TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-03-19, n. 201504348

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-03-19, n. 201504348
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201504348
Data del deposito : 19 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03128/2010 REG.RIC.

N. 04348/2015 REG.PROV.COLL.

N. 03128/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3128 del 2010, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. L D R, C P, con domicilio eletto presso C P in Roma, Via Aterno, 9;

contro

Ministero della Difesa e Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del Decreto del Ministero della Difesa n. 7/N (pos. 621464/A) del 7.1.2010 con cui è stato negato che la "-OMISSIS- accertata" è dipendente da causa di servizio,

nonché, quale atto presupposto, della Deliberazione del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio presso il Ministero delle Finanze, espressa nell'Adunanza n. 344/2008 del 1.7.2008.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2015 la dott.ssa F R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Il Maresciallo ricorrente, in servizio dal 2010 presso il Comando Carabinieri del Ministero degli Esteri, impugna il decreto n. 7 del 7.1.2010 con cui il Ministero della Difesa ha respinto l’istanza di riconoscimento di concessione dell’equo indennizzo per “-OMISSIS-”, dallo stesso presentata in data 30.1.1999, adeguandosi al parere espresso dal Comitato per la verifica delle cause di servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella seduta del 1.7.2010 che ha ritenuto che l'infermità in questione «non può ... riconoscersi dipendente da fatti di servizio in quanto trattasi di forma morbosa derivante, nella maggior parte dei casi, da una -OMISSIS-, sull'insorgenza e decorso della quale gli invocati eventi di servizio non si appalesano tali da assurgere a fattori causali o concausali efficienti e determinanti».

Il ricorso è affidato alle censure riconducibili all’eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, di istruttoria, illogicità e ingiustizia manifesta;
erronea valutazione dei presupposti di fatto-travisamento;
contrasto tra parere della CMO del 22.12.2000 e opposto parere del CVCS del 1.7.2010.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, il quale ha depositato documentazione e rapporto difensivo.

Con ordinanza n. 1722 del 21.4.2010 è stato dato atto della rinuncia alla istanza cautelare.

Alla pubblica udienza del 23.1.2015 la causa è trattenuta in decisione.

Con l’unico, articolato, motivo di ricorso il ricorrente deduce: “violazione del DPR n. 461/2001, del DPR n. 686/1957, del DPR n. 1092/1973 e del DM 12/02/2004;
della L. 416/1926 e del Regolamento esecutivo adottato con R.D. 1024/1928;
della L. 241/1990. Violazione dell'artt. 97 della Costituzione. Eccesso di potere;
sviamento di potere;
arbitrarietà;
travisamento dei presupposti di fatto;
irragionevolezza ed illogicità manifesta;
omessa o insufficiente motivazione;
non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito;
intrinseca contraddittorietà e contraddittorietà manifesta tra i pareri emessi dalla CMO di Roma e dal CVCS”.

In primis, il ricorrente lamenta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato che nel contrasto tra la positiva valutazione del nesso causale espressa dalla CMO di Roma nella seduta del 22.12.2000 e opposto parere espresso del CVCS nella seduta del 1.7.2010, aderisce a quest’ultimo, senza indica le ragioni per cui si discosta da quello, favorevole, espresso dal primo organo consultivo prima dell’entrata in vigore del DPR 461/2001 che ha attribuito solo al CVCS.

La doglianza non può essere accolta.

La questione dell’obbligo di motivazione e delle rispettive sfere di competenza degli organi sopraindicati è stata definitivamente risolta dal DPR n. 461/2001, entrato in vigore il 22.1.2002. che non prevede a carico dell’autorità decidente alcun obbligo, in caso di contrasto tra il parere espresso dalla CMO e dal Comitato di verifica, di motivare la scelta di aderire a quest’ultimo. Infatti l'art. 11 del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 distingue il compito della Commissione, che è solo quello di formulare la diagnosi sull'infermità, sulla sua effettiva esistenza e gravità, l'indicazione della categoria, il giudizio di idoneità al servizio, dalla diversa funzione del Comitato di verifica, al quale è invece attribuita la competenza esclusiva ad accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione, e pronunciarsi con parere motivato sulla dipendenza dell'infermità o lesione da causa di servizio. In tale nuovo sistema, il provvedimento amministrativo di diniego del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità è adeguatamente motivo, per relationem, mediante il richiamo al parere del comitato di verifica, purché sia reso disponibile all’interessato (vedi da ultimo, tra tante, Cons. Stato, sez. IV, 18 settembre 2012, n. 4950).

Alle stessi conclusioni, d’altronde, era già pervenuta la giurisprudenza anche nel vigore della normativa precedente (vedi, di recente, Cons. st., sez. III 30/07/2013 n. 4024), essendo stata da tempo chiarita la prevalenza del parere espresso dal C.P.P.O. sul diverso giudizio espresso dalla C.M.O. sia dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 209 del 14-21 giugno 1996 è stato chiarito che i pareri espressi dalle CMO attengono all'individuazione dell'infermità ed all'accertamento della sua dipendenza da causa di servizio, mentre quelli formulati dal CPPA afferiscono anche alla valutazione dell'effetto invalidante dell'infermità rilevata, in quanto la funzione precipua del predetto Comitato corrisponde alla verifica, nel merito, dell'operato delle singole commissioni medico-ospedaliere, con pronunzie che obbligano l'Amministrazione procedente a formulare espressamente i motivi per cui in ipotesi ritenga di discostarsene) sia dal Consiglio di Stato che ha ripetutamente chiarito che, nell'ambito dei procedimenti finalizzati alla concessione dell'equo indennizzo, le Amministrazioni non dispongono di due pareri tecnici (C.M.O. e C.P.P.O.), da valutare entrambi ai fini dell'adozione delle conseguenti determinazioni e tra cui, dunque, scegliere con motivazione esplicita nel caso che gli stessi siano di segno opposto, non potendo intervenire con valutazioni proprie nell'ambito del subprocedimento, di competenza del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, preordinato all'accertamento della conseguente menomazione da infermità ai fini dell'erogazione di equo indennizzo, con la conseguenza che non sono tenute a motivare circa l'eventuale difformità dei pareri di quest'ultimo da quelli emessi dalla Commissione medica ospedaliera. (cfr. Cons. di Stato, VI Sez., 21 giugno 2001, n. 3313;
11 febbraio 2002, n. 779, IV Sez., 14 dicembre 2004, n. 8054;
ribadito, di recente, Cons. st., sez. III

30/07/2013 n. 4024).

Pertanto è stato ritenuto che anche sotto il regime del D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, recante il Regolamento per il riordino dei procedimenti di riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio e di concessione dell'equo indennizzo, l'amministrazione era tenuta a motivare le ragioni per le quali, eventualmente, decide di discostarsi dal parere emesso in ordine alle istanze di equo indennizzo dal C.P.P.O., come sancito dall’art. 8 del predetto Regolamento. In tale prospettiva la Sezione ha ribadito che “nell'ambito del procedimento per la liquidazione dell'equo indennizzo, il parere espresso dal C.P.P.O., non solo è necessario, ma ha una rilevanza maggiore rispetto ai pareri forniti dagli altri organi tecnici - quali le Commissioni Medico Ospedaliere - in quanto la valutazione fornita dal predetto organo - quale organo imparziale in ragione della sua composizione, e pertanto idoneo a garantire il buon andamento della P.A. – costituisce il momento finale dell'istruttoria prevista all'uopo dalla normativa di settore, in cui confluiscono, per essere assorbite, tutte la fasi preliminari del procedimento, che in detta sede vengono definitivamente composte, ove in ipotesi configgenti;
orientamento al quale la Sezione ha da tempo aderito (TAR Lazio Sez. I bis 03/10/2006 n. 9867;
21.7.2011 n. 6566). Anche di recente è stato riaffermato che l'Amministrazione, quando intenda uniformarsi al giudizio medico-legale del Comitato delle Pensioni Privilegiate Ordinarie, non deve indicare le ragioni che l'hanno indotta a preferire il parere del Comitato anziché quello della commissione Medica Ospedaliera in quanto il primo “svolge funzione di verifica, di sintesi e di composizione dei diversi pareri resi dagli organi intervenuti nel procedimento, attraverso la riconduzione a principi comuni delle attività svolte dalle diverse Commissioni Mediche, sicché non è configurabile alcuna contraddittorietà nel caso di contrasto fra le valutazioni espresse dal Comitato e quelle precedenti di altri organi (cfr. da ultimo, T.A.R. Lazio, sez. I bis 20.12.2012 n. 10652;
29.2.2012 n. 2090).

