato, VI, 18.4.2004 n. 1998, V, 26.1.2000 n. 341;
T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 16 maggio 2007, n. 1364).

Lo stesso deve dirsi in ordine alla stratta sanabilità dell’opera, che non è compito del Comune verificare, in assenza di qualsivoglia istanza di accertamento di conformità proposta dagli interessati.

Premesso, infatti, che nella circostanza non risultano presentate istanze di accertamento della conformità edilizia dell’immobile alla normativa di riferimento ex art. 36 DPR n. 380\2001, si osserva che il Comune ha qui speso un potere di tipo sanzionatorio di natura vincolata, che si deve ritenere collegato direttamente al principio, adesso cristallizzato nell’art. 27 T.U. 380\2001, per cui esso, tramite il competente Dirigente, esercita la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.

E’ questa, e non la successiva ed eventuale possibilità di sanare gli abusi perpetrati tramite accertamento di conformità (qui, ripetesi, neppure richiesto), la ragione ispiratrice della normativa in tema di sanzioni edilizie.

Peraltro, le ragioni dell’irrogazione della sanzione risultano chiaramente dalla motivazione del provvedimento impugnato, il quale ha dato atto della consistenza dell’intervento, l’ha qualificata come ristrutturazione edilizia, assoggettata a permesso di costruire, e, riscontrata l’assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, ha irrogato la sanzione all’uopo prevista dalla legge.

Di fronte alla natura necessitata del provvedimento demolitorio, dunque, il legislatore -diversamente da quanto presuppone l’ottavo motivo- non ha previsto possibilità alcuna di scelta in merito al tipo di sanzione da irrogare (reale o pecuniaria), atteso che l’art. 27 comma II del T.U. n. 380\2001 prevede unicamente la necessaria demolizione dei manufatti abusivamente costruiti in zona interessata da vincoli.

Alcuna rilevanza, poi, può essere annessa la grado di urbanizzazione, anche abusiva, dell’area in cui sorge l’immobile, dal momento che –come detto- la repressione degli abusi edilizia costituisce attività del tutto vincolata che non deve essere preceduta da valutazioni diverse da quelle legate al contrasto dell’opera con la disciplina urbanistica di riferimento;
e che sarebbe assai singolare dedurre l’illegittimità di un provvedimento sanzionatorio in siffatta materia dalla mancata constatazione (peraltro tutta da dimostrare) di altri abusi nella stessa zona.

3 . –Infine, è parimenti infondato il secondo motivo, con cui il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 27 DPR n. 380\001, in quanto non sarebbe certo che la zona è interessata da vincolo di inedificabilità assoluta.

La presenza del vincolo paesaggistico sull’area in cui sorge il manufatto oggetto del provvedimento impugnato è determinata dal decreto ministeriale del 25 gennaio 1958, indicato nel provvedimento gravato, con il quale è stata dichiarata di notevole interesse pubblico la zona dei Camaldoli e adiacenze sita nel comune di Napoli;
la circostanza che il fabbricato in questione sorga proprio in tale area non è stata validamente smentita, nel corso del giudizio, dal ricorrente, che si è limitato a contrarie ma del tutto generiche affermazioni nel motivo di ricorso in esame.

Si tratta di una zona riguardo la quale, condivisibilmente, il Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione quarta n. 5256 del 9 ottobre 2012, resa su appello ad una pronunzia di questa Sezione, ha affermato: “ Si deve poi concordare completamente con il TAR quando ricorda che l’area è comunque inserita nel piano territoriale paesistico di Agnano Camaldoli come “Zona PI – protezione integrale” e che pertanto la suddetta qualificazione esclude la possibilità di interventi edilizi che (come quello in esame) costituiscono di per sé un fattore di degrado ambientale, in quanto alterano l’originaria morfologia del tradizionale contesto paesaggistico e sono in palese contrasto con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione di valori che rappresentano la ragione costitutiva del vincolo stesso. Nel caso di specie poi, nonostante le ferite cagionate dall'edilizia, spontanea e non, la zona costituisce una porzione di territorio ancora conservante qualche traccia dei tratti tipici del paesaggio collinare agrario, caratterizzato dall'ampiezza dei quadri panoramici, dalla presenza di beni archeologici e di gruppi arborei, condizioni atte a formare la sua tipica, antica, immagine paesaggistica ”.

Tanto basta alla reiezione del motivo.

4. - Conclusivamente il ricorso va respinto perché infondato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi