TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2018-06-22, n. 201807042
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Pubblicato il 22/06/2018
N. 07042/2018 REG.PROV.COLL.
N. 06879/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6879 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio n. 25;
contro
Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento
del provvedimento del 15 marzo 2016, con il quale il Ministero della Salute – Direzione Generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale ha respinto l’istanza di riconoscimento del titolo "-OMISSIS-
per il risarcimento del danno subito per effetto del ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2018 il dott. Paolo Marotta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 15 marzo 2016, con il quale il Ministero della Salute ha respinto l’istanza del ricorrente del 31 ottobre 2008, diretta ad ottenere il riconoscimento del titolo di dottore in stomatologia conseguito dal ricorrente il 23 ottobre 1999 presso l’Università di -OMISSIS-, riconosciuto ai fini dello svolgimento dell’attività di dentista dall’Università -OMISSIS-.
Dopo aver evidenziato il suo percorso di studi e professionale, il ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato con tre articolati motivi.
Oltre all’annullamento dell’atto impugnato, il ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno da ritardo, da quantificarsi in via equitativa, in relazione al lungo lasso di tempo intercorso tra la presentazione della istanza nel 2008 e la conclusione del procedimento amministrativo.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Salute, contestando la fondatezza delle dedotte censure e chiedendone pertanto la reiezione.
Con memoria depositata in data 27 marzo 2018, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso evidenziando che n. 7 colleghi di corso del ricorrente sono stati iscritti agli ordini professionali in Italia, avendo conseguito, attraverso misure di compensazione, la laurea presso alcune Università dello Stato italiano e quindi sul presupposto del riconoscimento del titolo -OMISSIS-.
All’udienza pubblica dell’8 maggio 2018, su richiesta delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità e deficit istruttorio e motivazionale nonché per rivalutazione di circostanze coperte da giudicato penale.
Dopo aver evidenziato che l’amministrazione italiana non contesta l’autenticità del titolo conseguito in -OMISSIS-, il ricorrente fa rilevare che alla base del provvedimento di rigetto sono poste considerazioni di carattere generico e mere presunzioni, che nulla avrebbero a che vedere con il suo percorso formativo.
La regolarità del percorso formativo del ricorrente sarebbe comprovata dalla esperienza professionale da questi maturata in -OMISSIS-, quale dottore in stomatologia.
A ciò il ricorrente aggiunge che il suo percorso formativo è stato oggetto di un procedimento penale conclusosi con sentenza di proscioglimento “perché il fatto non sussiste”.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce eccesso di potere per disparità di trattamento.
Il ricorrente si duole del fatto che l’amministrazione italiana abbia proceduto al riconoscimento di titoli di studio conseguiti in -OMISSIS- a seguito di percorsi formativi analoghi a quelli dell’odierno ricorrente.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e falsa applicazione del diritto comunitario e, in particolare, della direttiva 2001/19/CE nonché della legge di recepimento.
In particolare, il ricorrente evidenzia che l’art. 9 del d.lgs. n. 277 dell’8 luglio 2003, di recepimento della direttiva 2001/19/CE, nel prevedere che sono ammessi alla procedura anche i titoli acquisiti dai Paesi che non fanno parte dell’Unione europea, qualora tali titoli siano stati riconosciuti in un altro Stato membro, dispone che in questi casi il Ministero della salute, d’intesa con il Ministero dell’Università e della Ricerca, sentita la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, valuta le istanze di riconoscimento, tenendo conto anche della formazione e della esperienza professionale acquisita in uno Stato membro.
Il ricorrente si duole del fatto che il Ministero della Salute abbia adottato il provvedimento impugnato senza il necessario coinvolgimento del Ministero dell’Università e della Ricerca nonché della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (a suo giudizio, il coinvolgimento del Ministero della Università e della Ricerca avrebbe consentito di individuare un percorso formativo integrativo, al fine di ottenere l’equiparazione del titolo -OMISSIS-).
Evidenzia inoltre che l’art. 3 della direttiva 2005/36/CE prevede l’assimilazione dei titoli di formazione conseguiti presso un Paese terzo se il suo possessore ha maturato un’esperienza professionale di tre anni in un Paese membro che ha riconosciuto tale titolo ai sensi dell’art. 2, comma 2. Nel caso di specie, il Ministero della Salute avrebbe omesso di considerare l’esperienza professionale maturata dal ricorrente sulla base di un titolo riconosciuto in -OMISSIS-.
In via subordinata, si chiede che venga sollevata questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia europea, al fine di accertare l’esatta interpretazione delle disposizioni di cui alle direttive comunitarie sopra richiamate ossia se sia possibile prescindere dal titolo di studio conseguito in un Paese terzo e formalmente riconosciuto in un Paese membro sulla base di considerazioni relative al percorso formativo del ricorrente nello Stato -OMISSIS-.
Le censure sono infondate;esse vengono trattate congiuntamente attenendo a profili connessi.
Occorre premettere che, già con nota del 17 febbraio 2016, il Ministero della Salute ha comunicato al ricorrente i motivi ostativi al riconoscimento del titolo di dottore in stomatologia, rilasciato dall’Università di -OMISSIS- in data 23 ottobre 1999. In quella occasione, l’amministrazione ha avuto modo di precisare che il Comando Carabinieri per la tutela della salute - Nas di Milano (con informativa del 20 marzo 2010) aveva evidenziato una serie di gravi irregolarità dei percorsi formativi svolti da parte delle Università di Nis e -OMISSIS- per il tramite del c.d. “Centro Studi Universitari Internazionali” tra il 1994 e il 1999.
Nella predetta nota, l’amministrazione richiama altresì il 12° considerando della direttiva 2005/36/CE, che dispone testualmente: “La presente direttiva riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri. Non riguarda tuttavia il riconoscimento da parte degli Stati membri di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a norma della presente direttiva”.
Nell’atto impugnato, il Ministero della Salute, nel riportarsi alle ragioni espresse nella comunicazione di cui all’art. 10- bis l. n. 241/1990 (sopra richiamata) ha altresì evidenziato che il predetto Ministero non ha mai riconosciuto i titoli di odontoiatra rilasciati a cittadini italiani dall’Università serbe di Nis e -OMISSIS-e che il riconoscimento, sotto il profilo accademico, dei predetti titoli da parte di alcune Università italiane non determina anche l’obbligo del Ministero della Salute di procedere al loro riconoscimento, essendo il Ministero l’unica autorità competente al riconoscimento delle qualifiche professionali, ossia dei titoli abilitanti all’esercizio di una professione dell’area sanitaria.
Tanto premesso, le censure si rivelano prive di fondamento.
Il titolo di odontoiatra conseguito in data 23 ottobre 1999 dal ricorrente in -OMISSIS- presso l’Università -OMISSIS-non rientra tra quelli per i quali è previsto il riconoscimento automatico di cui alla direttiva 2005/36/CE (recepita nel nostro ordinamento per effetto del d.lgs. 9 novembre 2007 n. 206).
Il fatto che il titolo conseguito in -OMISSIS- dal ricorrente sia stato riconosciuto dall’Università -OMISSIS-(ossia dall’università di uno Stato membro dell’Unione europea) dopo il completamento del percorso formativo – a prescindere dalle criticità rilevate con riguardo dal Ministero dell'Educazione rumeno, con nota del 16.03.2015, nella quale veniva precisata la mancanza di affidabilità della Facoltà di medicina dentale -OMISSIS-e ne veniva disposta la messa in liquidazione – non implica l’obbligo del riconoscimento automatico da parte dello Stato italiano, in quanto il 12° considerando della direttiva comunitaria espressamente esclude dall’ambito di applicazione della direttiva “….il riconoscimento da parte degli Stati membri di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a norma della presente direttiva”.
Nel caso di specie, l’amministrazione ha motivatamente denegato il riconoscimento del titolo di odontoiatra conseguito dal ricorrente in -OMISSIS-, richiamando gli accertamenti svolti a tale riguardo dal Comando Carabinieri per la tutela della salute - Nas di Milano, le cui conclusioni sono state trasmesse al Ministero della Salute, nella informativa del 20 marzo 2010, dalla quale si evincerebbe la inconsistenza dei corsi di studio che l’Università di -OMISSIS-ha organizzato negli anni ‘90 in collaborazione con il Centro Studi Universitari Internazionali.
Del resto anche il Giudice d’appello in casi analoghi ha avuto modo di precisare “…in base alla stessa disciplina della direttiva ed ai correttivi dalla stessa previsti alla rigida operatività del meccanismo di "riconoscimento automatico", i titoli di formazione acquisiti in -OMISSIS- dagli appellanti non potevano considerarsi idonei a determinare, in capo allo Stato italiano, l'obbligo di provvedere al riconoscimento (ovvero in alternativa, come dedotto dagli appellanti, ad impugnare dinanzi al giudice rumeno, titolare della relativa giurisdizione, i suddetti titoli di formazione o ricorrere ex art. 259 del Trattato UE alla Corte di Giustizia per lamentare che "un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati"), non essendosi utilmente concluso l'iter istruttorio previsto dall'art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE al fine di verificare la conformità di quei titoli agli standards formativi minimi previsti dal legislatore europeo” (Consiglio di Stato, sez. III, 17 aprile 2018 n. 2305).
Il fatto che il procedimento penale avviato nei confronti del ricorrente si sia concluso con sentenza di proscioglimento “perché il fatto non sussiste” non è dirimente ai fini dello scrutinio della legittimità dell’atto impugnato, in quanto l’esclusione della responsabilità penale del ricorrente non implica un obbligo di riconoscimento del titolo abilitante all’esercizio di professioni in ambito sanitario, essendo il provvedimento di reiezione fondato su una motivazione congrua ed articolata, non superata dalle deduzioni della parte ricorrente.
Neppure possono essere considerati quale tertium comparationis, ai fini della valutazione della dedotta disparità di trattamento, atti amministrativi (aventi ad oggetto il riconoscimento di titoli accademici asseritamente analoghi a quello vantato dal ricorrente) la cui legittimità non è accertabile in questa sede.
Oltre a ciò, come condivisibilmente evidenziato dal Ministero della Salute nell’atto impugnato, il riconoscimento, ai fini accademici, da parte di un’Università italiana del titolo conseguito presso un’Università straniera (anche a seguito di un percorso formativo integrativo) non va confuso con il riconoscimento da parte del Ministero della Salute dei titoli abilitanti all’esercizio di professioni sanitarie. Risulta evidente che questo secondo tipo di riconoscimento deve essere assoggettato a limiti più stringenti e rigorosi rispetto al primo, proprio in relazione alla necessità di tutelare la salute pubblica.
In relazione alla manifesta infondatezza delle doglianze formulate dalla parte ricorrente anche la richiesta (formulata in via subordinata, dalla parte ricorrente) di investire la Corte di Giustizia europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato UE, deve essere respinta, non ponendosi in relazione alla questione dedotta in giudizio problematiche interpretative della direttiva 2005/36/CE (il 12° considerando della predetta direttiva esclude dal proprio ambito di applicazione i titoli conseguiti in Stati non appartenenti all’Unione, ma riconosciuti da uno degli Stati membri;in altre parole, il fatto che l’Università della -OMISSIS- abbia riconosciuto il titolo di odontoiatra conseguito dal ricorrente presso l’Università -OMISSIS-della -OMISSIS- non implica anche la necessità per il nostro Stato di riconoscere la stessa efficacia al predetto titolo).
Con riguardo alla richiesta risarcitoria formulata dal ricorrente il Collegio ritiene di doversi uniformare all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito, con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento;il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, implica una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse e, di conseguenza, non è di per sé risarcibile il danno da mero ritardo (Consiglio di Stato, sez. IV, 17 gennaio 2018 n. 240).
In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.
La natura della controversia giustifica all’evidenza l’equa compensazione delle spese di giudizio (il contributo unificato rimane tuttavia a carico del ricorrente).