Alla luce delle considerazioni sopra svolte va disattesa la doglianza con cui il ricorrente lamenta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, con cui l’Amministrazione ha acriticamente recepito il parere del Comitato di verifica, senza indicare le ragioni per cui non ha preferito il diverso parere espresso dalla CMO, non essendo tale motivazione necessaria – né nel sistema previgente né in quello attuale - dato che la PA ha aderito (anziché scostarsene) al parere del Comitato al quale è attribuita una specifica competenza all'accertamento della dipendenza e della classifica dell'infermità da causa di servizio e che, pertanto, prevale sul diverso giudizio espresso dalla CMO.

Con un secondo ordine di doglianze, il ricorrente contesta, nella sostanza, la validità del giudizio espresso dal Comitato di verifica in questione, che risulterebbe affetto da eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, arbitrarietà e travisamento dei fatti, scorrettezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito. Secondo il ricorrente è innegabile il rapporto tra le patologie in questione, riconosciuto dalla CMO in considerazione dei "numerosi, gravosi e stressanti servizi d'Istituto" ed ai fattori atmosferici predetti "deve attribuirsi valore concausale e preponderante nella genesi e sviluppo dell'infermità" tempestivamente denunciata, che "per le circostanze di tempo, modo e luogo in cui ebbe a verificarsi sia da considerare come SI dipendente da causa di servizio".

Al riguardo il ricorrente precisa che, sin dall'arruolamento in data 26/2/1986, ha espletato servizi di Istituto in vari Reparti dell'Arma, protratti per molte ore consecutive, con turnazioni, in condizioni atmosferiche avverse e con l’esposizione a stress psicofisici. Precisa che è stato applicato dal 1992 alla sala operativa ove è stato esposto a repentini sbalzi di temperatura, a stress psicofisico, turni di lavoro protratti oltre l'orario previsto. Negli anni `90/'91 “ha partecipato al normale servizio consistente in pattuglie, perlustrazioni, posti di blocco e Ordine Pubblico, parte dei quali eseguiti con avverse condizioni atmosferiche" nella compagnia di Scarperia (FI) e nel 89/90 Rifredi (ove ha svolto anche l’impegnativa attività di traduzione di detenuti);
sedi caratterizzate da particolare rigore climatico. Anche nel periodo presso il Ministero degli Esteri ha prestato servizio in sedi disagiate per clima o condizioni di vita. Rappresenta inoltre di aver utilizzato, per l’attività di perlustrazione e posti di controllo e blocco, il mezzo di servizio (di regola un fuoristrada Fiat "Campagnola"), le cui rigidissime sospensioni hanno sottoposto la sua colonna vertebrale a sollecitazioni (vibrazioni e microtraumi). Circostanze che avrebbero contribuito alla sofferenza della colonna in relazione all'accertata -OMISSIS-, congiuntamente alla postura in relazione ai servizi prestati ed alla protratta attività di piantonamento, al peso della divisa a cd. «grande montura» utilizzata nei servizi di rappresentanza, all'attività ginnica svolta durante i corsi e all’Accademia sottufficiali, ed all’incidente in itinere avvenuto il 27.11.2006.

A sostegno della propria pretesa produce la consulenza medico-legale del Dr. -OMISSIS- - ritenuto dal ricorrente “particolarmente qualificato in quanto medico militare specialista in medicina delle assicurazioni e CT del Tribunale di Roma, oltreché membro del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio presso il Ministero delle Finanze che ebbe ad emettere ii provvedimento impugnato” – il quale osserva che "le considerazioni espresse dal Comitato di Verifica (adunanza del 1/7/2008 n. 344/08) sono del tutto generiche, e non specificano nemmeno quali siano i motivi «non legati al servizio» per i quali vi sia stata una maggiore usura dei dischi cartilaginei intervertebrali ed una patogenesi artrogena (non meglio precisata)”. In conclusione il ricorrente lamenta che tutte le richiamate circostanze non siano state adeguatamente considerate dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio che avrebbe espresso parere negativo in base ad esigenze di contenimento della spesa pubblica con conseguente sviamento di potere.

Le censure in esame non sono condivisibili.

Il Comitato di Verifica ha negato riconducibilità delle patologie in contestazione a causa di servizio in quanto ha ritenuto che la -OMISSIS- è “una forma morbosa derivante, nella maggior parte dei casi, ad una -OMISSIS-, sull’insorgenza e decorso della quale, gli invocati eventi di servizio non si appalesano tali da assurgere a fattori causali o concausali efficienti e determinanti”.

Appare evidente che il giudizio negativo è stato determinato dal riconoscere ai processi artrosici, sintomo del fisiologico processo di usura conseguente al progredire dell’età, un ruolo determinante sull’insorgenza e sul decorso delle patologie e discali, che si ritiene non essere stato accelerato dalle modalità di prestazione del servizio e dagli eventi ad esso connessi.

La ricostruzione del nesso eziologico formulata dal predetto Comitato non è invalidata dalla diversa opinione sull’origine della patologia in questione del medico di parte: a prescindere da ogni rilievo in merito alla particolare posizione dallo stesso rivestita nella CMO, egli si è infatti limitato ad affermare l’esistenza del contestato nesso causale, riconducendolo alla “esposizione alle perfrigereazioni ambientali, al carico continuativo e costante sulla colonna vertebrale”, tanto da definire le patologie discoartrosiche come “reattive” a tali esposizioni – sottolineando l’effetto della contrattura persistente della muscolatura paravertebrale ,in grado di comprimere i dischi cartaliginei intervertebrali, - e contestare la opposta ricostruzione del Comitato sulla base della considerazione che non vi sono elementi di natura primitiva o familiare o abitudini di vita del soggetto che possano aver indotto tale patologia.

Quanto rappresentato dal medico di parte non vale tuttavia a smentire il parere del Comitato, dato che fa riferimento all’ordinaria modalità della prestazione lavorativa, limitandosi ad asserire l’influenza dei fattori patogeni sopra richiamati, senza però caratterizzare in termini di estrema gravosità, e quindi eccedenti l’ordinario, le condizioni lavorative. Ciò costituisce invece un elemento necessario per il riconoscimento della causa di servizio come chiarito dall’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia che ha precisato che al fine di riconoscere che l’infermità sia riconducile a causa di servizio l’istante deve non solo fornire la prova di essere stato sottoposto a lavori particolarmente stressanti e protratti per lungo tempo (Tar Lazio, Roma, sez. III, 18 gennaio 2010, n. 309 su un caso di infarto del miocardio), ma deve anche provare che si tratta "di condizioni di lavoro particolarmente gravose, eccezionali ed esorbitanti rispetto alle ordinarie mansioni", cioè di fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, particolarmente gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (TAR Lazio, I, 3.4.2008 n. 2828;
3.12.2010, n.35286;
1.1.2010, n. 192;
sez. II, 5.1.2011, n. 27;
5.1.2011, n. 27;
T.A.R. Basilicata, 29/12/2014 n. 907;
T.A.R. Perugia 14/03/2014 n. 169;
T.A.R. Lecce sez. II 12.9. 2012 n. 1522;
Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274 . sez. II, 11.12.2013, n. 4817)

L’onere di dimostrare l’aggravio rispetto alle condizioni normali di lavoro, che possa aver influito in senso nocivo sulle patologie in questione, incombe sull’attore, come chiarito dall’orientamento giurisprudenziale dominante, in applicazione della regola generale posta dall’art. 2697 cod. civ. (Cons. Stato, V, 23 novembre 1994 n. 1360;
TAR Campania Napoli, III, 6 marzo 2007 n. 1385;
TAR Lombardia Brescia, I, 16 giugno 2008 n. 655;
Tar Puglia, Lecce, sez. II, n. 322/2011) e non è sostituibile dal CTU in quanto la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma può essere disposta solo per fornire al giudice un ausilio per la valutazione, sotto il profilo tecnico, di fatti già acquisiti e dimostrati (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2007 n. 4621). In altri termini, l’onere probatorio che incombe sul ricorrente non è soddisfatto dalla produzione di una relazione tecnica che si limiti a menzionare l’esistenza di condizioni di lavoro gravose, ma deve dimostrare che le modalità di svolgimento delle proprie alle mansioni o alle condizioni ambientali di lavoro superavano “l’ordinarietà delle condizioni di impiego” - circostanze che, come ribadito dalla giurisprudenza sopraindicata, costituiscono elemento indefettibile per il riconoscimento della causa di servizio - e deve dare adeguata prova contraria alla ricostruzione operata dal Comitato, cioè deve fornire elementi atti a smentire che le cause principali della discopatia siano riconducibili all’effetto naturale dell’usura e dell’invecchiamento (processo artrosico).

In tal senso la questione della riconducibilità al servizio delle discopatie nel tratto lombare è stata ripetutamente esaminata dalla giurisprudenza in materia in numerosi contenziosi analoghi a quello in esame. Con varie formulazioni il nesso eziologico è costantemente ricondotto dal Comitato di verifica a normali processi di “degenerazione delle cartilagini per fenomeni dismetabolici del tessuto connettivo….favoriti nella loro evoluzione da microtraumatismi ripetuti e continuati nel tempo, ovvero da gravi traumi contusivi e fratturativi” evidenziando come in assenza di tali comprovati fattori la patologia sia da ricorrente a processi artrosici idiopatici endogeni (sintomo di un invecchiamento delle strutture articolari, talvolta precoce)”. In particolare viene ribadito ripetutamente che “nessuna influenza ha, invece, nella eziopatogenesi e nella successiva evoluzione dell'infermità l'esposizione a fattori cimatici e/o perfrigeranti, che sono responsabili solo dell'acutizzarsi di una sintomatologia dolorosa, frequentemente per risentimento muscolare, ma non già del processo degenerativo in esame". La ricostruzione in questi termini del nesso di causalità non può essere contestata dall’opposto parere personale del consulente tecnico di parte, ma deve essere confutata dimostrando il contrasto con la comune opinione della comunità scientifica internazionale, adducendo prove dell’esistenza di una consistente letteratura medica che ricostruisce in senso diverso l’eziologia della patologia in questione;
ciò che non è avvenuto nel caso in esame.

Ne consegue che la riconducibilità della patologia discale al servizio prestato – quale alternativa al fisiologico processo di invecchiamento delle articolazioni - può essere riconosciuta solo ove sia dimostrata l’esistenza di fattori nocivi, costituiti da microtraumatismi ripetuti e continuati nel tempo ovvero da gravi traumi contusivi e fratturativi, che sono riconosciuti dalla letteratura medica come , idonei a generare o ad aggravare l'infermità quale concausa efficiente e determinante. La prova del verificarsi, con reiterazione e continuità, di microtraumi dovuti al servizio incombe sul ricorrente che non può limitarsi ad affermare, in termini generici ed astratti, che determinati servizi, quali quelli di ordine pubblico, comportino "normalmente" siffatti microtraumi per le modalità di svolgimento (per i fattori di rischio di "urti e colpi che si subiscono in occasione del contatto con la folla", "stress articolari", "sovraccarico posturale", ecc.) o per l’attrezzatura utilizzata (vestizione di giubbotto antiproiettile, piantonamento con divise pesanti etc.) dato che “altrimenti larga parte di coloro che vi sono addetti lamenterebbero analoghe infermità” (vedi, tra tante, da ultimo, Cons. St., Sez. III 11/11/2014 n. 5545;
T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 12.9.2012 n. 1522;
T.A.R. Lazio, Sez. II, 12.2.2012 n. 7699;
T.A.R. Lazio sez. I ter 31 luglio 2012 n. 7051).

Nella fattispecie in esame tale onere probatorio non è stato soddisfatto in quanto non sono stati addotti specifici elementi atti a dimostrare che le richiamate modalità di prestazioni lavorative fossero eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro del Carabiniere –che comporta di norma impiego lavorativo all’aperto per lo svolgimento dei compiti di istituto. Al riguardo le relazioni di servizio fanno riferimento alla normale attività, limitandosi ad evidenziare il notorio rigore climatico della Provincia di Firenze e, in alcuni casi, a rappresentare genericamente che i turni si sono protratti oltre l’orario previsto “spesso” nel periodo 1993- 1998 (all. 10) -oppure occasionalmente nell’anno di servizio a Rifredi (all. 12), senza tuttavia evidenziare alcuna specifica circostanza atta a caratterizzare l’eccedenza rispetto all’ordinario del servizio prestato rispetto alle ordinarie mansioni che il Carabiniere è chiamato a svolgere sul territorio.

Inoltre nei rapporti informativi prodotti dal ricorrente non si fa alcun riferimento a traumi e/o microtraumatismi ripetuti. Né la documentazione agli atti contiene elementi atti a suffragare che il ricorrente possa aver subito “sollecitazioni meccaniche” atti a determinare “microtraumatismi a carico della colonna vertebrale” nella guida di autoveicoli privi di adeguati ammortizzatori. A tal fine non è sufficiente asserire, come fa il ricorrente, che i veicoli utilizzati fossero privi di adeguate sospensioni facendo generico riferimento alla marca della macchina utilizzata (Fiat campagnola), senza fornire almeno un principio di prova (ad es. scheda tecnica;
dati su reclami dei clienti etc.) sull’insufficienza degli ammortizzatori (dato peraltro poco verosimile vista la particolare tipologia del mezzo). Né il ricorrente ha dimostrato di essere stato adibito all’attività di guida in circostanze tali, intensità, durata, modalità che possano aver superato l’ordinario espletamento del servizio ed aver determinato l’insorgenza o l’aggravarsi delle patologie discali.

Quanto all’incidente in itinere occorso in data 27.11.2006 (tamponamento nel parcheggio di Piazza della Farnesina in cui il ricorrente ed il collega cadevano dalla motocicletta, il primo procurandosi escoriazioni varie, contusione e lussazione della spalla sinistra e contusione nella regione dorso lombare) – evento traumatico al quale il ricorrente attribuisce una valenza di concausa efficiente e determinante – è sufficiente evidenziare che nella relazione del consulente tecnico di parte non solo non viene chiarito come questo possano aver svolto un ruolo con-causale nell'insorgenza della patologia discale in questione, ma il predetto incidente non viene neppure menzionato. Né viene menzionato l’incidente in itinere occorso in data 27.10.1991, in cui il ricorrente è caduto, scivolando mentre scendeva le scale di un’abitazione nella quale stava effettuando una perquisizione, riportando la lussazione della spalla sinistra;
patologia di cui non è stata dimostrata l’influenza sull’insorgenza o sull’aggravarsi di quella discale.

Peraltro, a tale riguardo, il Collegio non può esimersi dall’osservare che, com’è noto, le patologie discali in area lombare sono estremamente comuni nella popolazione - spesso correlate ad imperfezioni strutturali della colonna vertebrale (quali la rettificazione di alcuni tratti oppure a distorsioni della stessa, come nel caso in esame, in cui è presente una componente rotoscoliotica)- e costituiscono la normale conseguenza del processo fisiologico di invecchiamento, che in alcuni soggetti può essere precoce per fattori costituzionali, ed in altri può essere accelerato da abitudini di vita (sedentarietà). Ed in tale prospettiva è stata esclusa la riconducibilità a causa di servizio della -OMISSIS- in quanto non era stata dimostrata l’eccedenza rispetto alle ordinarie condizioni di lavoro che caratterizzano lo svolgimento delle funzioni di magistrato (TAR Lazio, I, 3 aprile 2008 n. 2828).

Pertanto per escludere che dette patologie possano essere ricondotte alle cause soprarichiamate (in particolare al precoce manifestarsi di fenomeni artrosici) l’interessato deve dimostrare che le infermità discali siano state determinate da gravi traumi contusivi o fratturativi oppure da attività comportanti sforzi ripetuti ed intensi sulla colonna vertebrale o anche al mantenimento prolungato di posizioni statiche, in particolare da quella seduta, specie nell’attività di guida protratta per lunga durata, specie di mezzi che comportano sollecitazione meccaniche della struttura;
condizioni queste, che sono tali da determinare un rapido processo di invecchiamento e degenerazione dei dischi intervertebrali, ma di cui non è stata provata l’esistenza nel caso in esame.

Nel caso in esame, pertanto, la spiegazione alternativa dell’eziopatogenesi dell’infermità discale data dal CVCS risulta plausibile alla luce della documentazione agli atti, da cui si evince che il ricorrente è affetto da fenomeni artrosici generalizzati, riscontrati a livello dorsale inferiore, nonché bilateralmente alle falangi ed alle anche (vedi verbale della seduta della Commissione Medica Ospedaliera del 5.10.2009), nonché dallo stesso periodo di insorgenza della stessa che è quello tipico delle manifestazioni artrosi che (negli uomini dalla quarta e quinta decade di vita).

Ne consegue che il parere espresso dal predetto Comitato risulta immune dai vizi di travisamento dei fatti, manifesta illogicità o la macroscopica erroneità della valutazione, che sono gli unici profili sindacabili in questa sede, non essendo, i giudizi sulla dipendenza da causa di servizio rivedibili “nel merito” dal giudice amministrativo (cfr. per tutte, tra le più recenti, Cons. St., Sez. III, 21 luglio 2014 n. 3882 e 24 giugno 2014 n. 3193).

Il ricorso va pertanto respinto in quanto infondato.

Sussistono tuttavia motivi d’equità per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi